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Autore: crazy lion    11/03/2017    4 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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I'm gonna give you all of my love
Nobody matters like you
(Clean Bandit ft. Sean Paul & Anne Marie, Rockabye)
 
 
 
When, when we came home
Worn to the bones
I told myself, "this could get rough"
And when, when I was off, which happened a lot
You came to me and said, "that's enough"
Oh I know that this love is pain
But we can't cut it from out these veins, no
 
So I'll hit the lights and you lock the doors
We ain't leaving this room 'til we bust the mold
Don't walk away, don't roll your eyes
They say love is pain, well darling, let's hurt tonight
(One Republic, Let's Hurt Tonight)
 
 
 
 
 
 
74. ANDARE PIANO
 
Il giorno seguente Andrew venne trasportato in sedia a rotelle nella stanza dove avrebbe fatto riabilitazione. Non si oppose, anche se si vergognò molto quando venne messo lì sopra. Avrebbe camminato molto volentieri se solo ci fosse riuscito. Fu così che conobbe il fisioterapista. Era un ragazzo giovane, biondo e con un sorriso fantastico che rassicurò Andrew facendolo sentire se non a suo agio, almeno più tranquillo. Quel dottore gli disse di essersi laureato da pochissimo. Con lui Andrew iniziò a parlare del percorso che avrebbe fatto e gli chiese quanto gli ci sarebbe voluto per essere di nuovo autonomo e camminare. Fu in quel momento che arrivò Demi. Non era ancora orario di visita ma il dottor Williams le aveva permesso di venire perché riteneva che i familiari dovessero essere sempre presenti durante la terapia di un paziente, soprattutto se la loro presenza giovava al miglioramento della salute psicologica del malato.
"Non sarà semplice all'inizio, ma vedrà che recupererà pian piano" lo incoraggiò il dottor Adams.
Poco dopo li raggiunse anche Williams, come aveva promesso.
Demi andò vicino al fidanzato e gli strinse la mano.
"Sono qui, okay?" mormorò con dolcezza.
Avrebbe voluto baciarlo, ma di certo non davanti ai dottori.
"Sì" le rispose il suo ragazzo, rivolgendole un piccolo sorriso.
"Bene" cominciò il dottor Adams. “Ora le farò dei massaggi.”
Prese a massaggiargli le gambe partendo dal polpaccio e salendo fino alle cosce, dapprima con le punte delle dita, poi con i palmi e infine con entrambi. Andrew sentiva la pelle e i muscoli tirare, ma strinse i denti e cercò di non far capire che stava soffrendo. Il fisioterapista e il dottor Williams però se ne accorsero perché lo guardarono preoccupati.
“Può dirlo se non si sente bene. Vuole che mi fermi?”
“No, ce la faccio.”
Che si fermasse era l’ultima cosa che Andrew voleva. Temeva che, se fosse successo, se lui avesse ceduto, la terapia sarebbe stata più lunga e difficoltosa. Doveva essere forte. Poco dopo Williams se ne andò, dicendo al paziente che era in buone mani e di non preoccuparsi.
Dopo cinque minuti il dottor Adams smise di massaggiarlo.
"Oggi svolgeremo degli esercizi per potenziare i muscoli delle sue gambe, signor Marwell. Li faremo ogni giorno mentre sarà qui, ma da domani lei proverà anche ad alzarsi in piedi e a muovere qualche passo, ovviamente non da solo."
"D'accordo." Cercò di mantenere un tono di voce fermo per darsi sicurezza, ma non riuscì nel suo intento. "Quando crede che sarò autonomo?"
"Giusto, prima non ho risposto alla sua domanda. Mi scusi. Dipenderà tutto dalla sua forza fisica. Per ora non posso dirglielo con sicurezza, ma penso che dato che è giovane nel giro di meno di una settimana ci riuscirà."
Per un momento le parole del fisioterapista avevano scoraggiato entrambi, ma Demi aveva cercato di non darlo a vedere e di ricacciare indietro le lacrime. Ora, però, la speranza si era riaccesa nei loro cuori e un largo sorriso illuminò il volto dei due giovani.
Seguendo le indicazioni del medico Andrew iniziò a fare degli esercizi come per esempio raccogliere le ginocchia al petto e spingerle con le mani verso di esso, oppure tenere le gambe distese sul letto e piegarsi provando a toccarsi gli alluci, o ancora stare seduto dritto e fare delle torsioni con il busto, a destra e a sinistra, lentamente. Dio, come faceva male! Sentiva dolere tutti i muscoli della schiena, delle braccia e delle gambe e in più aveva davvero poca forza in particolare sul braccio con l'arteria lesionata. Continuò ad esercitarsi per un'ora, sopportando il dolore e cercando di non lamentarsi, ma qualche volta gli uscirono alcuni gemiti.
"Che vergogna!" esclamò ad un certo punto, mettendosi le mani davanti al viso.
"Non ha nulla di cui vergognarsi" lo rassicurò il dottor Adams.
"Sì, invece. Non è perché mi lamento, è per queste." Pronunciò l’ultima parola con un tono che denotava disprezzo. Poi si indicò le gambe, coprendosele meglio con la camicia da notte che indossava. Avrebbe solo voluto nasconderle alla vista di tutti, perfino alla propria. "Perdoni il mio linguaggio, dottore, ma fanno schifo. Sono troppo magre."
"Era inevitabile che perdesse peso" gli fece notare questi. "Infatti dovrò pesarla oggi o domani. Io e l’équipe che la segue abbiamo la necessità di capire qual è il suo peso attuale."
"Prima ero sui sessantacinque chili, se non erro."
"Buono."
“Ma sono dimagrito da quando Carlie è morta, perché non ho più mangiato molto da allora. Non avevo molto appetito, certi giorni proprio per nulla e andavo avanti per inerzia, non perché lo volevo davvero.”
Nonostante lo sapesse già, a quelle parole Demi sbiancò.
“Gesù,” riprese il suo ragazzo, “tutto questo casino è solo colpa mia.”
“Cerchi di farsi forza, signor Marwell. Siamo tuti qui per aiutarla, ma è lei il primo che deve lottare.”
Adams gli rivolse un sorriso incoraggiante.
“Lo so.”
Il medico gli chiese di poterlo pesare, ma Andrew si rifiutò. Provò ad insistere, ma non ci fu nulla da fare.
"Mi vergogno troppo!" urlò. "Mi sento orribile!"
Gli pareva di essere pazzo, ma sinceramente non gli importava. Aveva bisogno di buttare tutto fuori, di sfogare la sua frustrazione, anche se odiava gridare contro il medico che voleva solo dargli una mano.
"Okay, immagino che abbia bisogno di tempo. Non si preoccupi" cercò di tranquillizzarlo Adams.
"Immagina? Io non credo proprio!" sbottò.
"Andrew" lo rimproverò la sua ragazza, con voce dura, una voce che non era affatto da lei. "Era un modo di dire."
L'uomo batté una mano sul materasso - anche il solo fatto di restare lì seduto gli provocava dolore alla schiena e questo aumentava il suo disagio -, ma poi prese un profondo respiro e si calmò. "Perdonatemi" disse abbassando lo sguardo. "Non volevo gridare. So che devo essere paziente, ma è dura."
L’uomo fu comprensivo e gli disse che non c'era nessun problema.
"Per oggi basta così" aggiunse poi. "Ha fatto tante cose in quest'ora e sarà stanco. Ora si metta a letto e provi a rilassarsi. Ci vediamo domani mattina, dopo colazione."
Non appena furono usciti, Demi abbracciò il suo ragazzo e i due si baciarono. Fu un bacio dolce, intenso e appassionato.
"Sono fiera di te" gli sussurrò lei. "E ti amo alla follia!"
"Anch'io. Grazie per esserci stata, oggi."
Le rivolse uno sguardo così dolce che Demi si commosse.
"Ci sarò sempre" mormorò, mentre la sua voce tremava.
E, con quello stesso tremolio, Andrew rispose:
"Anch'io per te. Non ti lascerò mai più."
Lei lo riaccompagnò in stanza e mise la sedia a rotelle accanto al letto.
“Hai bisogno di aiuto?” gli domandò.
“No, ce la faccio.”
Riuscì a mettersi a letto, anche se con fatica e uno sforzo non indifferente, seguito da intensi dolori.
Quella notte entrambi dormirono omlto meglio, anche se non smisero mai di domandarsi come sarebbero andate in seguito le cose.
Il giorno seguente Andrew mangiò un po' di più e ne fu davvero felice.
Demi arrivò a metà mattina, quando lui stava già facendo i suoi esercizi.
"Ora la peserò" annunciò il fisioterapista.
Aveva portato lì una bilancia che mise accanto al letto, poi aiutò Andrew ad alzarsi in piedi sorreggendolo per un braccio e Demi si affrettò a farlo tenendolo per l'altro. Alzarsi dopo poco più di due settimane fu strano. Certo, Andrew non ricordava nulla di tutto quel tempo trascorso a letto, se non gli ultimi giorni dal momento in cui si era svegliato, ma il suo corpo aveva risentito di tutta quella mancanza di movimento e sollevarsi, anche se con l'aiuto di altre persone, fu fantastico. Fu come se la montagna che Andrew sapeva di dover scalare per stare meglio fosse un po' meno ripida, come se la cima fosse stata più vicina. Le gambe gli facevano male e le sentiva debolissime. Una parte di lui avrebbe desiderato tornare a letto ma l'altra, quella razionale, gli diceva di non mollare. Mosse un primo, piccolo passo, poi un altro e un altro ancora, fino ad arrivare alla bilancia che segnò cinquantacinque chili.
"Non è poi così male" commentò il dottore e lo segnò su un foglio. "La peserò ogni giorno fino a quando sarà qui."
Nella settimana che seguì Andrew ebbe alti e bassi. C'erano volte in cui faceva gli esercizi senza lamentarsi o provare vergogna e permetteva a Demi o alle infermiere di aiutarlo a vestirsi dato che con il braccio con l'arteria lesionata quasi immobilizzato gli risultava praticamente impossibile farlo da solo. In quei giorni, che definiva “giorni buoni”, riusciva anche a camminare per la stanza o lungo il corridoio e anzi, avrebbe desiderato fare più di quanto i medici avrebbero voluto. Spesso faceva anche cyclette per potenziare ancora di più i muscoli e col passare dei giorni era riuscito ad andare sempre più veloce e a rimanerci più tempo. Il dolore, lentamente, diminuiva. Tornava dopo gli allenamenti e a volte era insopportabile. Andrew aveva sempre odiato la carne greva, ma in quei giorni la disprezzò più di ogni altra cosa. Il mattino dopo, però, stava già meglio e riprendeva ad allenarsi con grinta e voglia di fare. Demi gli stava accanto più che poteva, senza però trascurare le sue bambine. Quando era con lui gli sorrideva e continuava a ripetergli:
"Puoi farcela, io credo in te"
per incoraggiarlo, e anche perché era la verità. Si sentiva più rilassata dato che lo vedeva tranquillo e notava quanto impegno stava mettendo per recuperare completamente le forze. Il dottor Adams gli aveva anche insegnato degli esercizi da fare quando avrebbe tolto i punti e la fasciatura al braccio in cui si era reciso l'arteria, perché gli aveva detto che avrebbe avuto poca forza e quindi i muscoli andavano allenati di nuovo. C'erano, invece, altri giorni nei quali l'uomo si chiudeva a riccio e non voleva parlare con nessuno, troppo pieno di dolore e di tristezza per riuscirci. Gli risultava difficile fare quella sorta di riabilitazione, ma in realtà faticava a svolgere qualunque attività, persino a mangiare, e se qualcuno lo forzava gli urlava contro. Lo fece anche con Demi qualche volta e un giorno la ragazza andò via con gli occhi pieni di lacrime. Sapeva che il suo ragazzo non voleva farla star male, ma quel giorno l'aveva chiamata puttana non sapendo nemmeno lui il perché. Si era arrabbiato perché la ragazza avrebbe voluto che mangiasse almeno un po' di pasta e lui si era rifiutato più volte, avevano perso la pazienza entrambi e litigato. Per fortuna quello successivo Demetria era tornata, con gli occhi gonfi e pallida in volto, segno che non aveva fatto altro che piangere e che non aveva dormito, ma era andata ancora dal suo amore e avevano fatto pace. Andrew si era scusato un'infinità di volte e lei l'aveva perdonato, dato che era convinta che il suo fidanzato non pensasse davvero quelle cose. Era la stanchezza a fargliele dire. Ogni tanto, se non riusciva a fare un certo numero di passi, Andrew scoppiava a piangere come un bambino e per quel giorno non voleva più saperne di terapie. Gli sembrava di fare i capricci e si sentiva stupido, ma le sue emozioni erano così forti che spesso gli era complicato controllarle, e allora in quei frangenti Demi lo consolava e gli diceva che il giorno seguente sarebbe andata meglio. Insomma, i due avevano i loro alti e bassi e avevano la sensazione di stare su una montagna russa. Demi cercava di non far trapelare il suo stress soprattutto quando si trovava con le bambine, ma non era semplice.
Fu in uno di quei giorni che Andrew riuscì a darsi lo slancio con le braccia e a stare in piedi da solo. Mosse anche qualche passo. Sentiva le gambe più forti, anche se gli ci sarebbe voluto un altro bel po' di tempo per recuperare del tutto. Se c'era una cosa che aveva imparato in quel periodo era che doveva andare piano e portare pazienza, per quanto difficile.
"Demi, io sto… sto camminando! Cammino da solo!" esclamò raggiante.
Era come essere arrivato ancora più in alto verso la cima di quel monte dal terreno accidentato, tortuoso e pieno di buche. Per andrew camminare da solo significava essere più indipendente e avere più libertà; ed era una sensazione meravigliosa.
"Sì!” rispose la sua ragazza, mentre la sua voce si spezzava. “Sì amore, ci sei riuscito finalmente!"
Gli corse incontro e si fermò a poca distanza da lui. Andrew la raggiunse pian piano e le gettò le braccia al collo. Piansero, risero e sorrisero contemporaneamente e rimasero avvinghiati così per diverso tempo, tanto che ad un certo punto i dottori uscirono sorridendo dalla stanza. Non servivano parole per descrivere quanto erano felici in quel momento. Bastavano l'amore e i loro gesti affettuosi.
"Hai sempre creduto in me nonostante tutto, nonostante il modo in cui mi sono comportato, e di questo ti sarò grato per sempre, Demetria" le disse lui dopo un po'.
"L'ho fatto perché ti amo; e tu ti saresti comportato nello stesso modo con me, lo so."
"Sì. Ti amo!"
Andrew sentiva dolore, ma era solo questione di riabituarsi e poi la sofferenza era forte, sì, ma abbastanza sopportabile. Ad ogni modo, il fisioterapista gli disse di fermarsi e riposarsi un po’ perché non era il caso di sforzarsi troppo, ma dopo qualche minuto riprovarono.
Quello stesso pomeriggio, Demi si trovava nel piccolo giardino sul retro dell'ospedale. Teneva la mano al fidanzato e i due passeggiavano godendosi il sole e l'aria calda. Avevano fatto le scale perché era stato lui a volerlo e i medici avevano acconsentito. Era stata dura, ma ci era riuscito. La ragazza avrebbe voluto portare una sedia a rotelle nel caso al fidanzato fosse servita e infatti i medici l’avevano consigliato, ma lui aveva detto che non ce n’era bisogno. Camminava da pochi giorni e, anche se era ancora molto debole, era deciso a farcela da solo. Si aiutava con una stampella solo quando, anche se era stanco, voleva fare ancora esercizio. Ad ogni modo cercava di non sforzarsi mai troppo. I punti e la fasciatura del braccio sinistro erano stati tolti il giorno prima, mentre per l'altro, quello con l'arteria lesionata, ci sarebbe voluto più tempo. La fasciatura gli veniva cambiata ogni due o tre giorni ed era legata un po' meno strettamente, in modo da dargli più libertà di movimento. Avendo i punti, comunque, doveva muoverlo piano e stare attento.
"Per quanto tempo dovrò tenere ancora il braccio così?" aveva domandato l'uomo, quella mattina, ad un medico.
"Il fatto è che si è indebolito moltissimo a causa della ferita e deve muoverlo il meno possibile. Dovrà restare fasciato fino a metà luglio, poi toglieremo tutti i
punti."
Demi vedeva che Andrew era stanco e che aveva voglia di andare a casa.
"Vedrai che succederà presto, amore mio" gli disse, con dolcezza.
Non sapeva come altro tentare di consolarlo e di tirarlo su, se non con quelle poche frasi.
"Lo spero" sospirò. "Senti, vuoi sapere qualcosa su me e Catherine?"
La ragazza all'inizio non capì, poi ricordò di chi stava parlando.
"Se vuoi raccontarmelo, sì."
"Non voglio più avere segreti, con te. Rientriamo."
Il giardino non gli piaceva. Era piccolo e si poteva camminare poco. Gli pareva ancora più brutto dell'ospedale stesso.
Quando tornarono in stanza Andrew si sedette sul letto e Demi gli si mise accanto, su una sedia.
"La conobbi al secondo anno di liceo" cominciò l'uomo. Ci trovavamo spesso in mensa o in cortile e parlavamo. Frequentavamo anche alcuni corsi insieme, ma lei stava sempre con le sue amiche. Io non avevo tanti amici e anche lei era una ragazza piuttosto sola, così ci facevamo compagnia a vicenda e ci trovavamo bene insieme. A volte da cosa nasce cosa e, dopo alcuni mesi nei quali la nostra amicizia diventò sempre più profonda, ci innamorammo. Rimanemmo insieme per pochissimo, un mese circa. Era bello: a scuola camminavamo a braccetto, ci trovavamo a studiare - anche se spesso facevamo altro, cioè, intendo dire che ci baciavamo, non che… hai capito."
Demi rise. Adorava quando Andrew si imbarazzava parlando del sesso.
"Come mai poi vi siete lasciati?"
Gli occhi di Andrew divennero tristi. Demi lo guardò interrogativa e lui si affrettò a spiegare.
"Non sono triste pensando alla fine della nostra relazione, ma a quello che le è successo. Non si meritava una cosa del genere, nessuno dovrebbe mai viverla."
Il suo tono era grave. Doveva essere qualcosa di molto serio, pensò Demi. Forse erano morti anche a lei i genitori o un fratello?
"Un sabato sera mi convinse ad andare alla festa di una sua compagna di classe. Non aveva chissà quale rapporto con questa ragazza, ma dato che lei aveva invitato molti compagni del corso di diritto, non voleva mancare. Io avrei di gran lunga preferito stare a casa mia o sua a guardare un film e a coccolarci, ma lei insistette così tanto he la accompagnassi che non potei dirle di no. Tutto andò bene, quella sera, fu bellissimo; ma nei giorni seguenti le cose cambiarono. Catherine diceva di avere sempre nausea, di sentirsi male, stanca, debole. Soffriva anche di mal di testa sempre più forti, spesso doveva andare a casa perché non ce la faceva. Insomma, dopo qualche settimana i suoi genitori la portarono da un dottore."
"Lui cosa disse?"
"Che aveva un tumore."
"Tumore?" chiese Demi, in un sussurro.
Andrew annuì. Si vedeva che soffriva nel raccontarlo. In fondo erano stati più che amici, lui e Catherine.
"Aveva la leucemia. Mi lasciò lei non appena lo scoprì. Il giorno in cui me lo disse fu anche quello della nostra separazione. Preferì allontanarmi piuttosto che permettermi di starle vicino. Non voleva che io soffrissi ancora di più nel caso lei non fosse sopravissuta, poi si trasferì a New York con i genitori, dove a quanto so avevano trovato un bravissimo oncologo. Provai a chiamarla spesso nei due anni che seguirono, ma lei non mi rispose mai. Il telefono squillava sempre a vuoto. Un anno dopo mi chiamò dicendo che era guarita, che alla fine le cure non avevano funzionato, che era stata durissima e che alla fine si era salvata grazie ad un trapianto di midollo osseo. Mi parlò dei momenti nei quali era stata a letto, sentendosi senza forze né voglia di mangiare, o di quelli nei quali aveva vomitato anche l'anima. Fu un racconto emotivamente molto forte e toccante, te lo posso assicurare."
"Siete rimasti in contatto, da allora?"
"No, non ci siamo nemmeno più visti, solo sentiti qualche volta, ma quando io ho iniziato l'università non l'ho più cercata. Me ne dispiace, ma anche lei ha fatto lo stesso con me. La vita ci ha allontanati, è andata così. Rivederla per me è stato molto bello, ma ti assicuro che non provo più niente per lei, Demi. Amo solo te e non ti mentirei mai su questo."
"Lo so, amore" gli rispose, mentre pensava che per Catherine doveva essere stato molto doloroso prendere quella decisione e che la ammirava perché era riuscita a sconfiggere una malattia terribile, bastarda, che non perdona.
Andrew ricambiò il bacio con la solita passione che ci metteva, quella che lo rendeva ancora più romantico.
Purtroppo quel piccolo momento di tenerezza e di amore venne interrotto dalla porta che si aprì.
"Scusate l'intrusione" disse una voce femminile.
i due guardarono nella sua direzione: era Catherine.
"Ho saputo di Andrew dai giornali, stamattina. Non li leggo spesso e sono stata anche fuori città in questi giorni, ma oggi quando ho visto la notizia sono corsa qui. Come stai?" chiese all'uomo, avvicinandosi.
"Sono stato meglio" rispose questi sospirando.
"Demi, ciao" la salutò la donna.
"Ciao. Come sta il tuo bambino?"
"Oh, benissimo, grazie. le tue?"
"Bene! Andrew mi ha parlato di voi e di quello che ti è successo. Mi dispiace tanto, Catherine."
"Beh, è stata parecchio dura. Se non avessi avuto i miei genitori accanto, forse non sarei stata così forte. Inoltre, quando ho iniziato l'iter adottivo, è stato difficile superare l'ostacolo del:
"Lei ha avuto la leucemia, potrebbe ritornarle, quindi forse non potrà adottare un bambino",
ma alla fine ce l'ho fatta. Mi sono sottoposta a controlli ed esami ed è tutto a posto. Li faccio comunque, periodicamente, anche se sono passati tanti anni."
"Fai bene" le assicurò Demi, poi lasciò soli lei ed Andrew per un po'.
Dopo qualche minuto Catherine venne a chiamarla.
"Il tuo principe azzurro ti vuole" le disse, sorridendo. "io vado." Poi tornò seria. "mi ha parlato di Carlie e di tutto quel che è successo dopo la sua morte. Grazie per tutto ciò che hai fatto per lui; cioè, so che può sembrare una frase banale, sei la sua fidanzata, è ovvio che tu gli sia stata accanto, ma quel che voglio dire è che tu e lui siete così beli insieme! Vi completate. Sono molto felice per voi, davvero!"
Demi sorrise. Catherine parlava proprio tanto, ma la cosa non le dava fastidio. Anzi, ne fu contenta: sentiva che le sue parole erano sincere e le fu grata per ciò che aveva detto.
"Ti assicuro che farò di tutto per renderlo felice" le disse.
"So che sarà così, Demi, credimi. Anche lui ti renderà felice, ne sono sicura. Siete una bella coppia! Ora scappo, devo andare a prendere mio figlio da mia madre. Ci vediamo in giro."
"Sì, salutami George."
"Sarà fatto."
Detto questo Catherine andò via e Demi tornò dal fidanzato.
"Ti è dispiaciuto che sia venuta?" le domandò Andrew.
Demi era tranquilla, ma lui non si sentiva così. Aveva paura che la visita della donna l'avesse ferita.
"No anzi, è stata gentile; e poi, ripeto, ti credo amore."
"Demi?"
"Sì?"
"Voglio tornare a casa" confessò.
"Te l'ho detto, succederà presto, vedrai."
I dottori l'avrebbero mandato a casa prestissimo, ma purtroppo le cose si complicarono perché nei giorni seguenti Andrew ebbe altre crisi epilettiche, anche se lievi, nelle quali vedeva solo una strana luce. Ne aveva una decina al giorno, così, dopo un po', i medici decisero di farlo parlare con un neurologo. Ci avevano già pensato, ma avrebbero voluto fargli altri esami prima, per escludere problemi che potevano assomigliare a crisi epilettiche. Vista la situazione, però, ritennero più opportuno anticipare quel colloquio. Il dottore era un signore sulla sessantina. Chiese ad Andrew di descrivergli i sintomi che aveva durante gli attacchi. Gli rispose che a volte, improvvisamente, perdeva il controllo del suo corpo e che altre, quando percepiva solo quella luce, sentiva un giramento di testa poco prima e una forte emicrania poi.
"Quando ho questi sintomi provo anche una grande stanchezza. Riesco a parlare normalmente, ma mi sento un po' confuso e faccio fatica a concentrarmi" concluse.
"Se, come credo, lei soffre di crisi epilettiche, questi sono sintomi normali. La perdita del controllo del corpo potrebbe essere una crisi molto forte, oppure una convulsione. Nei prossimi giorni la sottoporrò a degli altri esami e poi, in base alla diagnosi, decideremo cosa fare."
"Potrei dover prendere dei farmaci?" chiese l'uomo.
"Sì, è possibile. Se soffrirà di crisi epilettiche, potrà venire da me. Sarò io il suo neurologo, se vorrà."
"Va bene, grazie!" esclamò.
Quel medico gli ispirava simpatia e fiducia.
Ci volle un'altra settimana perché Andrew venisse dimesso. Dopo averlo sottoposto a vari esami, il neurologo aveva scoperto che soffriva di epilessia e che non aveva altre malattie. Aveva inoltre saputo, anche grazie a ciò che lui, alla fine, si era ricordato, che l'epilessia era una malattia ereditaria nella sua famiglia. Suo zio, il fratello della madre, infatti, ne aveva sofferto e così anche sua mamma, ma solo durante l'adolescenza. Per questo, e dato che gli episodi si ripetevano, il medico aveva fatto iniziare all'uomo una cura. Avrebbe dovuto prendere due pastiglie al giorno, una la mattina e una la sera, fino a quando, per due anni consecutivi, non avesse avuto più crisi. Il neurologo lo rassicurò dicendo che, proseguendo la cura, ne avrebbe avute molte meno e sarebbe stato meglio. Per quanto riguardava le convulsioni, invece, erano probabilmente state provocate dal troppo stress.
Andrew aveva parlato con i medici e con la psicologa, raccontando loro  tutto ciò che era successo e il perché della sua decisione. La donna gli aveva proposto di riprendere il loro percorso insieme e di affrontare quel terribile lutto e lui aveva accettato. Gli era mancato parlare con lei, in quel periodo. Da dopo la morte di Carlie non si era più presentato ad una seduta, non rispondendo nemmeno alle chiamate della donna.
Andrew sembrava stare meglio. Pareva più tranquillo e meno angosciato, così Demi decise di organizzargli una piccola festa a sorpresa il giorno del suo ritorno. Invitò a casa sua degli amici e colleghi di lavoro di Andrew, tra i quali ovviamente Janet e Bill, che erano venuti a trovarlo in ospedale anche il giorno prima e poi Selena, Joe, Dianna, Madison, Eddie e Dallas.
Andò a prendere Andrew alle 15:00, ma rimase con lui in ospedale per altre due ore perché i dottori dovevano preparare le carte per dimetterlo. Quando alla fine l'uomo firmò, poterono andare.
"Ora andiamo un po' a casa mia, va bene?" gli chiese Demi, quando salirono in macchina.
"Sono stanco, Demi, preferisco andare a casa mia."
"Sarà solo per un po', dai! Le bambine hanno voglia di vederti."
"D'accordo, per loro posso fare uno sforzo" disse l'uomo, sorridendo.
Quando entrarono in casa, era tutto buio.
"Demi, che succede?" le domandò Andrew, che non capiva.
Fu in quel momento che le luci si accesero e si levò un coro che urlò:
"Sorpresa!"
L'uomo allora vide che c'erano i suoi colleghi di lavoro, la famiglia di Demi e che la ragazza aveva preparato un tavolo con del cibo. C'erano anche Selena e Joe il quale, come aveva fatto alla festa di compleanno della cantante, faceva il DJ, ma teneva la musica bassa per non disturbare Andrew.
Le prime a raggiungerlo furono Mackenzie e Hope, le quali corsero da lui e gli si gettarono fra le braccia.
"Ehi, principesse!" esclamò l'uomo, scompigliando loro i capelli.
Hope rise. Data la sua tenera età scambiò quel gesto d'affetto per un gioco. Mackenzie invece sorrise. Le era mancato sentire le mani di Andrew che la accarezzavano. In ogni parola, in qualsiasi gesto di quello che lei, a volte, chiamava papà, c'era sempre un grandissimo, profondo amore per loro e per la mamma, un sentimento così forte, sincero e pregnante, che a volte lei pensava di non meritarlo.
Potete venire un momento con me? chiese la bambina ad entrambi.
"Tesoro, ora festeggiamo e poi staremo insieme, d'accordo?" intervenne Demi.
No. Per favore, vi devo chiedere delle cose; è da un po' che ci penso ed è importante!
"Dai, Demi, concediamole qualche minuto. In fondo non mi vede da quasi un mese!" le fece notare Andrew.
"Okay."
La ragazza sorrise. Non era arrabbiata con la figlia e non voleva che lei lo pensasse. Semplicemente, le pareva un po' maleducato lasciare così i loro ospiti; ma per Mackenzie avrebbe fatto questo ed altro.
"Scusateci" disse, alzando un po' la voce per farsi sentire. Tutti ammutolirono e la guardarono. "Mackenzie non si sente molto bene, perciò ci assentiamo un momento."
Era una bugia, ma non sapeva come altro giustificare il loro allontanamento.
Dianna si offrì di andare con loro, ma Demi rifiutò dicendo che non ce n'era bisogno. Dopo aver preso Hope in braccio, seguì Mackenzie. Andrew era dietro di loro.
Sedetevi, per favore scrisse la bambina, quando entrarono in camera sua.
I due obbedirono, accomodandosi sul letto; la piccola si mise davanti a loro, in modo che potessero vedere bene ciò che scriveva.
Perché io e Hope per voi siamo così importanti? chiese.
Andrew e Demi la guardarono, onfusi, per un momento. Fu lui a parlare per primo.
"Amore, io e Demi ti conosciamo da quasi un anno. Ormai dovresti sapere che amiamo te e la tua sorellina con tutto il cuore. Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato?"
Sì lo so; e no, non avete sbagliato niente, ma io ho avuto tanta paura di perderti, papà. Credo che anche Hope abbia provato questo, in qualche modo. Avevamo bisogno entrambe che in particolare tu ce lo ricordassi. Io ho temuto che non ti avrei rivisto, che non avresti più potuto dirmi che mi volevi bene, che saresti morto come, beh, come i miei veri genitori.
Qualche lacrima le rigò il viso. A Demi e al fidanzato si strinse il cuore nel vedere la loro bambina stare male. L'uomo si inginocchiò davanti a lei e le prese il viso tra le mani.
"Oh, piccola mia!" esclamò,commosso. "Mi dispiace di averti fatta soffrire così tanto!"
Non importa rispose lei, sorridendo appena.
I due si abbracciarono e Demi si emozionò guardandoli. Da tempo non li vedeva più stare così vicini. Era bello essere tutti e quattro di nuovo insieme. Certo le difficoltà non erano finite, ci sarebbero ancora stati momenti duri, ma quel che contava era che li avrebbero affrontati restando uniti.
"Mackenzie," disse la ragazza, "tu per me sei importante perché sono tua madre, ti ho adottata e se non avessi amato te e Hope sin dal primo istante in cui l'assistente sociale mi ha parlato di voi, non avrei fatto questa scelta. Vi voglio bene anch'io, angeli miei!"
Baciò e strinse al cuore le sue figlie, poi Andrew prese in braccio Hope. Gli era mancato troppo coccolare quella bambina. Fece un po' fatica a tenerla su a causa del braccio fasciato, ma dato che non sentiva dolore non gli fu così difficile.
Ho una cosa da mostrarti, papà! esclamò a un tratto Mackenzie, quando si sciolse dall'abbraccio di Demi.
Dato che non lo chiamava sempre così, sentirselo dire fu, per Andrew, una gioia immensa. Andrew avrebbe voluto piangere, ma si trattenne. Non voleva spaventare le bambine.
"Davvero?" chiese invece, cercando di sorridere. "Di che si tratta?"
Mackenzie aprì un cassetto del suo comodino e tirò fuori un bicchiere di plastica coperto con un po' di alluminio.
L'altro giorno ho perso il mio primo dentino scrisse poi, fiera.
"Wow, è una cosa importante" le rispose Andrew, mentre un sorriso più grande gli illuminava il volto. "La fatina dei denti ti ha portato un dei soldi?"
Sì, cinque dollari!
"Così tanti? A me ne portava solo uno, non è giusto!" si lamentò, facendo finta di piangere.
Quella scena era talmente divertente che non solo Mackenzie, ma anche Demi scoppiò a ridere dicendo:
"Non fai per niente pena."
"Uffa, siete cattive" piagnucolò ancora l'uomo, poi tornò serio e disse: "Avrei voluto essere qui quando è successo."
"Non preoccuparti," gli rispose Demi mentre la figlia metteva a posto ogni cosa, "ci sarai in molti altri momenti importanti della loro vita, ne sono
sicura."
Dopo poco tornarono di sotto. Quando scesero, ad uno ad uno, tutti gli ospiti andarono a salutare Andrew, ad abbracciarlo, a stringergli la mano, ma erano tante persone e, per quanto Andrew fosse felice di vederle, presto si trovò circondato. Si sentiva in trappola e non a suo agio, come invece avrebbe sperato. Gli sembrava di soffocare, non riusciva a respirare, anche se tutti erano gentili con lui e cercavano di non affaticarlo.
All'inizio provò a non darvi peso. Bevve e mangiò qualcosa, poi si accomodò su una poltrona e cominciò a chiacchierare con Demi e con il suo capo, Janet, mentre Mackenzie e Hope gli si sedettero in braccio.
"Allora, Andrew, quando pensi che tornerai al lavoro?" gli chiese la donna, per parlare di qualcosa di diverso che non fosse la sua esperienza in ospedale o la morte di Carlie.
"Il più presto possibile, Janet, appena potrò togliere la fasciatura al braccio. Ora faccio anche fatica a muoverlo."
In effetti faticava anche a vestirsi e spogliarsi. Demi si era offerta di aiutarlo, una volta uscito dall'ospedale e di restare a casa sua con le bambine, ma l'uomo aveva gentilmente rifiutato. Per quanto apprezzasse il suo aiuto, almeno in quello voleva cavarsela da solo.
"Beh, noi ti aspettiamo" proseguì Janet. "Prenditi il tempo che ti serve per guarire."
Nessuno gli fece domande su quanto era successo, benché tutti sapessero com'erano andate le cose. Nessuno lo giudicò per quanto aveva fatto e lui non poté che sentirsene sollevato, ma dopo un'ora passata in mezzo alla gente cominciò ad essere davvero stanco, così ad un certo punto si alzò. Stava per andare da Joe, quando Demi lo fermò.
"Ti senti bene?" gli domandò, allarmata, notando il suo improvviso pallore.
"Hai fatto una bella cosa per me, Demi, ma forse non era il momento adatto."
Detto questo, si avvicinò a Joe e gli chiese di spegnere la musica, poi parlò ad alta voce per attirare l'attenzione di tutti.
"Grazie mille per essere venuti," cominciò, "ma per me era troppo presto per incontrare così tante persone. Sono appena tornato dall'ospedale, mi sento molto stanco e ho davvero bisogno di riposo. Per cui mi dispiace davvero per voi, ma la festa finisce qui, Ci vedremo più avanti."
Tutti, un po' delusi, cominciarono ad avvicinarsi a lui per salutarlo e poi pian piano se ne andarono.
Quando rimase solo con Demi e le bambine, Andrew le parlò.
"Avresti dovuto dirmelo" le fece notare, un po' contrariato.
"Doveva essere una festa a sorpresa! Se te l'avessi detto non lo sarebbe stata più" gli disse lei, in tono allegro.
"Hai mai pensato che forse io non desideravo fare una festa? Insomma, Demi, a che scopo l'hai fatto?"
"Per festeggiare il tuo ritorno a casa, perché stai bene!"
"Sto bene? Essermi tagliato e quasi ucciso per te è stare bene? Aver perso una sorella da tre mesi e mezzo è stare bene? Beh, non direi proprio!" urlò.
Hope si mise a piangere, mentre Mackenzie andò a nascondersi in un angolo.
"Ragazzi, tutto bene?" disse Dianna, rientrando dopo aver sentito le urla.
"Mamma, porta fuori le bambine, per favore. Fai fare loro un giro al parco o quello che vuoi. Io ed Andrew stiamo discutendo" sussurrò Demi, avvicinandosi a lei.
Dianna capì, prese Hope dalle braccia della figlia e disse a Mackenzie di seguirla.
"Adesso andiamo al parco con la zia Dallas e la zia Madison, d'accordo?" chiese, dolcemente, poi uscì con loro.
Dopo aver controllato che la porta fosse stata ben chiusa e che nessuno avrebbe potuto sentirli, Demi andò a sedersi vicino ad Andrew, che era sempre immobile sul divano.
"Io credevo che ti avrebbe fatto piacere" gli disse. "Scusami se ho sbagliato. Con le bambine sembravi così tranquillo!"
"Appunto, lo ero, ma solo con loro e con te. Demi, per me è troppo presto per tornare ad una vita normale, per vivere con il sorriso, per fare una festa per il mio ritorno a casa. Non ho niente da festeggiare per il momento, te ne rendi conto? Nemmeno il fatto di essere tornato a casa mi rende completamente felice! In ospedale, quando ero cosciente, pensavo solo che avrei voluto morire e andare con Carlie. Solo quando mi sono definitivamente svegliato e ho visto te ho ricominciato a sentire che, pian piano, la vita riprendeva a scorrere dentro di me, ma non posso dire di stare bene."
"Non ho mai detto questo" gli assicurò Demi, seria.
"Lo so."
"Perdonami, Andrew. Io sto solo cercando di aiutarti!"
"So anche questo e immagino che tu ti sia sentita impotente nel periodo nel quale io sono stato male."
"Sì, molto; non sapevo cosa fare."
"Tutto quello che puoi fare adesso è starmi accanto, perché io ti voglio nella mia vita, Demi. Non voglio più isolarmi come ho fatto finora. Hai ragione tu, non posso più farlo; ma non desidero feste o incontrare tante persone. Tutto quello di cui ho bisogno ora siete tu e le bambine e basta. Vi volevo vicine prima, ma ora più che mai."
"Va bene, ho capito e ti ringrazio per essere stato sincero con me."
"Scusa se ho urlato. Sono stato un cretino, non avrei dovuto. Ti ho trattata male quando non ce n'era motivo" le disse, con lo sguardo basso per la vergogna.
Lei gli sorrise assicurandogli che era tutto a posto e poi gli fece una proposta:
"Ti farebbe piacere se io mi trasferissi da te per un po'? Potremmo stare di più insieme, così, almeno fino a quando guarirai."
I dottori gli avevano dato due settimane di malattia, nelle quali avrebbe dovuto stare a casa e riposare. Ogni giorno avrebbe dovuto cambiare la fasciatura del braccio con l'arteria lesionata e poi, a metà luglio, sarebbe andato a togliere i punti.
"Come farai a cambiarti da solo il bendaggio?" gli fece notare Dem,.
"Avevo rifiutato quest proposta, ma capisco che hai ragione, ho bisogno di una mano. Accetto volentieri che tu ti trasferisca da me con le bambine. Ho una stanza per gli ospiti, Mackenzie potrà dormire lì e nella mia camera c'è spazio per il lettino di Hope, o se preferisci possiamo metterla in salotto e tu puoi dormire sul divano, nel caso non te la sentissi di stare al mio fianco."
"Perché non dovrei? Abbiamo già dormito insieme!"
"Hai ragione."
"Andrà tutto bene, Andrew; è un momento difficile, lo so, ma noi ci amiamo e affronteremo tutto insieme. Okay?"
"Sì, amore!"
L'amoe era fatto anche di periodi complicati, di alti e bassi, di dolore; e loro lo sapevano, l'avevano sperimentato. Comunque, avrebbero affrontato tutto insieme, perché il loro amore era più forte delle lacrime, della sofferenza, perfino della morte.
I due si abbracciarono e si strinsero forte, sentendo i loro cuori battere all'impazzata. Per fortuna si erano chiariti. Andrew aveva bisogno di tempo e Demi l'aveva capito. L'avrebbe rispettato e non l'avrebbe forzato in alcun modo a reagire. Ognuno ha bisogno dei suoi tempi per superare un lutto. C'è chi ci mette di più, chi di meno, in fondo siamo tutti diversi e abbiamo il nostro carattere. La cosa importante era che Andrew aveva deciso di non rimanere da solo, di farsi aiutare anche dal punto di vista morale oltreché materiale, che desiderava avere la sua ragazza vicino e che non voleva più isolarsi dal mondo.
"Andrew?"
"Sì?"
"Ti amo" gli sussurrò Demi all'orecchio.
"Anch'io ti amo, con tutto me stesso!"
 
 
 
NOTE:
1. mi sono informata il più possibile sugli esercizi da svolgere, spero di aver fatto un buon lavoro anche con le tempistiche. 2. Non so se il bendaggio vada tenuto così tanto tempo, nemmeno dopo una ferita del genere. Per le tempistiche mi sono riferita ad un romanzo in cui un personaggio veniva ferito da un uomo che gli recideva un'arteria con un coltello. Non c'era scritto quale arteria, né c'erano particolari dettagli sull'operazione. Mi sembra che gli avessero dato due settimane di riposo in cui tenere le bende, ma lui non aveva avuto tutti i problemi che invece Andrew ha dovuto affrontare prima di svegliarsi, per cui, visto che il suo caso è stato abbastanza grave, ho preferito allungare un po'.
   
 
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