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Il Potere del Fuoco
La prima cosa che Nemeria
percepì quando riprese conoscenza fu la consistenza friabile
della sabbia sotto le dita. La luce del sole, che brillava a picco dal
cielo terso, le bruciava gli occhi attraverso le palpebre. I raggi le
incendiavano la nuca, trasmettendole un calore insopportabile. Aveva un
forte mal di testa e lo stomaco dolorosamente contratto, ma sul corpo
non vedeva alcuna ferita, niente che le lasciasse intuire di essere
stata colpita. Era stata fortunata.
Si strofinò le braccia e si umettò le labbra
secche, percependo il fastidioso scricchiolio dei granuli di sabbia
sotto i denti. Lasciò vagare lo sguardo, ricercando in quel
paesaggio desertico un qualche punto di riferimento, una palma o una
duna familiare. Se davvero era riuscita a teletrasportarsi, prima
doveva verificare di essere nel posto giusto.
Quel pensiero fu come una stilettata al cuore. Era fuggita lasciandosi
alle spalle la sua tribù, la sua famiglia. Per un secondo,
il pensiero di morire lì, sotto il sole cocente, le parve
una prospettiva allettante, ma l'istinto di sopravvivenza non glielo
permise. Come in un sogno, strinse la pietra di luna che le pendeva al
collo e cominciò a camminare.
Sulla linea dell'orizzonte, al confine tra il cielo azzurro e le dune
giallastre, circondata da una patina di sabbia e calura si ergeva una
città, o forse era solo un miraggio. Ma Nemeria seppe
all'istante che era lì che doveva andare, il suo corpo
disidratato bramava il refrigerio dell'ombra e dell'acqua.
Così procedette finché le mura bianche presero
una consistenza fisica, reale come il chiacchiericcio delle persone e
la puzza nelle strade.
Si guardò intorno timorosa, ma nessuno sembrò
fare caso a lei. Solo le guardie, con un'armatura ramata e un semplice
mantello rosso senza alcun emblema, le lanciarono un'occhiata
distratta, per poi tornare a sorvegliare la fiumana di persone che
entrava e usciva a piedi o su carri. Nemeria si concesse di studiare
con involontaria insistenza quelli che trasportavano spezie e altri
generi alimentari, avvertendo un fastidioso brontolio allo stomaco. Non
appena il mercante si accorse di lei, le urlò di andarsene,
quasi fosse feccia a cui non valeva la pena di offrire neanche un sorso
d'acqua. Nemeria, però, non replicò,
allontanandosi rapidamente.
Gli stretti vicoli e le bancarelle polverose del mercato si susseguivano agli angoli del suo campo visivo, slavati come l'acquerello di un bambino. A ogni passo, la voce
che le consigliava di tornare indietro, di provare a chiamare aiuto si
affievoliva sempre di più. Quando si infilò in
una stradina sporca e desolata dietro a una taverna, era diventata solo
un sussurro, che i suoni della città e il bisogno di cibo e
acqua misero facilmente a tacere.
Si avvicinò alla porta sul retro della taverna, quella che
dava sulla cucina, a giudicare dal buon profumino che le
schiaffeggiò il naso. Sussultò quando un topo
grosso come un cucciolo di cane le corse sul piede per andare a
imbucarsi nella sua tana, nascosta dietro un tavolo rovesciato e
mangiato dai tarli. Nemeria scrollò le spalle e rivolse la
sua attenzione alla catasta di casse lasciate a marcire contro il muro.
Ne contò circa una decina, tutte più o meno della
stessa misura e della stesso pessimo legno, di quelli che Morad e
Arsalan avrebbero accantonato subito, definendoli “rametti
buoni solo a bruciare”. Scosse la testa e strinse i pugni
più forte che poté, finché il dolore
causato dalle unghie piantate nei palmi non scacciò via i
visi amati dei due mercanti. Cominciò ad ammonticchiare le
casse l'una sopra l'altra, curandosi di scegliere solo quelle
più integre. Quando ebbe costruito una piccola montagnetta,
si arrampicò fino alla finestrella.
Il profumo del riso al vapore e delle spezie le fece gorgogliare lo
stomaco e venire l'acquolina in bocca, sensazione che si
acuì allorché dei piatti dall'aspetto divino
passarono davanti a lei, sorretti dalle mani esperte di cuochi e
camerieri.
A differenza del fuori, la cucina all'interno era tutto
fuorché sporca. I cuochi, due besajaun e
una donna dal naso a patata e gli occhi a mandorla, si muovevano
freneticamente da una pentola all'altra, togliendo la carne marinata
dal fuoco, girando gli spiedini sulla brace, aggiungendo salse a
stufati di verdure e legumi. Erano così in sincronia che per
un momento Nemeria si dimenticò della fame e rimase a
osservarli, completamente incantata. Fu per quello che non si accorse
che qualcuno si era accorto della sua presenza.
La porta si aprì di schianto e uno dei cuochi
uscì con un'espressione truce stampata sul viso. Lo spavento
che prese fu sufficiente a farle perdere l'equilibrio e cadere dalla
sua scala di fortuna.
- Che cosa vuoi, accattona? - l'aggredì l'uomo, in mano
teneva un mestolo sporco di sugo, - Ho già detto a tutti i
tuoi amici che qui non ci dovete venire, chiaro? Non mi va che
frughiate nei miei rifiuti o che vi facciate vedere in
prossimità della mia taverna! -
Nemeria arretrò strisciando per un paio di metri, poi
tentò di rimettersi in piedi, ma la paura le paralizzava le
gambe.
- Hai capito o no che devi sparire?! -
- S-sì... -
- E allora alza il culo e vattene, prima che chiami le guardie! -
sbraitò il cuoco e alzò il braccio munito di
mestolo per colpirla.
Nemeria serrò gli occhi e si rannicchiò, portando
le braccia sopra la testa per proteggersi, ma l'unico suono che
udì fu il tonfo della porta. Poco dopo le giunsero alle
orecchie gli ordini furiosi del cuoco, che intimava agli altri di
tornare al lavoro.
Quando abbassò lo sguardo, ancora leggermente sconvolta,
notò un pezzo di formaggio che giaceva ai suoi piedi. Si
tirò a sedere e, dopo una breve titubanza, lo
agguantò. A quel punto scappò, inoltrandosi nel
vicolo, per poi svoltare in una stradina chiusa tra la locanda e un
altro edificio. Addossata al muro c'era altra immondizia, pane, frutta
e verdura così marci da sembrare carbonizzati. Le corde dove
erano stati stesi i panni ad asciugare costituivano una ragnatela sopra
la sua testa, sembravano quasi dividere il cielo calmo e silenzioso
dalla terra, una prigione soffocante di caldo e sporcizia. Un gruppo di
ratti stava banchettando con un pezzo di formaggio divorato dalla
muffa. Non appena percepirono la presenza di Nemeria, si girarono per
valutare se fosse una minaccia, poi tornarono a mangiare.
Con l'aria che le raschiava la gola a ogni respiro, la bambina si
accovacciò contro la parete e strinse la pietra di luna nel
palmo. Adesso era leggermente tiepida. Divorò il formaggio
in silenzio, e le parve la cosa più buona che avesse mai
mangiato. Una volta terminato il pasto, giocherellò con il
pendente, scrutandolo intensamente.
- Perché mi hai salvata? Perché non mi hai
lasciata morire lì, assieme a tutta la mia gente? Io... non
so cosa fare, non so nemmeno dominare l'elementale con cui sono
più affine... - mormorò con voce rotta dal
pianto, mentre le lacrime premevano per liberarsi dalla prigionia delle
ciglia.
Questo non è totalmente vero, mia cara.
Nemeria alzò la testa di scatto. Non fu in grado di
trattenere un'esclamazione a metà tra il sorpreso e lo
spaventato, quando posò gli occhi sull'ammasso di fuoco che
era apparso accanto a lei. Guardandolo meglio, si avvide che le lingue
rosseggianti avevano assunto la forma di una donna alta e snella.
Stai tranquilla, sono io. Sono l'elementale che vive dentro di te.
L'essere allungò la mano verso di lei. Le fiamme che
componevano il suo viso si annerirono, solidificandosi assieme al resto
del corpo in magma. Non appena le sue dita la sfiorarono, un calore
rassicurante, delicato come la carezza di una madre, la pervase da capo
a piedi.
- Com'è possibile che tu ti sia incarnata? -
Sulle labbra attraversate da vene incandescenti comparve un sorriso
divertito. Del fuoco di cui era fatta erano rimasti solo i capelli, che
crepitavano allegri sulle sue spalle.
Non mi sono incarnata.
Io mi nutro di tutte le emozioni forti che
vivono dentro di te, esse sono energia per le mie fiamme. In queste ore
ne hai provate molte e l'energia che hanno sprigionato è
stata sufficiente per prendere una forma... diciamo, umana.
Ciò che vedi è solo l'immagine solida della mia
essenza.
I topi erano fuggiti non appena avevano percepito la presenza
dell'elementale, lasciando il pezzo di formaggio rosicchiato
incustodito. Ne avevano mangiato una buona metà, ma si erano
per lo più concentrati sulla parte ammuffita. Reprimendo la
nausea, Nemeria si allungò, prese quello che era rimasto e
cominciò a sbocconcellarlo. Se avesse potuto, l'avrebbe
inghiottito in un solo boccone, ma si impose di mantenere un certo
contegno davanti all'elementale.
Ascolta, Nemeria. So che
quello che stai passando è
terribile, ma non devi arrenderti, per nessuna ragione al mondo.
- Perché non dovrei? Ho perso tutto. La mia tribù
è morta, la mia famiglia è morta. Non... non ho
motivo di andare avanti. - singhiozzò e diede un morso
più grande al formaggio, riempiendosene la bocca e
masticandolo con rabbia e disperazione insieme alle lacrime salate.
Le sopracciglia corrucciate e gli occhi umidi le conferivano un'aria
triste e tormentata, e così Nemeria si sentiva. Era sola, in
un posto che non conosceva, indifesa, troppo giovane e stracciona per
sperare di venire ascoltata da un adulto.
Il sole non era più allo zenit e le ombre dei panni ne
schermavano la luce, creando delle macchie d'ombra che rendevano il
caldo più sopportabile. Un refolo di vento le
asciugò la pelle sotto il barracano, donandole un po' di
sollievo.
L'elementale si piegò, intrecciò le dita sulle
ginocchia e volse lo sguardo verso l'alto, nel cielo nascosto oltre i
palazzi. Nemeria si domandò se, come l'Alta Sacerdotessa,
fosse in grado di vedere il futuro, se ciò che l'elementale
stava osservando tanto intensamente fosse davvero il cielo, e non
qualcosa che agli occhi dei mortali era precluso. Le Anziane
raccontavano che le prime Jinian, quelle che erano ancora capaci di
udire le parole della Madre, fossero capaci di scorgere lo svolgersi
del filo del destino attraverso il sangue e il fuoco, o addirittura
nelle interiora degli animali. Quelle storie l'avevano sempre fatta
rabbrividire, ma come molti altri aveva cercato di non darlo a vedere,
nascondendosi dietro una risata nervosa a una rapida scrollata di
spalle.
Il dolore ti rende sorda
e cieca, ma non credi che sarebbe un atto
egoista abbandonarsi alla morte dopo il sacrificio di Hediye e quello
della vostra sacerdotessa?
Le prese sua mano tra le proprie e accarezzò il dorso, le
labbra increspate in un sorriso premuroso, dolce.
Lei è morta
per te. Non era tua madre, ma si comportava come
se lo fosse. Anche Etheram ti amava. È andata alla prima
barriera con la consapevolezza che non ti avrebbe più
rivista. Non devi vanificare il suo sacrificio, non permettere che la
sofferenza prevalga senza aver prima lottato. La morte
trasforma ogni ricordo delle persone care in un vuoto, un'assenza che
riempie i pensieri e avvelena l'anima. Si può decidere di
lasciarsi consumare dal dolore, oppure si può trovare il
coraggio per continuare a vivere. A te la scelta, Nemeria.
Prima che potesse rispondere, l'elementale si sfaldò e
divenne cenere. Nemeria rimase a guardare in silenzio,
finché anche l'ultima scintilla non si spense.
Afferrò la pietra di luna, ma stringerla non la fece stare
meglio.
L'elementale aveva ragione, tutto quello che le aveva detto era giusto,
eppure non riusciva a non domandarsi perché la Madre avesse
deciso di risparmiarla. Se Etheram fosse stata ancora viva, avrebbe
sicuramente voluto che lei vivesse, ma il cuore e la mente di Nemeria
non riuscivano ad accettarlo. Etheram si sarebbe dovuta salvare, di
sicuro avrebbe saputo cosa fare, era una leader nata, forte, risoluta,
carismatica. Perfino Hediye si era dimostrata più
coraggiosa. Lei, con quel corpo fragile e la gamba azzoppata, si era
accollata Nemeria e Rakhsaan e li aveva portati fino al portale. Era
stata una delle cerusiche più abili del villaggio. Due donne
che avrebbero meritato una vita piena, ricca e felice, ma avevano
finito per sacrificare tutto per gli altri.
Nemeria non era come loro, importante o con un futuro brillante in
serbo per lei. Era solo una bambina, una delle tante, senza alcuna dote
particolare. Eppure era stata l'unica a scamparla. L'universo,
talvolta, sapeva essere ironico. Come se non bastasse, nella fuga era
riuscita a utilizzare miracolosamente il potere dell'elementale
dell'aria e, invece di tentare di contrastare i nemici e dare manforte
alle Jinian, si era teletrasportata via, come una codarda, lontano
dalle urla strazianti del suo popolo massacrato senza pietà.
Aveva abbandonato la sua famiglia, doveva essere punita. Forse avrebbe
dovuto permettere alla fame e alla sete di consumarla. Una morte lenta,
adatta ai pavidi come lei. Tuttavia l'istinto, lo stesso che la guidava
da quando era entrata in città, la rimise in piedi.
Non appena uscì dal vicolo, qualcosa scattò
dentro di lei: sapeva dove avrebbe trovato l'acqua, conosceva la
strada. Quella sensazione la scortò attraverso le vie,
conducendola su un sentiero che nemmeno lei riusciva a vedere, ma che
aveva la certezza fosse quello giusto. Nessuno sembrava far caso a lei
e Nemeria fece di tutto per non farsi notare, mantenendo il capo chino.
Quando possibile, aumentava il passo in modo da confondersi tra la
folla.
Si fermò a riposare in una stradina laterale, sotto un
balcone avvolto da boccioli bianchi e rossi. Poi si infilò
in un vicolo tagliando tra due palazzi e, infine, sbucò in
un largo, pieno di bancarelle, negozi e osterie. Doveva essere la via
principale, a giudicare dalla quantità di persone che vi
passeggiavano, ma a Nemeria poco importava. Si limitò a
seguire la marea, finché non giunse in una piazza dove una
grande scalinata, decorata con numerose terrazze e piccoli giardini
pensili, saliva fino a raggiungere la torre campanaria. Al centro della
piazza c'era un'enorme fontana di un marmo così bianco da
sembrare quasi evanescente sotto la luce abbacinante del sole. Una
statua di una sirena con i seni pudicamente coperti si ergeva su un
cocchio a forma di conchiglia, trainato da due cavalli alati. Ai lati,
sedute su due scogli e con i piedi immersi nella piscina, c'erano due
donne, entrambe vestite con un lungo peplo e una cornucopia, dalla
quale spuntavano tralicci d'uva matura.
Ogni volta che un passante passava lì vicino, gettava una
monetina nell'acqua. Nemeria si avvicinò a una delle piscine
laterali, quelle dove le cornucopie riversavano il loro flusso, e
cominciò a bere. Il sollievo sopraggiunse quasi subito e la
frescura portò via anche il sudore e la stanchezza che le
gravavano sulle palpebre.
- Se solo avessi una borraccia con me... - si disse, mentre si lavava
la faccia, - Però, adesso che so dove devo andare,
potrò tornare qui quando ne avrò bisogno. -
- Anche io parlo da sola, sai? -
Colei che aveva parlato era una Sha'ir. Aveva
la
testa per metà rasata e l'orecchio sinistro pieno di
pendagli, tutti collegati assieme da una catenina di bronzo ossidata,
che tintinnava al vento. Era poco più alta di lei, qualche
pollice appena, eppure negli occhi verdi Nemeria vi lesse una grande
maturità.
- Io non parlo da sola. - ribatté imbronciata.
- Non ti preoccupare, ti ripeto che lo faccio anch'io. In
realtà, capita un po' a tutti quelli che conosco, forse
dovrei smetterla di frequentare certe persone. - sbuffò una
risata e sorrise amichevole, - Sei nuova di qui? Non ti ho mai vista. -
Nemeria scandagliò la piazza per appurare che la Sha'ir non
fosse stata mandata a parlarle da qualche tizio losco appostato
nell'ombra. Sembrava non ci fosse nessuno di sospetto nelle vicinanze,
così si rilassò appena.
- Tu conosci tutti quelli che vivono a Kalaspirit? -
La Sha'ir fece spallucce: - Diciamo che so riconoscere uno che non
è di qui. Io sono Altea, gli amici mi chiamano Al. -
- E io come ti devo chiamare? -
- Dipende... comincia col dirmi qual è il tuo nome, poi
vediamo. -
Nemeria esitò. Avrebbe preferito mantenere
quell'informazione segreta, così come tutto ciò
che la riguardava, però dentro di sé sapeva di
non avere scelta. Se voleva sopravvivere a Kalaspirit, doveva fidarsi
di qualcuno.
“Quindi hai deciso di continuare a vivere dopo quello che hai
fatto? Codarda!” le sussurrò una vocina malevola
nella sua testa.
- Ehilà? Ci sei ancora? -
Altea le schioccò le dita davanti al viso per richiamarla.
Nemeria sbatté un paio di volte le palpebre e poi
scrollò le spalle per scacciare il gelido senso di disagio
che le serrava la gola.
- Mi... mi chiamo Nemeria. E sì, hai indovinato non... non
sono di qui. - rispose, sforzandosi di sorridere e di apparire calma.
- Dunque ci avevo preso. - ridacchiò soddisfatta Altea, -
Dalla faccia che hai mi sembri una che ha anche bisogno di aiuto. -
- Già. - si grattò nervosamente la nuca, - I miei
genitori mi hanno abbandonata un paio di giorni fa e... e non so come
fare. Non conosco la città, non so come dovrei muovermi o
dove trovare qualcosa da mangiare. -
Altea la squadrò dall'alto in basso e per un lungo minuto
non disse nulla. Nemeria sperava che la sua storia inventata sul
momento la convincesse, anche se la sua voce suonava fin troppo incerta
persino alle sue stesse orecchie.
- Hai problemi a condividere il letto con altre persone? - le
domandò Altea di punto in bianco.
- No, assolutamente. Spesso mio fratello si infilava nel mio letto
quando si scatenava un temporale e... -
Il ricordo del corpo tremante di Rakhsaan contro il proprio la colse
impreparata. Poteva ancora sentire il solletico dei riccioli del
bambino sul naso, la consistenza ruvida del suo pupazzo, il suo respiro
caldo che si mescolava al suo. Era ancora tutto vivido. Il cuore le
fece così male da spingerla a portarsi una mano al petto per
controllare che non ci fosse alcuna ferita.
Altea le rivolse un sorriso dolcissimo e le accarezzò la
testa, scompigliandole i capelli. Aveva il palmo calloso come quello di
un contadino.
- Allora seguimi, dobbiamo fare la spesa. -
La guidò in mezzo alla folla, passando rasente alle
bancarelle ai lati della strada. Molti mercanti, appena le videro,
intimarono loro di stare lontane dalla merce, ma Altea era molto
più veloce di quello che Nemeria si aspettasse.
Riuscì a rubare un paio di mele rosse, pere, cavoli e, prima
che il proprietario se ne accorgesse, sgraffignò anche dei
datteri, che infilò tranquillamente nelle tasche di Nemeria.
Tentò di portare via un vasetto di miele, ma non fu
abbastanza rapida e la proprietaria della bancarella, un donnone dalla
pancia pronunciata quasi quanto il suo seno, lanciò un
allarme che richiamò i soldati.
Si gettarono in una fuga rocambolesca, durante la quale Nemeria si
domandò a più riprese perché si fosse
fatta coinvolgere. I capelli si appiccicavano alla fronte sudata, il
cuore le galoppava impazzito nel petto e sembrava fermarsi ogni volta
che perdeva di vista la sua guida, ma Altea non era mai troppo lontana
e in qualche modo riusciva sempre a raggiungerla. Si fecero largo tra
la gente, sgusciarono sotto i carri e le portantine, zigzagarono tra i
vicoli, leste come lepri, finché alle loro spalle non
udirono solo il familiare chiacchiericcio del mercato.
Col fiato corto e le gambe che tremavano, si fermarono in una stradina
sdrucciolevole, bagnata dalle acque di scolo. Lì vicino
c'era una grata.
- Andremo nelle fogne...? - biascicò allibita Nemeria.
Altea si accostò alla grata e, dopo aver controllato che non
ci fosse nessun altro, si inginocchiò.
- Ci abbiamo vissuto per un po', ma poi Noriko ha scoperto l'esistenza
delle catacombe e ci siamo trasferiti lì. -
Nemeria rabbrividì. Arsalan le aveva parlato di quei posti e
aveva messo in guardia sia lei che Etheram: erano il regno di ladri,
ratti, fantasmi e scheletri. Se possibile, era meglio evitarli, anche
se lì sotto era più facile trovare qualcuno per
“affari di un certo tipo”.
- È una bella seccatura. - proseguì Altea, - Chi
le ha costruite ha fatto un ottimo lavoro, però è
davvero difficile ricordarsi dove conduce ogni galleria e dove sbuca
ogni grata. L'unica cosa che sappiamo è che si estendono
sotto tutta la città, ancora più in
profondità delle fogne, e che alcune sono stracolme di ossa
vecchie di secoli. Gli altri hanno paura a spingersi in alcune zone,
dicono che sono infestate dagli spiriti dei morti, ma io sono
più che sicura che a parte polvere non ci sia altro. -
sollevò la grata e le fece cenno di raggiungerla.
Nemeria si affacciò cauta e scorse una scala fatta di funi e
pioli di legno maltagliati che si perdeva nell'oscurità.
- Ti faccio strada io, non preoccuparti. -
- Non sono preoccupata. - mentì Nemeria, - Sbrighiamoci,
prima che arrivi qualcuno. -
- Sai che hai degli occhi bellissimi? - commentò ammirata
Altea, di punto in bianco, - Sembrano degli arcobaleni. -
Nemeria incassò la testa nelle spalle, imbarazzata, e non
seppe cosa rispondere. Altea ridacchiò e, dopo averle
scoccato un'occhiata significativa, cominciò a scendere.
Il silenzio immobile delle catacombe le accolse come un vecchio amico.
Non appena Nemeria risistemò la grata al suo posto, il suo
respiro e quello della compagna divenne l'unico suono udibile. Quando
Altea accese un fiammifero, l'oscurità parve animarsi. Un
ratto che stava banchettando con i resti di chissà che
animale corse via spaventato, mentre un ragno peloso e grosso quanto un
pugno si girò a guardarle con i suoi occhietti rossi dalla
ragnatela. Nemeria dovette mordersi le labbra per non urlare.
- Dai, andiamo! - la richiamò Altea, - Stammi vicino. Se ti
perdessi sarebbe un bel problema ritrovarti. -
Avanzarono affiancate, con la sola luce del fiammifero a illuminare i
loro passi. Talvolta, alcune lame di luce filtravano attraverso le
grate sul soffitto, ma per la maggior parte del tempo si affidarono a
quella fiammella incerta. Nemeria fu tentata più volte di
richiamare il potere dell'elementale del fuoco, ma la paura della
reazione di Altea la frenò. L'aveva appena conosciuta e non
sapeva niente di lei, non poteva fidarsi. Le Anziane le avevano
spiegato che tra i mortali erano pochi quelli che erano in grado di
utilizzare la magia e che, nei secoli passati, coloro che ci riuscivano
venivano cacciati e uccisi.
- Mi sembri pensierosa. Qualcosa ti turba? - chiese Altea, guardandola
in tralice.
- N-no. Ho solo paura del buio. -
Il che non era proprio una bugia.
La Sha'ir la scrutò per un momento, poi fece spallucce: -
Ecco, siamo arrivati. Adesso basta che giriamo a sinistra e poi saremo
al campo. -
- Al campo? -
- Sì, noi lo chiamiamo così. Anche
“casa” va bene, ma “campo” ha
qualcosa di emozionante, non trovi? -
- Ah, certo. -
Quando girarono l'angolo, Altea spinse una pietra che si trovava sulla
parete di un loculo. Con un leggero sibilo, questa si aprì
di lato, rivelando un'entrata di a malapena venti pollici. Al di
là, solo oscurità.
- Dobbiamo entrare lì dentro? - balbettò Nemeria.
Altea annuì e strisciò rapidamente all'interno.
Dopo una breve esitazione, l'altra la seguì, reprimendo il
senso di disgusto per il puzzo di ossa in decomposizione. Quando alla
fine scivolò fuori da quel cunicolo, la voce di Altea la
raggiunse, rimbalzando nel buio e sulle pareti trasudanti
umidità. Udì anche un basso mormorio, ma non
riuscì a distinguerne le parole.
- Vieni, sono qui! -
- Qui dove? -
Con un sospiro sconsolato, Nemeria si appoggiò alla parete e
procedette a tentoni, fino a quando la galleria girò e si
ritrovò in uno spazio più largo, popolato da
tende rattoppate sparse ovunque. Al centro crepitava un fuoco, attorno
al quale erano seduti cinque ragazzi che, non appena entrò
nel raggio di luce, si girarono a guardarla. Una era una bambina dai
capelli rossissimi e gli occhi a mandorla di un azzurro terso come il
cielo di una giornata estiva. Altea le sorrise, seduta su una sedia
assieme a un altro Sha'ir dal viso pulito e le spalle larghe da
contadino. Fu lui il primo a parlare.
- Lei chi sarebbe? -
- Era vicino alla Fontana dei Mari e mi è parsa in
difficoltà. Ho pensato che poteva essere una buona idea
portarla qui. - rispose Altea.
- E da quando tu pensi? E, soprattutto, da quando sei diventata il
capo? - la rimproverò il ragazzo, - Ti avevo già
detto che non puoi prendere nessuna decisione di tua iniziativa. Sono
io quello che comanda, non tu. -
La Sha'ir abbassò lo sguardo e la maggior parte dei ragazzi
si voltarono, facendo finta di niente. La tensione si poteva tagliare
con un coltello.
- Hai ragione, ma... -
- Non devi fare niente senza prima avermi consultato, Altea. -
sussurrò minaccioso e le afferrò un braccio,
piantandole le unghie nella pelle così forte da farle venire
le lacrime agli occhi, - Stai forse sfidando la mia
autorità? Devo ricordarti qual è il tuo posto? -
Nemeria strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche e fece un passo
verso di lui. La pietra di luna si surriscaldò e la rabbia
ribollì nelle vene.
La fiamma nel focolare divampò all'improvviso, illuminando
la stanza quasi a giorno, e un forte odore di bruciato si diffuse
nell'aria.
- Dariush, stai esagerando. -
La bambina con i capelli rossi si era alzata e fissava lo Sha'ir con
uno sguardo tagliente. Questi spinse via Altea e le si
avvicinò. Alle luce del fuoco, Nemeria notò che
gli tremavano le mani, chiuse in due pugni serrati fino a far emergere
tendini e vene sotto pelle.
- Ne vuoi anche tu, Noriko? - ringhiò.
- Provaci. - lo sfidò.
Rimasero in silenzio a fronteggiarsi, senza che nessun altro attorno a
loro osasse aprire bocca. Alla fine, Dariush rilasciò un
grugnito e le diede le spalle, scomparendo nella sua tenda. Solo allora
Altea e tutti i presenti sembrarono ricominciare a respirare.
Massaggiandosi il braccio, la ragazza si avvicinò a Nemeria.
- Scusalo, è solo un po' nervoso. - lo giustificò
con un sorriso tirato, - Beh? Dove vuoi dormire? -
Nemeria la fissò dall'alto in basso. Prima non ci aveva
fatto caso, ma adesso, alla luce del fuoco, vide alcuni lividi sbiaditi
su entrambi i polsi e poco sotto la mandibola.
- Mi va bene qualsiasi cosa. -
- La mia tenda è vuota. - si intromise Noriko, - Credo anche
ci sia una stuoia in più. -
Altea strabuzzò gli occhi, ma prima che potesse aprire bocca
lei si era già allontanata. Non appena tornò a
fissare la nuova arrivata, un sorriso entusiasta le si dipinse sul
volto.
- Ho qualcosa in faccia? - domandò Nemeria.
- No, è che sono sorpresa che Noriko ti abbia invitato a
stare da lei. Da quando si è unita al nostro gruppo, non ha
mai legato con nessuno. Tu sei la prima a cui rivolge spontaneamente la
parola. -
- Ah... è una buona cosa? -
- Buonissima. - cinguettò contenta, battendo le mani, - La
cena verrà servita tra qualche ora. Fino a quel momento,
cerca di ambientarti. Se hai domande, chiedi a Noriko. La sua tenda
è l'ultima sulla sinistra, rossa e bianca. Ah, dammi i
datteri che li sistemo nella dispensa. -
Nemeria si svuotò le tasche e poi, quasi a passo di marcia,
si avviò.
Noriko la attendeva all'interno, inginocchiata a sistemare la stuoia e
le sue poche cose, tra cui un pettine d'osso, abiti che avevano visto
tempi migliori e un fagotto avvolto in vari stracci. La veste a forma
di T, dalle linee dritte, stretta poco sotto la vita da una fusciacca
scolorita, aveva le maniche rovinate, come lo erano i pantaloni.
- Hai bisogno di una mano? - buttò lì Nemeria,
più per cortesia che altro.
Come previsto, la ragazza le rivolse un semplice cenno di diniego,
senza aggiungere altro. Nemeria si tormentò le mani, alla
ricerca di un argomento per portare avanti la conversazione, ma non le
veniva in mente nulla. In realtà, nemmeno lei aveva molta
voglia di parlare, tanto meno con una sconosciuta, però le
sembrava scortese non provarci nemmeno. Inoltre, era l'unico modo per
non pensare a Etheram, a Rakhsaan, a Hediye e al resto della sua
tribù.
- È da tanto che vivete qui? -
- Qualche mese, ormai. Il Ratto ha passato quasi un anno a esplorare le
gallerie e a tentare di mapparle, ma solo recentemente abbiamo trovato
il passaggio segreto che conduceva in questa sala. - rispose con voce
neutra.
- Il Ratto? -
- Il suo vero nome è Hirad, ma noi lo chiamiamo
così per la sua mania di infilarsi ovunque, proprio come un
topo. Fa parte del gruppo di quelli che sanno leggere, composto da lui
e altri due. -
Nemeria fece uno sforzo di memoria e riportò alla mente i
visi dei cinque ragazzi attorno al fuoco. Che fosse uno di loro?
- Chi altri ne è capace? -
- Oltre ad Hirad, c'è suo fratello Hami e io. -
A quella notizia, Nemeria strabuzzò gli occhi. Lei sapeva
leggere, scrivere e far di conto, nella sua tribù tutti
dovevano imparare, ma le Anziane le avevano sempre detto che tra i
mortali erano pochi coloro che potevano permettersi il lusso di
un'istruzione. Trovare tre ragazzi capaci di leggere le sembrava un
evento più unico che raro.
- Li conoscerai probabilmente stasera a cena, in ogni caso. - aggiunse
poi, - Anche loro non vedranno l'ora di parlarti, di solito si esaltano
sempre quando arriva qualcuno di nuovo. -
Nemeria assentì e rimase in silenzio, aspettando che Noriko
spostasse la lampada a mosaico sul palo orizzontale che sorreggeva la
tenda per prendere posto sulla sua stuoia. Era di paglia e iuta, niente
a che vedere con quelle che tessevano loro, ma era più che
comoda.
- Ti sei tinta i capelli? -
La domanda di Noriko la colse impreparata. Si prese una delle ciocche e
la portò davanti al viso, osservando le punte grigie, talune
quasi bianche.
- No, sono naturali. Cioè, li ho sempre avuti
così. - rispose, cercando di mantenere la voce ferma.
Noriko la scrutò con un'espressione indecifrabile. Nemeria
si innervosì sotto il peso del suo sguardo, che sembrava
penetrarle nell'anima.
- Anche i tuoi occhi sono strani. -
- Sei la seconda persona a farmelo notare oggi. -
- Immagino che la prima sia stata Altea. -
- Già. -
Noriko si distese sulla stuoia, intrecciando le dita dietro la nuca.
- Sei tutta strana, a cominciare dal nome. Si capisce che non sei di
qui. -
- Anche tu sei straniera, ce lo hai scritto in faccia. -
ribatté caustica Nemeria, - Gli occhi a mandorla e il naso
all'insù come i tuoi sono tipici delle popolazioni Tian
orientali. Mi verrebbe spontaneo chiederti che ci fai qui a Kalaspirit,
a mille miglia di distanza da casa tua. -
- Non sono affari tuoi. -
- Se non vuoi che ti si facciano domande su di te, evita di farne agli
altri. - la rimbeccò e si lasciò cadere sulla sua
stuoia, dandole le spalle.
Aveva i nervi a pezzi e continuare a sottolineare la sua
diversità non faceva altro che ricordarle ciò che
aveva perso. Si portò le gambe al petto e si
rannicchiò, come se bastasse quel gesto a fermare il dolore
e i sensi di colpa. Strinse nella mano la pietra di luna, emanava un
tepore rassicurante.
Fino a quando non le chiamarono per la cena, nessuna delle due
parlò. Nemeria si sedette ben lontana da Noriko per
mangiare. Non le piaceva il modo in cui la fissava e odiava i suoi
occhi, così simili a quelli di Etheram, che sembravano
capaci di leggerle dentro. E lei non voleva che qualcuno vedesse la
paura, la sofferenza, il dubbio che le stavano scavando un buco nel
cuore. A distoglierla dai pensieri cupi ci pensarono gli
altri ragazzi, che per quasi tutta la cena non fecero altro che porle
domande, alle quali Nemeria non sapeva rispondere se non con una bugia.
Conobbe Hami e Hirad, che le chiesero dove si trovasse la sua terra
d'origine, come fosse e come vivevano i suoi abitanti. Entrambi avevano
i capelli ricci neri e un paio di orecchie leggermente a punta, segno
della loro natura ibrida.
Le presentarono anche Afareen, Chalipa e Kimiya, i ragazzi che stavano
cucinando gli spiedini di ratto attorno al fuoco. Gli altri due erano
Mehrdad e Malakeh. All'inizio Nemeria aveva pensato fossero entrambi
maschi, ma Altea le rivelò che i due gemelli erano un
maschio e una femmina e che alla nascita erano uniti per la spalla.
Secondo il capo del loro villaggio erano stati maledetti dagli dei, per
questo i loro genitori li avevano abbandonati.
Dariush si tenne in disparte, lanciandole solo di tanto in tanto delle
occhiate che Nemeria ignorava. Lui era quello che le piaceva di meno.
Le faceva venire i brividi il modo in cui fissava Altea, come un
predatore.
Quando finirono di mangiare, ognuno si diresse verso la propria tenda,
compresa Nemeria, ma a differenza di Noriko non si
addormentò subito. Rimase a guardare il riflesso dorato del
fuoco sul telo rosso, la mente intrappolata laggiù, nel suo
villaggio. Aveva l'impressione di sentire ancora lo sguardo del predone
sulla schiena mentre la inseguiva senza sosta, non perdendola mai di
vista. Era lei che voleva, era lei il suo obiettivo.
Affondò il viso tra le mani e trasse un profondo respiro. Le
mancava l'aria.
Si mise in piedi, uscì dalla tenda e si sedette vicino al
fuoco. Contemplò assorta la fiamme che scoppiettavano sui
ceppi accesi e il fumo che saliva fino a svanire nei buchi sul
soffitto. La loro danza le trasmetteva un senso di quiete, era come se
assieme al legno bruciassero anche le sue lacrime, il suo dolore, tutto
quanto.
A un tratto, con la coda dell'occhio colse un movimento
nell'imboccatura del tunnel, quello che conduceva all'entrata segreta.
Lentamente si alzò e camminò cercando di non fare
rumore. Appena fu abbastanza vicina, vide Dariush e Altea, lei stesa a
terra che si teneva la guancia e lui che la guardava dall'alto, con una
luce fredda e minacciosa negli occhi. Dariush la tirò in
piedi senza troppi complimenti e le mormorò qualcosa
all'orecchio sorridendo, qualcosa che allarmò la Sha'ir. La
ragazza si dibatté con ben poca convinzione, ma non
tentò di liberarsi quando lui premette la bocca contro la
sua. Dariush la voltò con uno strattone, le
abbassò i pantaloni con gesti bruschi e la bloccò
al muro. Altea non protestò quando l'altro entrò
dentro di lei con forza.
Nemeria assisté senza sapere che fare, con lo stomaco
ingarbugliato e i pugni stretti lungo i fianchi. Poi scorse il viso di
Altea contrarsi in una smorfia di dolore, e in quel momento qualcosa
scattò dentro di lei. Il fuoco alle sue spalle si
ingrossò e le fiamme si levarono alte, furiose.
Stava per farsi avanti, ma una presa sul braccio la fermò.
- No. - sussurrò Noriko.
Nemeria si girò per fronteggiarla. Il sangue le pulsava
nelle tempie, era lava incandescente nelle vene.
- Non possiamo, non ancora. Lo so che ti fa rabbia, ma intervenire ora
sarebbe controproducente. - disse tirandola indietro, al riparo
nell'ombra.
- Perché? - ringhiò.
- Perché la terra soffoca il fuoco e l'aria e
perché Dariush è l'unico che può
aprirci una vita d'uscita se le guardie vengono a cercarci. -
Nemeria la fissò attonita. Mentre Noriko la trascinava nella
tenda, si sentì perduta, perché era stata
scoperta. I Dominatori, così i mortali chiamavano coloro che
erano in grado di usare la magia, avevano solo due destini: o erano
abbastanza potenti da divenire maghi, oppure venivano venduti ai
mercanti di schiavi per morire nelle arene. Se Noriko avesse rivelato
il suo segreto, la sua sorte sarebbe stata l'arena.
- Non ti preoccupare, non lo dirò a nessuno. - la
rassicurò Noriko, - Tu però devi stare attenta e
tenere sotto controllo le tue emozioni. Se Dariush scoprisse cosa sei,
tenterebbe di ucciderti o alla peggio ti consegnerebbe alla guardie. -
- E tu? Cosa mi garantisce che non glielo dirai? -
Un sorriso gelido si allargò sulle labbra di Noriko. Una
brezza proveniente da chissà dove si alzò,
accarezzando le spalle di Nemeria.
- Io odio quel verme, non farei niente che possa tornare a suo
vantaggio. Mai. - contrasse la mascella, abbassò lo sguardo
sulla sua mano e la chiuse a pugno, - Ora andiamo a dormire. -
Noriko si voltò dall'altra parte e si sistemò la
coperta fino al collo. Nemeria stette a fissarla per un po', poi si
distese sulla sua stuoia e si raggomitolò. Nel suo sonno
abitato da incubi le parve di sentire una mano intrecciarsi alla
propria, trasmettendole un calore nostalgico.