Edom, 2017 Era caduto per terra e quelle creature infernali avevano iniziato a frustarlo, aspettando il momento in cui li avrebbe supplicati. Ma non sapevano che non avrebbe manifestato, mai e poi mai, il dolore logorante di quelle frustate ineguagliabile in con fronte al dolore della perdita di Magnus. Mentre il cuoio della frusta toccava la pelle, i muscoli sembravano diventare di burro e lui doveva mordersi le labbra fino a farle sanguinare... per non urlare di dolore. Ormai tutto questo era diventato normale. Era abituato a essere picchiato, ad andare avanti con il crudo dolore della fame che contraeva lo stomaco, a vivere con quella polvere e la necessità di colmare quel vuoto immenso nel petto. Tante volte aveva progettato di morire ma erano sempre stati pensieri guidati dalla disperazione. Tante volte aveva guardato la spada ed gli era venuto in mente di tagliarsi nettamente la gola, ma poi pensava a Magnus. Non avrebbe mai avuto il coraggio di ferirlo, se lo stregone fosse ancora stato vivo l'avrebbe odiato per quello. Ripenso' al primo giorno in cui si erano incontrati. L'aveva visto solo una volta, in mezzo a tutto quel frastuono della musica e  la puzza dell'alcool, ma già lo amava. Amava come parlava accompagnando le parole che fluivano dalle sue dolci labbra a gesti ipnotici. Amava il suo modo egocentrico nel vestire e truccare. Non aveva mai avuto il coraggio di andarli incontro, ma fantasticava sui discussioni e conversazioni che avrebbero potuto svolgersi se solo fosse stato meno timido. Era così bello in quella tunica blu glitterata, mente recitava un testo  d'incantesimi in Aramaico. Erano due anni che, ormai, viveva in quella maniera. Alec smise di pensare per un momento a quel travolgente passato. Non si era neanche accorto che le guardie erano svanite, andando a torturare qualcun'altro. Provò ad alzarsi, ma una fitta colpì la schiena e dovette ricadere nella terra ghiacciata. Le gambe portavano il macigno del corpo ma caddero per terra quando provò a rialzarsi. Non riuscivano a reggere quell'anima afflitta. Barcollo', provando a camminare e dandosi sostegno con la parete insanguinata per poi lasciarsi cadere nuovamente, sfinito. Il respiro si fece pesante e affannato. Si rannicchio' in un angolo portando le ginocchia al petto mentre i singhiozzi lo squotevano violentemente. Lacrime calde scendevano lungo le guance affilate, bagnandole. Quei mostri gli avevano portato via il suo amore, la sua vita. A causa loro, la luce negli occhi dello stregone si era spenta. Non avrebbe mai più sentito la sua risata cristallina, né la sua voce che parlava in modo frenetico spiegando allo shadowhunter i diversi utilizzo dei pennelli da trucco come se ne andasse della sua stessa vita. Ogni giorno si richiudeva in uno stanzino ad Edom e riprendeva il rituale che lui stesso aveva iniziato dopo la morte di Magnus. Tirava fuori la lametta che custodiva sempre con cura nella tasca della giacca e iniziava a premere il metallo freddo sulla sua pelle ripetutamente, il più delle volte sulle braccia. Mentre il sangue scuro scivolava nel lavandino e sul pavimento di marmo bianco, sulle braccia, quel liquido scorreva scarlatto, fino a ricadere a terra formando una pozzanghera ai suoi piedi. Le lacrime scendevano sul suo volto mentre cadeva lentamente in ginocchio distrutto dai ricordi. Un ora dopo, il moro, terminato il suo rituale, puli il bagno dal sangue e tirò giù con noncuranza la manica della felpa malridotto nonostante le ferite profonde continuassero a sanguinare.