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Autore: esse198    15/03/2017    1 recensioni
Molly riceve un dvd misterioso. dopo la visione di quel video nulla sarà più come prima.
post quarta stagione
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“L’onda lunga di Euros.” esordì John, lasciandosi stancamente sedere sulla poltrona di fronte alla scrivania di Mycroft, dopo avervi lanciato qualcosa.
Sul piano della scrivania giaceva il dvd incriminato, con la sua bella scritta che nella famiglia Holmes ormai evocava solo incubi, invece di bei sentimenti d’amore.
Il maggiore degli Holmes infatti sgranò gli occhi e chiese: “è quello che penso?”
Il soldato annuì.
“Chi l’ha visto?”
“Io, Sherlock e… “ John fece una pausa piena di significato “e Molly.” Completò.
“La signorina Molly Hooper?” chiese conferma come se non fosse abbastanza ovvio.
“Oh, mio dio!” aveva esclamato poi sommessamente passandosi le mani sul viso, in un moto di sconforto.
John si sistemò sulla poltrona, tirò un lembo del giubbotto a coprirsi, in un gesto meccanico.
“Sherlock non esce di casa, parla a monosillabi, quasi non mangia. E non compone neanche.” Il soldato fece una pausa, si soffermò a guardare bene Mycroft. “Ha litigato con Molly. Lei ha sbattuto la porta ed è uscita dalla sua vita.”
Una sintesi perfetta ed esaustiva degli ultimi tre giorni.
John aveva pensato a lungo a quanto accaduto. E aveva assistito alle cose più assurde da quando aveva conosciuto Sherlock, ma non aveva mai visto un litigio alla pari tra lui e Molly, l’aveva vista schiaffeggiarlo, certo, ma non l’aveva ancora vista insultare il più grande consulente investigativo al mondo (anche perché unico, in effetti) e sbattere la porta. Non aveva mai assistito a tanta forza in un litigio, in un confronto carico di parole non dette, carico di tanto dolore. E temeva di essere arrivati a un punto di non ritorno.
“Domani c’è la visita mensile di Sherlock a Sherriford.” Si ricordò Mycroft.
“Sì, ecco. Sono qui anche per questo. Sarà meglio non lasciarlo andare da solo.” Concluse John, alzandosi e avviandosi verso l’uscita. E lasciando un Mycroft alquanto pensieroso.
 
 
Le note che Sherlock stava suonando non sembravano nemmeno note, e forse Sherlock non stava nemmeno suonando. Erano suoni acuti e stridenti, melodie brevissime che cambiavano rapidamente direzione, il ritmo era estenuante, l’archetto sembrava torturare quelle corde e gli occhi di ghiaccio erano puntati sulla sorella. Quest’ultima all’inizio aveva suonato con lui, ma aveva faticato a stargli dietro e dopo pochissimo aveva rinunciato ed era rimasta a guardarlo con una vaga espressione di stupore. Non ci mise molto a capire che quelle note erano parole piene di risentimento, rabbia, rancore. Allora mise via il suo strumento e gli voltò le spalle. Sherlock andò avanti fino alla fine. Perché quel rumore era studiato, aveva un inizio e una fine. Era una composizione come le altre, era un discorso ben preparato e lui doveva andare fino in fondo.
“Ti avevo perdonato, pensavo ci fossimo chiariti. Pensavo ci fossimo trovati.” Aveva detto alla fine della sua esecuzione. Il fiato corto, affaticato dalla performance impegnativa. Non avrebbe ricevuto risposta, lo sapeva. E quella pausa non ne attendeva una.
“Quel video non te lo perdonerò mai.”
 
Mycroft lo attendeva all’uscita della cella. Sherlock uscì furioso e nel suo mutismo.
Mycroft lo seguì.
“Sai come sono andate le cose, Sherlock. Non serve prendersela adesso con lei.” Cercava di farlo ragionare.
E Sherlock sì, lo sapeva.
“Dev’essere stato qualcuno che ha rispettato patti precedentemente accordati. Questo era l’ultimo atto, probabilmente.” Mycroft lo seguiva, cercava di tenere il passo, cercava di capire se il fratello lo stesse ascoltando.
“Non si è accorto che la recita era finita da un pezzo.” completò a mezza voce Sherlock.
“Intercetteremo e rintracceremo ogni registrazione, beccheremo il responsabile di quanto appena successo.” Gli prese un braccio per farlo voltare e per assicurarsi che lo guardasse bene in faccia mentre gli faceva quella promessa.
Sherlock non fiatò. Si voltò e salì sull’elicottero.
Le parole di Mycroft avevano in qualche modo colmato quel desiderio di vendetta e giustizia che provava, ma si rendeva conto che ormai nulla avrebbe avuto senso, non dopo quelle parole, non dopo aver perso Molly.
 
 
 
 
 
Il suo sistema immunitario alla fine aveva ceduto. Quel weekend Molly era rimasta a letto tutto il tempo, in preda ai dolori dell’influenza. La febbre alta l’aveva fatta dormire a lungo e profondamente, ma appena si svegliava ricomparivano all’istante i fotogrammi di quel video. Rivedeva Sherlock di fronte all’obiettivo, ma anche l’inquadratura laterale che le aveva rivelato che i tre l’avevano pure spiata durante quell’assurda conversazione. Sentiva dello sporco addosso a sé, un senso di vergogna profondo. E disprezzo. Quasi odio. Ma anche la reazione di Sherlock… quella forza bruta che lo aveva spinto in pochi secondi a fare brandelli di quella cassa di legno. E si ricordò del fragore che aveva fatto appena in tempo a sentire quella sera a Baker Street, prima di richiudersi il portone alle spalle e andarsene via per sempre da lì. Perché la sua decisione era rimasta ferma su quel punto: non aveva alcuna intenzione di tornare indietro, nulla avrebbe potuto essere come prima, mai più. Indubbiamente provava pena per Sherlock, per la sua devastazione, ma non riusciva a perdonargli quella sua reazione, ma soprattutto l’averla coinvolta in qualcosa di così distruttivo. E capiva, capiva tutto, capiva sempre, ma aveva l’impressione che nessuno avesse mai capito nulla di sé. Ed era stanca di tutto ciò.
Tornò al lavoro dopo quei due giorni, anche se aveva ancora l’influenza e la febbre era scesa, ma restare a casa avrebbe significato rimuginare sugli ultimi eventi e ciò le avrebbe fatto scoppiare la testa. Lavorare le avrebbe consentito di cacciare tutto sullo sfondo, almeno per un po’, e magari avrebbe reso tutto un po’ meno importante.
 
 
Furono mesi strani. La rottura tra il detective e la patologa si ripercosse sull’iter delle indagini, divenne tutto molto meno lineare, molto meno semplice. E se da un lato Molly si rivelò, come prevedibile, bravissima a sparire, dall’altro Sherlock sembrava fare di tutto per farsi notare e inevitabilmente gli episodi di stizza contro qualunque patologo incompetente arrivavano alle orecchie di Molly. E per forza di cose anche Lestrade si trovò a dover gestire una situazione, in verità, davvero ingestibile. Continuava a lanciare occhiate al povero John, richieste d’aiuto perché intervenisse, perché facesse qualcosa. E John i suoi tentativi li aveva fatti, aveva contattato più volte Molly. In realtà non lo aveva fatto solo per rimediare tra lei e Sherlock, anche perché la situazione era un po’ troppo complicata per essere mediata, ma era preoccupato, gli interessava sapere come stava la ragazza, e aldilà di tutto Molly restava la madrina di Rosie e solo per questo John avrebbe mantenuto saldamente i rapporti con lei. D’altra parte non aveva molto da dire in difesa del suo amico, si era scusato più volte con lei per il suo comportamento, per tutto quanto, per quell’enorme faccenda. Ma le disse anche che, in effetti, non c’erano più parole che potessero spiegare, comprendere, giustificare quanto successo quella sera a Baker Street. Anche perché il soldato era convinto che quella era una faccenda che dovevano risolvere solo loro due, che per quanto potesse intercedere, la questione restava sospesa fino a che uno dei due non avesse fatto un passo verso l’altro.
Ma ciò non toglieva che una spintarella bisognava pur darla…
 
“Credo che dovresti parlare con Molly.”
Questo era il tipico attacco che John tentava a intervalli regolari.
E di solito Sherlock ignorava e non rispondeva.
“Hai sentito anche tu cos’ha detto.” aveva bofonchiato stavolta il detective.
“Ho sentito anche quel che le hai detto tu.”
Sherlock accolse la risposta dell’amico, cogliendone il significato nascosto: entrambi non pensavano davvero quel che si erano detti.
“Non è la stessa cosa. Proprio per quel che ho detto, lei era ben consapevole della sua risposta.”
“Beh, indubbiamente è stata provocata…” ammise John.
Nonostante ciò non riusciva a capire, non riusciva ad accettare che le cose dovessero rimanere a quel punto e aveva maturato una consapevolezza da tempo.
“È strano…” disse “quanto è successo a Sherrinford è qualcosa che vi ha devastato, probabilmente allo stesso modo. Questo avrebbe dovuto avvicinarvi in qualche modo, invece vi ha irrimediabilmente separati.”
Sherlock, che era rimasto immobile al suo microscopio, si mosse sulla sedia, manifestando un certo fastidio a quelle parole.
“In che modo avrebbe dovuto avvicinarci?” chiese quasi sbuffando.
“Avreste dovuto affrontarlo e superarlo insieme. Invece vi siete ostinati a farvi guerra e a lottare ognuno per conto proprio.”
 
 
Il turno quella sera era stato lungo ed estenuante. Molly aveva caricato sulla spalla la sua grande borsa e si apprestava a tornare a casa. Aprì la porta e si avviò verso l’altra uscita.
“Quel che provi è ciò che provo anch’io.”
La voce di Sherlock l’aveva fatta sobbalzare, esattamente come diversi anni prima, quando le aveva chiesto il suo aiuto, mettendo da parte ogni orgoglio e aprendosi a lei per la prima volta.
“È rabbia, smarrimento, imbarazzo. Ostinazione. Ma non verso di te, né il tuo verso di me.”
La sua figura si stagliava nera sul bianco del corridoio vuoto. Come allora parlava senza guardarla.
“E io… devo ammetterlo… ho delle grosse difficoltà ad andare avanti senza di te.”
Poi posò lo sguardo su di lei.
“Tu conti. Ricordi? Sempre. Da sempre. Questo non è mai cambiato. Anzi, forse sei diventata sempre più importante, altrimenti Euros non mi avrebbe messo alla prova con te. E mi dispiace. Davvero. Mi dispiace. Vorrei tanto tu potessi perdonarmi.”
Aveva mosso qualche passo verso di lei.
La donna lo guardava sconvolta. Di nuovo. Il cuore accelerò i battiti. Si portò le mani sulla bocca.
“Oh, Sherlock!”
Le lacrime risalirono fino alle ciglia, come un fiume sgorgarono incontrollabili, come se in quei mesi le avesse trattenute tutte quante, come se volesse dimostrare a se stessa di essere forte. Ma quelle parole, quella voce, quegli occhi la fecero crollare e lasciò cadere tutte le difese. Sedendosi su una delle panchine di quel corridoio deserto, si lasciò andare a quello sfogo.
Sherlock rimase basito, incerto sul da farsi, desideroso di toccarla, ma timoroso di un rifiuto. Le si sedette accanto, attento a che i loro corpi non si sfiorassero nemmeno.
“Quelle parole erano mie, solo mie. Erano i miei sentimenti, la cosa più intima che avessi. Mi sono sentita spogliata, violata. Mi sono state estorte e poi spiattellate. Adesso non riesco nemmeno a pensarle. Mi sembra che tutto abbia perso senso.”
Ecco cosa aveva provato, ecco come si era sentita in tutto quel tempo. Finalmente era venuto fuori e sentiva come se si fosse liberata di una verità troppo ingombrante.
“Molly…” sussurrò lui e le si fece più vicino.
“Scusa…” disse la ragazza, tra un singhiozzo e l’altro. Sherlock sgranò lo sguardo. Perché si stava scusando?
“Per gli insulti di quella sera.” completò Molly, rispondendo alla sua domanda inespressa.
“Dimentichiamo quella sera, ok?”
Molly girò leggermente il corpo verso di lui, le ginocchia si toccarono e Sherlock non riuscì più a trattenersi: poggiò una mano sulla spalla di Molly e la strinse delicatamente a sé, le labbra sui capelli. Il profumo del suo shampoo gli riempì piacevolmente le narici, serrò le palpebre e ne inspirò il più possibile.
Attese che il pianto scemasse, in silenzio.
Molly, a quel tocco, si rilassò gradualmente. Il calore del suo corpo la rassicurò, la calmò. Lui che aveva tanto odiato, lui che aveva deciso di non rivedere mai più. Tra le sue braccia ritrovò una pace insperata, un senso smarrito chissà dove. Era come tornare a trovare l’incastro giusto tra due tessere di un puzzle.
Le luci al neon del corridoio non erano tutte accese, a quell’ora tarda in quel reparto non c’era nessuno. Regnava il silenzio assoluto, solo il rumore del traffico giungeva ovattato dall’esterno.
E il respiro di Sherlock e Molly.
Molly asciugò le ultime lacrime e si scostò. Sherlock sciolse l’abbraccio a malincuore. Cercò di scrutarne il viso, ancora basso. La sua voce giunse meno acuta, un po’ arrochita.
“Il lavoro in laboratorio rasenta la noia senza di te.” ammise con un’umbra di ironia.
Sherlock sorrise, forse tirò un sospiro di sollievo. Non per l’accesso al laboratorio, ovviamente. Pensò che forse le cose sarebbero tornate come prima, forse lentamente e con molta pazienza lui e Molly sarebbero tornati quelli di un tempo.
 
Quella sera John vide rientrare uno Sherlock stanco, ma con un accenno di sorriso sulle labbra. Gli sembrò addirittura rilassato.
Dal giorno dopo il cielo di Londra assunse un colore turchino che non si vedeva da mesi, le temperature si alzarono e la primavera cominciò a fare capolino, timidamente, forse con una punta di timore.
E quando, qualche giorno dopo, John entrò con Sherlock nel laboratorio del Bart’s e vi trovò Molly, all’uscita il sole gli sembrò brillare più del solito.
 
Presto la piccola Rosie compì il suo primo anno di vita. John raccolse le persone a lui care al 221b di Baker Street. Fu una festicciola piccola, ma calorosa e Rosie sembrò proprio essersi divertita.
Tutti notarono con piacere che la presenza nella stessa stanza del detective e della patologa non emanava alcuna tensione. Sembrava davvero tutto risolto.
La serata trascorse piacevole, nonostante Sherlock si tenesse defilato, nonostante le sue battute sarcastiche su Greg e la sua vita sentimentale, nonostante i suoi insegnamenti così poco ortodossi alla piccola Rosie.
Molly ritrovò l’antico affetto e calore dei suoi amici.   
Quando Molly uscì dal bagno, quasi a fine serata per lavare le mani che aveva sporcato con la panna della torta, la signora Hudson e Lestrade erano spariti.
“La signora Hudson era un po’ stanca, Lestrade è dovuto scappare in centrale.” Spiegò John al punto di domanda sul viso della patologa.
“Anch’io mi ritiro con la piccola, è stanca anche lei.” Aggiunse, baciò la donna e le sussurrò che avrebbe potuto restare, se voleva.
Una volta sparito John con la piccola, Molly fece per prendere la borsa.
“Beh, vado anch’io allora.”
Sherlock guardava fuori dalla finestra.
“Sono rimasti ancora… “ iniziò esitante e una mano puntava il vassoio con i dolci “I tuoi preferiti…” abbozzò. E finalmente ebbe il coraggio di guardarla.
Lei accennò un sorriso, ne prese uno e lo addentò.
Se ne stavano in piedi in mezzo alla stanza, come fossero due estranei, come se quella casa fosse una sconosciuta anche lei.
“Hai risolto il caso?” gli chiese.
“Sì.”
“Appena in tempo per la festa?”
“Sì.”
“E John non ha capito che hai rischiato di non arrivare in tempo.”
“No.”
Sorrisero sornioni.
“Vuoi che ti racconti com’è andata?” propose Sherlock e sembrava non vedesse l’ora.
“Perché no?” rispose lei.
Sherlock con un’occhiata la invitò a sedersi sul divano. Poi la seguì e le si sedette accanto.
 
La piccola Rosie aveva avuto un incubo. John aveva dovuto tranquillizzarla, era rimasto accanto al suo lettino a lungo, furono necessarie tante rassicurazione e carezze. Alla fine la piccola si riaddormentò. Era notte fonda e fu allora che gli arrivò un chiacchiericcio dal piano di sotto. Possibile che fossero Sherlock e Molly?
Si affacciò sul pianerottolo per distinguere meglio le voci. Sì, erano le loro inconfondibili voci. Era stranamente piacevole sentire i due timbri mescolarsi in quel loro parlottare sommesso. A un certo punto sentì chiaramente una risata.
I due se la ridevano.
Dopo tutto quell’inferno adesso se la ridevano come se niente fosse. Ma sorrise anche lui. Tirò un sospiro di sollievo e tornò a letto.
 
Col tempo John poté testimoniare che Sherlock e Molly non usarono mai parole d’amore. Non quelle convenzionali, almeno. Non quelle lì, quelle che tutti desiderano poter dichiarare almeno una volta nella vita, quelle che vorrebbero sentirsi ricambiare. Trovarono altri modi per testimoniare il reciproco amore, trovarono soprattutto molti gesti, intimi e personali. Un loro codice segreto che ogni tanto il soldato riusciva a intercettare e decifrare.
Sherlock e Molly non si sposarono mai. Ma lo furono per tutta la vita.









Note: salve a tutti!
ed ecco la seconda e ultima parte!
spero vi sia piaciuta!
grazie a tutti coloro che hanno letto e che hanno inserito questa storia tra le loro preferite e seguite :)
attendo opinioni, se vi va!
alla prossima
silvia
 
 
  
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