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Autore: Chemical Lady    11/03/2017    1 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte seconda: il caso Kamata

 

 

 

 

Aiko non si era seduta alla sua scrivania, una volta entrata in ufficio. Era rimasta in piedi di fronte a Take, che sedeva dietro la sua, con le mani strette in grembo e l’espressione seria, impossibilitata a tenere gli occhi sul prima classe.

Come se fosse già un’estranea fra quelle pareti.

Il caposquadra non le prestò attenzione sino a che non finì di leggere la richiesta di trasferimento e anche allora, prima di rivolgersi alla ragazza, fissò la firma di Kishou Arima, proprio nello spazio accanto a quello in cui avrebbe dovuto siglare anche la sua.

«Hai già parlato con il classe speciale?» si informò superfluamente, intingendo il pennino nell’inchiostro. Non diede il tempo a Masa di rispondere. Firmò molto velocemente e timbrò il documento, prima di controllare l’ora nell’orologio da polso. «Se ti sbrighi, magari puoi andare questa sera stessa da Noriko, per fare richiesta per la visita psicologica necessaria per accedere al programma scientifico.»

Mordendosi il labbro, Aiko annuì «Lo farò.» Si sporse a prendere il foglio dalla mano dell’uomo, stropicciandolo appena per quanto forte lo strinse. Poi si rivolse ad Hirako, incapace mettere a tacere ciò che le ronzava per la testa « Ho lavorato per te per quasi due anni. Sei stato il mio mentore, il mio capo e un amico. Non mi chiedi perché ora voglio andarmene?»

Take, finalmente, la guardò negli occhi. Non c’erano tracce di risentimento sul suo volto, solo la solita, apatica espressione. «Hai scritto tutto ciò che di importante c’è da sapere nella domanda che mi hai presentato questa mattina. Ammetto che mi hai preso in contropiede, Aiko-kun. Non mi aspettavo una tale richiesta da parte tua.» fece una pausa, tamburellando la base pulita del pennino contro il tavolo e sporcandosi appena il dorso della mano con un paio di gocce color petrolio «Il progetto Quinx è sperimentale. L’intervento è pericoloso e potresti anche non sopravvivere o rigettare l’organo, perdendo l’uso delle gambe se qualcosa va storto e il kukaku ti verrà trapiantato sulla schiena.»

«Ti sei informato bene.»

«Sei uno dei miei uomini, Masa Aiko. Ho fatto molte telefonate prima di decidermi a firmare.» ci fu una lunga pausa, che venne interrotta con un sospiro di Take «Arima ha minimizzato come sempre e io ho deciso di parlare direttamente con Shiba e Chingyou. Se credi che questa sia la tua strada, se vuoi provare qualcosa di estremo, vai pure. Mi dispiace solo che la mia direzione non sia stata di tuo gradimento.»

Aiko, che aveva abbassato lo sguardo sulla punta degli stivaletti, li rialzò di colpo «Non ho scritto questo nella mia richiesta di trasferimento. Ho detto che voglio sottopormi alle procedure mediche per accedere al progetto QS perché stimolata dai risultati ottenuti dal primo gruppo.»

«No, è vero. Non lo hai fatto, ma l’ho sempre saputo. Non ti piace essere messa sotto pressione e non ti piace lavorare con gli altri, ad eccezione di Kuramoto. Senza contare che io ho sempre rigettato qualsiasi tua proposta di indagini criminologiche o psicologiche approfondite, perché non credo che questo sia il nostro lavoro. Questo fatto in particolare ti ha sempre penalizzata e magari pensi che avendo un’arma del genere impiantata direttamente sotto pelle, allora non avrai bisogno del resto della tua squadra e potrai fare ciò che preferisci.» Masa aprì la bocca per ribattere, ma Take alzò la mano per fermarla subito. Drizzò la schiena, sporgendosi verso di lei col busto e appoggiando i gomiti alla scrivania. Per la prima volta le parve arrabbiato, ma solo nel modo di porsi. Di nuovo, nessuna espressione tradì le sue emozioni «Non si sopravvive da soli, te l’avrò detto mille volte. Sasaki è sicuramente un capo migliore di me, più caloroso ed empatico, tanto che magari saprà viziarti come desideri. Forse ti farà capire l’importanza del gioco di squadra. Io in questo ho fallito.»

Stizzita da quelle ultime affermazioni, Masa andò alla porta dopo uno sbrigativo inchino, fatto giusto per essere educata. Le paternali di Hirako non le sarebbero mancate affatto. Non era suo padre, per quanto si impegnasse nell’esserlo. Non era mai soddisfatto, non era mai contento, non aveva mai pazienza. E Masa si era convinta che non lo avrebbe mai capito, anche se sapeva che entrambi provavano un sincero affatto verso l’altro, dopo tutto quel tempo passato a lavorare gomito a gomito.

«Aiko-kun.» di nuovo, la bloccò, stavolta sulla porta. Lei si voltò a guardarlo di tre quarti, con una mano già sulla maniglia e la voglia di evadere per sottrarsi ai suoi occhi sottili «Ito lo sa?»

Quel briciolo di umanità esternata quasi per obbligo la fecero sorridere amaramente «Lui lo sa da un po’. Forse da prima di me.» Lasciò la stanza in fretta, camminando per il corridoio con il cuore pesante. Nonostante non lo avesse mai dimostrato, aveva amato il suo tempo trascorso nella squadra Hirako. Aveva detto addio a tanti amici, si era sentita amata come una figlia o una sorella, anche se spesso in disaccordo con la linea di guida di Take.

Si era sentita amata e basta.

Però era arrivato il momento di cambiare.

Era obbligata a farlo.

 

Capitolo undici.

Shirazu aveva capito che c’era qualcosa di strano nell’aria quando, una volta sistemate le chiavi della macchina sull’apposito gancio dell’ingresso, aveva notato la testolina azzurra di Yonebayashi sbucare con entrambi i codini oltre il bracciolo del divano. Erano quasi le undici e trenta di sera, orario durante il quale la ragazza si rintanava nella sua stanza a guardare serie tv o puntate di anime, cibandosi con alimenti di dubbia provenienza e ben poco salutari che facevano arruffare Sasaki. Certo, avrebbe potuto farlo anche in salotto, ma lì mancava la massima potenza del wifi, che non arrivava molto bene al piano di sotto rispetto alle stanze.

«Ei, che ci fai qui?» le chiese precedendo i suoi due compagni di bevute nella stanza, mentre Sasaki sottolineava per la trentesima volta quanto avesse bisogno di dormire tutta la notte a Mutsuki, il solo che davvero continuava a prestagli attenzione mentre si lagnava come un bambino. Akira era arrivata a ficcargli in bocca un intero pugno di arachidi a costo di farlo vomitare per ore, solo per zittirlo.

La ragazza non rispose. Non alzò nemmeno gli occhi dallo schermo del telefono e quando Shirazu notò che indossava gli auricolari, ci mise due secondi a schiaffeggiarla ripetutamente con un cuscino sul capo.

«Caposquadra!» trillò quasi estasiata per non essere più sola. Altra cosa che fece insospettire l’altro, visto quanto asociale diventava durante le maratone di D&D online o quando usciva qualche nuovo videogioco per la consolle «Finalmente siete tornati» proseguì tirandosi seduta e appoggiando entrambe le mani sullo schienale del divano per spiare anche gli altri due, che la salutarono con un sorriso. «Mamma, ho una brutta notizia.»

«Oh» Haise sbattè gli occhi un paio di volte, prima di sospirare rassegnato «Quanto forte si sono picchiati Urie e Masa in queste due orette scarse?»

Saiko non sapeva bene come rispondere. Così, per evitare di dover trovare le parole giuste, prese a frugare nella generosa scollatura lasciata visibile dalla vestaglia mezza aperta, estraendo una piccola mazzetta di banconote dal reggiseno. Lo porse quindi a Shirazu, che continuò a guardarla senza capire.

«Cosa-»

«Questo è un quarto del mio stipendio mensile» gli fece sapere non appena l’altro ebbe accettato i soldi, tornando a stendersi con non curanza «Il resto lo avrai con la prossima busta paga.»

Le reazioni che seguirono furono molto differenti fra loro. Shirazu ancora non capiva, guardando perplesso la ragazza e alternando sguardi alle banconote che stringeva ancora nel pugno. Haise sbadigliò, lanciando uno sguardo verso le scale ancora chiedendosi quale fosse il problema, prima di irrigidirsi con gli occhi ben puntati verso i gradini e una mano a grattarsi i capelli, folgorato dalla consapevolezza. Mutsuki, che invece aveva capito subito, si era ghiacciato sul posto, immobile e un po’ pallido rispetto al suo solito colorito bronzeo.

«Quindi? Chi mi spiega?»

«Shirazu ha vinto la scommessa??» Tooru quasi lo spinse di lato, affacciandosi sul divano e strappando via uno degli auricolari di Saiko.

Lei lo guardò con espressione ovvia «Secondo te perché sarei qui sennò, Mucchan? Quello che stanno propinando quei due io lo chiamo inquinamento acustico.»

A quel punto, messo di fronte al fatto molto chiaramente, anche il caposquadra ci arrivò. Sgranò gli occhi fino all’inverosimile, prima di lanciare a sua volta uno sguardo alle scale. E poi prese a ballare. «Hai sentito Sassan?? Sono ricco! Ricco!»

«Come è potuto succedere?» si lamentò sofferente Haise, tenendo una mano alla fronte come se fosse sul punto di piangere. Si trascinò al divanetto di fronte a quello su cui si era arenata Saiko, sedendosi senza grazia su di esso, mentre Tooru si appoggiava allo schienale, più preoccupato per il loro mentore che per tutto il resto di quella storia ai limiti dell’incredibile. Solo per lui era incredibile, il resto dei residenti della casa si chiedeva perché non fosse successo prima. Persino Sasaki, nonostante stesse montando un teatrino degno di una drama queen. «Ti è sembrato consensuale, Saiko?»

«Non credo che Macchan avrebbe problemi a ucciderlo se non lo fosse.»

«Parla di Urie» le disse Tooru, mentre Shirazu continuava ad agitarsi come una scimmia ubriaca per tutto il salotto, sventolando le banconote di Yonebayashi come se fosse un bellissimo ventaglio.

«Lui è andato da lei» proseguì la ragazza, con gli occhi piantati sullo schermo «A dire il vero ce l’ho mandato io, ma si vedeva che gli serviva solo una scusa. Le ha portato un muffin e dopo un po’ ho sentito Aiko singhiozzare. Poi è iniziato un concerto degno di un porno.»

«E ora?» si informò Mutsuki.

«Ora io vado a dormire, non voglio sapere altro.» Haise si alzò, traballante. Si era preso cura di Masa la notte precedente, quindi non chiudeva occhio da più di ventiquattro ore. Non gliene importava niente della scommessa, ma avrebbe dovuto affrontare quella situazione a mente sgombra. «Ne parliamo domani mattina.»

Tutti lo guardarono allontanarsi verso le scale e quando lo sentirono fermarsi all’ultimo gradino, velocizzando poi il passo una volta ripartito, Yonebayashi sorrise divertita «Io non salirei per ora, se fossi in voi due. »

 

La mattina seguente Shirazu stava ancora ballando, quando Haise lo vide scendere le scale a saltelli. Non servì a nulla intimargli di fare attenzione per non cadere, era semplicemente troppo felice. Lo fu di più quando il mentore gli mise in mano un rotolino di banconote decisamente più grosso di quello di Saiko, deciso a pagare il debito con in un’unica volta, al contrario della ragazza.

«Non abbiamo ancora dimostrato del tutto che hai vinto tu» soppesò, mentre serviva un po’ di riso bianco a Tooru, guardando verso il caposquadra che si era messo a contare la vincita con la stessa flemma di un mafioso «Voglio dire, come facciamo a sapere che non sono innamorati?»

«Il fatto che si urlino addosso le peggiori bestemmie mai udite dal genere umano dal mattino alla sera non basta?» chiese con disinteresse Shirazu, prima di lanciare uno sguardo a Sasaki «Non sono innamorati. La tensione sessuale fra loro si tagliava col coltello da burro perché ne avevano entrambi bisogno.»

«Ci sono diversi modi per manifestare amore» insistette Haise, sventolando una paletta per staccare il pesce dalla padella come se fosse una bacchetta magica «Loro hanno questo carattere un po’…. Particolare.»

«Va bene» concesse quindi il giovane, sporgendosi sul tavolo per guardarlo meglio «Ti concedo che sono entrambi un po’ ruvidi. Però non ho mai visto un gesto un minimo coinvolto da nessuno dei due. Aiko è flirtosa e Uriko un palo in culo.»

«Bevono dalla stessa tazza.»

«Perché Masa gliela ruba.»

«Hanno anche dormito insieme questa notte.»

«Non vuol dire niente. Conoscendo i soggetti, lei lo ha spompato e lui è svenuto.»

Saiko versò un po’ di nattō sul riso bollito, dopo aver scansato uno a uno i semi di sesamo, guardandoli entrambi «La mamma non sa perdere.»

Haise arrossì di colpo «N-non è questo il punto! Ho anche già pagato pegno! Dico solamente che non possiamo esserne sicuri al cento per cento.»

«Se ora si innamorassero? Che succederebbe?» chiese con voce piccola Tooru, come se non intendesse davvero mettere naso nella faccenda.

Shirazu alzò le spalle «Nulla.» decretò «La scommessa era su ciò che sarebbe successo, non sugli svolgimenti. Ora smettetela di fare domande, voglio iniziare a fantasticare sul modo in cui spenderò i miei soldi.»

Tutte le persone presenti sapevano che quei soldi sarebbero andati a coprire le enormi spese mediche per Haru, la sorella di Ginshi, ma apprezzavano come tendesse sempre a rimanere positivo, sdrammatizzando per non far pesare loro quelli che dovevano essere dei pensieri molto pesanti. Dopotutto, per questo era entrato nella ccg. Per questo aveva aderito al progetto Quinx.

Passi veloci lungo le scale li fecero allungare il collo curiosi. Masa si stava ancora infilando la felpa bianca quando apparve con i jeans aperti e le scarpe slacciate in cucina. «Sono in ritardo» uggiolò come un cane ferito, afferrando al volo la tazza che Sasaki le aveva già preparato «Koori mi sta chiamando ininterrottamente e non ho il coraggio di rispondere.»

«A che ora dovreste vedervi?»

Aiko prese un sorso, prendendo il braccio di Sasaki per spiare il suo orologio da polso. Poi lo guardò «Dieci minuti fa.»

«Corri.»

«Ti serve un passaggio?» si informò Shirazu, sventolando qualche banconota «Posso anche pagarti un taxi, volendo.»

Lei si abbassò e lo baciò sulla guancia, abbracciandogli le spalle «Ah quindi hai vinto tu la scommessa? Congratulazioni. Comunque non preoccuparti, mi porta Urie in macchina.»

«Non arriverete mai, allora» gli rispose questo, guardandola chinarsi per allacciare le scarpe e, successivamente, il bottone dei jeans chiari «Uriko guida come mia nonna. Che è cieca.»

Haise cercò di attirare l’attenzione della mora, sventolandole sotto al naso una confezione di ciambelle glassate. Lei ne rubò una, mentre prendeva il telefono dalla tasca, osservando il nome del classe speciale Ui lampeggiare sullo schermo «Dovremmo parlare di quello che è successo questa notte. Così che tutti possiamo sentirci a nostro agio a-»

«Certo, di’ tu a Ui che mi stai trattenendo e parleremo per tutto il tempo che vorrai.» gli disse, ficcandogli in mano l’apparecchio e addentando il dolcetto. E Sasaki lo fece, rispondendo alla chiamata e scusandosi con Koori che aveva preso a gridargli addosso.

«Ti sei fatta Urie e hai accollato le tue colpe alla mamma» le disse Saiko mentre guardava vagamente spaesata Haise inchinarsi al nulla, supplicando per il perdono «Non so se essere spaventata o ammirata dalle tue doti manipolative, Macchan.»

«Entrambe le cose vanno bene.»

Mutsuki guardò il mentore, dispiaciuto «Non è stato molto carino da parte tua, Aiko-kun.»

«Come mai sei in ritardo?» la domanda di Shirazu coprì la voce di Tooru, mentre dalle scale si avvertivano i passi decisi di Urie raggiungerli «Avete fatto un round mattutino?»

Lei lo guardò sorridendo sorniona, mentre il ragazzo arrivava in cucina e le rubava la tazza dalle mani, attirando l’attenzione di Sasaki che indicò Shirazu come se si fosse appena verificata una sorta di conferma. Questi però non ebbe il tempo di dir nulla, folgorato dalla risposta della collega «Già, è andata così.» rispose Masa senza paura di mettere a disagio il suo partner che, intelligentemente, aveva indossato le cuffie prima di apparire di fronte agli altri.

Shirazu la guardò spaesato per un paio di secondi, prima di esplodere in una risata divertita. Gli altri due Quinx continuarono a mangiare mentre scuotevano piano il capo, Saiko divertita mentre Mutsuki non sapeva bene dove o chi guardare «Sei la mia eroina.»

«Ero una maiko» la informò Masa, finendo la ciambella e pulendosi le mani in un tovagliolino per rimuovere le ultime tracce di glassa al cioccolato «Sai no, l’arte della geisha…. Irretire gli uomini e fargli fare quello che voglio.» gli spiegò prima di ridere, muovendo teatralmente le mani come se tenesse due ventagli dentro di esse.

Saiko la guardò, mentre Shirazu si lanciava in un lungo fischio di approvazione «Da noi a scuola sono venute delle donne a selezionare delle ragazze per iscriverle a una scuola per geisha» disse Yonebayashi, leccandosi le dita per pulirle «Io sono stata scartata perché ho ruttato mentre bevevo il the.»

«Sei tu la vera eroina, Saiko» le disse Aiko, prima di battere una mano sulla spalla di Urie, che non si era seduto ma stava sfogliando velocemente il giornale «Vamos, chico.» e quindi sfilò il cellulare dalle mani del mentore, portandolo all’orecchio «Sto arrivando, classe speciale. Chiedo ancora scusa, ci stavano dividendo gli incarichi della settimana. Sa, chi lava le mutande, chi le stende…» salutò tutti, seguendo l’altro fuori dalla casa.

I quattro al tavolo si scambiarono uno sguardo.

Poi a parlare fu Saiko «Forse potrebbero innamorarsi, sì. Potrei innamorarmi io di una donna così!»

 

 

Miza ammetteva a se stessa di essersi fissata sulla questione, ma il suo desiderio di scoprire qualcosa di più sulla  misteriosa Labbra Cucite era diventata un’ossessione, un pallino personale. Ne ebbe occasione quasi una settimana dopo il raid dell’Aogiri contro il ccg, quando i capi maggiori della cellula vennero convocati per parlare di quella che si era rivelata essere una grande vittoria. Il fallimento del tentativo effettuato mesi prima in concomitanza con lo smantellamento della casa d’aste aveva ripagato la perseveranza: avevano portato via più di due tonnellate di quel prezioso materiale, distribuito su diversi camion, riuscendo a fermare i classe speciale Mougan e Aura, seppur con non poche perdite. Le due squadre si erano rivelate un po’ meno sveglie della S1 di Ui Koori, che invece li aveva rispediti indietro con l’aiuto di Hoiji la prima volta che ci avevano provato.

Miza non sapeva cosa ne avessero fatto di tutto quell’acciaio, ma se ne avessero rivenduto anche solo metà, si sarebbero potuti pagare non pochi sfizi. I costi della loro organizzazione erano ingenti, seppur non pagassero coloro che vi prendevano parte, ma solo alcuni dei capi. Quelli presenti quella sera, per la precisione. Tutti i soldi che entravano andavano a coprire spese secondarie.

Tre Lame era arrivata in anticipo e si era seduta a uno dei tavolini di ferro battuto dalle intemperie, non riuscendo a non notare come Labbra Cucite se ne stesse beata sul fondo, su quello che sembrava un piccolo palco da karaoke, con alcune tavole di legno marcio a comporlo e una tenta blu sbiadito sullo sfondo a decorarlo. Sedeva con in mano un libro di poesie in cinese, immersa nella lettura e immobile, ad eccezione della mano destra che scivolava fra le ciocche bianche di Seidou Takizawa, il gufo pazzo, il quale se ne stava seduto a terra appoggiato contro le gambe della giovane, con gli occhi chiusi e il respiro regolare. Sembrava addormentato.

Chiunque fosse quella misteriosa figura, sembrava avere un vago controllo sull’ex agente. Non totale, certo, ma quello non poteva averlo nessuno. La sua psiche era stata troppo rovinata. 

Miza osservò che aveva delle bende, le quali coprivano gli arti fino alla fine degli avambracci, dove iniziava la manica larga della tunica color crema che indossava. Le gambe erano coperte dalla stoffa che cadeva lunga ed elegante su di esse mentre il capo, sempre coperto dal cappuccio bianco, era avvolto dalle bende immacolate e dalla maschera di cuoio conciato. Sembrava a suo agio, imperturbabile.

A rovinarle la festa ci pensò Ayato. Arrivò come una furia, probabilmente deciso a cogliere al volo l’opportunità di parlarle liberamente, in assenza di Kenta a spalleggiarla. Le strappò il libro dalle mani e lei si tagliò il pollice con la carta. Non fece comunque una piega, portandolo alla maschera, che abbassò per poter passare la piccola lingua rosa sulla ferita. Aveva delle belle labbra.

«Non credi sia ora di iniziare a fare dei conti, stronza frigida?!» le gridò praticamente in viso e lei, di nuovo, non si scompose.

«Tài hǎo le, Ayato-nán hái.» rispose con tono carezzevole e, naturalmente, in cinese. Miza strabuzzò gli occhi, chiedendosi cosa avesse mai detto e il ragazzino parve fare lo stesso.

La fissò in tralice, prima di afferrarla per la tunica, scuotendola. «Quando hai bisogno di me parli un giapponese perfetto. Vedi di farlo anche ora se non vuoi che ti butti di sotto da questo palazzo.»

«Ayato» la voce di Tatara, che stava uscendo sulla piccola terrazza seguito da Eto, fece sobbalzare Kirishima, il quale sperava di avere più tempo «Dacci un taglio o sarai tu a fare un volo.»

Avvilito, stanco e incazzato, il ragazzino lasciò andare la presa. Sapeva che non avrebbe avuto nessun appoggiò lì, non da loro. Erano mesi che insisteva sulla necessità di andare a prendere Hinami per portarla in salvo dalla Cochlea. Perché continuava ad illudersi che pigiare su quella stronza fosse una buona idea?

Labbra Cucite si alzò in piedi, disturbando Seidou che gonfiò il petto come un gufo offeso, poco prima di venire investito da Eto che ebbe la brillante idea di buttarsi su di lui. Ayato li guardò rotolare per un metro, prima di tornare a rivolgersi alla sua interlocutrice,  che si era chinata di fronte a lui con le mani giunte di fronte al viso sussurrando un debole duìbuqǐ, che ebbe l’effetto di offenderlo «Se questo significa che ti stai scusando, allora tienitelo per te. Non mi servono a niente le tue scuse.»

La voce di Tatara attirò l’attenzione, tanto che persino Kirishima dovette smettere di attaccar briga. Non avrebbe comunque ottenuto nulla «Abbiamo riportato una grande vittoria. Ora dobbiamo passare alla fase successiva. Prenderemo la quindicesima e la sedicesima, così da avere il controllo di tutta la zona del litorale e nord-ovest della città. Abbiamo perso la tredicesima e la sesta, ora dobbiamo impegnarci per riconquistarle.»

Miza lo ascoltava fiacca, alternando sguardi al ghoul cinese fino alla figura che ancora se ne stava accanto a lui.

«Potrebbe essere la sua amante» soppesò a voce moderata, attirando però l’attenzione dei tre Smoking Bianche che le sedevano dietro. Non si era nemmeno accorta che erano arrivati anche loro, tanto si era focalizzata sulla giovane.

«Lo pensano in molti» le fece sapere Hooguro, facendola sobbalzare per la sorpresa. Poi, con tono complice, si sporse verso di lei «Ho sentito che è la donna che la sua famiglia gli ha ordinato di sposare. Ora che Tatara ha perso tutto, dopo la fine dei Chi She Lian, vuole onorare questo debito.»

«Potrebbe anche essere semplicemente una sua kohai.» rilanciò subito dopo Shousei «Così potremmo anche spiegarci il motivo per cui la Piccola Bin la detesta tanto.»

Miza li guardò sorpresa «Io non ricordo nemmeno quando è arrivata…»

I due ghoul si scambiarono un’occhiata di pura intesa, poi il biondo si rivolse alla sola persona che poteva saperne qualcosa. Naki. «Capo» lo chiamò di fatto, cercando di attirare la sua attenzione «Cosa sai su Labbra Cucite?»

Questi però guardava spaventato una delle lanterne «Ora non posso, quell’ape vuole attaccarmi.»

Tre paia di occhi si alzarono, per poi riabbassarsi sconsolate «Quella è una falena» gli disse rassegnata Miza, sapendo che non ne avrebbero cavato un ragno dal buco.

E invece si stava rivelando una serata ricca di sorprese «Non so niente. Eccetto che tutti i capi di Aogiri si sono piazzati sui loro sgabelli faticando.» spiegò loro non perdendo di vista la maledetta falena, mentre Hooguro spiegava a Miza che quello che Naki intendeva era che, nell’organizzazione, ottenevi la posizione che meritavi combattendo «Quella lì invece no. Dal giorno alla notte è apparsa e Tatara le ha dato la diciannovesima, uomini e potere. Non so nemmeno che kagune abbia.»

«Nessuno lo ha mai visto?» si informò curiosa la donna. Naki  scosse il capo «Potrebbe non averlo. Se fosse umana?»

«Perché dovrebbe? Tatara non è un simpatizzante degli esseri umani» Shousei sospirò piano, incrociando le braccia sul petto «Non credo sia il caso di indagarci su. Vuole tenersi ben nascosta.»

«Senza contare che non sappiamo molto nemmeno di Tatara» soppesò Hooguro « O di Noro. Cosa sappiamo di loro? Io non so che kagune ha Eto per esempio. Cosa ci importa? Saranno così forti da far sbiancare i denti ai barboni per lo spavento.»

«Non lo so» Miza non sembrava convinta «Vorrei sapere con chi abbiamo a che fare…» i suoi interlocutori non parevano convinti e Naki non stava nemmeno ascoltando, ma lei pensava che sapendo qualcosa in più da quella giovane forse l’avrebbe aiutata a capire meglio anche gli altri. Forse voleva studiarla rispetto a Tatara perché sembrava una persona molto tranquilla.

Forse era solo curiosa.

Quando voltò di nuovo verso di lei, però, era sparita e con lei anche Takizawa.

Quale era il suo vero scopo?

 

 

La seconda e ultima retata ai danni del clan Noburiko si tenne la settimana successiva alla prima incursione, sempre diverse ore dopo il tramonto del sole. Il tutto avvenne secondo i piani, tanto che alle otto del mattino l’intera organizzazione poteva dirsi distrutta. L’ultimo rappresentante della famiglia aveva scelto di morire combattendo, ma erano comunque riusciti a mettere mano su alcuni pezzi grossi del giro, che erano stato immediatamente trasportati al Corniculum.

Il classe speciale Hoiji, il quale aveva portato avanti il progetto, venne convocato dal presidente il giorno stesso. Riportò  ai Quinx, tramite Akira, che si sarebbe tenuto molto conto della loro partecipazione durante le promozioni che si sarebbero tenute a inizio aprile. Non che fosse molto rilevante, visto che tutti loro avrebbero avanzato di un grado, addirittura sembrava che Tooru ne avrebbe acquisiti due. Fu comunque molto gratificante sentirsi dire che il loro contributo era stato prezioso. Masa non aveva capito il perché di tutta quella sorpresa e fu Aizawa a darle una delucidazione.

«Ma che ne sai tu degli strambi, che vieni dalla squadra Hirako? Certo, la sera dell’asta si sono tutti dimenticati di voi perché stavate perdendo tempo con Senza Faccia, ma pensa che dei Quinx non si scordano mai. Li schifano e basta.»

«Grazie, Ivak.» Haise gli servì il the con leggero sarcasmo, che gli si ritorse contro quando il meticcio gli mise sotto al naso una scatola di biscotti pregandolo di servirsi. Non lo avevano invitato, ma quando si era palesato con dei dolci alla loro porta, Saiko lo aveva fatto accomodare.

Di nuovo, Sasaki non ebbe la faccia tosta di mandarlo al diavolo. Cercò di declinare, ma sotto le insistenze del dottore prese quello più neutrale possibile che, alla fine, si scoprì essere alla cannella. Molta cannella. «Che buono» fu il solo commento –per nulla convinto- del mentore dei Quinx, che sparì velocemente in cucina con la scusa di portare altro the.

«Smettila di avvelenare il nostro ghoul.» borbottò Masa, tirandogli un cuscino, lanciando poi uno sguardo verso la cucina per accertarsi che il mentore non l’avesse sentita. Aveva notato quanto lo rattristasse venir definito a quella maniera, quindi aveva iniziato a darsi una regolata. Per lei era un notevole passo avanti.

Urie le si sedette accanto, tenendo gli occhi puntati sul dottore. «Che ci fai qui, Aizawa? Sono costretto a vederti abbastanza al lavoro, mi pare.»

Il biondo portò una mano al petto, come se gli avesse appena sparato al cuore «Come puoi dirmi questo, Oreo? Io ho aiutato a crearti. Ho spostato il tuo polmone destro, tenendolo in mano per qualche minuto prima di cambiarlo di sede per far posto al kakuoho.» l’altro non parve impressionato, solo disgustato, così si affrettò ad aggiungere qualcos’altro, con una certa fierezza «Fortunatamente non sono tutti antipatici come te, per questo sono venuto a dirti che ho seppellito l’ascia di guerra. Masa mi ha gratificato nel suo rapporto, sottolineando che senza di me non sarebbe mai riuscita a rimettere insieme quella bomba così in fretta e ho deciso di perdonarvi entrambi in quanto – ormai anche fisicamente a quanto mi è stato detto – unica entità.»

«Ma parli ancora di quando ti sei offeso con questi due per il caso Embalmer?» chiese divertito Shirazu, sviandolo anche dal discorso sesso, che era stato affrontato così tante volte da far venire a Urie istinti omicidi del tutto nuovi.

Aizawa, che teneva a mettere le cose in chiaro, alzò un dito, saccente «Non mi sono offeso perché mi hanno escluso dalle indagini. Anche se la cosa mi ha ferito.» ripeté come al solito, facendo sorridere divertito sia Tooru che Saiko, che avevano sentito quella storia mille volte «Ma perché hanno chiesto un aiuto alla mia nemesi

«Povero dottor Huang.» sussurrò Masa, scuotendo il capo «Lui lo sa di essere la tua nemesi?»

«Ha, quanti? Otto anni in meno di me?» proseguì imperterrito Ivak, mentre tutti ridacchiavano sotto i baffi eccetto Kuki, che sembrava davvero scocciato dalla sua presenza in casa loro «Come diavolo fa ad avere quattro cattedre all’università Imperiale, aver scritto una ventina di libri ed essere diventato il maggiore esperto del mio campo in tutto lo stramaledetto Giappone?!»

Haise stava per dirgli molto gentilmente che lo riteneva il miglior anatomopatologo col quale avesse mai lavorato, ma il campanello che suonava abbastanza insistentemente gli fece fare una veloce deviazione. «Che posso dirti» rilanciò Masa, alzando le spalle «Huang è un luminare. Non credo abbia molto altro nella vita, eccetto il suo lavoro. Tu hai la ragazza invece, no?»

«Quella  che nessuno ha mai visto?» chiese tagliente Yonebayashi mentre Sasaki salutava educatamente qualcuno alla porta.

Ivak aprì la bocca per sottolineare che la ragazza ce l’aveva sul serio, ma una voce chiara e decisa zittì l’intero salotto.

«Salve, il mio nome è Masa Hachiro e cercavo mia figlia.»

«…. Papà?» Aiko parve spiazzata. Nessuno in quella stanza l’aveva mai vista a quel modo, come se le sue difese fossero improvvisamente crollate. Sasaki lo fece accomodare  e solo a quel punto, spinta dalla necessità, si alzò in piedi con un sorriso tirato sul viso, avvicinandosi all’uomo. Si abbracciarono così brevemente che, battendo gli occhi, quel gesto sarebbe andato perso «Cosa ci fai a Tokyo?» chiese stranita, stringendosi nel maglione largo che indossava su un paio di pantaloncini da casa «Non mi hai chiamato per dirmi che saresti venuto.»

«Lo so, scusami» le rispose lui, sfilandosi il cappello per grattarsi la nuca per metà calva. Lanciò quindi uno sguardo al resto dei presenti «Questa è la tua nuova squadra?» si informò, non dandole comunque il tempo di rispondere «Sono passato al tuo appartamento, ma Kuramoto mi ha detto che lo hai lasciato per un ragazzino appena ventenne, sei diventata matta?»

Shirazu rischiò di strozzarsi con il the per quanto prese a ridere. Non fu comunque l’unico. Aizawa unì le mani sotto al mento, alzando gli occhi al soffitto «Quanto amo Ito.»

«Punto primo: smettila di parlare con Kuramoto, papà. Sono anni che ti dico che ti prende in giro. Non è mai stato il mio ragazzo, è stato il mio compagno di squadra e coinquilino.» la mora sospirò rassegnata, già decisa a farla pagare a Ito non appena lo avesse incontrato «Secondariamente sì, questa è la mia nuova squadra. Il mio mentore Sasaki è questo figurino qui e loro sono il resto dei ragazzi. Eccetto il tipo losco sulla poltrona. Quello è solo un coroner.» Ivak protestò velatamente, ma lei non gli diede retta come sempre «Squadra, lui è Papà Masa. Papà Masa, i Quinx.»

«Che nome pittoresco, sembra quello di una marca di detersivi per piatti.»

«Perché sei a Tokyo?» Aiko non aveva detto niente a suo padre dell’operazione. Non sapeva che aveva rivoluzionato tutto negli ultimi mesi e non aveva intenzione di metterlo al corrente. Per questo incrociò le braccia sotto al seno, spostando il peso da una gamba all’altra mentre lo guardava in attesa.

«Non posso essere qui per vedere mia figlia?» domandò con voce carezzevole, cercando sostegno negli occhi di Haise, che se ne stava ancora in piedi accanto a loro.

«Perché dovresti? Non mi chiami da quasi due anni. Non ci vediamo da di più. Non credo nemmeno che tu sappia il giorno del mio compleanno.» Di nuovo, Aiko riuscì a stendere una patina di gelo in quel salotto. Il suo era proprio un talento naturale. La sua sfacciataggine però era mirata a mettere a disagio solo il padre, il resto delle persone presenti erano un danno collaterale che poteva avere sulla sua coscienza.

Hachiro ridacchiò nervoso «Sei proprio uguale a tua madre» le disse, riuscendo in qualche modo a farla incazzare, visto come mutò la luce all’interno di quegli occhi gialli e rotondi «Certo che so il giorno del tuo compleanno, Aiko.»

«Quindi dillo.»

Passarono alcuni secondi «Il quindici di marzo.»

«Quello è il compleanno di Shinichi. Il mio è il nove di novembre.» alzando le mani, la mora iniziò a palesare tutta la sua irritazione. Gli diede le spalle, tornando verso i divani «Vuoi che dica io perché sei qui? Ti servono dei soldi? Hai fatto qualche casino e vuoi che tua figlia del ccg – che non volevi nemmeno iscrivere all’accademia – ti faccia uscire pulito? Magari hai deciso di provare a sposarti di nuovo per l’ennesima volta e vuoi sbattermelo in faccia? O magari hai deciso di smettere di bere e cercarti un lavoro decente?»

«Aiko, ora basta.»

Lei non sembrava intenzionata a smettere di metterlo in imbarazzo. Voleva che tutti sapessero che persona si era permessa di presentarsi alla loro porta «Perché ancora non l’hai trovato un lavoro, vero? Immagino che non aiuti nemmeno i nonni con l’agriturismo e ti aspetti che io ora sborsi qualcosa perché state andando in rosso? Sì, la nonna me l’ha detto. Lei mi chiama.»

Nessuno si intromise, nemmeno Sasaki che solitamente preferiva mettersi in mezzo e far da pacere piuttosto che vedere due persone che si supponeva dovevano volersi molto bene arrivare a disintegrarsi a quel modo.

«Non ti ho chiesto nulla.»

«Ma lo stavi per fare, vero?» ormai Masa era un fiume in pena. Portò le mani alle tempie e prese un respiro, perché l’espressione colpevole che si dipinse sul viso del padre le dimostrò che sì, era venuto solo per quello. Per sfruttarla. Come sempre «Io non ci posso credere che tu sia così perfido. Quando Shin è sparito non sei venuto a Tokyo nemmeno una volta, hai a malapena chiamato, ma per scroccare soldi a tua figlia invece corri subito, vero? Chi ti ha pagato il biglietto da Kyoto? Lo hai chiesto al nonno!?»

«Smettila di fare così. Non ne hai il diritto. Non dopo il modo in cui ti sei comportata durante il funerale di Hiroshi!» ora erano in due ad urlare e persino l’uomo pareva così pieno di rancore da essere sul punto di esplodere, come la figlia «Hai portato quel ragazzo con te, quella sorta di punk o qualsiasi cosa fosse, solo per metterci in ridicolo e disonorarci.»

«Disonorarti? Non hai nulla che sia nemmeno lontanamente vicino all’idea di onore. Non hai dignità. Ti ho visto buttarti piangente sulla bara dell’unico figlio che tu abbia mai amato, ma che hai comunque abbandonato quando aveva due anni per scappare con mia madre. Lo hai fatto di fronte a me, davanti alla tua bambina, che era appena sopravvissuta a uno scontro con un ghoul di livello SSS e ne era uscita distrutta nel corpo e nella mente. Avevo un braccio rotto, il bustino per le costole incrinate e i postumi di una commozione cerebrale, ma sono venuta nonostante questo e tu cosa ti ricordi? Il mio accompagnatore. Hai pianto sulla bara di un figlio morto e non hai mai cercato quello che è sparito!»

«Nessuno ti ha detto di fare l’investigatrice, Aiko!» evitando accuratamente di parlare del secondogenito, il signor Masa si buttò su quello che riteneva un colpo sicuro «Tu hai scelto questa vita e i rischi connessi ad essa!»

«Vero, e quante volte sono finita in ospedale?! Parecchie. Non mi sei mai venuto a trovare o mi hai chiamato minimamente preoccupato. Non ti darò nemmeno un centesimo e credo che ora dovresti andartene e non farti vedere mai più. Mi hai chiusa fuori dalla tua vita da molto, molto tempo. Ti ho cercato, ho avuto bisogno di te e non ho trovato altro che un muro. Ora sono io che ho deciso di chiuderti la porta in faccia, perché sei senza speranza, non dopo essere venuto qui a parlare a me di Hiroshi. Dovresti vergognarti dopo tutto quello che è successo.»

L’espressione dell’uomo mutò e parve furente «Non osare mentire di nuovo. Non osare infangare la memoria di tuo fratello. Non sarai mai come lui, non vali abbastanza.»

«Già, lo so. Me lo dici da quando ho undici anni. Più o meno da quando ho smesso di tenere in considerazione la tua opinione.»

«Basta così.» Aiko trasalì nel sentire la mano di Haise sulla spalla. Essa scivolò sulla schiena, accarezzandogliela e solo a quel punto si rese conto che stava per venirle un colpo per quanto era tesa « Prendi un po’ di acqua, Aiko. Signor Masa, la prego di andarsene ora. La accompagno alla porta.»

Si guardarono negli occhi, padre e figlia, poi l’uomo annuì. Troppo codardo per aggiungere altro, troppo orgoglioso per chiedere scusa. Aiko gli permise di fare pochi passi, prima di parlare. Fredda come il ghiaccio «Metà delle persone qui dentro sono orfane. C’è anche qualcuno che non se la ricorda neanche, la sua famiglia, o che l’ha persa in modo davvero orribile, ma sono fortunati. Meglio un padre morto che uno che non ti ama.»

Haise le parve sconvolto, con gli occhi fissi sulla porta aperta e il labbro che tremava. Hachiro Masa invece non le diede la soddisfazione di guardarla. Si bloccò per pochi secondi, prima di infilare l’uscio e andarsene in fretta.

Masa sospirò pesante, portando le mani al viso «Scusate» sussurrò quindi, guardando mortificata il gruppo di persone che, alle sue spalle, aveva smesso di esistere per tutta la durata della lite «Una bella scena pietosa» commentò amaramente, infilando le mani nelle tasche del maglione «Solo che non ce l’ho fatta a trattenermi. Mi ha fatto passare un’infanzia da schifo, quello stronzo e vederlo qui oggi…» lanciò uno sguardo alla porta, scuotendo piano il capo «Disgustoso.»

«Non scusarti, occhi di gatto» il primo a rompere il ghiaccio fu Ivak, che le sorrise incoraggiante, facendole cenno di sedersi sul bracciolo della poltrona. Lei eseguì e lui ne approfittò per circondarle i fianchi con un braccio «Bambina, se conoscessi mio padre ti ricrederesti sull’essere sfortunata. Certo, anche il tuo non sembra il massimo, ma il mio vecchio…. Ti dico solo che è un gran bastardo e lo odio. Tratta mia madre in modo disumano, non lo perdonerò mai per questo e anche la mia infanzia ha fatto schifo.»

«Nemmeno la mia è stata molto bella» rilanciò Saiko, con una mano appoggiata al labbro «Il problema però non è papà, oh no. Lui non ha potere decisionale. Il problema è mia madre.»

«Non capisco perché le persone decidano di mettere al mondo un bambino per poi comportarsi così.» Aiko appoggiò il braccio sulle spalle di Ivak, sospirando pesantemente «Se fai un figlio sei obbligato ad amarlo, sostenerlo e farlo sentire voluto. Io non ero una bambina. Io e Shin eravamo un’opera di carità verso nostra madre che voleva una famiglia e, alla fine, l’ha comunque lasciata.»

«Quando mio padre si è suicidato…» Aiko voltò il capo verso Shirazu, che aveva appena parlato con tono basso, tanto che la voce uscì roca. La schiarì un paio di volte, prima di sporgersi in avanti sul divano, appoggiando i gomiti alle ginocchia per guardarla «Quando mio padre si è suicidato, ha lasciato me e mia sorella da soli. Io sono dovuto diventare un uomo prima di quanto avessi voluto e fidati, so cosa si prova ad essere abbandonati. Se vuoi parlare, sai dove trovarmi.»

Lei gli sorrise stanca, prima di guardare anche gli altri «Grazie ragazzi, siete molto dolci. E grazie Sasaki per averlo mandato via.»

Haise, che si era seduto a terra accanto a Mutsuki, come solito, mosse la mano «Non dirlo nemmeno. Questa è la tua casa, devi sentirti a tuo agio.»

«Domani non lavoriamo, giusto?» si informò quindi Aiko «Se non è un problema vorrei andare a dormire a casa di mia madre, questa sera. Così le racconto questa avventura. Torno in mattinata, se mi dai il permesso.»

Sasaki annuì «Certo, nessun problema. Prenditi anche la mattinata se vuoi, la riunione di domani si terrà alle tre e mezzo, quindi il tempo non ci manca.» Masa lo ringraziò, prima di proporre di guardare qualcosa in tv. Tooru si stava allungando per afferrare il telecomando, quindi Haise riprese a parlare di colpo, facendolo sussultare «Aspettate! Stavo dimenticando una cosa!» tutti lo guardarono sorpresi mentre, lentamente ma in modo evidente, Sasaki arrossiva. «Ci sarebbe una cosa di cui dobbiamo ancora parlare da un paio di giorni…» e passò gli occhi su Urie e Masa.

I quali si guardarono a loro volta.

Kuki prese un respiro profondo e alzò gli occhi al cielo, prima di guardarlo nuovamente come a chiedergli di non farlo. O di farlo in fretta. Aiko invece sembrava aver ritrovato un minimo di buon umore «Se devi farci un discorso sul sesso protetto, non serve: ce lo ha già fatto Aizawa.» il dottore, accanto a lei, alzò il pollice verso Sasaki, fiero di sé.

«No, non è questo.» Haise appoggiò entrambi i gomiti sul tavolino, passando gli occhi un po’ su tutti «Come sapete, le relazioni amorose non sono permesse. Ora, non sto dicendo che voi due non possiate provare qualcosa l’uomo per l’altro. Non ve lo impedirei! Solo…. Cercate di tenere questa storia fra queste mura o, al massimo, fra pochi fidati.»

Aiko spostò gli occhi dal volto del mentore a quello di Urie, «Glielo dici tu o glielo dico io?»

«Noi due non stiamo insieme» lapidario, Kuki decise che lo avrebbe detto lui.

L’espressione gelata sul volto di Sasaki valse la pena.

«Mi dispiace tanto» sottolineò Aiko «Non hai proprio speranze di recuperare terreno sulla scommessa. Scusa, capo.»

Shirazu, soddisfatto, stirò le gambe per appoggiare i piedi sul tavolino.

«Scacco matto, Sassan.»

 

 

Più l’ascensore saliva di piano in piano, più Aiko iniziava a sentire i muscoli distendersi. Era stata una giornata dura, peggio di qualsiasi incursione o missione. Suo padre aveva riportato a galla pensieri che aveva cercato in ogni modo di affogare dentro alla sua memoria, sperando di non doverci mai più fare i conti.

Tragicamente, sapeva che non si sarebbe mai liberata del suo passato, per quanto marcio esso fosse. Forse proprio per questo sarebbe rimasto indelebile. Era un passato torbido, fatto di ricordi tristi e di sporadici istanti nei quali si era detta felice.

Un alternarsi di guerre casalinghe, abusi e silenzi peggiori delle urla. Il tutto senza che i suoi genitori si fossero mai accorti di nulla. Senza che avessero mai chiesto alla figlia niente.

Perché avrebbero dovuto farlo se, quando alla fine ne aveva parlato, si erano sentiti in dovere di difendere Hiroshi? Persino sua madre, per evitare lo scandalo, aveva preferito appoggiare quel ragazzo che non aveva mai voluto in casa, che prendere le sue parti.

Ormai quel tempo era finito, quelle ferite si erano asciugate e di esse rimaneva solo una cicatrice in superficie. Indelebili, ma che non facevano male.

Erano solo brutte da portare alla mente.

Non era mai semplice scendere a compromessi con esse e sapeva che aveva bisogno di parlarne un po’ per sentirsi dire che era andata. Che suo padre sarebbe tornato a Kyoto rancoroso e scontento. Non poteva però farlo con i Quinx.

C’erano cose che loro non potevano e non dovevano sapere.

Per questo si era recata in quel palazzo. Era uscita dall’ascensore, scegliendo con naturalezza una chiave dal mazzo ricco di portachiavi e pupazzetti e aprendo la porta. Appoggiò a terra lo zainetto con dentro un paio di cambi per la notte e il giorno successivo, sfilò la giacca, appendendola. Si liberò subito dopo degli stivaletti, entrando ufficialmente nell’appartamento.

«Sono io.» disse con tono alto, sentendo solo un debole mugolio come risposta, proveniente dal salotto. Un sorrisetto si aprì sulle sue labbra, mentre raccoglieva il suo misero bagaglio e seguiva quel rumore, arrivando fino al grande tappeto trapuntato della sala luminosa.

Prona su di esso c’era una ragazza. La guardava dal basso, sorpresa.

«Sei qui?»

«Già.» Masa si liberò dalla felpa, faceva sempre caldo in quella casa, sedendosi accanto all’altra. Questa le sorrise, mettendosi in ginocchio dopo aver richiuso il portatile che teneva di fronte. «Ho detto a Sasaki che tornavo a casa da mia madre, così non mi disturberà almeno per una notte.»

«Ma che furbetta!» trillò la vocetta acuta dell’altra, mentre le appoggiava un dito sul naso «Potevi avvisarmi, però. Mi sarei fatta carina per te.»

«Sei sempre carina, per me. E comunque l’ho fatto.» prendendo il telefono dalla tasca dei jeans attillati, le mise sotto al naso lo schermo illuminato sulla chat.

Messaggio per Uzume: Stasera torno per una notte. Sei libera?

«Stavo lavorando e non l’ho proprio visto. Mi farò perdonare, promesso. Cucinerò io!»

Masa rise, scuotendo piano il capo mentre la guardava con sguardo dolce «Quindi non mangerò nulla fino a che non arriveranno le pizze che ordineremo per disperazione, come sempre?»

«Che stronza!»  Risero insieme come non facevano da un po’ e quando Aiko si sporse su di lei, cogliendo le sue labbra in un bacio delicato come un petalo di ciliegio, l’altra non si scostò. Lo accolse, prima di appoggiarsi contro il suo petto, raggomitolandosi «Mi sei mancata. Aspettavo proprio che qualcuno venisse a farmi un bagno…»

Aiko ridacchiò di nuovo, portando poi una mano sulla sua schiena «Mi sei mancata anche tu.»

E tutto, anche suo padre, scomparve.

 

 

 

 

 

  
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