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Autore: Sharkie    09/03/2017    6 recensioni
(CLEXA Sci-fi!AU) E' una bella giornata quando l'ingegnere Reyes ed il Rettor Jaha entrano in un localino affollato per proporre alla neo dottorata in psico-criminologia Clarke Griffin di partecipare ad un progetto a dir poco singolare: studiare la reazione psicologica di un'agente delle Forze Speciali ad un particolare "dispositivo" impiegato per il suo addestramento. 
Non passerà molto tempo perchè Clarke capisca che la situazione è un tantinello più complicata di così.
Che cos'è questo dispositivo?
Chi è davvero la sua paziente e in cosa consiste l'addestramento?
E sopratutto, perchè, lei che è sempre stata così brava a leggere le persone, tutto a un tratto trova quella ragazza così dannatamente indecifrabile?
.................................
"Lei la ricordava bene quella sensazione.
Era stato doloroso, qualcuno avrebbe detto “come morire” ma è chiaro che nessuno al mondo ancora in grado di parlare ha davvero cognizione di quello che significa questa frase.
Forse solo lei avrebbe potuto dire qualcosa al riguardo, se solo avesse ricordato.. ricordato del prima.. 
Ma all'epoca non sapeva nemmeno di doversi sentire qualcuno.
All'epoca non sapeva niente."
Genere: Azione, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Becca, Clarke Griffin, Lexa, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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[Angolo dell'autrice]: sto cercando di spicciarmi a pubblicare, giuro!
Lo so, è uno slow burn. Ma davveeeeero slow slow. Spero di tenervi con me fino a quando il lato Clexa non inizia a movimentarsi, che credo sia molto presto, promesso ("credo", perchè mano mano che scrivo mi vengono in mente altre cose, quindi non so con precisione quando...)
Vi prego, siate gentili, lasciatemi un commentino per dirmi se qualcosa non vi è piaciuto, se apportereste qualche modifica, o anche, nel caso contrario, mi piacerebbe che mi diceste se vi ha colpito qualcosa, se sospettate un qualche risvolto, se avete una qualche teoria! Ne sarei davvero felice!
Cheers : *
________________________________________________________






Archiviato... Non risolto…
I dettagli dell’accaduto non lasciano spazio ad una chiara interpretazione…
Contraddizioni…
Buchi temporali… coincidenze fortuite... precisione millimetrica…

Cause del decesso ancora oscure… Sparizione del progetto preliminare AN_2016… Sequestro di persona… Irruzione area altamente controllata...
Possibilità… cellula altamente addestrata… ente militare… attacco terroristico… ufo...

Inspiegabile.
Anomalo.

« Dottoressa. Faccia presto, devo riportare tutto indietro entro dieci minuti, lo sa bene. » disse una voce alla porta.
La donna sfogliò ancora una volta i dossier, facendo un veloce recap di tutte le informazioni che aveva appena sottratto al Capitano.
« Dottoressa. » insistette duramente la voce, lasciando però trasparire un po’ d'ansia.
« Si. Ecco. Portali via. Ci vediamo dopo. » consegnò il plico alla ragazza che si girò per scivolare rapidamente fuori dalla stanza, dopo averle lanciato uno sguardo nervoso. La donna sembrò riscuotersi un attimo dai suoi pensieri bui.
« Blake » chiamò. Un secondo di silenzio, poi la ragazza tornò indietro, evidentemente infastidita.
« Cosa c'è ancora. »
« Grazie. » mormorò la donna, senza però distogliere lo sguardo dalla scrivania.
Un secondo ancora di silenzio.
« Lo sa benissimo perché lo faccio. Preghi solo che non lo venga a sapere mio fratello. » disse secca prima di sparire.

Si premette le mani sulle tempie. Un sospiro.
Erano mesi che andava avanti quella storia. Settimane di ricerche tra plichi di segnalazioni e casi inspiegabili, per avere una sua traccia, per provare a riconoscere qualcosa di suo in quella marea interminabile di fogli ma alla fine... ancora niente.
Eppure lei lo sapeva che da qualche parte c'era.
Se non fosse stato di cattivo gusto, l'avrebbe chiamato “istinto materno”.
E invece no. Non c'era amore in quella faccenda.

Era tutto più simile ad una macabra disperata voglia di abortire.

Knock. Knock.

« Dottoressa? Sono Raven.. » sentì la sua voce morbida alle sue spalle. Era ferma alla porta con uno sguardo interdetto.
« Dimmi pure » disse in un sorriso.
« Va tutto bene? Ho incrociato Octavia, era un po’ nervosetta...» chiese, poggiando un pacco sulla scrivania.
Era bello grande. La dottoressa Primaid non smetteva mai di stupirsi quando vedeva la ragazza armeggiare con i suoi attrezzi del mestiere. Enormi, pesanti, affilati, pericolosi.
Eppure la giovane sembrava solo giocarci. E, tra un divertimento e un altro, ci usciva fuori un qualche geniale marchingegno, così, senza troppo sforzo.
Dopotutto si era costruita la sua gamba da sola.

Ed era per quella stessa gamba che era lì.
« ...Si. Solo qualche preoccupazione del mestiere. Dimmi pure » disse ancora, sfoggiando il sorriso più rassicurante che poteva.
Sapeva che Raven aveva capito che qualcosa non tornava, ma non aveva intenzione di dirle niente, per il momento.
Aveva bisogno di aspettare di non sentirsi troppo paranoica. Di aspettare un segno, almeno.
Qualche prova da presentare per non farsi prendere completamente per pazza.

« Mmmh.. » commentò l’ingegnere non convinta, prima di desistere. « Questo è per Clarke. Mi aveva chiesto qualcosa che facesse al caso suo, giusto? Per tenere il passo. » iniziò a spacchettare l’enorme involucro.
La dottoressa si avvicinò incuriosita, con un mezzo sorriso. Assistere alle presentazioni di Raven era sempre stato spettacolare. La naturalezza con cui iniziava il discorso non ti preparava a quello che, avresti poi realizzato qualche secondo più tardi, si sarebbe rivelato a dir poco stupefacente.
Lei era così. Non credeva di fare qualcosa di eccezionale. Per lei, era roba normale e non la sapeva vendere per il suo vero valore.
Si, decisamente Raven sarebbe stata un disastro come venditore porta a porta.

Cosa alquanto paradossale, perché era proprio il lavoro che stava facendo anni prima nei momenti liberi della giornata, per pagarsi gli studi.
« Si, la nostra prodigiosa signorina Griffin ha qualche “problema di comunicazione” con Lexa. Dici che questo la aiuterà? »
Dal pacchetto vennero fuori degli strani tutori per gambe. O almeno, quello avrebbero dovuto essere, anche se somigliavano più ad una leggera armatura dalla telaiatura incompleta, fatta di placche e sostegni in carbonio.
« Io dico che più che aiutarla, con questi amorucci addosso si sentirà praticamente fluttuare nello spazio. » concluse soddisfatta guardando la sua creazione.
La dottoressa era molto compiaciuta.
« Come al solito mi sorprendi.. » disse ammirando i riflessi opachi che correvano sui due telai nuovi di zecca « Credevo che ti avrebbero preso più tempo. »
« Oh, beh, alla fine non sono niente di nuovo. Sono una versione ottimizzata del mio vecchio progetto.. quando la gamba era ancora la mia, intendo. » disse toccandosi la coscia.

La dottoressa tacque. Per quanto ne sapeva, anche se Raven era un’appassionata scienziata e la nuova gamba forniva prestazioni incredibili, la ragazza avrebbe di gran lunga preferito tenersi la sua vecchia, umana, decadente versione.
Avrebbe preferito sentirsi integra.
E invece faceva ancora fatica ad accettare quell’arto estraneo, per quanto portentoso potesse essere.

Costruirselo era stato il requisito fondamentale per accettare di effettuare l’operazione, il minimo indispensabile per poterlo chiamare “mio”.

« Chiamo subito mrs. Griffin, suppongo che non ci sia un momento da perdere. Conoscendola verrà di volata. » disse la donna.
Raven si riscosse dai suoi pensieri.
« Allora ci vediamo dopo nel mio studio. Ho del lavoro da sbrigare » disse pensierosa, prima di raccogliere le sue cose e di avviarsi verso l’uscita. Sulla soglia si fermò.
« Dottoressa »
« Si. »
« Lo sa che se posso aiutarla a risolvere qualche problema, può sempre contare su di me, vero? »
La dottoressa sorrise
« Lo stai già facendo. »
« Non intendevo questo. Insomma.. ha capito. » disse dondolando la testa.
Rebecca fu fortemente tentata.

Ma dopo essersi ricordata dell’entità delle sue preoccupazioni, decise che non aveva il diritto di dividerne il peso con qualcuno, nemmeno con le spalle forti di Raven.
« Non ora. Magari più tardi. » mise su il sorriso più incoraggiante che poteva e la congedò.

Quando la ragazza lasciò la stanza, la donna si trovò completamente sola, circondata dai suoi pensieri.

****

Stump.
Rumore secco.
Aveva chiuso il portello dell’auto, senza preoccuparsi di fare rumore. Aveva parcheggiato abbastanza lontano, così da poter fare ancora un po’ di pratica prima di arrivare a destinazione.

I primi passi sul sentiero furono dondolanti. Doveva ancora abituarsi a quella strana sensazione di leggerezza, a quello strano senso di perdita di controllo della sua fisicità.
Quel modo innaturale di muovere le gambe era dettato più da una sua inconscia voglia di sentire qualcosa di strano, in quei tutori, più che dalla loro effettiva azione.

Insomma, in pratica era lei che camminava storta per cercare di capirci qualcosa sul perché non sentisse il minimo fastidio alle gambe.
Detto così potrebbe sembrare una follia, ma se vi fermate un secondo a ragionare capirete che lo avreste fatto anche voi.

Quando li aveva visti un’ora e mezzo prima, li aveva guardati con aria fortemente scettica.
« Ehm.. » aveva esordito « E’ vero che questi ultimi giorni sono stati sfiancanti dal punto di vista fisico, ma non credo di aver perso l’uso delle gambe. Nemmeno parzialmente, vedete?» si dondolò da un piede all’altro, saltellando.
« Capisco la tua confusione, Clarke, ma questi non sono semplici sostegni per persone diversamente abili. E’ un esoscheletro meccatronico parziale. » chiarì Rebecca.
« Hai mai visto Iron Man, Clarke? » intervenne Raven, certa che la sua spiegazione sarebbe stato un pochettino meno astrusa da capire per la ragazza.
Clarke la guardò confusa
« Certo che si. Il mio ragazzo va matto per questo genere di cose, li ho visti.. beh, direi davvero tutti. Anche se a volte mi sono addorment.. » iniziò a farfugliare la bionda.
« Beh, allora immagina che questi siano i suoi pantaloni. Solo il pezzo di sotto. Capisci? » le disse, prendendo uno dei due oggetti in mano e stendendolo di lungo.
« Va ancorato alla tua gamba, esternamente, no, non c’è bisogno di chirurgia » si affrettò a dire « giusto per essere chiari. In pratica, immagina di infilarti solo i suoi stivali, parastinchi e paracosce, il principio di base è lo stesso. »
Clarke era rimasta ammutolita con gli occhi sgranati per tutto il tempo.
« Mi stai dicendo che con quei cosi...? » commentò Clarke scuotendo la testa con imbarazzo, quando si rese conto di aver assunto una faccia alquanto stupida.

« Ovviamente non potrai volare sparando plasma dai piedi né giocare a fare Karate Kid, se è questo che stai per chiedere. » rise Raven, sfoggiando un altro di quei sorrisi splendenti che Clarke aveva tanto notato al loro primo incontro « Quello che questi supporti fanno è captare il movimento muscolare, grazie a sensibilissimi sensori epidermici che registrano e traducono i tuoi impulsi elettrici e infine li tramutano in segnali di comando per i motori posizionati alle giunture.
Il sistema di ammortizzazione, inoltre, assorbe e gestisce perfettamente gli urti dovuti alla spinta eccessiva che ne consegue mentre il sensore posto all’altezza della cintola permette di mantenere un baricentro stabile. » continuò con eccessivo fervore.
Si girò radiosa verso Clarke, aspettandosi di trovarla quanto minimo estasiata.
Quando invece fronteggiò due sopracciglia aggrottate e un’espressione quantomeno smarrita, non poté impedirsi di fremere di frustrazione, prima di fare un passo indietro e ritentare:
« Con questi gioiellini potrai correre veloce come il vento, superare ostacoli con un salto e miracolosamente non finire mai culo a terra. Che ne dici? »

Le sopracciglia di Clarke avevano raggiunto il massimo limite nella scalata verso la vetta della fronte. Avessero potuto, sarebbero sparite dietro l’attaccatura dei capelli.
« Dico che è pazzesco. » fu l’unica risposta che riuscì a formulare.
« In realtà non è niente di che. Stiamo lavorando su progetti.. più complessi. »

« “Niente di che”... » commentò Clarke tra sé e sé, avviandosi lungo il vialetto.
A ogni passo le sembrava di camminare su morbide molle che la sospingevano in avanti, dolcemente. Accelerò un po’ il passo, trotterellando sulle punte, e si ritrovò a compiere brevi salti ampi diversi metri, senza nemmeno rendersene conto, quasi ipnotizzata dalla dolcezza del vento che le solleticava la faccia e dai tonfi ovattati che faceva ogni volta che toccava il suolo.
Quando si girò per dare un’occhiata alla macchina, quasi le venne un mancamento. La sua auto oramai era diventata piccolissima, e lei aveva percorso in un minuto la distanza per cui solitamente ne impiegava quindici.
« “Niente di che”?! » Esclamò strabuzzando gli occhi.
Se quello era “niente di che”, aveva paura di chiedere quali fossero i fantomatici “altri progetti”. Trovava un po’ inquietante il fatto che quegli aggeggi le fossero stati prestati da chi lavorava a stretto contatto con i militari…
”Come se queste cose fossero una novità” pensò, riscuotendosi.
Tutti quanti avevano bene o male un’idea del fatto che le migliori tecnologie a disposizione al mondo fossero in mano all’esercito, ma realizzarne la portata.. beh.. non era concesso a tutti.
Ed era spaventoso, davvero spaventoso.

Riprese a camminare, con più naturalezza stavolta, sforzandosi di mettere a tacere i mille sospetti che le stavano affollando la testa, come uno sciame impazzito.
Raven era stata tanto brava, tanto brillante.
Ora toccava a lei.
Aveva un lavoro da fare.

***

Erano due giorni che la sua persecutrice non si era fatta vedere ma, dopo la prima volta che già le aveva tirato quello scherzo, Lexa aveva imparato a diffidare. Così la aspettava, tenendo tutti i suoi sensi all’erta. L’aria aveva il solito odore di muffa e terreno, la luce era particolarmente chiara quella mattina e il cielo splendeva d’azzurro, non come i due giorni precedenti. Aveva piovuto, e anche tanto.
Uno scintillio all’orizzonte. Gli occhi da falco dell’agente individuarono una chioma bionda avanzare tra gli alberi lontani.
Sorrise di sbieco e scese in strada, per aspettarla.
L’ultima volta era stato ancor meglio del solito fuggirle-da-sotto-al-naso. Quella sensazione di vittoria era stata decisamente appagante, senza contare il fatto che Clarke, con quella sua assurda trovata della bici, davvero credeva di aver risolto tutti i suoi problemi.
Sì, era stato spassoso demolire tutti i suoi tentativi e non poteva nascondere una certa voglia di ripetere quella scena esilarante.
Quella attesa la metteva decisamente di buon umore.

La ragazza aveva parcheggiato ancora più lontano del solito, pensò.
Esaminò i vari motivi. Probabilmente aveva capito che tutta l’area circostante era piena zeppa di telecamere, ecco perché aveva iniziato ad allontanarsi sempre di più con la macchina nei giorni precedenti.
Eppure.. se così fosse stato avrebbe attuato una qualche sorta di travestimento. Invece quei capelli erano un segno alquanto vistoso della sua presenza e lei non pareva molto curarsi di nasconderli.
Le due cose cozzavano, ma d’altra parte Lexa riteneva la bionda abbastanza strana da poter arrivare a fare cose altrettanto strane. Lo stomaco le dava ancora un po’ fastidio dopo la cena disastrosa di tre giorni prima. Le prossime volte -se ce ne sarebbero state- avrebbe dovuto analizzare chimicamente il piatto lasciato da Clarke se voleva evitare la morte per avvelenamento. D’altra parte dopo l’umiliazione di quella sconfitta si sarebbe dovuta aspettare una qualche sorta di vendetta da parte sua, ma scioccamente non si era aspettata una mossa tanto subdola da parte della ragazza, che sembrava troppo ben cresciuta per arrivare a fare una cosa del genere. Era stato alquanto stupefacente.

Le era bastato un solo morso per farle sentire la gola chiudersi in una morsa, il respiro affannoso e lo stomaco rivoltarsi. Aveva vuotato tutto nel vaso di piante in salone. Il giorno dopo la squadra delle pulizie era alquanto irritata da quel macello: tra le piante c’erano almeno 3 telecamere, ormai completamente andate.

La bionda svoltò finalmente l’angolo e la scorse a sua volta. Le due ragazze presero a studiarsi per alcuni secondi, poi, dato che l’agente non accennava a fuggire via come al solito, la biondina riprese a camminare per raggiungerla.

« Ora, alcune raccomandazioni, giusto per evitare di averti sulla coscienza. Prima regola e più importante in assoluto: non strafare. Ho tarato gli attuatori.. insomma tutto il sistema sulla base della tua inesperienza. Non è difficile far partire questi cosi, il problema più grande è fermarli. Attenta all’inerzia, se prendi troppo slancio nemmeno il sistema di riequilibramento può salvarti da uno schianto. In teoria, questi rafforzatori andrebbero indossati da chi è altamente addestrato a cadere nella giusta maniera. Suppongo che la tua conoscenza in materia di piante e floricoltura sia decisamente migliore di quanto tu sappia come si salta e come si atterra. » avvertì Raven mentre stringeva i legacci intorno alle caviglie.
« La prima ed ultima pianta che ho avuto è stata quella del fagiolo quando avevo sei anni. E’ morta dopo una settimana » disse Clarke, alzando un sopracciglio.
« Non avevo dubbi. » commentò sardonica Raven. « Insomma, non puntare troppo in alto. Cadi da troppi metri, ti spezzi le gambe se sei fortunata. Non freni in tempo, ti sfracelli contro un albero. Cerca di ricordarti che non sei diventata Wonder Woman. Tutto chiaro? » concluse alzandosi, guardandola negli occhi con un sorriso sarcastico.
Clarke deglutì.
« Quel film devo ancora vederlo. »


Arrivata a pochi metri, Lexa le rivolse un sorriso obliquo. Il primo in assoluto.
« Niente bici stavolta? » commentò mentre finiva di allacciarsi stretta una garza intorno alle nocche.
« Sta’ zitta. » le rispose stizzita l’altra.
« Oh-oh. » disse Lexa sorpresa « credevo che il mio silenzio non ti interessasse. Pensavo volessi parlarmi. »
Ridicolo a dirsi, quella era la conversazione più lunga che avevano mai avuto. Clarke la guardò diffidente
« Davvero vuoi parlare? Fai sul serio? »
« Assolutamente no. Ti prendevo in giro. » la schernì ancora mentre si tirava su le maniche.

Clarke sbuffò.
« Sai » disse Lexa tornando seria « dovresti smetterla di venire. Sappiamo tutt’e due che non ce la farai a tenermi dietro nemmeno stavolta e neanche per i prossimi giorni. »
La guardò fissa. Clarke sentì freddo dietro la schiena. Quegli occhi verdi erano dannatamente gelidi.

La psicologa lo trovò irritante, davvero irritante. Le salì solo una gran voglia di demolire quella maschera di insensibilità, quella espressione di completo menefreghismo.
Lontano, nei meandri del suo cervello, la sua mano scattò in un sonoro ceffone.
Sapeva che nella realtà dei fatti quelle dita non sarebbero mai riuscite ad arrivare a destinazione.
Così, dopo un secondo di silenzio si limitò a dire, indicando il viale
« Dopo di te. »

Dopo averle lanciato uno sguardo altamente scettico, l’agente si girò e iniziò a trotterellare a passo svelto dirigendosi verso la solita collinetta nel retro della tenuta.

Non corse, non all’inizio. Si limitava ad una velocità sostenuta, senza mai guardarsi indietro ma tenendo sempre in vista Clarke con la coda dell’occhio.
Le era parso strano qualcosa nel suo tono di voce. Troppo deciso… la ragazza alle sue spalle le tenne dietro senza dire una parola, inerpicandosi su per il sentiero.
Continuarono a trotterellare per una mezz’ora, arrovellandosi entrambe il cervello. Clarke pensava che era la prima volta che Lexa le concedeva di affiancarla e la cosa la metteva quasi a disagio.
Avrebbe dovuto parlare? Non osava. Probabilmente l’altra stava aspettando solo un pretesto per poter prendere il volo e lasciarla lì. O almeno, stavolta ci avrebbe solo provato.

I tutori funzionavano bene, non li sentiva quasi addosso. Era certa che se Lexa avesse provato a fuggire avrebbe potuto tenerle testa, ma non voleva arrivare a tanto.
Una certa immagine di lei spiaccicata contro un albero la fece sudare freddo. Raven era stata molto chiara... meglio non strafare.

Nel frattempo, Lexa aveva preso a contare ritmicamente i minuti nella sua testa. Dopo i primi dieci, si era accorta che qualcosa non quadrava.. aveva calcolato, da quanto era accaduto nei giorni precedenti, che Clarke non avrebbe potuto tenere quel passo in salita per più del quarto d’ora circa, una miseria in confronto a quel che faceva lei.
Ma allo scoccare del minuto numero 34 era ormai palese che stesse succedendo qualcosa di decisamente strano. Sarebbe dovuta stramazzare a terra, boccheggiare, implorare di riprendere aria, mentre, di nuovo sconfitta l’avrebbe vista andare via senza pietà.
E invece.. era ancora alle sue spalle. Fresca come una rosa, lo sguardo solo leggermente corrucciato di chi sta pensando a una qualche situazione spinosa.
Niente sudore. Niente ansimi.
Niente batticuore.

Per quanto si sforzasse di tendere le orecchie non sentiva niente di tutto ciò.
Ma ecco, qualcosa nell’aria effettivamente c’era.
Se ne era accorta per caso, quando la ragazza aveva saltato -troppo- atleticamente un fosso.
Tese ancora di più le orecchie per cercare di captare quel rumore finissimo, quel leggero ronzio ovattato dall’andamento ritmico che si sincronizzava perfettamente con il rumore dei passi -più leggeri del solito – della bionda alle sue spalle..
Era lieve, ma non abbastanza da sfuggirle.

Zzzip..zzzip...zzzip…

Non le era nuovo. Il suo cervello partì alla ricerca di qualcosa di simile che avesse potuto già sentire in passato…

Zzzip..zzzip...zzzip…

Le balenarono davanti agli occhi delle sfere immerse in un liquido denso.

Zzzip..zzzip...zzzip…

Clarke era ancora assorta nei suoi pensieri quando vide la schiena di Lexa di fronte a sé rizzarsi, l’agente esclamare qualcosa come “cuscinetti”, uno sguardo fugace, quasi offeso, e prima di rendersene conto l’agente era partita a razzo, scappando come se fosse stata inseguita da un branco di lupi affamati.
La bionda sgranò gli occhi per il cambiamento improvviso ed ebbe solo il tempo di pensare, incredula “Ma.. io non ho detto niente!” prima di rendersi conto che era più probabile che Lexa avesse capito qualcosa dei tutori, piuttosto che le avesse letto nel cervello.
Si buttò al suo inseguimento senza ragionarci troppo.
« Eh no, stavolta no! » imprecò tra i denti preparandosi a saltare.

La prima spinta che diede fu sconvolgente. Un secondo dopo, inaspettatamente, si ritrovò troppo in alto per i suoi gusti, e lo stomaco prese a protestare riempiendole di cazzotti la pancia. Mulinò disperatamente le braccia, nell’istintivo tentativo ti ritrovare l’equilibrio, quando improvvisamente sentì il baricentro di carbonio fare leva sul suo bacino, riportandola in posizione di atterraggio. Quando atterrò, sentì le ginocchia cedere, subito sorrette dalla struttura elastica, le gambe piegarsi e le mani andare a toccare automaticamente terra.
Se non avesse avuto i capelli sconvolti, la faccia terrorizzata e gli occhi praticamente fuori dalle orbite, si sarebbe ricordata di pensare a quanto figa poteva essere sembrata.
Ma ovviamente il pensiero di essere atterrata in pieno stile Spiderman non la sfiorò nemmeno per un attimo.
Quello che però realizzò è che quegli affari funzionavano maledettamente bene.

Con quel salto aveva accorciato considerevolmente le distanze e si era guadagnata una occhiata esterrefatta di Lexa, che dopo un secondo di pausa aveva ripreso a correre ancora più forsennatamente di prima.
« Lexa! Smettila! » le urlò dietro la bionda, senza ottenere risultati.
Si gettò al suo inseguimento. Stavolta aveva capito come compiere dei salti meno alti e aveva deciso di usare gli alberi come punti di riferimento, per cui saltava da un tronco all’altro sorreggendosi su di essi quando arrivava a terra.
In tutto quello zigzagare era difficile tenere dietro alla mora. Anche se quell’esoscheletro le dava potenza, Lexa era rapida come un furetto nel cambiare direzione e lei invece si sentiva al controllo di una macchina lanciata a tutta velocità in una gara di rally.
Non avrebbe potuto funzionare a lungo.
« Porc.. Lexa, ascolta! » cercò di urlarle dietro « Tutto questo è ridicolo! Tu ti stai rendendo ridicola! » spiccò un altro salto, finendo rovinosamente per abbracciare l’ennesimo tronco.
« Non sono io quella che sta saltando in giro come una scimmia » sentì indefinitamente alla sua sinistra.
Non si era aspettata che le rispondesse. Poco male. Spiccò un salto in quella direzione.
« Mi stai costringendo tu! » le urlò di rimando.

Silenzio. Clarke scrutò nel bosco che mano mano diventava sempre più fitto, continuando dritto nella sua corsa.
Finalmente i rami si diramarono un poco, e Lexa fu di nuovo visibile. Con un ringhio, la psicologa iniziò a correre disperatamente in salita, finchè non raggiunse la sommità della collinetta.
Lexa era lì che correva in discesa, proprio di fronte a lei, veloce come gatto.
Da quella sommità, Clarke pensò, avrebbe potuto spiccare un salto come aveva fatto la prima volta e avrebbe potuto tagliarle la strada. Un bel salto. Decisamente grande.
“Non strafare..” pensò.
Se quello che Raven le aveva detto era vero, quello avrebbe potuto essere un suicidio. O almeno una gamba rotta. Ma ne andava del progetto, della sua carriera.
Se se la fosse lasciata scappare ancora, sarebbe stata un’altra sconfitta.
E tutti sapevano che quello era il punto debole di Clarke.
« Beh, grazie tante Lexa, eh. » Mormorò sarcastica prendendo la rincorsa e sentendo i muscoli tremare quando spinse con tutte le sue forze sulle ginocchia piegate, prima di prendere letteralmente il volo.
Che durò infiniti secondi. Minuti. Ore.
Nel qual mentre, realizzò che forse non ne era valsa tanto la pena, che forse avrebbe dovuto semplicemente accettare una tantum di essere la perdente della situazione, e che quell’esoscheletro, per quanto figo potesse essere, non le avrebbe mai attutito una caduta da quindici metri d’altezza.

E aveva ragione. In parte.
Chiuse gli occhi prima di vedere il suolo abbattersi contro di lei, coprendosi la testa con le braccia. Poi, sentì il suo corpo comprimersi all’impatto come una molla, sbilanciarsi di lato e continuare a compiere il suo tragitto per inerzia, ruzzolando sul terreno tra gli alberi.
A quella velocità avrebbe sicuramente centrato un tronco spezzandosi il collo o la colonna vertebrale.
Spiaccicata su di un albero..
Il tempo sembrava non finire mai, mentre il mondo tutto intorno sembrava un indistinto ammasso di foglie e di legno, che vorticava e vorticava senza fine.
Passarono attimi, minuti forse, in cui Clarke non sembrava arrestare la sua corsa verso l’oblio.
“Fa che almeno sia indolore”

Stump.

Il colpo arrivò improvviso e inaspettatamente molto meno doloroso. Sentì che qualcosa dietro la schiena aveva finalmente fermato il suo ruzzolare scomposto.
Rimase diverso tempo ad ansimare, tremante, con la testa sepolta tra le braccia.
Non voleva vedere, non voleva sapere. Aveva paura di aprire gli occhi e di scoprire il suo corpo spezzato orribilmente in due contro una roccia. Forse non sentiva dolore perché anche tutti i suoi nervi erano andati.
« Clarke.. » sentì chiamarsi. Quando aprì gli occhi scoprì che Lexa era alle sue spalle. Letteralmente, contro le sue spalle.
Si riscosse, guardandosi intorno stupita. Erano in una piccola radura dalla rada vegetazione.
« Cosa.. ? »

Poco dietro Lexa, stesa al suo fianco, un’enorme quercia secolare.
Lexa la spinse di lato, prima di alzarsi frettolosamente. Le girò intorno e le si accucciò davanti, tastandole le braccia e le gambe, poi le guardò intensamente il torace. Infine le prese la testa tra le mani e le guardò le pupille.
Clarke osservava ogni suo gesto allucinata, come in trance.

Infine, Lexa afferrò un qualcosa di indefinito, portandoselo alla bocca e mormorando
« E’ tutto ok. Potete rientrare. »

Senza aggiungere altro si alzò.
Clarke deglutì. Si aspettava una ramanzina acidissima.
Invece l’altra la fissò solo per qualche secondo prima di girarsi per andarsene.
«As.. aspetta. Che cosa è successo? » la bloccò la voce della bionda alle sue spalle.
Clarke vide Lexa fremere sul posto, evidentemente indecisa se risponderle o riprendere imperterrita a camminare.
«…»
La bionda si rimise a fatica in piedi.
« Dove stai andando? » le chiese appoggiandosi zoppicando alla quercia.
« Che domande. Riprendo a correre. » le rispose secca Lexa senza voltarsi.
Clarke sbottò in una risata incredula
« Fai sul serio? E mi lasceresti qui, nel mezzo del nulla? Ma che hai al posto del cuore, una nocciolina secca? »
« Non ti ho costretto io a seguirmi » le disse l’altra, asettica, riprendendo a camminare
« E così te ne vai di nuovo. Non capisci che non ha senso? Cosa speri di ottenere facendo così? » le urlò dietro Clarke, ancora dolorante.
« Mi sembra ovvio. Ottengo di non parlare con te » le rispose Lexa piroettando sul posto per guardarla con uno sguardo sarcastico.
« E credi davvero che servirebbe? Anche se tu riuscissi a “farmi fuori” dal progetto, quanto credi che ci metterebbero a trovare un’altra professionista? »
« Ignorerò anche lei. Ignorerò tutti. » le rispose Lexa rallentando.
« E quando ti legheranno ad una sedia e ti ficcheranno un macchinario sul cranio che farai allora eh? Buona fortuna con le cinghie! » le urlò sarcastica Clarke.
Lexa si fermò.
Finalmente.
Stava iniziando ad ottenere qualcosa.
Clarke ne approfittò per zoppicare nella sua direzione.
« Le vedi queste? » si alzò i pantaloni per mostrare i telai in carbonio
« Sarò pure una ignorante in materia, ma credo che se mi hanno dato questi cosi in grado di farmi andare in orbita come un razzo non siano di certo sprovvisti di “metodi alternativi” per ottenere le statistiche di cui hanno bisogno.. » le disse guardandola fisso negli occhi.
L’altra non rispose nulla.
« Lexa, non ti lasceranno in pace molto facilmente. Questo levatelo dalla testa. » continuò lei.
Sentiva che finalmente le sue parole, per la prima volta dopo più di una settimana, stavano iniziando a fare effetto.
« Fuggire.. » accennò l’agente, debolmente.
«…non servirebbe. Sei tracciata in mille modi diversi, e tu lo sai » le disse duramente.
Lexa continuò a non dire niente, guardando duramente il terreno di fronte a sé.
«…e allora cosa? » finalmente chiese.

Bingo.

« E allora parla con me. » le rispose ammorbidendo la voce.
« Non ci tengo proprio » le disse l’altra fulminea
Clarke ruotò gli occhi al cielo
« Non c’è bisogno di fare delle sedute. Parliamo del più e del meno. È quello che vogliono ed è quello che gli daremo. » le spiegò con calma.
Lexa si guardò intorno, prima di sostenere il suo sguardo con rinnovata fierezza.
« Rebecca non è così stupida. »
Forse anche lì potevano sentirle.

« Non sto cercando di fregare nessuno » si affrettò a dire « ma ognuno ha i suoi metodi di analis... fare il proprio lavoro… » si corresse, cercando di evitare termini troppo tecnici.
Doveva ricordare che stavano contrattando per delle banalissime chiacchierate, non per una seduta di psicanalisi «…beh, questo è il mio. » concluse.
Lasciò all’altra il tempo di riflettere attentamente sulla proposta.
Lexa sembrò prendere le sue parole in attenta considerazione. Dopo qualche secondo di immobilità, alzò un braccio e glielo porse.
Clarke lo strinse alla romana, incredula e con il cuore che fremeva di gioia.
Aveva vinto!
« A una condizione. » aggiunse l’agente all’improvviso.
Ecco. Lo sapevo.
« Cosa? » le chiese con un sorriso nervoso.
« Veniamo a fare jogging tutti i giorni. Anche quando piove. » le disse guardandola negli occhi, irremovibile.

All’immagine di lei completamente fradicia sotto la pioggia e il vento, sporca di terra, Clarke deglutì. Avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa del genere.

« …Affare fatto. »








 
  
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