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Autore: Damnatio_memoriae    05/03/2017    1 recensioni
Sul continente i ministri dei cinque rioni si affrontano nel Torneo di Palazzo per assicurarsi il dominio della Cittadella, ma nessuno sospetta che nell'ombra stia già tramando da tempo un oscuro pericolo che minerà profondamente le basi delle loro istituzioni, rompendo quella pace che, a fatica, è stata riconquistata dopo il tradimento di Kalendor. E intanto Theresa affronta le sue paure cercando di ricordare un passato troppo lontano e inafferrabile, mentre Daianara tenterà invano di battersi per impedirglielo.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Prologo 
 

Il sole era basso all’orizzonte e una luce rossastra filtrava attraverso le ampie vetrate decorate, allungando le ombre che, così grandi, facevano sembrare più piccole le persone nella stanza. I maestri di Kalendor avevano scelto le tonalità del celeste per pigmentare il vetro dei finestroni, ma ora l’unico colore che questi riflettevano era il cremisi.
L’ultima ad entrare nella camera fu una donna anziana, con i capelli ormai bianchi raccolti in una lunga treccia. I suoi occhi erano così chiari che molti dubitavano fossero ancora in grado di vedere qualcosa, se non contorni sfuocati. Teneva tra le mani uno specchio anticato, tondo, incorniciato da volute di ottone, con la superficie graffiata e impolverata, che non avrebbe più riflesso nulla. Una donna le rivolse un sorriso gentile, anche se gli occhi non sorridevano più, e si scostò per permetterle di passare. La vecchia procedette con fare incerto fino al capezzale e le sue scarpe non fecero alcun rumore sul pavimento marmorizzato. Allungò la mano piccola e rugosa e la posò sulla spalla della ragazza inginocchiata davanti al letto, ma lei non si voltò a guardarla, né dette segno di averla notata. Il viso era stanco e tirato, le labbra screpolate e rotte, ma continuava a morderle; i capelli dovevano essere stati pettinati e curati alla perfezione, ma ora i ciuffi sfuggivano dall’acconciatura e le incorniciavano confusamente il volto; era vestita di tutto punto, come ci si sarebbe aspettato da lei per quella occasione, con un lungo abito austero e accollato, quasi soffocante, come soffocante era quella stanza, quel palazzo, quella situazione, quel dolore sordo che la rendeva apatica e incapace di reagire. Non sapeva più per chi piangere. Strinse la mano della giovane sdraiata sul letto e provò ad incrociare le dita con le sue, senza trovare reazione, anche se ogni volta sperava andasse diversamente.
Dopo qualche minuto di silenzio si decise a dire: «Un funerale al tramonto?».
L’anziana donna scosse la testa. «No, bambina. Quello è il rosso che solo le fiamme possono portare.» spiegò con la sua voce rauca e continuò, rivolgendosi ai presenti «Morèa è caduta. Il Consiglio ne è già stato informato».
Nella sala serpeggiò un brusio di sussurri e lamenti. Alcune signore si coprirono il viso con le mani e piansero, qualche uomo uscì dalla stanza arrabbiato o amareggiato. La donna che prima aveva sorriso si limitò a congiungere le mani e portarle alla bocca, sbiascicando qualche frase. Morèa era stata la sua casa per così tanto tempo e ora sarebbe stata dimora solo di cenere e disperazione. Si coprì il viso con il velo nero e pianse sommessamente.
«Ora più che mai è necessario indire il Torneo. Tanaro è l’ultimo baluardo che ci rimane, ma non potrà resistere a lungo all’assedio. Non possiamo più rinviare» sentenziò la vecchia e chinandosi, per quanto le fosse possibile, sulla ragazza, le sussurrò all’orecchio «Purtroppo non c’è più tempo per commiserare i morti. Bisogna prendersi cura dei vivi».
L’altra volse a malapena lo sguardo. «Non posso lasciarla qui. La sto aspettando.».
«Non dovrai attendere ancora per molto» la rassicurò, accarezzandole la testa «Nemmeno lei può nascondersi a sé stessa così a lungo».
«Mi chiedo se abbiamo fatto la cosa giusta…».
«Forse non era giusta. Ma quando ti rimane una sola scelta, non ha più importanza che sia corretta o sbagliata. Non puoi incolparti per non aver potuto fare altrimenti».
La ragazza si rimise in piedi a fatica e un formicolio le intorpidì subito le gambe. «Lei ripeteva che esiste sempre un’altra scelta» le labbra si stesero in un debole sorriso, ma si incurvarono presto in una smorfia di dolore al pensiero di aver utilizzato il passato.
«Sì» concesse la vecchia «Era molto ottusa.» sollevò lo specchio verso di lei e sfiorò con l’indice affusolato la superficie sporca. La giovane la assecondò riluttante, aspettando di vedere quello che lo specchio aveva da mostrarle. Dopo una manciata di secondi riuscì a distinguere i contorni di una figura in movimento, dei capelli rossi, occhi scuri, uno sguardo sbarazzino, chiare lentiggini; la salutava in groppa al suo destriero morello, le tendeva la mano e le diceva parole che solo lei poteva sentire. Distolse lo sguardo e alzò una mano per allontanare lo specchio.
«Ti prego, basta così» mormorò con voce spezzata, coprendosi gli occhi «Questo non lo posso vedere.».
La vecchia annuì comprensiva e le accarezzò il braccio «Devi essere paziente» le ricordò.
La ragazza finse di non sentirla e chiese: «Sognerà?».
«Spera di no, bambina. Nel mondo dei sogni l’unica cosa che ti è concessa di sognare è la realtà».
Quando giunse dal cortile un suono di tromba, la donna velata di nero si avvicinò a loro.
«Dobbiamo andare» disse, dispiaciuta per aver interrotto quel momento e per la cerimonia a cui avrebbero dovuto partecipare.
La ragazza impiegò qualche istante prima di decidersi ad allontanarsi dal letto. Tirò il fiato, si allungò sul materasso di piuma e scostò la frangetta della sua amica per accarezzarle la fronte. Le prese una ciocca di capelli rossi e se la avvolse intorno al dito, come era solita fare prima di addormentarsi. Si chinò sul suo viso e le sfiorò la pelle con la bocca, percependola immobile e fredda. La guardò un’ultima volta prima di trascinarsi fino alla porta, uscendo a fatica dalla stanza.
«Anche tu dovresti andare, Isolde» disse l’anziana, appoggiando una mano alla testiera del letto per sorreggersi.
La donna allungò un braccio per invitarla ad appoggiarsi a lei. «Forse cerco un modo per rimandare».
«Non si può rinviare l’inevitabile» disse «Ma ne comprendo il bisogno. Era un brav’uomo e un ottimo marito».
«E un padre esemplare» aggiunse l’altra, guardando la porta dalla quale era uscita sua figlia.
«Mancherà a tutti noi, cara». Si voltò per porre lo specchio sul petto della giovane distesa sul letto.
Anche Isolde si avvicinò al capezzale e le accarezzò la guancia diafana con aria affranta. «Tornerà?» chiese.
«Sì, se saprà dove guardare» chiarì, poi aggiunse con voce distante «Il buio è dunque giunto?».
«Temo di sì, Ophelia. Ma non avrei mai pensato che il buio potesse avere il colore del tramonto».  

 
   
 
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