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Autore: Anonimadelirante    04/03/2017    2 recensioni
“La verità è che non c'è nulla che Godric potrebbe nascondergli, anche se mai lo volesse, e Priscilla ama che si sappia quello che pensa. Tosca cammina in punta di piedi e pensa e vive così. È un mistero da svelare, passo per passo, sfiorandole le mani.”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: I fondatori, Salazar Serpeverde, Serpeverde, Tassorosso, Tosca Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Pairing/Personaggi: Tosca/Salazar, un, e dico UN – vaghissimo – accenno a Godric/Priscilla, Godric&Salazar (circa)
Warnings: anno del Signore 1000, circa, Inghilterra; vaghe tracce di OT4; plot? What plot? (ma senza p0rn, temo, ‘m sorry).
Disclaimer: ovviamente no: non sono la Rowling sotto copertura ma magari
— Siccome quest'anno gli elfi di Babbo Natale si sono ribellati al vecchiaccio che li sottopagava (scherzo, Babbo, ti voglio bene <3), questa OS avrebbe dovuto partecipare a Questo contest lo costruite voi @99 ed essere sotto l'albero di EuriDike, però io sono lenta, ritardataria, procrastinatrice e persino (turna: e siamo a tre solo quest'anno) (edit del 4 marzo: quattro) influenzata, per cui niente: solo, tanti auguri!
EDIT: alla fine, dopotutto – ha partecipato al contest ‘E'nell'aria profumo d'autunno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp classificandosi quinta.
N/A:  solo una piccola precisazione sui nomi: sono un po' a casaccio, scusate – non c'è un criterio preciso, Corvonero è Priscilla per via del fatto che la prima volta che ho avuto a che fare con HP si parlava di Pecoranera e Tosca non è Helga per mantenere il ‘T.T.’ delle iniziali, molto caruccio, se volete la mia. E grazie al cielo di Godric e Salazar non esistono varianti, ché loro due bastano e avanzano. Per il resto: in fondo, as usual.

 

 

 

 

Il vento d'autunno

 

 

I pensieri di Godric sono violente stilettate, affondi di scherma, scoppi luminosi nella sua testa. Le deduzioni di Priscilla sono acqua che scivola, il perpetuo borbottio di un ruscello di campagna. Tosca è frusciare di foglie in autunno.
Ci sono volte in cui Godric è troppo: troppo invadente, troppo rumoroso, troppo troppo troppo; ci sono delle volte in cui Priscilla e le sue cascate d'informazioni lo colpiscono in viso come neve ghiacciata. Ci sono volte in cui semplicemente non ha voglia di fingere di non sentire, quando Priscilla gli passa accanto, volte in cui guardare male Godric non basta e l'amico lo stuzzica senza pietà.
Quelle volte, Salazar scivola lungo i corridoi illuminati di Hogwarts e si rifugia lì dove nessuno che non legga nel pensiero andrebbe a cercarlo. Tosca gli sorride, da dietro le fronde delle sue piante, un sorriso di miele.

 

Per un po' si chiede come faccia ad essere così gentile nei confronti degli altri, pur sapendo cosa pensano di lei (Tosca non è stupida, non può non capire). Se lo chiede, ma non glielo chiede: «Leggere nelle menti altrui è scortese, Salazar» risponde lei comunque. Lui alza un sopracciglio e Tosca ride appena, scuotendo la testa. Tosca ha le mani svelte e ruvide di chi ha vissuto a lungo senza usare la magia. Spesso sono sporche di terra, altrettante volte di farina. «Potreste fare tutto con la bacchetta» le fa notare una volta, senza saccenza, né domande impresse nel tono. Tosca, solo, si stringe nelle spalle e non è aggraziata come Priscilla, non sa ballare come sapeva ballare quella che sarebbe stata la sua sposa se fosse rimasto al castello di suo padre, ma ha le guance tonde e rosse come mele.
La verità è che si avvicinano per un solo motivo: Tosca è brava nell'occlumanzia almeno quanto Salazar ha un talento naturale per la legimanzia.
Priscilla ha smesso di chiudergli la via ai propri pensieri esattamente cinque giorni dopo che si sono incontrati: «Fatica sprecata» gli ha detto. «Ciò che non sentite da me lo sentirete da Godric.»
Allora c'era una patina di estraneità, fra loro – al trio zoppicante Tosca si sarebbe aggiunta solo qualche mese più tardi.
Godric aveva riso, ancora tempo prima, solo loro due e i loro destrieri, quand'erano ragazzi con un'amicizia un po' scomoda e molti sogni nel cassetto – gli aveva urlato in un orecchio, più forte dello scalpiccio degli zoccoli dei cavalli, più forte del vento che fischiava, più forte dell'adrenalina che pompava nelle vene: «Non ho nulla da nascondere. Tanto meno a voi, amico mio.»
La verità è che Godric non ha segreti e Priscilla scopre le sue carte con la soddisfazione propria dei geni: brama un pubblico e Salazar è un pubblico perfetto – attento ed esigente, stimolante per una mente precisa come la sua.
La verità è che non c'è nulla che Godric potrebbe nascondergli, anche se mai lo volesse, e Priscilla ama che si sappia quello che pensa. Tosca cammina in punta di piedi e pensa e vive così. È un mistero da svelare, passo per passo, sfiorandole le mani.

 

 

S'incontrano d'autunno e non potrebbe esserci momento più appropriato: Salazar non crede nell'amore, nelle anime che si cercano ed appartengono, ma crede nel destino – sa, semplicemente lo sa, prima ancora di presentarsi, se lo sente scorrere sulla schiena come un brivido di sicura intuizione, che tutto l'universo ha cospirato perché accadesse. Così. Quel giorno. Con la nebbia e il vento che soffia leggero e un odore, nell'aria, come un sentore lontano di pioggia.
«Siete Tosca» dice – e non è una domanda perché Salazar non chiede mai conferme, semplicemente avvisa che è al corrente di qualcosa (Priscilla ne è divertita, Godric esasperato – se anche volesse non essere com'è, lui non saprebbe da che parte cominciare per cambiare).
«Vi siete perso?» gli domanda lei, senza tradire stupore, né curiosità, solo con la gentilezza pacata di chi vede arrivare e venire pellegrini d'ogni tipo, elemosinare una pozione, un incantesimo o una pagnotta e poi andarsene di nuovo.
«Vi stavo cercando» risponde Salazar.
(Dirà, più avanti, Godric, prendendolo in giro senza malizia, ch'era una frase molto d'effetto. Priscilla alzerà gli occhi al cielo.) Tosca: «Oh» commenta soltanto «d'accordo.»
S'incontrano d'autunno e non potrebbe esserci momento più appropriato, stagione più adeguata: Tosca ha, nello sguardo, l'infinita dolcezza di chi comprende il mondo e lo ama così com'è, più per i suoi difetti che per i suoi pregi. Ha le guance rosse come mele mature, un sorriso che ricorda il miele, i capelli di un ippocastano negli ultimi mesi prima dell'inverno: lo guarda e non gli chiede di essere diverso da com'è, meno brusco e meno scostante. Ripete: «D'accordo» e poi «Gradite del tè?»

 

 

Non è difficile da trovare, e forse è per questo che Salazar non la cerca, ma la incontra sempre: quand'è nelle cucine gli fa scivolare un piatto davanti e lo invita ad assaggiare qualche buffo esperimento culinario; quando s'incrociano nelle serre gli mette in mano un paio di cesoie e spiega: «Le piante sono vive, ascoltatele e loro ascolteranno voi.»
E poi, in silenzio, lascia che sia Salazar a parlarle – non le piante. (Le racconta dei suoi progetti e delle sue idee, ma crede che traspaiano più le incertezze e le inquietudini che lo costringono fuori dal letto la mattina prestissimo, quando il sole non è ancora alzato. Stranamente, si scopre a pensare, non gli importa: Tosca sa, eppure cura, Tosca sorride e inclina la testa. Non preoccupatevi, sembra dire. Non abbiate paura di essere umano).
Salazar e le piante – le mandragole e le nepenthes, in particolare – non vanno molto d'accordo, ma si lascia scivolare le forbici fra le dita e ascolta Tosca canticchiare piano, accompagnata dal sibilo insistente del vento d'autunno.
Salazar e le piante non parlano né si ascoltano, ma Tosca sorride e c'è posto anche per lui, nella serra delle scuola.

 

Passeggiano senza fretta ai lati della Foresta, quando: «I figli degli Extranis portano scompiglio. Per loro è tutto nuovo, un gioco, non si può fare lezione, né tanto meno essere certi che terranno la bocca chiusa nei loro villaggi», le spiega. «Dei figli dei Maghi possiamo fidarci: hanno alle spalle adulti capaci di contenere la loro... innocenza», sottolinea la parola ‘innocenza’ come se fosse un insulto e sa che Tosca ha capito cosa intende: non possono permettersi una fuga d'informazioni, non con così tanti piccoli stregoni in un solo luogo e ancora così pochi incantesimi di protezione.
Tosca non è d'accordo affatto – Tosca si fida di tutti, soprattutto di chi ha debolezze – lo sa dalle rughe che le increspano la fronte, dall'ombra impensierita degli occhi. Eppure non si stizzisce come Priscilla, non s'indigna come Godric. Dice: «Non credo sia così semplice. Non sarebbe giusto impedire a dei valenti maghi di ricevere l'educazione che meritano.»
Pacata, ma risoluta, come in una partita a scacchi – con semplicità. E per un istante persino Salazar si convince che troveranno un modo meno crudele.

(Non è così.
Tosca è buona e saggissima, ma si affida troppo al buon cuore altrui: Salazar, al contrario, sa che chi è debole, chi è ferito, attacca solo per uccidere. Sa che non è bene fidarsi del destino, sa che bisogna provare a combattere anche l'inevitabile: è ciò che più di tutto l'ha portato a credere in Godric e nel loro progetto, in tempi passati.
Sa, anche, che la miglior difesa è l'attacco.
È autunno e i serpenti cercano posti tranquilli dove rintanarsi per la stagione più fredda. Le foglie già cadute scricchiolano sotto le scarpe di entrambi, senza grazia, ma con una certa musicalità.
Tosca gli sfiora un braccio: «Smettete di preoccuparvi.»
Salazar vorrebbe poterlo fare.)

 

 

Nell'eterno alternarsi di opposti – caldo e freddo, luce e tenebre, buono e marcio – Salazar ha sempre visto una cadenza perfetta, una giustizia ineccepibile e a volte, certo, anche terribile; un lento scivolare di ruota: ciò che è passato un giorno tornerà. È un movimento di una brillantezza inequivocabile, di una certezza ferrea e rassicurante. Così, per un gioco beffardo della vita o per un Volere che non condivide, ma che non può scontentare – non per coincidenza, comunque – il giorno in cui se ne va è un mattino d'autunno (la prima volta che si sono incontrati, la prima volta che hanno scoperto di avere entrambi il sonno leggero, infinite passeggiate nel parco ben curato) e come da copione soffia un vento gonfio di malinconici avvertimenti.
Tosca impasta una torta e lo saluta col solito gentile cenno del capo. Poi alza gli occhi, lo guarda, e capisce. Godric urlerebbe (l'ha fatto, solo poche ore prima), Priscilla sputerebbe sprezzante intuizioni d'una certezza dolorosa. Tosca dice: «Aspettate» e prima che lui possa ribattere che no, che... che cosa? Che è andato lì solo per salutarla? Così sentimentale, Salazar, andiamo – prima che possa aprir bocca, si passa una mano fra i capelli lasciandovi una striscia di farina bianca e gli sorride pianissimo, come un segreto: «Ho preparato del pudding. È ancora caldo.»

 

Salazar si lascia cadere su uno sgabello, mentre Tosca fa scivolare vicino una ciotola, ma non si slaccia il mantello. Lei non commenta, sorride, ma lo guarda, lo guarda e continua a fissarlo, e ha gli occhi tristi profondi infiniti bellissimi – ha gli occhi che sono meglio di specchi: sono la certezza assoluta che lei sapesse come sarebbe andata a finire molto prima di lui stesso.
Salazar abbassa lo sguardo, lecca piano il cucchiaio. Sa che se provasse a intercettare quello della donna che gli sta di fronte non riuscirebbe a finire il suo pudding, né a partire.
Sa che, se alzasse il capo, la sorprenderebbe implacabile nel suo perdono muto – e infatti è lì, le mani sporche di impasto, immobile, come trafitta a morte dall'evidenza: inclina il capo, come fa sempre quando cerca di spiegare qualcosa da un'altra prospettiva, ma poi, cosa mai accaduta prima, arriccia le labbra con amarezza e scuote la testa. Salazar si trattiene dallo stringersi nelle spalle e si conficca le unghie nei pugni (e non si alza, non allunga un braccio verso di lei, non fa scontrare la sua bocca con la propria, non le dice— ma vorrebbe): «È buono come sempre. Forse persino più buono. Il vostro pudding» mormora fra i denti.
«Ma non basta» risponde Tosca, senza accennare a smettere di sorridere.

 

 

(Più avanti, quando un autunno ben diverso sarà scivolato sulle ossa di Salazar, guardandosi indietro, non vedrà che questo: Tosca che sorride stanca e triste e malinconica di occasioni perdute prima ancora di presentarsi. E il vento, a tratti, gli parrà una canzone lontana, scandita dal ritmo cigolante di cesoie arrugginite o dall'ipnosi delle mani rovinate di lei che affondano nell'impasto morbido di una torta mai assaggiata.
Per allora, il ricordo avrà reso brace il fuoco dell'ira di Godric e ammorbidito la linea rigida delle spalle di Priscilla, ma nulla potrà contro quella sorta di ostinata velleità di tregua che lo sguardo di Tosca gli è sempre parso recare.
La penserà così, come la prima e l'ultima volta che l'ha vista, con le labbra sottili e le guance rosse e nessuna ruga: eppure, con i capelli sempre più chiari, sempre più invasi dalla farina del tempo.)

 

 

Non si alza, non la fa voltare verso di lui, non preme le proprie labbra sulle sue, non le dice—

«Ma non basta» dice Tosca e sorride, sorride, sorride come gli ha sempre sorriso.
(Non sentire cosa stia pensando non gli è mai pesato tanto – ma Tosca è un disegno indecifrabile, ora più che mai.)
«Mi dispiace.»
Si alza e fa per andarsene, andarsene e non tornare e non guardarsi indietro mai più, ma è lei a stringere le dita attorno al suo mantello e per un istante il tempo singhiozza una sincope di battiti frenetici – per un istante, uno solo, forse potrebbe baciarla e dimenticare della scuola che l'idiozia di Godric, la superbia di Priscilla e la bontà di Tosca stanno per distruggere – ma poi è sempre lei ad allontanarsi per mettergli in mano un cesto con pagnotte fresche e mele e noci.

Non lo dicono, ma è un addio.

—non le dice: Mi dispiace. Davvero. Vi amo. Scappate con me. Ricordatemi. Esistete. Per sempre. Per favore. Perdonatemi.

 

 

 

 

Cantuccio del-Delì(rio): devo essere sincera, l'icipit di questa storia è molto influenzata da Animali fantastici e dove trovarli – o meglio: credo che il fatto che la legimanzia di Salazar appaia come, uh, punto d'incontro fra le due patate lassù sia perché ho amato tantissimo Queenie ed il suo personaggio. Comunque, assolutamente NO SPOILER, ovviamente. Sia per motivi logistici che non.

— La scelta dei nomi, come ho già detto è dettata più dal sentimentalismo che dalla logica. Avrei amato molto riuscire a mantenere H.H, G.G., S.S. e R.R. del canone, ma poi l'infanzia ha avuto la meglio e alla fine ho tradotto Cosetta-Rowena-Corinna in Priscilla perché sì, fondamentalmente. Perché mi sembra che sia il nome più adeguato al carattere con cui la immagino. Quanto a Tosca, Helga, scusate eh, ma Tosca Tassorosso suona molto meglio di Helga Tassorosso e altrimenti avrei dovuto traslare nuovamente tutti i cognomi in inglese, cosa che non mi piace, perché i nomi di Harry Potter sono nomi parlanti e le traduzioni, seppur assurde, esistono per un motivo e-- no, okay, stop: discorso troppo complesso. Tosca e Priscilla sono così perché sono della vecchia guardia (anche se non appartengo, purtroppo alla generazione 0) e nel primo libro di HP che ho letto erano così.

Poi. Volevo, inizialmente, evitare il discorso Babbani, Nati Babbani, Salazar gravemente razzista, perché, fondamentalmente, qui doveva starci molto fluff e un po' d'angst – o il contrario, non ricordo –, ma quando mai io faccio quello che mi riprometto? Ecco. E poi, come potevo non parlare de, tipo, l'unica cosa che sappiamo per certo su Salazar? Così me la sono cavata con poco. Anche un po' semplicisticamente, forse. Credo, però, che almeno inizialmente gli intenti di Salazar non fossero cattivi – credo, o voglio credere, che desiderasse proteggere la scuola ed i suoi amici, prima di tutto e che poi, vuoi per il conflitto con Godric, vuoi per un qualche evento, le cose siano un tantino degenerate (un basilisco, uN BASILISCO, SALAZAR, SUL SERIO?! Ma che ca-).

Gli Extranis sono, molto banalmente, i Babbani. La lingua cambia e dal Medioevo agli anni in cui è ambientato il canon di HP di certo alcuni termini sono mutati: ho pensato che un tempo i No-Mag fossero identificati come estranei alla società magica, quindi extraneus, a um, ma tutti sanno che il latino della Rowing è maccheronico, per cui >>> Extranis.

— Le nepenthes sono queste piante carnivore♥.

Per l'angolino citazionistico: quotes di A study in pink facilmente riconoscibile perché io Priscilla me la immagino genius and akward in maniera molto simile al piccoloHolmes della BBC (ma, in realtà, dotata di quell'empatia tipicamente femminile – o quanto meno dovrebbe esserlo. Sulla 4S della suddetta serie ho troppe cose da dire, per cui sto zitta). Per il resto, probabilmente sono stata influenzata dalle solite cose, tipo la Gnone o la Murgia o Zafòn o Byron – nulla di intenzionale, però, insomma.

— In ultimo, scusaEuriDike: un po' per il poco tempismo della calza di Natale (ma alla fine è arrivata, visto? XD), un po' perché ho interpretato il prompt davvero alla lontana, ma ero finita in un terribile pantano blocco della psudo-non-scrittrice e non sapevo proprio come tirarmene fuori. Btw, spero che ti faccia piacere lo stesso.

— Mi fa un po’ strano rileggere questa OS dopo mesi e presentarla ad un concorso: è breve, è… piccola, non so, le voglio bene come ad un germoglio non ancora sbocciato (sì, mi sento vagamente e melensamente materna, in questo momento) – e proprio per questo, forse, mi sento così stranamente insicura (non perché di solito non lo sia, solo… in maniera diversa, ecco tutto) nel buttarla in pasto ad un contest, ma appena ho letto il bando ho pensato ‘eccallalà’ e infondo è nata proprio per un contest, no?, anche se per un altro… mi sembra giusto così. E- niente. Ho già scritto tutto a tempo debito, ho solo pensato di cogliere l’occasione al balzo per sproloquiare ancora un po’… per poi accorgermi che non ho altro da dire. Rinnovo la mia speranza che il tutto si dimostri una piacevole lettura :)
  
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