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Autore: crazy lion    04/03/2017    6 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Even with broken wings
even with shattered dreams
I will gonna try
I will gonna fly.
Even with broken wings
I can do everything
I found a strength I never knew I had in me
with these broken wings.
(Anastacia, Broken Wings)
 
 
 
You shouldn't be fighting on your own
 
And if you feel you're sinking,
I will jump right over into cold, cold water for you
And although time may take us into different places
I will still be patient with you
And I hope you know
 
I won't let go (I won't let go, no, no, no, no, no, no)
(Major Lazer feat. Justin Bieber, Cold Water)
 
 
 
When you're falling, you're crashing
When your fire has turned to ashes
When you're screaming, your heart is bleeding
When you're feeling like there's no reason
I won't let you go
No I, I won't let you go
 
'Cause when you're all alone and it's cold and there's no one to hold
When you're feeling lost, and there's nowhere, there's nowhere to go
When you're feeling sad, don't forget you can reach for my hand
When you're feeling down just remember I won't let you go
I won't let you go (I won't let you go)
I won't let you go
I won't let you go (I won't let you go)
(Avril Lavigne, I Won't Let You Go)
 
 
 
 
 
 
73. FATTI AIUTARE
 
Andrew stava dormendo. Il suo sonno era agitato, sudava  e aveva il respiro affannoso. L'uomo, però, pareva proprio non accorgersene, dato che stava sognando.
Si trovava nel giardino della sua casa. Era una splendida giornata primaverile. Il sole era alto nel cielo e non c'era nemmeno una nuvola.
"Wow!" esclamò Andrew, stupito e allo stesso tempo meravigliato dalla bellezza di quella giornata.
Gli pareva infatti strano trovarsi in quella casa dopo tanti anni. Bellissimi ricordi e un forte dolore si mischiavano nel suo cuore e nella sua mente, provocandogli una sensazione stranissima: male fisico e una sorta di benessere al contempo.
Fu allora che accadde qualcosa di insolito. Per un momento provò la sensazione di guardarsi dall'esterno e fu allora che notò che era molto più giovane che nella realtà.
In quel sogno avrà avuto più o meno 14 anni. Non ebbe però il tempo di interrogarsi sul perché avesse quell'età - ci sarà stato sicuramente un motivo valido, la mente non fa sognare cose a caso -, perché sentì due vocine dietro di lui che lo chiamavano.
"Andrew! Andrew!"
Si girò e vide che, sull'erba, proprio dietro di lui, c'erano due bambine. Avranno avuto più o meno otto anni. Le riconobbe immediatamente e sorrise: erano Carlie e Demi. Si tenevano la mano e il contrasto tra i capelli biondi dell'una e quelli castani dell'altra lo colpì, ma non seppe spiegarsi il perché.
"Andrew, giochi con noi?" gli chiese la sorellina, con la sua voce squillante ma che, al contempo, trasmetteva una sensazione di tranquillità e tenerezza.
"Sì, giochi? Giochi?" gli domandò Demi.
"Siete molto allegre, oggi, o mi sbaglio?"
"Sì!" esclamarono insieme, poi fu Carlie a spiegare: "Non ci vedevamo da tanti giorni e io sono felice che Demi ci sia venuta a trovare oggi pomeriggio."
L'altra bimba sorrise, come per far capire che lo era anche lei.
"A me fa piacere avervi tutte e due qui" disse Andrew, circondando con un braccio, con fare protettivo, le spalle di entrambe. "Siete la cosa più importante, per me."
Lo credeva davvero. Lo disse con la più assoluta sincerità.
"Cosa vuol dire?" domandò Demi. guardandolo con i suoi occhi curiosi.
"Significa che vi voglio bene, piccole pesti!" esclamò, scompigliando ad entrambe i capelli.
Demi rise, mentre Carlie si lamentò sbottando:
"Pesti a chi? Guarda che se lo dici ancora racconto tutto alla mamma!"
"Scherzavo, pulce."
"Andrew?"
"Dimmi, Demi."
"Perché chiami sempre così Carlie e a me non dai mai un nomignolo?"
"In effetti hai ragione, dovrei trovartene uno" convenne il ragazzo e cominciò a pensare. Dopo qualche secondo le chiese: "Se ti chiamassi cucciola, ti andrebbe bene?"
"Sì, è bellissimo!" esclamò la bambina, mentre un sorriso stupendo le illuminava il
viso.
Andrew riaprì gli occhi. Gli ci volle qualche secondo per capire che si trovava in ospedale e non nel giardino dei suoi genitori. Aveva sognato uno dei momenti più belli vissuti con Demi e la sorella, ma farlo non lo tranquillizzò, non lo fece stare meglio, anzi. Accadde l'esatto contrario: cominciò ad agitarsi, a sudare, a  piangere disperatamente. Quando una persona viene a mancare, i ricordi, per quanto meravigliosi siano, portano con sé molto dolore.
"Ho comunque Demi. Lei è la mia fidanzata, la donna che amo" disse, nel tentativo di calmarsi.
Purtroppo non ci riuscì.
 
 
 
Posso venire anch'io a trovare Andrew, mamma?
Hope, Mackenzie e Demi erano sedute in cucina a fare colazione. La ragazza stava dando il latte e i biscotti a Hope, la quale cercava di prendere il cucchiaio da sola, ma ancora non ci riusciva.
"Forse è meglio che aspetti che lui torni a casa, tesoro" le suggerì la mamma.
Non voleva portare Mackenzie in ospedale, soprattutto con Andrew in quelle condizioni. Stava meglio, era vero. Il giorno prima aveva parlato e anche per qualche minuto, non balbettando quasi mai. Le cicatrici stavano guarendo bene, ma il braccio sul quale lui aveva reciso l'arteria era stato, oltreché ricucito, anche fasciato strettamente, in modo che Andrew lo tenesse immobile per un po', fino a che non fosse guarito. Inoltre ora che sarebbe stato trasferito in psichiatria, forse non avrebbe proprio potuto portarci la bambina. Non era sua figlia, lui non l'aveva adottata ed era sicura che, quindi, i medici non l'avrebbero fatta entrare in un reparto del genere.
"No, tesoro; mi dispiace, ma non sta ancora bene e non me la sento di farti andare da lui" le disse, con dolcezza.
La bambina la guardò un po' delusa.
"Ehi, tornerà a casa tra un po' di giorni, te lo prometto!" esclamò la ragazza, rendendosi subito conto che aveva appena fatto una promessa che non era sicura di poter mantenere, anche perché non dipendeva da lei.
Ma è in ospedale da tantissimo tempo, si lamentò Mackenzie.
La mamma non poteva darle torto. Andrew si trovava lì da uno degli ultimi giorni di maggio e ora mancavano poco meno di due settimane all'inizio di luglio.
"Lo so, Mac, ma come ti ho spiegato è stato molto male. Vedrai che guarirà prestissimo!"
Demi giocò un po' con le bambine e le fece bene, perché questo la aiutò a distrarsi. Ormai Hope sapeva camminare bene e correva a volte, così fecero a gara a chi andava più veloce e poi Demi giocò con loro a prenderle, mentre le piccole si nascondevano e ridevano come pazze. Fu bellissimo, si divertirono un mondo.
Dianna arrivò verso le 8:00 e con lei c'era anche Eddie.
"Mamma, Eddie!" esclamò Demi aprendo loro la porta.
Guardandoli, vide che erano strani. Sembravano preoccupati.
"Demi, dovresti andare in ospedale" disse Dianna con un filo di voce. "Siamo stati a trovare Andrew. Non ha più la flebo. Poco prima da lui era venuta una neurologa che gli aveva fatto dei test: gli aveva detto di muovere le braccia, di alzarle, di ripetere delle parole ed era andato tutto benissimo, il che significa che il trauma cranico non è più un problema. Insomma, lui stava parlando tranquillamente con noi, ma ad un certo punto ha iniziato a stare male."
"Ieri mi sembrava che stesse meglio" disse la ragazza.
Forse la madre si sbagliava. Era sempre stata molto apprensiva, più di Demi ed era facilmente impressionabile. Magari l'aveva visto pallido e si era spaventata, ma uno sguardo di Eddie le fece capire che c'era qualcosa che non andava.
"Vai subito, Demi. Gli è risalita la febbre e aveva le convulsioni quando ce ne siamo andati. Corri" disse l'uomo, in tono grave, entrando in casa.
Demi salutò velocemente le bambine , uscì, salì in macchina e si precipitò in ospedale. Arrivata davanti alla stanza di Andrew, un medico la fermò.
"Non può entrare. Sta troppo male" le disse, serio.
"Io devo entrare! Ho bisogno di vederlo, la prego!" lo supplicò, ma lui le fece capire che non era possibile.
"Me ne frego del fatto che non è possibile!" urlò, dando una spallata al dottore, che barcollò e si scostò. Demi entrò, rendendosi poi conto di ciò che aveva fatto. Non era mai stata una persona violenta e si vergognò da morire. Si sentì un'idiota. Come aveva potuto comportarsi in quel modo e perdere talmente tanto il controllo? Quel medico avrebbe potuto chiamare la polizia o andare a denunciarla anche se, a pensarci bene, lei l'aveva solo spinto, non aggredito, quindi forse stava esagerando. Beh, qualsiasi cosa sarebbe successa, ci avrebbe pensato più tardi.
Demi non era per niente preparata a ciò che vide. Andrew era disteso sul letto, tremava come una foglia, urlava come se stesse morendo di dolore e spesso si dimenava in modo strano, a scatti. Dalla sua bocca usciva una schiuma densa e bianca.
"Ora ha una crisi epilettica" disse una dottoressa, correndo fuori, senza nemmeno accorgersi di lei.
Demi non sapeva cosa fare, così decise di restare immobile. C'erano anche due dottori, uno dei quali era il dottor Thompson, che cercavano di tenere Andrew in modo che i suoi spasmi non lo facessero cadere a terra.
"Vedo una lu-luce strana davanti agli oc-occhi, come se stessi sognando" riuscì a dire l'uomo, a fatica.
"Quella è un'altra piccola crisi, signore. Il suo cervello manda questi segnali, ma ora la calmeremo."
La dottoressa tornò, trafelata, dopo qualche secondo e cercò, con l'aiuto di uno degli altri medici, di far ingoiare ad Andrew una pastiglia.
"Faccia attenzione alla posizione della lingua di Andrew, dottor Miller. A volte i pazienti possono soffocarsi in situazioni del genere se non si sta attenti" gli disse.
"Non avremmo potuto iniettargli qualcosa?"
"Questo farmaco non si dà per via endovenosa" spiegò.
Quel dottore era giovane, stava ancora imparando, quindi la donna non se la prese con lui per la sua domanda.
Dopo qualche minuto, Andrew smise di tremare, la schiuma non gli usciva più dalla bocca, era meno pallido, non urlava e sembrava più tranquillo, nonostante respirasse ancora affannosamente.
"Signor Marwell, lei è stato coraggioso. Prima ha avuto le convulsioni e dopo un po' una crisi epilettica, ma è riuscito a superarle entrambe. Non ho parole! Ora le daremo qualcosa per dormire, ma quando si sveglierà la dovremo sottoporre a degli esami, tra i quali un elettroencefalogramma, per capire se questa crisi che ha avuto è dovuta allo stress o quali fattori possono averla scatenata, se è una cosa genetica o no, se è un episodio singolo o se succederà ancora, perché in quel caso dovrà iniziare una cura" gli disse la donna. "Vede ancora quella luce?"
"No, non più; per rispondere a ciò che mi ha detto, ho capito tutto" disse lui, debolmente, poi si guardò intorno e sussurrò: "Demi."
"Lei che ci fa qui, signorina? Avevamo detto al dottore che era rimasto fuori di non far entrare nessuno" disse la dottoressa.
"Lo so, ma io l'ho spinto e sono entrata. Mi dispiace, mi scuso profondamente per il mio comportamento, lo farò anche con lui. So che non avrei dovuto, ma ero molto preoccupata per il mio fidanzato."
"Venga con me un momento" le disse il dottor Thompson.
Fuori, il medico che Demi aveva spinto li aspettava. La ragazza si scusò tantissimo con lui e l'uomo accettò le sue scuse, presentandosi come dottor Williams, poi tutti e tre parlarono di Andrew.
"Ieri sembrava stare meglio, come avrà notato anche lei, ma oggi è peggiorato improvvisamente" disse Thompson.
"Ha avuto le convulsioni mentre i suoi genitori, Demi, erano qui" proseguì l'altro.
"Lei è arrivata nel momento in cui gli avevamo già dato qualcosa per fermarle e ha avuto quella crisi. Nemmeno noi ce l'aspettavamo" spiegò il primo e poi continuò: "Potrebbe solo trattarsi di un fortissimo stress, ma dobbiamo scoprirlo e tenerlo ancora in osservazione e quindi non possiamo mandarlo in psichiatria, almeno non per il momento. Forse la cosa migliore sarebbe farlo parlare con la sua psicologa direttamente qui."
"Capisco" sussurrò Demi, ancora sconvolta. "Lei, però, aveva detto che quella era la prassi. Se qualcuno dovesse scoprire che non l'avete seguita potreste essere tutti nei guai."
Con "tutti" intendeva, ovviamente, l'équipe medica che si occupava del caso del suo fidanzato.
"Parlerò con il capo del reparto, con quello di psichiatria per avere la sua opinione e il primario dell'ospedale. Il caso di Andrew è un po' particolare visto quel che è appena successo. Sono sicuro che capiranno e che potranno fare un'eccezione e permettere alla sua psicologa di venire" le disse il dottor Williams.
"Perché non lo fate parlare con uno dei vostri psichiatri?" chiese la ragazza.
"Ne era venuto uno, stamattina, poco prima che gli facessimo altri esami. Mi ha riferito che Andrew non ha detto una parola."
"Cosa?"
Era stupita e allo stesso tempo triste. Come poteva essere? E perché Andrew aveva reagito così? Forse quella persona non gli aveva trasmesso fiducia?
"Ho poi parlato con il suo fidanzato. Mi ha detto che si era sentito un po' preso in giro e che avrebbe voluto parlare solo con la sua psicologa. Ne abbiamo discusso per un po' e mi ha spiegato quanto accaduto. Non posso dirle ciò che mi ha riferito, ma sono sicura che Andrew gliene parlerà. Ad ogni modo, data la situazione e visto il fatto che, probabilmente, visto quanto accaduto stamani non si fiderà di nessuno psichiatra di questo ospedale, sarebbe il caso di avvertire la psicologa e avere il permesso di farla venire qui. Non me la sento di tenere Andrew in ospedale per diversi giorni senza farlo vedere da un terapista. Abbiamo già eseguito questa procedura, se così vogliamo chiamarla, in pochi altri casi. A volte i pazienti sono tanto terrorizzati che è meglio farli seguire anche qui dal loro terapista, se già ne hanno uno."
Demi annuì, poi chiese se al fidanzato era stato spiegato tutto questo. Il dottor Williams e l'altro medico le dissero di sì, che gli avevano parlato del suo spostamento dopo che aveva fatto colazione e che ora la dottoressa gli stava dicendo che probabilmente le cose sarebbero cambiate.
La ragazza non disse nulla, ma pensò che quei medici avrebbero potuto parlargli più tardi di tali sviluppi, quando ne fossero stati sicuri al cento per cento, non certo adesso che lui era stato così male.
"Stanotte ha fatto fatica a dormire," continuò uno dei due medici, "inoltre è sempre teso, ha il battito cardiaco accelerato. Pensiamo che sia a causa dello stress per tutto ciò che gli è successo. Per sicurezza, stamattina presto   gli abbiamo fatto alcuni esami al cuore, ma non ha niente che non va. Gli stiamo dando ogni tanto qualche farmaco per farlo addormentare. Sono solo dei calmanti, ma non molto forti e comunque glieli diamo poco, in modo che il suo corpo non si abitui. In ogni caso non possiamo mandarlo a casa in queste condizioni.non possiamo mandarlo a casa in queste condizioni e dopo così poco tempo. Primo perché potrebbe tentare di nuovo il suicidio, secondo perché ci metterà un po’ a riprendersi anche fisicamente, e terzo perché se nei prossimi giorni lui dovesse continuare a non dormire e ad essere così teso, prima o poi potrebbe scoppiare e avere problemi più gravi, come un infarto, oppure un incidente se andasse in macchina."
"Capisco" disse ancora Demi.
"Come avrà sentito, gli faremo degli esami per comprendere da cosa è stata originata la sua crisi epilettica, così come le convulsioni di prima e poi vedremo cosa fare."
"Io come posso aiutarlo?"
"Gli stia vicina," le disse il dottor Williams. "So che lo fa già, ma gli servirà ancora di più il suo affetto da ora in avanti. Deve cercare di farlo sentire a casa e di farlo stare sereno. Pensa che con l'aiuto dei suoi familiari ci riuscirà? A quanto ho capito, Demi, i suoi genitori considerano Andrew un figlio!"
"Sì, sì è così. Certo, ci riusciremo! Vorrei chiedervi un'altra cosa: io ho due bambine, una di sei anni e una di un anno e mezzo. Loro adorano Andrew, lo considerano un papà. Le ho adottate un anno fa e volevo sapere se posso portarle qui da lui. Forse vederle gli farebbe piacere. Credete che in questo modo potrebbe sentirsi meglio?"
Spiegò ai medici perché era stata restia a portare Mackenzie da Andrew ma aggiunse che, in realtà, aveva ancora qualche dubbio.
Loro ci pensarono un po' su, poi furono d'accordo nel ritenere che non era il caso di portarle lì.
 
 
 
Era pomeriggio. Andrew era appisolato, ma quando si accorse della presenza di qualcuno aprì gli occhi.
"Sei tu!" esclamò.
"Ehi!"
"Sei rimasta qui da stamattina fino ad ora?"
"Ho aspettato fuori, fino a qualche minuto fa, poi sono entrata. Volevo attendere che ti svegliassi, così avremmo potuto parlare un po'. Come ti senti?"
"Insomma, ho avuto giorni migliori. Sono frastornato e stanco. Non ho mai perso il controllo del mio corpo prima di stamattina; è stato terribile, Demi. Si muoveva continuamente, io volevo fermarlo, ma il corpo non rispondeva ai comandi della testa. Ti auguro di non provare mai una cosa del genere, perché ci si sente davvero impotenti!"
"Mi dispiace tantissimo, amore. Sai, Mackenzie continua a chiedere di te!"
"Davvero?"
"Certo! Non ti mentirei mai su una cosa del genere. Ogni giorno mi chiede come stai e se può venire a trovarti. I medici, però, mi hanno detto che non è il caso che io le porti qui. Mi dispiace, Andrew. Credevo fosse giusto che tu lo sapessi."
"Non ti preoccupare, lo immaginavo" disse sorridendo. "Inoltre, un ospedale non è un bel posto per dei bambini. Le vedrò quando uscirò da qui."
"Quindi non ci sei rimasto male?"
"Mi mancano moltissimo, dato che non le vedo da quasi tre settimane, però preferisco vederle in un ambiente più allegro di questo posto. Non vedo l'ora di riabbracciarle. Per me sono delle figlie, lo sai!"
Demi sorrise.
"Dirò loro tutte queste cose. Sono sicura che ne saranno felici."
"Mi manchi anche tu, quando non ci sei."
Lei lo accarezzò.
"Anch'io sento molto la tua mancanza, amore!"
“Scusate l’intrusione.” Entrò un’infermiera con un bicchiere di succo che passò all’uomo. “Dato che stamattina le abbiamo tolto la flebo e che la situazione è stabile può bere questo, signore” gli disse sorridendogli. “Il dottore mi ha detto di informarla che con i cibi solidi inizieremo da domani, giorno nel quale potrà anche alzarsi.”
“Va bene, grazie.”
Demetria notò la paura negli occhi nel fidanzato alla parola “alzarsi”.
“Ehi, ce la farai. Capito?”
“Non lo so” rispose, insicuro. “Forse sarà dura.”
“Sì, ma ci riuscirai. Per fortuna non sei rimasto a letto per mesi, ma solo per un paio di settimane. Potresti avere bisogno di aiuto all’inizio, ma io e i medici saremo qui per questo.”
“Okay” mormorò e sorrise.
“Ora prova a bere.”
L’uomo sollevò il bicchiere con una lentezza quasi esasperante, anche perché era rallentato dalle fasce e dai punti i quali, quando piegava il braccio, tiravano e facevano male, ma riuscì comunque a bere da solo a piccoli sorsi. Demi si offrì di aiutarlo ma lui rifiutò. Ci mise meno di quello che si sarebbe aspettato a mandare giù tutto.
“Ce l’ho fatta!” esclamò, come se non credesse di esserci riuscito e in effetti era proprio così.
“Sì, grande!”
La ragazza gli diede una pacca sulla spalla.
“Signor Marwell, come va?”
Era di nuovo il dottor Williams.
“Bene, grazie. Oddio, fisicamente abbastanza ma psicologicamente uno schifo, se posso essere diretto.”
“Certo, non si preoccupi. Perdonatemi, ma sto facendo il mio ultimo giro di visite prima del cambio di turno e volevo sapere come si sentisse e se era tutto a posto.”
“Ha bevuto il succo” lo informò Demi raggiante.
“Ottimo! Ho ottenuto i permessi necessari quindi, anche se non andrà in psichiatria, domani mattina la farò parlare con la sua psicologa e sarà così anche per i giorni successivi. Credo ne abbia bisogno. L'ho contattata io personalmente visto che lei, Andrew, mi ha dato il suo numero stamattina. Inutile dire che è preoccupata per lei.”
“Sì, immagino. D’accordo e grazie davvero” mormorò non sapendo se si sentisse pronto o meno.
Probabilmente no.
“Si figuri! Come sa domani dovrà alzarsi, ma non sarà solo. Sarò presente anch’io e inoltre farò venire un fisioterapista che la aiuterà. Potrebbe insegnarle degli esercizi che le saranno utili.”
“Devo fare fisioterapia?” chiese Andrew allarmato.
Era necessaria una sorta di riabilitazione anche se era stato a letto fermo per due settimane?
“Capisco che questa parola può far paura, ma non è proprio fisioterapia quella che deve fare. I suoi muscoli sono molto deboli, signore, e ha solo bisogno di un po’ di aiuto per rimettersi in sesto.”
“Ma io sto bene” protestò l’altro. “Oggi va già meglio, mi sento più forte.” Il medico sorrise, comprensivo.
“Adesso prova questo perché è sdraiato, ma le assicuro che quando si alzerà in piedi si accorgerà che non ne avrà poi tanta, di forza. Stando a letto i muscoli si indeboliscono moltissimo, a volte addirittura si accorciano.”
“Quanto si indeboliscono?” domandò Demi.
Il medico si sedette davanti al letto e poi riprese:
“I suoi muscoli hanno perso un terzo della loro forza, signore. Una ricerca ha dimostrato, facendo stare alcuni ragazzi più giovani di lei e degli anziani immobili per due settimane, che entrambe le categorie perdono la stessa forza. Per un pieno recupero saranno necessarie sei settimane. Il fisioterapista le farà fare degli esercizi e gliene darà alcuni da eseguire a casa per favorire il potenziamento muscolare.”
“Okay.”
“Non è niente di grave. All’inizio non sarà facile, è vero, ma lei è giovane e forte e sono sicuro che si riprenderà completamente” lo incoraggiò. “Ora scusate, devo andare. A domani.”
I due lo salutarono e il dottore uscì.
Nessuno parlò per un paio di minuti, poi Demi prese la mano del suo ragazzo e gli chiese:
“Come stai?”
“Pensavo sarebbe stato più facile” commentò lui, un po’ giù di corda. "E devo ancora iniziare!"
“Onestamente lo credevo anch’io” sospirò la ragazza e capì che in fatto di medicina e fisioterapia era proprio ignorante. Lo sapeva anche prima, ma ora ne aveva ancora più consapevolezza. “Io sarò con te, domani, per darti ancora più coraggio.”
“Grazie.”
“Non dirlo neanche!”
“So qual è la domanda che stai per pormi.”
“Come hai capito…”
“Non importa, l’ho compreso e basta.”
“E quale sarebbe?”
“Vuoi chiedermi come mai non mi sono fidato dello psichiatra, giusto?”
“Esatto.”
Andrew trasse un profondo respiro e le raccontò che l’uomo era entrato nella stanza con la faccia di uno perennemente incazzato e quasi senza guardarlo gli aveva chiesto, freddamente:
“Perché si è fatto del male?”
L’aveva domandato con indifferenza, come se quel che gli era accaduto non gli importasse o se lo trattasse come una sorta di peso.
Andrew aveva deglutito, sentendosi piccolo piccolo sotto quello sguardo indifferente e aveva sentito gli occhi pizzicare.
“Avrei voluto piangere,” disse alla fidanzata, “ma non l’ho fatto perché credevo che mi avrebbe giudicato un debole. Mi ha fatto sentire malissimo. Io ero lì perché avevo bisogno di aiuto e lui… lui… sembrava non capirlo. O magari non voleva dirlo, ma perché? Perché la gente ha così tanta paura di dire le parole "suicidio" o, in questo caso, "tentato suicidio"? Io ho fatto questo: ho tentato il suicidio. E nemmeno lui, un professionista, è riuscito a pronunciare quelle parole cercando di alleggerire la cosa e ponendomi una domanda stupida.”
“Era uno stronzo e basta” sussurrò la ragazza. "E comunque hai ragione, certe cose vanno dette anche se è difficile. Sì, tu hai t-tentato il s-suicidio" balbettò.
Era così difficile pronunciare quelle parole, accidenti! Per un momento le mancò il fiato per il dolore che sentì. La testa le pulsò per alcuni secondo iemtnre un peso le gravava sul cuore.
“Sì, è probabile che fosse uno stronzo. Spero non siano tutti così.”
“No, sono sicura di no. Quando ero in clinica sono stata seguita anche da uno psichiatra per un po’. Non mi ha dato farmaci, ci parlavo e basta. Ed era una persona molto umana.”
“Forse ho questo pregiudizio dato quello che ho appena passato” sospirò Andrew.
Demi non parlò, capendo che l’accaduto doveva averlo scosso molto e che se avesse parlato avrebbe detto qualcosa di scontato.
“Tu cos’hai risposto?"
“L’ho guardato negli occhi e gli ho detto:
“Io non mi sono fatto del male. Volevo morire, è diverso.”
Ho messo enfasi sulla parola "morire". E poi non ho più aperto bocca.”
Le spiegò che lo psichiatra gli aveva fatto altre domande, gli aveva chiesto di parlargli della sua famiglia, dell’ambiente di lavoro, ma Andrew era rimasto muto finché l’uomo se ne era andato con un secco:
“Arrivederci.”
Dopo quell'incontro Andrew aveva pianto, sentendosi stupido e sbagliato anche se non aveva fatto niente. E più il tempo passava e si ripeteva che non era colpa sua, più una voce nella testa gli diceva il contrario.
“Non potevo fidarmi di lui, capisci Demi? Non ha nemmeno detto che volevo farla finita!”
La ragazza non riusciva a crederci, eppure era così. Quello psichiatra era stato scorretto oltreché insensibile.
“Il dottor Williams si è scusato tanto anche se non aveva nessuna colpa, e ha detto che avrebbe parlato del comportamento del medico al direttore del reparto di psichiatria.”
“Amore, mi dispiace!”
Lo strinse forte. E per un singolo istante, mentre si abbracciavano si sentirono meglio. Il peso che entrambi portavano nel cuore si alleggerì e il dolore divenne più sopportabile.
“Passerà” disse con un singulto. "Il dolore che mi porto dentro è terribile. Lo sento come un mare che mi annega sempre più, lentamente."
"Tu, però, stai cercando di non annegare" gli fece notare Demi, seguendo la sua metafora.
"Sì, è vero, ma non so se lo voglio veramente. Insomma, io ho pensato di farla finita, ma anche se ti ho promesso che non l'avrei fatto mai più, a volte succede  ancora. Non credo, comunque, che avrei il coraggio di provarci di nuovo, non dopo quello che è successo. Ho rischiato di morire, cazzo; e ho fatto soffrire tutte le persone a cui voglio bene. Mi hanno detto che mi ero reciso un'arteria."
"Sì, è così."
"Mi hanno anche raccontato che tu hai cercato di fermarmi il sangue fino a quando non sono arrivati i medici."
"Sì, è vero. Te l'ho già detto, ricordi?"
Forse, dato che era stato così male, l'aveva dimenticato.
"Ah, sì, ora ricordo, ma mi puoi spiegare meglio la situazione?"
"Ho aperto la porta per entrare, dato che tu non rispondevi e ti ho trovato in fondo alle scale. Andrew, è stato orribile vederti in quello stato!"
"Mi dispiace per tutto il dolore che ti ho causato."
"Non pensiamoci più. Viviamo il presente" suggerì Demi.
Quella, pensava, era la migliore filosofia di vita in certi momenti. Peccato che poche volte si riuscisse a seguirla.
"Sai che volevano portarmi in psichiatria ma ora hanno deciso di no, vero?" le domandò.
"Sì, me l'avevano anticipato ieri. Tu come hai reagito quando hai saputo di questo spostamento di reparto?"
"Non avrei opposto resistenza, se è questo che intendi. Ero turbato, penso che gli psichiatri diano, a volte, farmaci in maniera molto facile, diciamo, senza valutare bene la situazione clinica del paziente. Io, invece, voglio rimanere lucido" disse.
Demi non rispose. Non aveva un'opinione precisa a riguardo.
"Cos'è successo dopo l'operazione?" le chiese il fidanzato.
"Eri cosciente ma in stato di shock, quindi era come se non fossi stato presente a te stesso. Nessuno poteva venirti a trovare ed eravamo tutti preoccupatissimi, soprattutto io. Dopo tre settimane ti si sono tolti i punti, ricordi questo?"
"No."
"Beh, io e te abbiamo lo stesso gruppo sanguigno, zero negativo, così ti hanno fatto una trasfusione di sangue."
"I dottori non mi avevano ancora detto niente" sussurrò lui, sorridendole.
"Forse aspettavano che fossi io a farlo. Te l'avevo già detto, prima che ti venisse quel mal di testa."
"Scusa, è che sto così male che a volte mi sfuggono delle cose. Sembro un idiota!"
"Non preoccuparti; e non lo sei."
"Stai dicendo che mi hai salvato la vita? Davvero hai fatto questo per me?"
"Sì, ma credo che chiunque si sarebbe comportato allo stesso modo. Anche Dallas e i miei genitori hanno fatto quelle analisi, ma non erano compatibili."
"Grazie! Io non so cosa… cosa dire."
Andrew era senza parole. Commosso, tirò fuori un braccio da sotto le coperte e strinse una mano di Demi.
"Non devi dire niente" sussurrò lei. "In fondo, il fatto che avessimo lo stesso gruppo sanguigno è stata solo una coincidenza."
"Forse non è stata una semplice coincidenza."
"Che vuoi dire?" domandò lei, incuriosita.
"Che questa è una delle altre cose che ci lega. Forse era destino che andasse così, che tu, solo tu, la mia ragazza, avessi il mio stesso gruppo sanguigno. Lo so, ho appena detto una cazzata."
Demi gli sorrise.
"Non è una cazzata; è una cosa molto bella, invece, rende il mio gesto ancora più speciale e mi fa sentire ancora più felice di averti aiutato! Ora, però, vorrei che tu ti facessi aiutare anche in un altro modo."
"Cosa intendi?"
"Andrew, non ti isolare più, ti prego! Hai visto quanto male ti sei fatto quando ti sei comportato così e non solo fisicamente, ma anche e soprattutto psicologicamente! Io non riesco nemmeno ad immaginare il dolore che stai provando, ma posso capire che tre mesi siano pochissimi per superare una perdita così grande. Tu, però, stai continuando a lottare e, se io avessi perso mia sorella, che si trattasse di Dallas o di Madison non ha importanza, non riuscirei ad essere così forte, come invece sei stato tu. Adesso, però, hai bisogno che qualcuno ti stia vicino e che ti aiuti a sentirti meglio. Un giorno sarai di nuovo felice, secondo me. Forse ci vorrà ancora molto tempo. Se che pensi che non è così, ma tu ti meriti di esserlo, Andrew!"
"Non credo" disse lui. "Mi sembra di farle un doppio torto, ad essere felice ora che è morta, però riconosco che hai ragione, solo che mi ci vorrà del tempo per capirlo e per metabolizzare il tutto."
"Lo so e io ti starò vicina, non ti abbandonerò mai, neanche se dovessi metterci anni a stare meglio, te lo prometto. Mi sembri come una nave che sta affondando, ma puoi salvarti, con la tua forza e con il mio appoggio. Se credessi che non ce la potresti fare me ne sarei già andata, ma non è così. Tu puoi stare meglio, ma devi volerlo; e sono sicura che, nel profondo del tuo cuore, lo desideri. Io vorrei cancellare il tuo dolore, ma non c'è modo per farlo. Tutto ciò che posso fare è amarti e starti vicina, se tu me lo permetterai. Lo faccio perché ti amo! Lascia che ti aiuti. Non affrontare tutto questo da solo. Fatti aiutare."
Per la prima volta dopo tanto tempo, Andrew sentì di aver bisogno che qualcuno gli stesse accanto. Sapeva che non ce l'avrebbe mai fatta da solo. Se avesse continuato a soffrire in silenzio, tenendosi tutto dentro, prima o poi sarebbe morto, o di dolore, o per suicidio, lo sapeva, per cui guardò Demi, sorrise e, trovando dentro di se una forza che non credeva di avere, disse una parola, semplice ma importante:
"Sì."
 
 
 
NOTE: 1. ci tenevo a precisare che io da piccola ho avuto le convulsioni. A volte queste possono essere causate da un trauma cranico molto grave, ma non è il caso di Andrew. Soffro anche di crisi epilettiche, benché le mie non siano così forti, quindi so di cosa sto parlando. Quella luce di cui Andrew parla può essere davvero fastidiosa. Le mie crisi epilettiche consistono proprio in questo. Possono deconcentrare, provocare mal di testa e stato di confusione. Io a volte non sono riuscita a studiare per interi pomeriggi quando le avevo molto forti. Ora grazie ai farmci ne ho molte meno, ma le ho da quando ho dieci anni, quindi purtroppo le conosco bene. Ce ne sono, però, di molto più forti, come quella che ha avuto Andrew.
2. La ricerca alla quale si riferisce il medico è vera ed è stata condotta dal Center for Healthy Aging e dal dipartimento di scienze biomediche dell’Università di Copenaghen. Io ho letto una parte della sua traduzione in un articolo sul sito www.lastampa.it, ma in realtà è stata pubblicata sulla rivista “Journal of Rehabilitation Medicine”. 3. Non so se nei casi come quello di Andrew ci voglia l’aiuto di un fisioterapista, ma immaginavo che comunque gli servisse più di qualche aiuto quindi ho deciso di inserirlo.  




ANGOLO AUTRICE:
ecco il nuovo capitolo! Avete avuto paura per Andrew, eh? Tranquilli, ora sta meglio.
Non ho nulla contro gli psichiatri anzi, semplicemente volevo far capire che non tutti i medici sono bravi, purtroppo.
Ringrazio la mia meravigliosa amica _FallingToPieces_ che mi aveva suggerito di inserire un momento tra Andrew e la sorella. Io ho quindi pensato al sogno e di parlare anche di Demi, facendo poi capire che Andrew aveva sognato un momento vissuto nella realtà, con loro, tanti anni prima. Che dite? Vi è piaciuto?
A sabato prossimo con il capitolo 74!
   
 
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