僕は孤独さ – No Signal
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Parte seconda: il caso Kamata
Aiko
non si era seduta alla sua scrivania, una volta entrata in ufficio. Era rimasta
in piedi di fronte a Take, che sedeva dietro la sua, con le mani strette in
grembo e l’espressione seria, impossibilitata a tenere gli occhi sul prima
classe.
Come
se fosse già un’estranea fra quelle pareti.
Il
caposquadra non le prestò attenzione sino a che non finì di leggere la
richiesta di trasferimento e anche allora, prima di rivolgersi alla ragazza,
fissò la firma di Kishou Arima, proprio nello spazio accanto a quello in cui
avrebbe dovuto siglare anche la sua.
«Hai già parlato con il classe speciale?»
si informò superfluamente, intingendo il pennino nell’inchiostro. Non diede il
tempo a Masa di rispondere. Firmò molto velocemente e timbrò il documento,
prima di controllare l’ora nell’orologio da polso. «Se ti sbrighi, magari puoi
andare questa sera stessa da Noriko, per fare richiesta per la visita
psicologica necessaria per accedere al programma scientifico.»
Mordendosi il labbro, Aiko annuì «Lo farò.»
Si sporse a prendere il foglio dalla mano dell’uomo, stropicciandolo appena per
quanto forte lo strinse. Poi si rivolse ad Hirako, incapace mettere a tacere
ciò che le ronzava per la testa « Ho lavorato per te per quasi due anni. Sei
stato il mio mentore, il mio capo e un amico. Non mi chiedi perché ora voglio
andarmene?»
Take, finalmente, la guardò negli occhi.
Non c’erano tracce di risentimento sul suo volto, solo la solita, apatica
espressione. «Hai scritto tutto ciò che di importante c’è da sapere nella
domanda che mi hai presentato questa mattina. Ammetto che mi hai preso in
contropiede, Aiko-kun. Non mi aspettavo una tale richiesta da parte tua.» fece
una pausa, tamburellando la base pulita del pennino contro il tavolo e
sporcandosi appena il dorso della mano con un paio di gocce color petrolio «Il
progetto Quinx è sperimentale. L’intervento è pericoloso e potresti anche non
sopravvivere o rigettare l’organo, perdendo l’uso delle gambe se qualcosa va
storto e il kukaku ti verrà trapiantato sulla schiena.»
«Ti sei informato bene.»
«Sei uno dei miei uomini, Masa Aiko. Ho
fatto molte telefonate prima di decidermi a firmare.» ci fu una lunga pausa,
che venne interrotta con un sospiro di Take «Arima ha minimizzato come sempre e
io ho deciso di parlare direttamente con Shiba e Chingyou. Se credi che questa
sia la tua strada, se vuoi provare qualcosa di estremo, vai pure. Mi dispiace
solo che la mia direzione non sia stata di tuo gradimento.»
Aiko, che aveva abbassato lo sguardo sulla
punta degli stivaletti, li rialzò di colpo «Non ho scritto questo nella mia
richiesta di trasferimento. Ho detto che voglio sottopormi alle procedure
mediche per accedere al progetto QS perché stimolata dai risultati ottenuti dal
primo gruppo.»
«No, è vero. Non lo hai fatto, ma l’ho
sempre saputo. Non ti piace essere messa sotto pressione e non ti piace
lavorare con gli altri, ad eccezione di Kuramoto. Senza contare che io ho
sempre rigettato qualsiasi tua proposta di indagini criminologiche o
psicologiche approfondite, perché non credo che questo sia il nostro lavoro.
Questo fatto in particolare ti ha sempre penalizzata e magari pensi che avendo
un’arma del genere impiantata direttamente sotto pelle, allora non avrai bisogno
del resto della tua squadra e potrai fare ciò che preferisci.» Masa aprì la
bocca per ribattere, ma Take alzò la mano per fermarla subito. Drizzò la
schiena, sporgendosi verso di lei col busto e appoggiando i gomiti alla scrivania.
Per la prima volta le parve arrabbiato, ma solo nel modo di porsi. Di nuovo,
nessuna espressione tradì le sue emozioni «Non si sopravvive da soli, te l’avrò
detto mille volte. Sasaki è sicuramente un capo migliore di me, più caloroso ed
empatico, tanto che magari saprà viziarti come desideri. Forse ti farà capire
l’importanza del gioco di squadra. Io in questo ho fallito.»
Stizzita da quelle ultime affermazioni,
Masa andò alla porta dopo uno sbrigativo inchino, fatto giusto per essere
educata. Le paternali di Hirako non le sarebbero mancate affatto. Non era suo
padre, per quanto si impegnasse nell’esserlo. Non era mai soddisfatto, non era
mai contento, non aveva mai pazienza. E Masa si era convinta che non lo avrebbe
mai capito, anche se sapeva che entrambi provavano un sincero affatto verso
l’altro, dopo tutto quel tempo passato a lavorare gomito a gomito.
«Aiko-kun.» di nuovo, la bloccò, stavolta
sulla porta. Lei si voltò a guardarlo di tre quarti, con una mano già sulla
maniglia e la voglia di evadere per sottrarsi ai suoi occhi sottili «Ito lo sa?»
Quel briciolo di umanità esternata quasi
per obbligo la fecero sorridere amaramente «Lui lo sa da un po’. Forse da prima
di me.» Lasciò la stanza in fretta, camminando per il corridoio con il cuore
pesante. Nonostante non lo avesse mai dimostrato, aveva amato il suo tempo
trascorso nella squadra Hirako. Aveva detto addio a tanti amici, si era sentita
amata come una figlia o una sorella, anche se spesso in disaccordo con la linea
di guida di Take.
Si era sentita amata e basta.
Però era arrivato il momento di cambiare.
Era obbligata
a farlo.
Capitolo undici.
Shirazu aveva capito che c’era qualcosa di
strano nell’aria quando, una volta sistemate le chiavi della macchina
sull’apposito gancio dell’ingresso, aveva notato la testolina azzurra di
Yonebayashi sbucare con entrambi i codini oltre il bracciolo del divano. Erano
quasi le undici e trenta di sera, orario durante il quale la ragazza si
rintanava nella sua stanza a guardare serie tv o puntate di anime, cibandosi
con alimenti di dubbia provenienza e ben poco salutari che facevano arruffare
Sasaki. Certo, avrebbe potuto farlo anche in salotto, ma lì mancava la massima
potenza del wifi, che non arrivava molto bene al piano di sotto rispetto alle
stanze.
«Ei, che ci fai qui?» le chiese precedendo
i suoi due compagni di bevute nella stanza, mentre Sasaki sottolineava per la
trentesima volta quanto avesse bisogno di dormire tutta la notte a Mutsuki, il
solo che davvero continuava a prestagli attenzione mentre si lagnava come un
bambino. Akira era arrivata a ficcargli in bocca un intero pugno di arachidi a
costo di farlo vomitare per ore, solo per zittirlo.
La ragazza non rispose. Non alzò nemmeno
gli occhi dallo schermo del telefono e quando Shirazu notò che indossava gli
auricolari, ci mise due secondi a schiaffeggiarla ripetutamente con un cuscino
sul capo.
«Caposquadra!» trillò quasi estasiata per
non essere più sola. Altra cosa che fece insospettire l’altro, visto quanto
asociale diventava durante le maratone di D&D online o quando usciva
qualche nuovo videogioco per la consolle «Finalmente siete tornati» proseguì
tirandosi seduta e appoggiando entrambe le mani sullo schienale del divano per
spiare anche gli altri due, che la salutarono con un sorriso. «Mamma, ho una
brutta notizia.»
«Oh» Haise sbattè gli occhi un paio di
volte, prima di sospirare rassegnato «Quanto forte si sono picchiati Urie e
Masa in queste due orette scarse?»
Saiko non sapeva bene come rispondere.
Così, per evitare di dover trovare le parole giuste, prese a frugare nella
generosa scollatura lasciata visibile dalla vestaglia mezza aperta, estraendo
una piccola mazzetta di banconote dal reggiseno. Lo porse quindi a Shirazu, che
continuò a guardarla senza capire.
«Cosa-»
«Questo è un quarto del mio stipendio
mensile» gli fece sapere non appena l’altro ebbe accettato i soldi, tornando a
stendersi con non curanza «Il resto lo avrai con la prossima busta paga.»
Le reazioni che seguirono furono molto differenti
fra loro. Shirazu ancora non capiva, guardando perplesso la ragazza e
alternando sguardi alle banconote che stringeva ancora nel pugno. Haise
sbadigliò, lanciando uno sguardo verso le scale ancora chiedendosi quale fosse
il problema, prima di irrigidirsi con gli occhi ben puntati verso i gradini e
una mano a grattarsi i capelli, folgorato dalla consapevolezza. Mutsuki, che invece
aveva capito subito, si era ghiacciato sul posto, immobile e un po’ pallido
rispetto al suo solito colorito bronzeo.
«Quindi? Chi mi spiega?»
«Shirazu ha vinto la scommessa??» Tooru
quasi lo spinse di lato, affacciandosi sul divano e strappando via uno degli
auricolari di Saiko.
Lei lo guardò con espressione ovvia «Secondo
te perché sarei qui sennò, Mucchan? Quello che stanno propinando quei due io lo
chiamo inquinamento acustico.»
A quel punto, messo di fronte al fatto
molto chiaramente, anche il caposquadra ci arrivò. Sgranò gli occhi fino
all’inverosimile, prima di lanciare a sua volta uno sguardo alle scale. E poi
prese a ballare. «Hai sentito Sassan?? Sono ricco! Ricco!»
«Come è potuto succedere?» si lamentò
sofferente Haise, tenendo una mano alla fronte come se fosse sul punto di
piangere. Si trascinò al divanetto di fronte a quello su cui si era arenata
Saiko, sedendosi senza grazia su di esso, mentre Tooru si appoggiava allo
schienale, più preoccupato per il loro mentore che per tutto il resto di quella
storia ai limiti dell’incredibile. Solo per lui era incredibile, il resto dei
residenti della casa si chiedeva perché non fosse successo prima. Persino
Sasaki, nonostante stesse montando un teatrino degno di una drama queen. «Ti è sembrato consensuale,
Saiko?»
«Non credo che Macchan avrebbe problemi a
ucciderlo se non lo fosse.»
«Parla di Urie» le disse Tooru, mentre
Shirazu continuava ad agitarsi come una scimmia ubriaca per tutto il salotto,
sventolando le banconote di Yonebayashi come se fosse un bellissimo ventaglio.
«Lui è andato da lei» proseguì la ragazza,
con gli occhi piantati sullo schermo «A dire il vero ce l’ho mandato io, ma si
vedeva che gli serviva solo una scusa. Le ha portato un muffin e dopo un po’ ho
sentito Aiko singhiozzare. Poi è iniziato un concerto degno di un porno.»
«E ora?» si informò Mutsuki.
«Ora io vado a dormire, non voglio sapere
altro.» Haise si alzò, traballante. Si era preso cura di Masa la notte
precedente, quindi non chiudeva occhio da più di ventiquattro ore. Non gliene
importava niente della scommessa, ma avrebbe dovuto affrontare quella
situazione a mente sgombra. «Ne parliamo domani mattina.»
Tutti lo guardarono allontanarsi verso le
scale e quando lo sentirono fermarsi all’ultimo gradino, velocizzando poi il
passo una volta ripartito, Yonebayashi sorrise divertita «Io non salirei per
ora, se fossi in voi due. »
La mattina seguente Shirazu stava ancora
ballando, quando Haise lo vide scendere le scale a saltelli. Non servì a nulla
intimargli di fare attenzione per non cadere, era semplicemente troppo felice.
Lo fu di più quando il mentore gli mise in mano un rotolino di banconote
decisamente più grosso di quello di Saiko, deciso a pagare il debito con in
un’unica volta, al contrario della ragazza.
«Non abbiamo ancora dimostrato del tutto
che hai vinto tu» soppesò, mentre serviva un po’ di riso bianco a Tooru,
guardando verso il caposquadra che si era messo a contare la vincita con la
stessa flemma di un mafioso «Voglio dire, come facciamo a sapere che non sono
innamorati?»
«Il fatto che si urlino addosso le
peggiori bestemmie mai udite dal genere umano dal mattino alla sera non basta?»
chiese con disinteresse Shirazu, prima di lanciare uno sguardo a Sasaki «Non sono
innamorati. La tensione sessuale fra loro si tagliava col coltello da burro
perché ne avevano entrambi bisogno.»
«Ci sono diversi modi per manifestare
amore» insistette Haise, sventolando una paletta per staccare il pesce dalla
padella come se fosse una bacchetta magica «Loro hanno questo carattere un
po’…. Particolare.»
«Va bene» concesse quindi il giovane,
sporgendosi sul tavolo per guardarlo meglio «Ti concedo che sono entrambi un
po’ ruvidi. Però non ho mai visto un
gesto un minimo coinvolto da nessuno dei due. Aiko è flirtosa e Uriko un palo in culo.»
«Bevono dalla stessa tazza.»
«Perché Masa gliela ruba.»
«Hanno anche dormito insieme questa notte.»
«Non vuol dire niente. Conoscendo i
soggetti, lei lo ha spompato e lui è svenuto.»
Saiko versò un po’ di nattō sul riso bollito, dopo aver scansato uno a uno i semi di
sesamo, guardandoli entrambi «La mamma non sa perdere.»
Haise arrossì di colpo «N-non è questo il
punto! Ho anche già pagato pegno! Dico solamente che non possiamo esserne
sicuri al cento per cento.»
«Se ora si innamorassero? Che
succederebbe?» chiese con voce piccola Tooru, come se non intendesse davvero
mettere naso nella faccenda.
Shirazu alzò le spalle «Nulla.» decretò «La
scommessa era su ciò che sarebbe successo, non sugli svolgimenti. Ora
smettetela di fare domande, voglio iniziare a fantasticare sul modo in cui
spenderò i miei soldi.»
Tutte le persone presenti sapevano che
quei soldi sarebbero andati a coprire le enormi spese mediche per Haru, la
sorella di Ginshi, ma apprezzavano come tendesse sempre a rimanere positivo,
sdrammatizzando per non far pesare loro quelli che dovevano essere dei pensieri
molto pesanti. Dopotutto, per questo era entrato nella ccg. Per questo aveva
aderito al progetto Quinx.
Passi veloci lungo le scale li fecero
allungare il collo curiosi. Masa si stava ancora infilando la felpa bianca
quando apparve con i jeans aperti e le scarpe slacciate in cucina. «Sono in
ritardo» uggiolò come un cane ferito, afferrando al volo la tazza che Sasaki le
aveva già preparato «Koori mi sta chiamando ininterrottamente e non ho il
coraggio di rispondere.»
«A che ora dovreste vedervi?»
Aiko prese un sorso, prendendo il braccio
di Sasaki per spiare il suo orologio da polso. Poi lo guardò «Dieci minuti fa.»
«Corri.»
«Ti serve un passaggio?» si informò
Shirazu, sventolando qualche banconota «Posso anche pagarti un taxi, volendo.»
Lei si abbassò e lo baciò sulla guancia,
abbracciandogli le spalle «Ah quindi hai vinto tu la scommessa?
Congratulazioni. Comunque non preoccuparti, mi porta Urie in macchina.»
«Non arriverete mai, allora» gli rispose
questo, guardandola chinarsi per allacciare le scarpe e, successivamente, il
bottone dei jeans chiari «Uriko guida come mia nonna. Che è cieca.»
Haise cercò di attirare l’attenzione della
mora, sventolandole sotto al naso una confezione di ciambelle glassate. Lei ne
rubò una, mentre prendeva il telefono dalla tasca, osservando il nome del
classe speciale Ui lampeggiare sullo schermo «Dovremmo parlare di quello che è
successo questa notte. Così che tutti possiamo sentirci a nostro agio a-»
«Certo, di’ tu a Ui che mi stai
trattenendo e parleremo per tutto il tempo che vorrai.» gli disse, ficcandogli
in mano l’apparecchio e addentando il dolcetto. E Sasaki lo fece, rispondendo
alla chiamata e scusandosi con Koori che aveva preso a gridargli addosso.
«Ti sei fatta Urie e hai accollato le tue
colpe alla mamma» le disse Saiko mentre guardava vagamente spaesata Haise
inchinarsi al nulla, supplicando per il perdono «Non so se essere spaventata o
ammirata dalle tue doti manipolative, Macchan.»
«Entrambe le cose vanno bene.»
Mutsuki guardò il mentore, dispiaciuto «Non
è stato molto carino da parte tua, Aiko-kun.»
«Come mai sei in ritardo?» la domanda di
Shirazu coprì la voce di Tooru, mentre dalle scale si avvertivano i passi
decisi di Urie raggiungerli «Avete fatto un round mattutino?»
Lei lo guardò sorridendo sorniona, mentre
il ragazzo arrivava in cucina e le rubava la tazza dalle mani, attirando
l’attenzione di Sasaki che indicò Shirazu come se si fosse appena verificata
una sorta di conferma. Questi però non ebbe il tempo di dir nulla, folgorato
dalla risposta della collega «Già, è andata così.» rispose Masa senza paura di
mettere a disagio il suo partner che, intelligentemente, aveva indossato le
cuffie prima di apparire di fronte agli altri.
Shirazu la guardò spaesato per un paio di
secondi, prima di esplodere in una risata divertita. Gli altri due Quinx
continuarono a mangiare mentre scuotevano piano il capo, Saiko divertita mentre
Mutsuki non sapeva bene dove o chi guardare «Sei la mia eroina.»
«Ero una maiko» la informò Masa, finendo
la ciambella e pulendosi le mani in un tovagliolino per rimuovere le ultime
tracce di glassa al cioccolato «Sai no, l’arte della geisha…. Irretire gli
uomini e fargli fare quello che voglio.» gli spiegò prima di ridere, muovendo
teatralmente le mani come se tenesse due ventagli dentro di esse.
Saiko la guardò, mentre Shirazu si
lanciava in un lungo fischio di approvazione «Da noi a scuola sono venute delle
donne a selezionare delle ragazze per iscriverle a una scuola per geisha» disse
Yonebayashi, leccandosi le dita per pulirle «Io sono stata scartata perché ho
ruttato mentre bevevo il the.»
«Sei tu la vera eroina, Saiko» le disse
Aiko, prima di battere una mano sulla spalla di Urie, che non si era seduto ma
stava sfogliando velocemente il giornale «Vamos,
chico.» e quindi sfilò il cellulare dalle mani del mentore, portandolo
all’orecchio «Sto arrivando, classe speciale. Chiedo ancora scusa, ci stavano
dividendo gli incarichi della settimana. Sa, chi lava le mutande, chi le
stende…» salutò tutti, seguendo l’altro fuori dalla casa.
I quattro al tavolo si scambiarono uno
sguardo.
Poi a parlare fu Saiko «Forse potrebbero
innamorarsi, sì. Potrei innamorarmi io di una donna così!»
♠
Miza ammetteva a se stessa di essersi
fissata sulla questione, ma il suo desiderio di scoprire qualcosa di più
sulla misteriosa Labbra Cucite era
diventata un’ossessione, un pallino personale. Ne ebbe occasione quasi una
settimana dopo il raid dell’Aogiri contro il ccg, quando i capi maggiori della
cellula vennero convocati per parlare di quella che si era rivelata essere una
grande vittoria. Il fallimento del tentativo effettuato mesi prima in
concomitanza con lo smantellamento della casa d’aste aveva ripagato la
perseveranza: avevano portato via più di due tonnellate di quel prezioso
materiale, distribuito su diversi camion, riuscendo a fermare i classe speciale
Mougan e Aura, seppur con non poche perdite. Le due squadre si erano rivelate
un po’ meno sveglie della S1 di Ui Koori, che invece li aveva rispediti
indietro con l’aiuto di Hoiji la prima volta che ci avevano provato.
Miza non sapeva cosa ne avessero fatto di
tutto quell’acciaio, ma se ne avessero rivenduto anche solo metà, si sarebbero
potuti pagare non pochi sfizi. I costi della loro organizzazione erano ingenti,
seppur non pagassero coloro che vi prendevano parte, ma solo alcuni dei capi.
Quelli presenti quella sera, per la precisione. Tutti i soldi che entravano
andavano a coprire spese secondarie.
Tre Lame era arrivata in anticipo e si era
seduta a uno dei tavolini di ferro battuto dalle intemperie, non riuscendo a
non notare come Labbra Cucite se ne stesse beata sul fondo, su quello che
sembrava un piccolo palco da karaoke, con alcune tavole di legno marcio a
comporlo e una tenta blu sbiadito sullo sfondo a decorarlo. Sedeva con in mano
un libro di poesie in cinese, immersa nella lettura e immobile, ad eccezione
della mano destra che scivolava fra le ciocche bianche di Seidou Takizawa, il gufo pazzo, il quale se ne stava
seduto a terra appoggiato contro le gambe della giovane, con gli occhi chiusi e
il respiro regolare. Sembrava addormentato.
Chiunque fosse quella misteriosa figura,
sembrava avere un vago controllo sull’ex agente. Non totale, certo, ma quello
non poteva averlo nessuno. La sua psiche era stata troppo rovinata.
Miza osservò che aveva delle bende, le
quali coprivano gli arti fino alla fine degli avambracci, dove iniziava la
manica larga della tunica color crema che indossava. Le gambe erano coperte
dalla stoffa che cadeva lunga ed elegante su di esse mentre il capo, sempre
coperto dal cappuccio bianco, era avvolto dalle bende immacolate e dalla
maschera di cuoio conciato. Sembrava a suo agio, imperturbabile.
A rovinarle la festa ci pensò Ayato.
Arrivò come una furia, probabilmente deciso a cogliere al volo l’opportunità di
parlarle liberamente, in assenza di Kenta a spalleggiarla. Le strappò il libro
dalle mani e lei si tagliò il pollice con la carta. Non fece comunque una
piega, portandolo alla maschera, che abbassò per poter passare la piccola
lingua rosa sulla ferita. Aveva delle belle labbra.
«Non credi sia ora di iniziare a fare dei
conti, stronza frigida?!» le gridò praticamente in viso e lei, di nuovo, non si
scompose.
«Tài
hǎo le, Ayato-nán hái.»
rispose con tono carezzevole e, naturalmente, in cinese. Miza strabuzzò gli
occhi, chiedendosi cosa avesse mai detto e il ragazzino parve fare lo stesso.
La fissò in tralice, prima di afferrarla
per la tunica, scuotendola. «Quando hai bisogno di me parli un giapponese
perfetto. Vedi di farlo anche ora se non vuoi che ti butti di sotto da questo
palazzo.»
«Ayato» la voce di Tatara, che stava
uscendo sulla piccola terrazza seguito da Eto, fece sobbalzare Kirishima, il
quale sperava di avere più tempo «Dacci un taglio o sarai tu a fare un volo.»
Avvilito, stanco e incazzato, il ragazzino
lasciò andare la presa. Sapeva che non avrebbe avuto nessun appoggiò lì, non da
loro. Erano mesi che insisteva sulla necessità di andare a prendere Hinami per
portarla in salvo dalla Cochlea. Perché continuava ad illudersi che pigiare su
quella stronza fosse una buona idea?
Labbra Cucite si alzò in piedi,
disturbando Seidou che gonfiò il petto come un gufo offeso, poco prima di
venire investito da Eto che ebbe la brillante idea di buttarsi su di lui. Ayato
li guardò rotolare per un metro, prima di tornare a rivolgersi alla sua
interlocutrice, che si era chinata di
fronte a lui con le mani giunte di fronte al viso sussurrando un debole duìbuqǐ,
che ebbe l’effetto di offenderlo «Se questo significa che ti stai scusando,
allora tienitelo per te. Non mi servono a niente le tue scuse.»
La voce di Tatara attirò l’attenzione,
tanto che persino Kirishima dovette smettere di attaccar briga. Non avrebbe
comunque ottenuto nulla «Abbiamo riportato una grande vittoria. Ora dobbiamo
passare alla fase successiva. Prenderemo la quindicesima e la sedicesima, così
da avere il controllo di tutta la zona del litorale e nord-ovest della città.
Abbiamo perso la tredicesima e la sesta, ora dobbiamo impegnarci per
riconquistarle.»
Miza lo ascoltava fiacca, alternando
sguardi al ghoul cinese fino alla figura che ancora se ne stava accanto a lui.
«Potrebbe essere la sua amante» soppesò a
voce moderata, attirando però l’attenzione dei tre Smoking Bianche che le sedevano
dietro. Non si era nemmeno accorta che erano arrivati anche loro, tanto si era
focalizzata sulla giovane.
«Lo pensano in molti» le fece sapere
Hooguro, facendola sobbalzare per la sorpresa. Poi, con tono complice, si
sporse verso di lei «Ho sentito che è la donna che la sua famiglia gli ha
ordinato di sposare. Ora che Tatara ha perso tutto, dopo la fine dei Chi She
Lian, vuole onorare questo debito.»
«Potrebbe anche essere semplicemente una
sua kohai.» rilanciò subito dopo Shousei «Così potremmo anche spiegarci il
motivo per cui la Piccola Bin la detesta tanto.»
Miza li guardò sorpresa «Io non ricordo
nemmeno quando è arrivata…»
I due ghoul si scambiarono un’occhiata di
pura intesa, poi il biondo si rivolse alla sola persona che poteva saperne
qualcosa. Naki. «Capo» lo chiamò di fatto, cercando di attirare la sua
attenzione «Cosa sai su Labbra Cucite?»
Questi però guardava spaventato una delle
lanterne «Ora non posso, quell’ape vuole attaccarmi.»
Tre paia di occhi si alzarono, per poi
riabbassarsi sconsolate «Quella è una falena» gli disse rassegnata Miza,
sapendo che non ne avrebbero cavato un ragno dal buco.
E invece si stava rivelando una serata
ricca di sorprese «Non so niente. Eccetto che tutti i capi di Aogiri si sono
piazzati sui loro sgabelli faticando.» spiegò loro non perdendo di vista la
maledetta falena, mentre Hooguro spiegava a Miza che quello che Naki intendeva
era che, nell’organizzazione, ottenevi la posizione che meritavi combattendo «Quella
lì invece no. Dal giorno alla notte è apparsa e Tatara le ha dato la
diciannovesima, uomini e potere. Non so nemmeno che kagune abbia.»
«Nessuno lo ha mai visto?» si informò
curiosa la donna. Naki scosse il capo «Potrebbe
non averlo. Se fosse umana?»
«Perché dovrebbe? Tatara non è un
simpatizzante degli esseri umani» Shousei sospirò piano, incrociando le braccia
sul petto «Non credo sia il caso di indagarci su. Vuole tenersi ben nascosta.»
«Senza contare che non sappiamo molto
nemmeno di Tatara» soppesò Hooguro « O di Noro. Cosa sappiamo di loro? Io non
so che kagune ha Eto per esempio. Cosa ci importa? Saranno così forti da far
sbiancare i denti ai barboni per lo spavento.»
«Non lo so» Miza non sembrava convinta «Vorrei
sapere con chi abbiamo a che fare…» i suoi interlocutori non parevano convinti
e Naki non stava nemmeno ascoltando, ma lei pensava che sapendo qualcosa in più
da quella giovane forse l’avrebbe aiutata a capire meglio anche gli altri.
Forse voleva studiarla rispetto a Tatara perché sembrava una persona molto
tranquilla.
Forse era solo curiosa.
Quando voltò di nuovo verso di lei, però,
era sparita e con lei anche Takizawa.
Quale era il suo vero scopo?
♠
La seconda e ultima retata ai danni del
clan Noburiko si tenne la settimana successiva alla prima incursione, sempre
diverse ore dopo il tramonto del sole. Il tutto avvenne secondo i piani, tanto
che alle otto del mattino l’intera organizzazione poteva dirsi distrutta. L’ultimo
rappresentante della famiglia aveva scelto di morire combattendo, ma erano
comunque riusciti a mettere mano su alcuni pezzi grossi del giro, che erano
stato immediatamente trasportati al Corniculum.
Il classe speciale Hoiji, il quale aveva
portato avanti il progetto, venne convocato dal presidente il giorno stesso. Riportò
ai Quinx, tramite Akira, che si sarebbe
tenuto molto conto della loro partecipazione durante le promozioni che si
sarebbero tenute a inizio aprile. Non che fosse molto rilevante, visto che
tutti loro avrebbero avanzato di un grado, addirittura sembrava che Tooru ne
avrebbe acquisiti due. Fu comunque molto gratificante sentirsi dire che il loro
contributo era stato prezioso. Masa non aveva capito il perché di tutta quella
sorpresa e fu Aizawa a darle una delucidazione.
«Ma che ne sai tu degli strambi, che vieni
dalla squadra Hirako? Certo, la sera dell’asta si sono tutti dimenticati di voi
perché stavate perdendo tempo con Senza Faccia, ma pensa che dei Quinx non si
scordano mai. Li schifano e basta.»
«Grazie, Ivak.» Haise gli servì il the con
leggero sarcasmo, che gli si ritorse contro quando il meticcio gli mise sotto
al naso una scatola di biscotti pregandolo di servirsi. Non lo avevano
invitato, ma quando si era palesato con dei dolci alla loro porta, Saiko lo
aveva fatto accomodare.
Di nuovo, Sasaki non ebbe la faccia tosta
di mandarlo al diavolo. Cercò di declinare, ma sotto le insistenze del dottore
prese quello più neutrale possibile che, alla fine, si scoprì essere alla
cannella. Molta cannella. «Che buono» fu il solo commento –per nulla convinto-
del mentore dei Quinx, che sparì velocemente in cucina con la scusa di portare
altro the.
«Smettila di avvelenare il nostro ghoul.»
borbottò Masa, tirandogli un cuscino, lanciando poi uno sguardo verso la cucina
per accertarsi che il mentore non l’avesse sentita. Aveva notato quanto lo
rattristasse venir definito a quella maniera, quindi aveva iniziato a darsi una
regolata. Per lei era un notevole passo avanti.
Urie le si sedette accanto, tenendo gli
occhi puntati sul dottore. «Che ci fai qui, Aizawa? Sono costretto a vederti
abbastanza al lavoro, mi pare.»
Il biondo portò una mano al petto, come se
gli avesse appena sparato al cuore «Come puoi dirmi questo, Oreo? Io ho aiutato
a crearti. Ho spostato il tuo polmone destro, tenendolo in mano per qualche
minuto prima di cambiarlo di sede per far posto al kakuoho.» l’altro non parve
impressionato, solo disgustato, così si affrettò ad aggiungere qualcos’altro,
con una certa fierezza «Fortunatamente non sono tutti antipatici come te, per
questo sono venuto a dirti che ho seppellito l’ascia di guerra. Masa mi ha
gratificato nel suo rapporto, sottolineando che senza di me non sarebbe mai
riuscita a rimettere insieme quella bomba così in fretta e ho deciso di
perdonarvi entrambi in quanto – ormai anche fisicamente a quanto mi è stato
detto – unica entità.»
«Ma parli ancora di quando ti sei offeso
con questi due per il caso Embalmer?» chiese divertito Shirazu, sviandolo anche
dal discorso sesso, che era stato affrontato così tante volte da far venire a
Urie istinti omicidi del tutto nuovi.
Aizawa, che teneva a mettere le cose in
chiaro, alzò un dito, saccente «Non mi sono offeso perché mi hanno escluso
dalle indagini. Anche se la cosa mi ha ferito.» ripeté come al solito, facendo
sorridere divertito sia Tooru che Saiko, che avevano sentito quella storia
mille volte «Ma perché hanno chiesto un aiuto alla mia nemesi.»
«Povero dottor Huang.» sussurrò Masa,
scuotendo il capo «Lui lo sa di essere la tua nemesi?»
«Ha, quanti? Otto anni in meno di me?»
proseguì imperterrito Ivak, mentre tutti ridacchiavano sotto i baffi eccetto
Kuki, che sembrava davvero scocciato dalla sua presenza in casa loro «Come
diavolo fa ad avere quattro cattedre all’università Imperiale, aver scritto una
ventina di libri ed essere diventato il maggiore esperto del mio campo in tutto lo stramaledetto
Giappone?!»
Haise stava per dirgli molto gentilmente
che lo riteneva il miglior anatomopatologo col quale avesse mai lavorato, ma il
campanello che suonava abbastanza insistentemente gli fece fare una veloce
deviazione. «Che posso dirti» rilanciò Masa, alzando le spalle «Huang è un
luminare. Non credo abbia molto altro nella vita, eccetto il suo lavoro. Tu hai
la ragazza invece, no?»
«Quella
che nessuno ha mai visto?» chiese tagliente Yonebayashi mentre Sasaki
salutava educatamente qualcuno alla porta.
Ivak aprì la bocca per sottolineare che la
ragazza ce l’aveva sul serio, ma una voce chiara e decisa zittì l’intero
salotto.
«Salve, il mio nome è Masa Hachiro e
cercavo mia figlia.»
«…. Papà?» Aiko parve spiazzata. Nessuno
in quella stanza l’aveva mai vista a quel modo, come se le sue difese fossero
improvvisamente crollate. Sasaki lo fece accomodare e solo a quel punto, spinta dalla necessità,
si alzò in piedi con un sorriso tirato sul viso, avvicinandosi all’uomo. Si
abbracciarono così brevemente che, battendo gli occhi, quel gesto sarebbe
andato perso «Cosa ci fai a Tokyo?» chiese stranita, stringendosi nel maglione
largo che indossava su un paio di pantaloncini da casa «Non mi hai chiamato per
dirmi che saresti venuto.»
«Lo so, scusami» le rispose lui,
sfilandosi il cappello per grattarsi la nuca per metà calva. Lanciò quindi uno
sguardo al resto dei presenti «Questa è la tua nuova squadra?» si informò, non
dandole comunque il tempo di rispondere «Sono passato al tuo appartamento, ma Kuramoto
mi ha detto che lo hai lasciato per un ragazzino appena ventenne, sei diventata
matta?»
Shirazu rischiò di strozzarsi con il the
per quanto prese a ridere. Non fu comunque l’unico. Aizawa unì le mani sotto al
mento, alzando gli occhi al soffitto «Quanto amo Ito.»
«Punto primo: smettila di parlare con
Kuramoto, papà. Sono anni che ti dico che ti prende in giro. Non è mai stato il
mio ragazzo, è stato il mio compagno di squadra e coinquilino.» la mora sospirò
rassegnata, già decisa a farla pagare a Ito non appena lo avesse incontrato «Secondariamente
sì, questa è la mia nuova squadra. Il mio mentore Sasaki è questo figurino qui
e loro sono il resto dei ragazzi. Eccetto il tipo losco sulla poltrona. Quello
è solo un coroner.» Ivak protestò velatamente, ma lei non gli diede retta come
sempre «Squadra, lui è Papà Masa. Papà Masa, i Quinx.»
«Che nome pittoresco, sembra quello di una
marca di detersivi per piatti.»
«Perché sei a Tokyo?» Aiko non aveva detto
niente a suo padre dell’operazione. Non sapeva che aveva rivoluzionato tutto
negli ultimi mesi e non aveva intenzione di metterlo al corrente. Per questo
incrociò le braccia sotto al seno, spostando il peso da una gamba all’altra
mentre lo guardava in attesa.
«Non posso essere qui per vedere mia
figlia?» domandò con voce carezzevole, cercando sostegno negli occhi di Haise,
che se ne stava ancora in piedi accanto a loro.
«Perché dovresti? Non mi chiami da quasi
due anni. Non ci vediamo da di più. Non credo nemmeno che tu sappia il giorno
del mio compleanno.» Di nuovo, Aiko riuscì a stendere una patina di gelo in
quel salotto. Il suo era proprio un talento naturale. La sua sfacciataggine
però era mirata a mettere a disagio solo il padre, il resto delle persone
presenti erano un danno collaterale che poteva avere sulla sua coscienza.
Hachiro ridacchiò nervoso «Sei proprio
uguale a tua madre» le disse, riuscendo in qualche modo a farla incazzare,
visto come mutò la luce all’interno di quegli occhi gialli e rotondi «Certo che
so il giorno del tuo compleanno, Aiko.»
«Quindi dillo.»
Passarono alcuni secondi «Il quindici di
marzo.»
«Quello è il compleanno di Shinichi. Il
mio è il nove di novembre.» alzando le mani, la mora iniziò a palesare tutta la
sua irritazione. Gli diede le spalle, tornando verso i divani «Vuoi che dica io
perché sei qui? Ti servono dei soldi? Hai fatto qualche casino e vuoi che tua
figlia del ccg – che non volevi nemmeno iscrivere all’accademia – ti faccia
uscire pulito? Magari hai deciso di provare a sposarti di nuovo per l’ennesima
volta e vuoi sbattermelo in faccia? O magari hai deciso di smettere di bere e
cercarti un lavoro decente?»
«Aiko, ora basta.»
Lei non sembrava intenzionata a smettere
di metterlo in imbarazzo. Voleva che tutti sapessero che persona si era
permessa di presentarsi alla loro porta «Perché ancora non l’hai trovato un
lavoro, vero? Immagino che non aiuti nemmeno i nonni con l’agriturismo e ti
aspetti che io ora sborsi qualcosa perché state andando in rosso? Sì, la nonna
me l’ha detto. Lei mi chiama.»
Nessuno si intromise, nemmeno Sasaki che
solitamente preferiva mettersi in mezzo e far da pacere piuttosto che vedere
due persone che si supponeva dovevano volersi molto bene arrivare a
disintegrarsi a quel modo.
«Non ti ho chiesto nulla.»
«Ma lo stavi per fare, vero?» ormai Masa
era un fiume in pena. Portò le mani alle tempie e prese un respiro, perché
l’espressione colpevole che si dipinse sul viso del padre le dimostrò che sì,
era venuto solo per quello. Per sfruttarla. Come sempre «Io non ci posso
credere che tu sia così perfido. Quando Shin è sparito non sei venuto a Tokyo
nemmeno una volta, hai a malapena chiamato, ma per scroccare soldi a tua figlia
invece corri subito, vero? Chi ti ha pagato il biglietto da Kyoto? Lo hai
chiesto al nonno!?»
«Smettila di fare così. Non ne hai il
diritto. Non dopo il modo in cui ti sei comportata durante il funerale di
Hiroshi!» ora erano in due ad urlare e persino l’uomo pareva così pieno di
rancore da essere sul punto di esplodere, come la figlia «Hai portato quel
ragazzo con te, quella sorta di punk o qualsiasi cosa fosse, solo per metterci
in ridicolo e disonorarci.»
«Disonorarti? Non hai nulla che sia
nemmeno lontanamente vicino all’idea di onore. Non hai dignità. Ti ho visto
buttarti piangente sulla bara dell’unico figlio che tu abbia mai amato, ma che
hai comunque abbandonato quando aveva due anni per scappare con mia madre. Lo
hai fatto di fronte a me, davanti alla
tua bambina, che era appena sopravvissuta a uno scontro con un ghoul di
livello SSS e ne era uscita distrutta nel corpo e nella mente. Avevo un braccio
rotto, il bustino per le costole incrinate e i postumi di una commozione
cerebrale, ma sono venuta nonostante questo e tu cosa ti ricordi? Il mio
accompagnatore. Hai pianto sulla bara di un figlio morto e non hai mai cercato
quello che è sparito!»
«Nessuno ti ha detto di fare
l’investigatrice, Aiko!» evitando accuratamente di parlare del secondogenito,
il signor Masa si buttò su quello che riteneva un colpo sicuro «Tu hai scelto
questa vita e i rischi connessi ad essa!»
«Vero, e quante volte sono finita in
ospedale?! Parecchie. Non mi sei mai venuto a trovare o mi hai chiamato
minimamente preoccupato. Non ti darò nemmeno un centesimo e credo che ora
dovresti andartene e non farti vedere mai più. Mi hai chiusa fuori dalla tua
vita da molto, molto tempo. Ti ho cercato, ho avuto bisogno di te e non ho
trovato altro che un muro. Ora sono io che ho deciso di chiuderti la porta in
faccia, perché sei senza speranza, non dopo essere venuto qui a parlare a me di Hiroshi. Dovresti vergognarti dopo
tutto quello che è successo.»
L’espressione dell’uomo mutò e parve
furente «Non osare mentire di nuovo. Non osare infangare la memoria di tuo
fratello. Non sarai mai come lui, non vali abbastanza.»
«Già, lo so. Me lo dici da quando ho
undici anni. Più o meno da quando ho smesso di tenere in considerazione la tua
opinione.»
«Basta così.» Aiko trasalì nel sentire la
mano di Haise sulla spalla. Essa scivolò sulla schiena, accarezzandogliela e
solo a quel punto si rese conto che stava per venirle un colpo per quanto era
tesa « Prendi un po’ di acqua, Aiko. Signor Masa, la prego di andarsene ora. La
accompagno alla porta.»
Si guardarono negli occhi, padre e figlia,
poi l’uomo annuì. Troppo codardo per aggiungere altro, troppo orgoglioso per
chiedere scusa. Aiko gli permise di fare pochi passi, prima di parlare. Fredda
come il ghiaccio «Metà delle persone qui dentro sono orfane. C’è anche qualcuno
che non se la ricorda neanche, la sua famiglia, o che l’ha persa in modo
davvero orribile, ma sono fortunati. Meglio un padre morto che uno che non ti
ama.»
Haise le parve sconvolto, con gli occhi
fissi sulla porta aperta e il labbro che tremava. Hachiro Masa invece non le
diede la soddisfazione di guardarla. Si bloccò per pochi secondi, prima di
infilare l’uscio e andarsene in fretta.
Masa sospirò pesante, portando le mani al
viso «Scusate» sussurrò quindi, guardando mortificata il gruppo di persone che,
alle sue spalle, aveva smesso di esistere per tutta la durata della lite «Una
bella scena pietosa» commentò amaramente, infilando le mani nelle tasche del
maglione «Solo che non ce l’ho fatta a trattenermi. Mi ha fatto passare
un’infanzia da schifo, quello stronzo e vederlo qui oggi…» lanciò uno sguardo
alla porta, scuotendo piano il capo «Disgustoso.»
«Non scusarti, occhi di gatto» il primo a
rompere il ghiaccio fu Ivak, che le sorrise incoraggiante, facendole cenno di
sedersi sul bracciolo della poltrona. Lei eseguì e lui ne approfittò per
circondarle i fianchi con un braccio «Bambina, se conoscessi mio padre ti
ricrederesti sull’essere sfortunata. Certo, anche il tuo non sembra il massimo,
ma il mio vecchio…. Ti dico solo che è un gran bastardo e lo odio. Tratta mia
madre in modo disumano, non lo perdonerò mai per questo e anche la mia infanzia
ha fatto schifo.»
«Nemmeno la mia è stata molto bella»
rilanciò Saiko, con una mano appoggiata al labbro «Il problema però non è papà,
oh no. Lui non ha potere decisionale. Il problema è mia madre.»
«Non capisco perché le persone decidano di
mettere al mondo un bambino per poi comportarsi così.» Aiko appoggiò il braccio
sulle spalle di Ivak, sospirando pesantemente «Se fai un figlio sei obbligato
ad amarlo, sostenerlo e farlo sentire voluto. Io non ero una bambina. Io e Shin
eravamo un’opera di carità verso nostra madre che voleva una famiglia e, alla
fine, l’ha comunque lasciata.»
«Quando mio padre si è suicidato…» Aiko
voltò il capo verso Shirazu, che aveva appena parlato con tono basso, tanto che
la voce uscì roca. La schiarì un paio di volte, prima di sporgersi in avanti
sul divano, appoggiando i gomiti alle ginocchia per guardarla «Quando mio padre
si è suicidato, ha lasciato me e mia sorella da soli. Io sono dovuto diventare
un uomo prima di quanto avessi voluto e fidati, so cosa si prova ad essere
abbandonati. Se vuoi parlare, sai dove trovarmi.»
Lei gli sorrise stanca, prima di guardare
anche gli altri «Grazie ragazzi, siete molto dolci. E grazie Sasaki per averlo
mandato via.»
Haise, che si era seduto a terra accanto a
Mutsuki, come solito, mosse la mano «Non dirlo nemmeno. Questa è la tua casa,
devi sentirti a tuo agio.»
«Domani non lavoriamo, giusto?» si informò
quindi Aiko «Se non è un problema vorrei andare a dormire a casa di mia madre,
questa sera. Così le racconto questa avventura. Torno in mattinata, se mi dai
il permesso.»
Sasaki annuì «Certo, nessun problema.
Prenditi anche la mattinata se vuoi, la riunione di domani si terrà alle tre e
mezzo, quindi il tempo non ci manca.» Masa lo ringraziò, prima di proporre di
guardare qualcosa in tv. Tooru si stava allungando per afferrare il
telecomando, quindi Haise riprese a parlare di colpo, facendolo sussultare «Aspettate!
Stavo dimenticando una cosa!» tutti lo guardarono sorpresi mentre, lentamente
ma in modo evidente, Sasaki arrossiva. «Ci sarebbe una cosa di cui dobbiamo
ancora parlare da un paio di giorni…» e passò gli occhi su Urie e Masa.
I quali si guardarono a loro volta.
Kuki prese un respiro profondo e alzò gli
occhi al cielo, prima di guardarlo nuovamente come a chiedergli di non farlo. O
di farlo in fretta. Aiko invece sembrava aver ritrovato un minimo di buon umore
«Se devi farci un discorso sul sesso protetto, non serve: ce lo ha già fatto
Aizawa.» il dottore, accanto a lei, alzò il pollice verso Sasaki, fiero di sé.
«No, non è questo.» Haise appoggiò
entrambi i gomiti sul tavolino, passando gli occhi un po’ su tutti «Come
sapete, le relazioni amorose non sono permesse. Ora, non sto dicendo che voi
due non possiate provare qualcosa l’uomo per l’altro. Non ve lo impedirei!
Solo…. Cercate di tenere questa storia fra queste mura o, al massimo, fra pochi
fidati.»
Aiko spostò gli occhi dal volto del
mentore a quello di Urie, «Glielo dici tu o glielo dico io?»
«Noi due non stiamo insieme» lapidario,
Kuki decise che lo avrebbe detto lui.
L’espressione gelata sul volto di Sasaki
valse la pena.
«Mi dispiace tanto» sottolineò Aiko «Non
hai proprio speranze di recuperare terreno sulla scommessa. Scusa, capo.»
Shirazu, soddisfatto, stirò le gambe per
appoggiare i piedi sul tavolino.
«Scacco matto, Sassan.»
♠
Più l’ascensore saliva di piano in piano,
più Aiko iniziava a sentire i muscoli distendersi. Era stata una giornata dura,
peggio di qualsiasi incursione o missione. Suo padre aveva riportato a galla
pensieri che aveva cercato in ogni modo di affogare dentro alla sua memoria,
sperando di non doverci mai più fare i conti.
Tragicamente, sapeva che non si sarebbe
mai liberata del suo passato, per quanto marcio esso fosse. Forse proprio per
questo sarebbe rimasto indelebile. Era un passato torbido, fatto di ricordi tristi
e di sporadici istanti nei quali si era detta felice.
Un alternarsi di guerre casalinghe, abusi
e silenzi peggiori delle urla. Il tutto senza che i suoi genitori si fossero
mai accorti di nulla. Senza che avessero mai chiesto alla figlia niente.
Perché avrebbero dovuto farlo se, quando
alla fine ne aveva parlato, si erano sentiti in dovere di difendere Hiroshi?
Persino sua madre, per evitare lo scandalo, aveva preferito appoggiare quel
ragazzo che non aveva mai voluto in casa, che prendere le sue parti.
Ormai quel tempo era finito, quelle ferite
si erano asciugate e di esse rimaneva solo una cicatrice in superficie.
Indelebili, ma che non facevano male.
Erano solo brutte da portare alla mente.
Non era mai semplice scendere a
compromessi con esse e sapeva che aveva bisogno di parlarne un po’ per sentirsi
dire che era andata. Che suo padre sarebbe tornato a Kyoto rancoroso e
scontento. Non poteva però farlo con i Quinx.
C’erano cose che loro non potevano e non
dovevano sapere.
Per questo si era recata in quel palazzo.
Era uscita dall’ascensore, scegliendo con naturalezza una chiave dal mazzo
ricco di portachiavi e pupazzetti e aprendo la porta. Appoggiò a terra lo
zainetto con dentro un paio di cambi per la notte e il giorno successivo, sfilò
la giacca, appendendola. Si liberò subito dopo degli stivaletti, entrando
ufficialmente nell’appartamento.
«Sono io.» disse con tono alto, sentendo
solo un debole mugolio come risposta, proveniente dal salotto. Un sorrisetto si
aprì sulle sue labbra, mentre raccoglieva il suo misero bagaglio e seguiva quel
rumore, arrivando fino al grande tappeto trapuntato della sala luminosa.
Prona su di esso c’era una ragazza. La
guardava dal basso, sorpresa.
«Sei qui?»
«Già.» Masa si liberò dalla felpa, faceva
sempre caldo in quella casa, sedendosi accanto all’altra. Questa le sorrise,
mettendosi in ginocchio dopo aver richiuso il portatile che teneva di fronte. «Ho
detto a Sasaki che tornavo a casa da mia madre, così non mi disturberà almeno
per una notte.»
«Ma che furbetta!» trillò la vocetta acuta
dell’altra, mentre le appoggiava un dito sul naso «Potevi avvisarmi, però. Mi
sarei fatta carina per te.»
«Sei sempre carina, per me. E comunque l’ho
fatto.» prendendo il telefono dalla tasca dei jeans attillati, le mise sotto al
naso lo schermo illuminato sulla chat.
Messaggio per Uzume: Stasera torno per una notte. Sei libera?
«Stavo lavorando e non l’ho proprio visto.
Mi farò perdonare, promesso. Cucinerò io!»
Masa rise, scuotendo piano il capo mentre
la guardava con sguardo dolce «Quindi non mangerò nulla fino a che non
arriveranno le pizze che ordineremo per disperazione, come sempre?»
«Che stronza!» Risero insieme come non facevano da un po’ e
quando Aiko si sporse su di lei, cogliendo le sue labbra in un bacio delicato
come un petalo di ciliegio, l’altra non si scostò. Lo accolse, prima di
appoggiarsi contro il suo petto, raggomitolandosi «Mi sei mancata. Aspettavo
proprio che qualcuno venisse a farmi un bagno…»
Aiko ridacchiò di nuovo, portando poi una
mano sulla sua schiena «Mi sei mancata anche tu.»
E tutto, anche suo padre, scomparve.