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Autore: Mearmind    10/03/2017    2 recensioni
E se Daryl, dopo la morte di Beth, volesse andarsene per non tornare mai più?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera a tutti! La storia è ambientata durante la quinta stagione, appena dopo la morte di Beth. Alcune cose sono state leggermente modificate per permettere che la storia avesse luogo. A essere onesta non sono molto soddisfatta del risultato ottenuto...avevo una idea in testa ma nel momento in cui l'ho scritta le cose sono andate diversamente e non è venuta esattamente come volevo. Fatemi sapere comunque cosa ne pensate se vi va, anche se so che ci saranno delle lacune. Ma spero che comunque almeno un pelo vi piaccia..siate clementi! :) Grazie mille e buona lettura!


Ormai erano giorni che camminavano. E nessuna ombra di cibo, o acqua, o un riparo. I vaganti continuavano a braccarli, quindi la soluzione era solo quella di andare avanti. Sporchi, affamati, stanchi e inariditi da quella vita che ormai non sembrava più appartenergli. Erano lontani i giorni in cui si svegliavano insieme cella contro cella, si davano il buongiorno, facevano colazione e si battevano per una vita migliore. Erano lontani i giorni in cui le armi erano diventate quasi un peso da portarsi appresso, perchè ora la scelta poteva essere tra un'arma, un libro, una pala, un'altra mano. E la speranza aveva cominciato a crescere. La speranza di una vita che fosse realmente vissuta.

Daryl ci aveva creduto davvero. Quella era la prima volta che credeva davvero in qualcosa. La prima volta che si sentiva parte di qualcosa. In tutta la sua vita era sempre stato dietro le spalle di qualcuno, senza mai poter decidere da solo. Sua madre, suo padre, Merle. All'inizio non aveva potuto, e successivamente non gli importava più. Era più facile affidarsi a qualcuno, anche se quello che quel qualcuno faceva non combaciava con i suoi desideri. Ma chi aveva detto che i suoi desideri fossero poi così importanti? Alla fine i desideri erano solo per gli smidollati che non riuscivano a far fronte alla realtà, che era ben diversa. Lui conosceva solo quella vita, e gli andava bene anche così.

Ma poi, in quel mondo che ormai era finito, dove non esistevano più leggi e regole, paradossalmente lui aveva ritrovato se stesso. Mai avrebbe creduto di poter contare su altre persone che non fossero suo fratello. Mai avrebbe creduto di poter provare quello che invece sentiva crescere dentro di lui giorno dopo giorno, sempre un pelo di più. All'inizio era solo come un piccolo tintinnio a cui nemmeno ci faceva caso. Un fastidioso ronzio di una zanzara che però non lo lasciava mai. Ma man mano che il tempo trascorreva, si rese conto che la presenza di alcune persone sembrava non dargli poi così fastidio. Gli chiedevano aiuto spesso, è vero, ma anche quella era una novità che più di tanto non lo infastidiva. In quel mondo post-apocalittico, in cui tutti si sentivano abbandonati e soli, lui si sentiva quasi felice. Sentiva quasi di aver trovato una famiglia.

A quel pensiero, Daryl strinse i pugni talmente forte che le nocche cominciarono a diventare bianche per lo sforzo e un sottile rivolo di sangue cominciò a scendergli dalla mano destra.

Che stupido coglione che era stato. Come aveva potuto pensare che la cosa potesse davvero funzionare? La sua intera vita ne era la testimonianza. Non esiste un lieto fine. Non per lui. Soprattutto non in quel mondo. Il crederci era stato il suo piccolo inferno personale. Il crederci lo aveva portato a pensare che forse, forse, una vita felice era possibile. Con Rick, Michonne, Carl, Judith, Maggie, Glenn, Beth. Carol. Il crederci aveva instillato in lui una piccola, piccolissima scintilla, che era arrivata a bruciare così tanto da fargli male al petto.

Ed ora...ora quella scintilla si era spenta, lasciando un buco enorme nel suo cuore.

Avrebbe dovuto capirlo subito dopo la perdita della prigione. Capirlo e inevitabilmente accettarlo. E invece il suo era un desiderio talmente grande che la paura non era riuscita a sopraffarlo. La speranza che un finale migliore fosse possibile.

La prigione, la scomparsa di Beth, Terminus, la sua morte. Per lui era troppo. Non poteva più accettarlo. Lo credevano forte, ma in realtà non lo era affatto. Non lo era mai stato. Era solo quello che era abituato a mostrare, una corazza forgiata da anni di violenze, abusi, indifferenza e noncuranza. Una corazza che ora si era incrinata, ma che avrebbe fatto molto presto a rinsaldare, rendendola ancora più forte di prima.

Ormai aveva deciso. Con sguardo distratto guardò ad uno ad uno le persone che gli camminavano di fianco. Ce l'avrebbero fatta tranquillamente anche senza di lui. Una bocca in meno da sfamare. Forse lo avrebbero cercato per un po', ma lui era bravo a non lasciare tracce, era abituato a essere invisibile. Quindi lo sarebbe diventato.

Quella sera avrebbe raccolto quel poco di cose che gli erano rimaste e se ne sarebbe andato. Per sempre.

 

***

 

Quando arrivò finalmente il tramonto a dare un po' di conforto da un'altra giornata fin troppo calda e senza nuvole, il gruppo alla cui testa c'erano Michonne e Carl decise di cercare un rifugio per la notte. Daryl aveva visto un fienile poco lontano da lì quindi si dirigerono tutti in quella direzione e dopo aver controllato l'intero perimetro ed essersi assicurati che non ci fossero vie di accesso secondarie, accesero un fuoco e mangiarono quel poco che gli era rimasto. Completamente esausti da ore di camminata, assetati e perennemente affamati, quasi tutti si addormentarono quasi subito, mezzi rannicchiati a piccoli gruppi sopra dei materassi di fortuna fatti con la paglia. Di guardia c'erano Tara e Rosita, che fantasticavano su centri commerciali pieni zeppi di cibo, vestiti e, Dio, bagnoschiuma e prodotti per la pelle. Carol, che le osservava sdraiata al buio, pensò fossero discorsi decisamente stupidi da fare, ma si ritrovò a sorridere pensando a quando invece fossero così normali.

Mentre quasi desiderò di unirsi a quelle ragazze per poter sognare un po' anche lei a occhi aperti, un movimento catturò la sua attenzione in un angolo del fienile. Tirandosi su su un braccio solo, vide la balestra di Daryl sparire da una apertura che avevano chiuso precedentemente con un grosso sasso.

Dove stava andando?

Senza far rumore si alzò e andò in quella direzione, spostando a sua volta il masso non senza fatica e passando da quel buco. Accidenti, era così piccolo! Come aveva fatto Daryl con tutta la sua mole e la sua balestra a passarci?

Una volta fuori le ci volle qualche minuto per abituarsi al buio. Lei non era un gatto selvatico come lo era Daryl, ma un brutto presentimento la costrinse a muovere i primi passi senza vedere esattamente dove stesse andando. Quando finalmente cominciò a distinguere le prime figure di alberi, complice la luna che fortunatamente non era coperta da nuvole, Carol vide l'inconfondibile fazzoletto rosso di Daryl che si spostava sempre più lontano dal loro rifugio. Una stilla di paura cominciò a riversarsi nel suo stomaco fin troppo vuoto, riempiendolo quasi subito. Estrasse il suo coltello e cominciò a correre in quella direzione, senza quasi fare attenzione a quello che la circondava. Con il tempo aveva imparato ad essere molto silenziosa anche mentre correva, anche dentro a un bosco. Non appena si trovò a 10 metri da lui si appoggiò a un albero per riprendere fiato e lo chiamò.

Daryl per tutta risposta si voltò pronto a sferrare una freccia al suo nemico. Assorto com'era non si era nemmeno reso conto da chi proveniva quella voce. Non appena vide il suo volto abbassò la balestra imprecando sottovoce.

“Dannazione Carol, vuoi morire?” e tirando un sospiro si rimise a tracolla la sua arma.

Carol non si curò della sua domanda e cominciò a camminare verso di lui.

“Dove stai andando?”

“Torna dentro, qui fuori è pericoloso.”

“Lo so che è pericoloso, per questo ti ho seguito. Dove stai andando, Daryl?”

Lui per tutta risposta non proferì parola. Con una mano sulla tracolla della balestra e l'altra che si tormentava le unghie, continuò a fissarla tra i i ciuffi di capelli che erano diventati ormai troppo lunghi, mordicchiandosi leggermente il labbro inferiore.

Carol ora non aveva più dubbi. Lo conosceva. Lo conosceva talmente bene che non c'erano bisogno di parole. “Perchè?” Questa fu l'unica parola che le venne in mente, ma sapeva già la risposta. A loro non erano mai servite tante parole. Sapeva già il perchè. Dopotutto loro erano così simili, anche se così diversi. Quello che lui provava in quel momento era quello che lei aveva sentito e aveva temuto per lungo tempo.

Dopo un minuto lungo un'ora, Daryl abbassò lo sguardo. “Addio Carol” e si girò per andarsene, ma Carol con un'ultima corsa lo raggiunse e lo afferrò per il braccio libero.

“Lasciami!” e con uno strattone si liberò dalla presa, deciso a mettere fine a quell'agonia il prima possibile. Ma improvvisamente sentì la sua guancia destra andargli in fiamme e si ritrovò a sbarrare gli occhi, fissando la donna con puro stupore.

Carol era ancora con la mano a mezz'aria, il viso una maschera di rabbia. Non appena ebbe ottenuto la sua attenzione le parole le uscirono come un fiume in piena.

“E così credi di potertela svignare nel cuore della notte vero? Credi che sia questa la soluzione? Pensi davvero che non saremmo venuti a cercarti, che non ci saremmo preoccupati per te?! Lo capisco...capisco il tuo dolore Daryl, ma...”

“Io non sento più niente.” Le parole di Daryl uscirono fredde, quasi senza umanità. In quel preciso momento voleva mettere dei chilometri fra loro due e quella conversazione. L'unico suo desiderio era quello di scappare. E così di colpo si girò e prese a correre in mezzo alla foresta. Corse come se ne valesse la sua vita. Riuscì a fare qualche centinaio di metri sempre con lei alle calcagna ma il peso della balestra, la strada buia e accidentata e la stanchezza dei giorni precedenti non gli permisero di seminarla, e quando lei lo raggiunse lo strattonò per la balestra, cosa che lo prese alla sprovvista e gli fece perdere l'equilibrio, facendolo cadere rovinosamente a terra. Poteva sentire chiaramente il fiatone di Carol dietro di lui farsi sempre più vicino, mentre lui, sfinito, si tirò faticosamente su con le braccia, togliendosi la balestra dalla schiena e rimanendo in ginocchio con la testa bassa e le braccia abbandonate sulle ginocchia infilate nella terra fresca di umidità.

“Ti prego, lasciami andare” il suo fu quasi un sussurro. Con i capelli che gli coprivano il viso e la testa di lei che le pulsava terribilmente per la corsa forzata appena fatta, riuscì a malapena a sentire quello che lui le chiese. Seduta con le braccia che sostenevano il suo corpo poggiato all'indietro, nel sentire quelle parole gli occhi le diventarono lucidi, e una piccola smorfia cominciò a formarsi all'angolo della sua bocca.

Carol sapeva. E capiva. Con fatica si trascinò davanti a lui, e vedendo che lui non alzava lo sguardo gli sfiorò con la mano il suo ciuffo di capelli. - cavolo, erano diventati così lunghi- si ritrovò a pensare, con un leggero sorriso.

“Sai, quando ti ho conosciuto avevi i capelli così corti. Il tuo comportamento con quelli del gruppo era decisamente intimidatorio e strafottente ma non ci facevo troppo caso. Dopotutto Ed con me era anche peggio quando voleva. Ho sempre pensato che quel tuo taglio così corto stonasse un po' col tuo carattere. Un taglio così pulito e ordinato per un uomo che si comportava come un ragazzino saccente, irascibile e attaccabrighe. Non mi piacevi per niente. Ti guardavo da lontano e credevo che il tuo unico pregio fosse quello di saper cacciare. Ma poi...poi Ed è morto, io ho potuto respirare di nuovo con i miei polmoni, e in un attimo ho perso Sophia. E tu, più di tutti, con quel tuo cipiglio arrogante e i tuoi modi di fare bruschi, mi sei stato più vicino di chiunque altro. Mai avrei pensato una cosa del genere. Un atteggiamento del genere me lo sarei potuta aspettare da persone come Rick, Shane, Lori. E invece chi mi ritrovo vicino? Un ragazzo di poche parole che non sapeva nemmeno che cosa volesse dire prendersi cura di qualcuno”

Mentre Carol parlava, la sua mano sinistra continuava a sfiorare i capelli di Daryl, toccandogli delicatamente ogni singola punta e spostandoli di qualche millimetro per poi farli ricadere di nuovo davanti al suo viso. Un movimento innocente, come quello di una bambina che gioca distrattamente mentre racconta una storia che l'ha appassionata.

“All'inizio non comprendevo il perchè tu ti ostinassi così tanto a cercare la mia bambina. Non era tuo dovere e di sicuro non era un tuo problema. Ma poi mi portasti quella rosa...e capii. Non eri la persona che volevi ostinatamente far credere di essere. Non eri minimamente così. Eri diverso. E avevi voluto provare a dimostrarlo restituendomi l'unica persona che mi era rimasta. ...”

“E ho fatto proprio un gran bel lavoro” soffiò lui, scostando di malo modo la mano di Carol con un gesto veloce del viso. Carol fece finta di niente e questa volta gli posò la mano destra sulla guancia, costringendolo a guardarla.

“Ehi guardami...non è stata colpa tua. Non è stata colpa tua né Sophia, né Hershel, né Beth. Mi hai capito bene?”

Nel sentire i nomi dei loro compagni, Daryl si rimise in piedi, staccandosi del tutto dal suo contatto.

“Basta, Carol”

“Non è stata colpa tua” Ora anche lei si era rimessa in piedi e lo fissava dritto negli occhi.

“Ti ho detto di smetterla!” Il tono di Daryl si era fatto più aspro, quasi cattivo.

Di rimando Carol gli appoggiò la mano sulla spalla e lo fissò dritto negli occhi.

“Non è stata colpa tua, Daryl” e a quelle ultime parole appena sussurrate lui ricadde di nuovo in ginocchio, annientato. Lei avvolse le sue braccia intorno alla sua testa e lo strinse forte a sé, quasi a volerlo proteggere, mentre lui si lasciava irrimediabilmente andare. Tutto il dolore, la disperazione, la speranza, la gioia, la delusione, il senso di colpa...tutto si trasformò in lacrime. Lacrime silenziose troppo a lungo dimenticate. Lacrime per non essere stato abbastanza, per non aver fatto abbastanza. Lacrime per il suo io che aveva sperato ed era rimasto ferito.

Carol lo strinse ancora più stretto.

“Non è stata colpa tua...non nasconderti, Daryl. Non permettere a te stesso di mollare. Non scappare. Lotta.” la sua voce fu un sussurro appena percettibile, ma Daryl le rispose abbracciandola a sua volta.

Non seppero per quanto tempo rimasero così abbracciati, senza dire una parola. A un certo punto si accorsero solamente che i primi raggi di un timido sole stavano filtrando attraverso la fitta rete di alberi e così lentamente si staccarono. Daryl non appena si staccò dal suo abbraccio si girò e prese le sue cose. Carol fece un leggero sorriso. Dopotutto, era sempre Daryl...e a lei piaceva proprio per questo. Il suo sorriso poi si fece più ampio quando lui le porse la mano timidamente per aiutarla ad alzarsi. Mentre lui raccoglieva le sue cose le loro mani rimasero intrecciate e Carol potè constatare che lui non nessuna fretta di eliminare quel contatto. I suoi occhi si fecero di nuovo lucidi e non potè evitare di avvolgere la sua mano anche con l'altra, appoggiando la testa contro il suo braccio. La stretta di lui si fece un po' più forte. Lei sorrise ancora un po'. Alzò lo sguardo e i suoi occhi incredibilmente incrociarono quelli di lui. Il suo sorriso si fece più ampio, seguito da quello più timido e appena percettibile di lui.

“Torniamo al fienile, gli altri si staranno chiedendo dove siamo finiti” disse lui con noncuranza.

Si, tutto sarebbe andato bene, pensò Carol. Non c'era stata mattina più bella di quella.

 

  
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