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Autore: Old Fashioned    16/03/2017    7 recensioni
È una fase della mia vita in cui ho bisogno di cose demenziali e ludiche.
Queste sono le avventure tragicomiche (molto più comiche che tragiche) di un capitano della flotta imperiale di nome Roy Veers (nipote degenere del più famoso Maximilian Veers - eroe di Hoth).
Il capitano viene mandato in missione al seguito di un colonnello affetto da demenza senile, con il poco invidiabile compito di recuperare uno psicopatico omicida che si è sottratto al controllo dell'Impero e ha instaurato un regno del terrore su un pianeta coperto di giungle inospitali e abitato da indigeni ostili.
"Riuscirà il nostro eroe a ritrovare Kurtz?" sarebbe una frase troppo abusata. Noi, più semplicemente, potremmo dire: "riuscirà il nostro eroe (si fa per dire), nonostante il gruppo di devastati e cerebrolesi che ha con sè, a riportare a casa la pelle?"
Lo saprete solo leggendo.
(ATTENZIONE: la storia contiene linguaggio molto volgare - chi è disturbato dal turpiloquio non legga per favore)
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giorno 8 – Questa sera dormiamo su Kamino

Per fortuna che ieri sera avevo bevuto con dovizia, perché tra il fragore delle onde e il russare della Du Bal c’è stato un casino tremendo per tutta la notte.
La prima cosa che vedo quando mi sveglio è che il letto accanto al mio è vuoto. Poi mi accorgo che la porta del terrazzo è spalancata. Mi alzo a sedere, mi guardo intorno sbadigliando e nel fare ciò rimango annichilito: la Du Bal è sul terrazzo e sta facendo ginnastica a tette nude.
Lo spettacolo è talmente inusitato che per realizzarne la portata ci metto alcuni secondi, durante i quali mi assale anche il dubbio di avere veramente esagerato con l’alcool ieri sera.
Ehi, prof! Ma le ha dato di volta il cervello?” le chiedo dopo averla osservata per un po’.
La docente sussulta, strilla e si copre alla meglio con un asciugamano, dopodiché si volta verso di me con sguardo omicida. “Avevo sperato che lei si comportasse da gentiluomo, ma ovviamente ciò non è accaduto,” constata mostrando somma indignazione.
Abbia pazienza, Du Bal,” le rispondo, “non è che lei possa stare a tette fuori sul balcone e pensare che nessuno ci faccia caso.”
Lei è un maniaco, mi stava fissando,” insiste la professoressa.
Sospiro. “L’avrei fissata se si fosse trattato di Fjo’na, nel suo caso mi è solo caduto l’occhio e sono rimasto basito.”
Seguono alcuni secondi di silenzio carico di tensione.
Se spera che io dorma ancora in camera con lei si sbaglia di grosso, giovanotto!” mi ammonisce infine la mia interlocutrice. Dopodiché mi passa davanti a culo dritto certa di avermi inferto un colpo dal quale difficilmente mi riprenderò.
Io vorrei tanto pisciarle nella valigia, ma non si decide a lasciarla incustodita.
Dopo questo simpatico episodio scendiamo a fare colazione.
Ransome non si vede, probabilmente starà ancora smaltendo gli effetti della mistura di porcate alcoliche che ci siamo scolati ieri sera. Sarà anche un asso del surf, ma come bevitore non vale una cacca di scurrier.
Scende frattanto dalle scale, procace e svampita, la nostra twi’lek, finalmente uscita dal tunnel della droga e quindi non più odiosa. Si è messa in una gamba una calza lilla e nell’altra una verde e ci chiede quale delle due si intona maggiormente al reggicalze rosa. Si alza la minigonna e ci mostra il suddetto capo di biancheria intima per far sì che il nostro giudizio sia il più obiettivo possibile.
Ignorando le vibranti proteste della professoressa, io e il capitano medico apriamo un dibattito sull’argomento. Cerchiamo di coinvolgere anche le tre reclute, ma gli imbranati assistono alla nostra discussione con la faccia del bantha che pascola, quindi dopo un po’ ci disinteressiamo di loro.
Stabiliamo infine, dopo attenta disamina, che ci piace di più con la configurazione attuale, cioè con una calza lilla e una verde. La twi’lek rimane perplessa. Si guarda le gambe, guarda noi e infine chiede: “E adesso cosa me ne faccio delle altre due calze?”
Stamattina ci sentiamo bastardi dentro, per cui le forniamo vari oculati suggerimenti: buttarle via, usarle per fare bondage, metterci dentro le conchiglie che trova in spiaggia, infilarsele in testa e andare a fare una rapina, metterne una in ogni lekku per vedere che effetto fanno e così via. Fjo’ona ci ascolta attenta. Ci prega di parlare lentamente perché ha paura di dimenticare qualcuna delle idee che le stiamo dando.
Sulle prime ci divertiamo perfidamente, ma dopo un po’ il gioco ci annoia: è come sparare sul carrozzone dei jawas.
Ci disinteressiamo quindi anche della scosciata e ci rimettiamo a fare colazione.
Mi tormenta un po’ l’eventualità paventata da Ransome ieri sera, ovvero di essere messi in lista d’attesa dietro i cargo di guano e le navette indigene.
Una volta finito di mangiare, i nostri scarsamente utili sullustiani cominciano a caricare i bagagli sullo sprinter.
Siamo in questa delicata fase delle operazioni, con la pitonata e la professoressa che sorvegliano la sistemazione dei loro preziosissimi trolley imbottiti di cianfrusaglie, quando ci raggiunge il comandante della base.
Il piacione è un po’ sbattuto, abbiamo già appurato che regge l’alcol come io reggo la compagnia del capitano Piett, ma indossa l’immancabile camicia hawaiana aperta sul pettorale scolpito.
Sottobraccio ha la preziosa Kamino Extreme, debitamente incerata.
Io vado a fare surf,” mi annuncia. “Sicuro che non vuoi venire?”
Lo farò su Kamino, se mi capita l’occasione,” gli rispondo.
Ransome mi fissa critico. “Allora non eri sbronzo ieri sera?”
Sì, lo ero, ma che c’entra?”
Intendo: vuoi andare davvero su quel pianeta del cazzo? Ti avviso: è un posto dove le onde fanno schifo. E poi c’è Kurtz.”
Mi sa che eri più sbronzo di me, se non ti ricordi che è proprio Kurtz che sto andando a cercare.”
L’altro si stringe nelle spalle con l’aria di chi prende tristemente atto che il suo interlocutore è un cretino, poi mi fa: “Se proprio ci tieni, ti conviene andare a cercare il bastardo.”
Ti ho già detto che ci sto andando,” replico vagamente spazientito.
Non quel bastardo,” precisa Kyle. “Quello non avrai bisogno di andare a cercarlo, sarà lui a trovare te.” (toccata fugace di attributi da parte mia). “Intendo Chandra il burlone, quello che gestisce i voli dallo spazioporto di Galle. Suo padre possiede tutto lo spazioporto ed è ricco sfondato. Lui avrebbe l’ambizione di fare cabaret, ma il suo vecchio gli fa smistare le navette nella speranza di insegnargli un mestiere. Uno strazio.”
Dove lo trovo?”
Al vecchio forte. Digli che ti mando io e ridi più che puoi alle sue battute, se non vuoi finire in lista dopo i cargo di guano.”
Quali battute?”
Per tutta risposta, Ransome mi dice: “Io vado a fare surf, ci si becca in giro.”
E se ne va piantandomi lì come un tubero di solanacea.
Io rimango a chiedermi che genere di battute potrà mai fare questo famigerato Chandra. Dopo la collezione di devastati che ho incontrato nel corso di questa missione, dovranno essere decisamente strane per suscitarmi più di un’alzata di sopracciglio.
Come a confermare la mia ipotesi, si presenta il colonnello, al solito ginnico e vivace. Si molleggia sulle ossute ginocchia, quindi mi chiede: “Stava parlando col fattorino, giovane capitano?”
Rimango perplesso. “Con chi?”
Quel tizio con la camicia ridicola e l’asse da stiro sottobraccio. Abbiamo poi scoperto dov’è il comandante di questa base? Ci terrei a salutarlo.”

Mezz’ora dopo siamo in viaggio diretti a Galle. L’inutile Rani, da me interpellato sulle presunte battute di Chandra il burlone, non mi ha saputo fornire alcun ragguaglio, cosa che peraltro non mi ha affatto stupito. Si è limitato ad aprire le braccia e a rivolgermi un amabile sorriso.
Io continuo a trovare strano che le navette imperiali vengano gestite da un civile, ma ci sono misteri nell’Universo che probabilmente non sta a me risolvere.
Il forte, al quale arriviamo dopo poco, è una costruzione di qualche epoca in cui mura spesse e torri con feritoie rappresentavano ancora un modo intelligente per tenere lontano i cattivi.
Osservo perplesso l’edificio, quindi mi guardo intorno alla ricerca di Hyaskon, che in tutto il gruppo di sfigati è l’unico che mi dia un minimo di affidamento.
Scopro con disappunto che il capitano medico è collassato su un sedile in stato di morte apparente, spero a seguito dell’ingestione di uno dei suoi cocktail di farmaci.
La Du Bal si è già sistemata con tanto di sedia pieghevole e cavalletto a immortalare la vetusta costruzione, Waxen è sparito chissà dove. Rimangono i tre sfigati, il wookiee e...
Vengo io con te, Roy!” esclama la pitonata con voce melodiosa. “Devo anche andare a fare la pipì.”
Ma Fjo’ona, non credo sia il caso...”
Mi scappa!” proclama categorica la twi’lek, e per quanto la riguarda il discorso è chiuso. Si mette al mio seguito senza la più piccola intenzione di allontanarsi da me fino a che non avrà trovato un bagno.
Consapevole dell’inutilità della resistenza, preceduto da Rani e con la scosciata al seguito, varco la soglia del forte.
All’interno c’è l’ormai consueto assortimento di scagnozzi e tirapiedi che ci guardano male. Io rivolgo sorrisi di circostanza a destra e a manca, pensando che se proprio le cose si mettono al peggio posso sempre proporre a tutti questi stimabili signori una bella gangbang con la twi’lek.
Fjo’ona ignara si aggiusta il push-up.
Arriviamo infine ad una porta chiusa dietro la quale si percepiscono stralci di musica. Ai lati di essa si trovano due ceffi che fanno sembrare tutti gli scherani di prima dei jawas rachitici.
Parola d’ordine!” ringhia il più grosso, tatuato e muscoloso dei due.
Pur consapevole che sia un’idea del cazzo, mi volto verso Rani. Il sullustiano apre le braccia con espressione disarmante. “Io non sa,” proferisce, tranquillo come se gli avessi chiesto l’ora.
Rivolgo al guardiano l’espressione innocente di un cucciolo di ysalamiri. “Cosa potrebbe succedere nel caso uno non la sapesse?”
Il tizio imbraccia il blaster e me lo punta contro. “Ti sparo in faccia,” mi informa.
A quella vista mi congelo come gli attributi di un wampa. Di colpo l’idea di rimanere qui a fare surf per una settimana intanto che si libera qualche posto in una navetta diretta a Kamino non mi sembra poi così malvagia.
Beh, allora noi andremmo...” dico cominciando cautamente a rinculare, ma alle mie spalle la torma degli scagnozzi si è nel frattempo compattata in un ostacolo invalicabile. Qualcuno sta già soppesando tirapugni e mazze chiodate, altri hanno in mano oggetti decisamente più inquietanti, di forma cilindrica e con una sovrabbondanza di bitorzoli, che spero siano destinati alla mia accompagnatrice.
Insensibile al dramma che si sta svolgendo, Fjo’ona piagnucola: “Ma perché andiamo via? Io ho la pipì...”
È meglio se la tieni,” le rispondo.
Ma mi scappa!”
Siamo a questo preoccupante punto della discussione quando ad un tratto la porta in fondo al corridoio si spalanca facendomi sussultare. Ne esce un balosar che indossa un tuxedo di lustrini azzurri e strilla in un microfono: “Ta-daaaaa!”
Applausi in sottofondo.
Passano almeno dieci secondi di silenzio. Io guardo Rani, che al solito fa un sorriso ebete, guardo la twi’lek, che invece stringe le gambe nel tentativo di evitare la minzione, poi mi volto verso il tizio. “Ta-daaa?” ripeto perplesso.
Il balosar mi dà una pacca sulla spalla e mi fa: “Sorridi! Sei su Galactic Camera!”
Ma sorridi un cazzo!” protesto infuriato. “Stavano per farmi fuori!”
No, macché farti fuori. Sono blaster finti! È per fare un po’ di scena!” E se la ride di gusto. “La vita è uno show, no?” Gli scherani si disperdono ridacchiando.
Altri applausi, che provengono da un altoparlante appeso alla parete.
Comincio a capire perché Ransome mi aveva messo in guardia sulle battute di costui. Dieci a uno che adesso tira fuori la stretta di mano con la scossa e il fiore all’occhiello che spruzza l’acqua.
Ma Chandra fa di meglio: si rivolge alla twi’lek e le chiede: “Ehi, signorina, che belle gambe! A che ora aprono?”
La scosciata, però, causa una deplorevole carenza di materia grigia, rimane a guardarlo con la faccia del dewback che pascola. Solo dopo alcuni secondi di latenza, perplessa proferisce: “In che senso?”
Il balosar si volta verso di me con l’aria di chiedermi spiegazioni.
Io mi stringo nelle spalle. “Con questa qui non c’è speranza,” gli dico con fare rassegnato.
Il tizio la fissa un attimo perplesso, poi riprende il microfono e fa: “Comunque, venite di là, ragazzi, così mi dite quello che vi serve!”
Ci sospinge verso la porta.
Quando entriamo ci troviamo su una specie di passerella con delle luci che dal basso si dirigono precisamente contro le nostre facce. Alle nostre spalle c’è una tenda con nappe e lustrini. Realizzo che siamo su un palcoscenico, e quando ho fatto più o meno l’abitudine alle lampade puntate in faccia noto che siamo all’estremità di una sala con tavolini e poltrone, peraltro più vuota della testa del mio superiore.
Dal soffitto pende una palla di specchi che sembra l’abitacolo di un TIE fighter.
Torna nel frattempo alla carica il balosar. Mi dà una seconda pacca sulla spalla, suscitando in me istinti omicidi degni di un signore dei Sith, e poi mi fa: “E così sei un militare. Io nell’esercito ero il tecnico incaricato di far brillare le mine inesplose. Le lustravo talmente bene che il sergente ci si poteva specchiare sopra!”
Io sto già pensando di mandarlo in posti irriferibili quando mi tornano in mente le fatidiche parole di Ransome: Digli che ti mando io e ridi più che puoi alle sue battute, se non vuoi finire in lista dopo le navette di guano.
Mi sto ancora concentrando su questo imperativo categorico quando Chandra a bruciapelo mi chiede: “Cosa fanno due militari in frigorifero?”
Eh?” faccio, colto alla sprovvista.
E lui, trionfante: “La guerra fredda!”
Poi, senza nemmeno darmi il tempo di abituarmi: “Come si dice di un sergente che corre? Urgente!”
A ogni battuta segue un rullo di tamburo con percussione finale di piatto.
Serenamente insensibile a questo strazio, la twi’lek si lamenta: “Roy, io ho la pipì...”
Ci sono momenti nella vita in cui un uomo deve dimostrare di possedere i giusti attributi. “Basta così,” dico con autorevolezza. Poi, rimanendo miracolosamente serio, soggiungo: “Chandra, noi staremmo volentieri tutto il giorno ad ascoltarti, ma ho due problemi da risolvere: il primo è che Fjo’ona deve andare alla toilette, e il secondo è che ho bisogno di una navetta che mi porti su Kamino.”
Ti posso dare una bella canna da pesca,” risponde lui. “È perfetta per i pescatori in erba!”
Io lo guardo con la faccia da Fjo’ona.
Il balosar mi viene in soccorso: “Canna… erba… Capisci?”
A questo punto dovrei ridere. Sarebbe molto opportuno che lo facessi, così ci liberiamo di questo ennesimo idiota e partiamo per Kamino.
Comincio a pensare a quando ho mandato in onda nella sala riunioni un porno sadomaso con le gamorreane obese, oppure a quando ho liberato un cucciolo di rangkor nel circolo ufficiali superiori della Morte Nera.
Dopo un excursus di tutte le idiozie da me commesse negli ultimi tre anni, faticosamente rispondo: “Oh, ehm. Ahahah. Molto spassoso. Del resto Ransome me l’aveva detto che eri un tipo divertente.”
Divertente come una rettoscopia.
Chandra si illumina. “Mister Pettorali? Se si gonfia un altro po’ comincerà a levitare, eh?” Gomitata nelle costole.
Poi, di nuovo a bruciapelo: “Che cos’è il culturismo? È una supposta che va in vacanza!”
Rullo di tamburo e piatto.
La situazione suscita più lacrime di un documentario sul massacro dei cuccioli di ewok. Comincio ad augurarmi un interrogatorio dei ribelli, piuttosto che questo.
La navetta, Chandra,” gli ricordo.
E la toilette!” fa la twi’lek alle mie spalle, peraltro con una certa concitazione.
Il nostro simpatico interlocutore tira fuori tre buste, di colori assortiti e piene di lustrini. “In una c’è la navetta, in una ci sono le indicazioni per andare al gabinetto.” Si interrompe e ci guarda sornione.
Ho già capito com’è l’antifona. “E nella terza?” chiedo diffidente.
Un mezzo plotone di gamorreani superdotati e in astinenza forzata da tre mesi.”
Chandra…”
Su, scegli! Cos’è la vita senza un po’ di suspense?”
Mi porge le tre buste.
A questo punto, però, la mia pur temprata pazienza si rifiuta di servirmi oltre. Estraggo il DL-44 e lo punto verso gli attributi del mio interlocutore, quindi gli spiego: “Chandra, ora proveremo un po’ di humour imperiale: questo blaster non è finto come quelli dei tuoi scagnozzi alla porta. O salta fuori una navetta per Kamino entro dieci secondi o ti sparo nelle palle.”
L’altro risponde con una risata ed esclama: “Buona questa!”
Io rimango immobile col DL-44 puntato contro le sue pudenda.
Il sorriso di Chandra evapora come neve su Tatooine nel momento in cui il suddetto si rende conto che lo humour imperiale tende ad avere risvolti pericolosi per l’incolumità personale.
Quindi non ti interessano le tre buste?” si informa ad ogni buon conto.
Solo se te le infili nel culo. La navetta per Kamino, forza.”
E un bagno!” strilla Fjo’ona disperata.

Usciamo dopo un po’ con le nostre necessità soddisfatte. Chandra, al quale l’interazione col blaster ha conferito una pacatezza da maestro Jedi, ci ha consigliato di procurarci una sistemazione su Kamino prima di arrivare là, dal momento che sul posto c’è in corso un magnifico monsone, e quindi la maggior parte degli alloggi sulla terraferma sarà inagibile.
L’idea che il pianeta d’acqua sia funestato da una pioggia torrenziale mi getta nello scoramento: le immagini di tramonti e spiagge coralline che fluttuavano nella mia mente vengono brutalmente sostituite da nuvoloni grigi, freddo umido e onde gelide.
Assumo l’espressione afflitta di un ewok depilato.
Si avvicina Rani, che nel frattempo aveva tatticamente abbandonato il vecchio forte, e mi fa: “Tu trovato trasporto?”
Vorrei tanto rispondergli ‘non grazie a te’, ma temo che non capirebbe nemmeno di cosa sto parlando. Opto per un più neutro: “Sì, tutto a posto.”
Molto bene!” mi risponde, con il consueto sorriso ebete sul faccione, “Ora noi va a sprinter!”
Mi guardo intorno: in effetti il nostro potente mezzo non c’è.
Messo in posto migliore,” mi spiega, in risposta alla mia muta domanda. “Ombra. Fresco.” Mima le fronde di un albero. “Tu vieni.”
Ci incamminiamo per un viottolo sterrato, con Fjo’ona che piagnucola traballando sui sabot pitonati. Ai lati del sentiero c’è erba alta, e qua e là si vede qualche albero stentato, le cui foglie probabilmente non farebbero ombra nemmeno a uno scurrier.
Rani, dove ci stai portando?” chiedo poco convinto, ben consapevole delle scarse capacità raziocinanti del soggetto.
Sprinter!” risponde lui prontamente. “Da lui ti porterò. Tu vieni. Senza pestare cacche.”
Immediatamente si sente lo strillo della twi’lek: “Oh, no! Che schiiiiiiiii-foooo!!”
Mi giro e la vedo saltellare su un piede solo. L’altro piede è nudo, e il sabot che calzava è piantato quasi completamente in un mucchio di merda che sembra una torre geonosiana.
La prima cosa che mi viene in mente contemplando questo dramma è che spero non chieda a me di recuperare la sua scarpa.
Fjo’ona frattanto emette un grido di agonia e rovina al suolo, fortunatamente evitando altre cacche. Lì rimane a piangere e a strofinarsi il piede scalzo con salviette disinfettanti.
Io mi volto verso Rani, che si stringe nelle spalle e dice: “Dewback. Loro fare questo.”
Vuoi dire che hai portato lo sprinter in un pascolo di dewback?”
Buono per ombra.”
A questo punto mi guardo intorno e localizzo il nostro veicolo sotto la stentata ombra di un alberello. Al suo interno sono asserragliati i tre soldatini in preda al terrore, Lothar che emette bramiti e la Du Bal che agita un fazzoletto fuori dal finestrino e strilla: “Sciò! Sciò!”
Non vedo Hyaskon, ma suppongo che sia su un sedile in coma farmacologico. Waxen è tanto per cambiare irreperibile.
Intorno allo sprinter, decisi a sfruttare la stessa macchia d’ombra, ci sono cinque o sei dewback pigramente sdraiati, che ruminano con filosofia.
Schivando le deiezioni mi avvicino al trasporto.
Voi militari non ci siete mai quando c’è bisogno di voi!” mi accoglie la professoressa, continuando ad agitare il fazzolettino all’indirizzo dei dewback.
Rivolgo alla docente uno di quei sorrisi che hanno il potere di mandare la pressione di Tarkin fuori scala e le dico: “Madame, non ha notato che proprio accanto a lei ci sono ben quattro valorosi militari imperiali?”
Le tre reclute sono sotto altrettanti sedili. Lawrence ha addirittura scavato fuori dai recessi del suo bagaglio l’ewok di peluche e lo sta stringendo come io stringerei l’ultima bottiglia di birra rimasta sulla Morte Nera.
Hyaskon, altro rappresentante delle forze armate imperiali, è collassato in un angolo.
Non faccia lo spiritoso!” protesta la Du Bal, “qui ci sono animali feroci che girano intorno al nostro trasporto e lei non fa niente per allontanarli!”
Il dewback sta alla ferocia come io sto alla serietà, prof.”
Intende dire, con questa battuta di dubbio gusto, che queste bestie orribili non sarebbero pericolose?”
Secondo lei?”
Un dewback emette da una parte un muggito e dall’altra un peto, poi si gira pigramente pancia all’aria e rimane così.
Si avvicina a questo punto la twi’lek, che nel frattempo ha recuperato la calzatura contaminata, però continua a piagnucolare perché ha esaurito la scorta di fazzolettini disinfettanti ma il sabot è ancora sporco.
Vede l’assortimento di dewback che circonda lo sprinter e i lekku le si stirano per l’orrore. “Ci sono gli animali feroci!” strilla.
Non ho voglia di ripetere tutta la questione della ferocia dei dewback, per cui mi limito a salire a bordo.
Una volta sullo sprinter mi guardo intorno con una certa soddisfazione: il vecchio fossile non c’è. Interrogo i presenti, ma nessuno l’ha più visto da quando siamo arrivati al forte.
Mi sento pervadere da un cauto ottimismo. Posso mandare un messaggio a Ransome, che magari lo farà cercare se non è troppo impegnato a fare surf, e io intanto proseguo per Kamino senza di lui. Ci sarà Kurtz, ma almeno non avrò fra le palle il devastato.
Sto per l’appunto fluttuando sulla mia nuvoletta rosa quando mi si palesa dinnanzi la rotondeggiante figura di Rani. Sono colto da un orrendo sospetto.
Sospetto che purtroppo si concretizza in cupa realtà quando il nefasto sullustiano mi dice: “Tu cerchi omino con baffi? Da lui ti porterò.”
Per un attimo valuto se rispondergli ‘ma no, non è il caso’, poi il mio celeberrimo senso del dovere e la presenza di troppi testimoni mi spingono a replicare in altro modo.
Per recuperare Waxen ci dirigiamo verso il mercato locale evitando carretti e civili con fagotti in testa. Giunti sul posto, troviamo il vecchiaccio che come al solito sta arringando gli indigeni convinto che si tratti delle sue truppe.
I sullustiani lo guardano basiti.
Mando la gente a comprare derrate alimentari, ma Fjo’ona ha ancora la scarpa fuori uso, i tre soldatini sono tuttora rintanati sotto i sedili e sopra i sedili c’è Hyaskon in stato di coma farmacologico. Gli unici che scendono sono la Du Bal e il wookiee, che si addentrano nella folla vociante e vi scompaiono rapidamente.
Io nel frattempo mi avvicino a Waxen e attiro la sua attenzione.
L’ottuagenario mi zittisce con un gesto nervoso della mano e fa: “Dopo, giovanotto. Non vede che sono impegnato?”
Sospiro. “Signor colonnello, dobbiamo partire. Rischiamo di perdere il trasporto per Kamino.”
Il fossile mi squadra con fiero cipiglio. “Capitano,” mi apostrofa, “devo forse ricordarle il suo posto?”
Sarei tentato di rispondergli che il mio posto lo conosco perfettamente ed è il bar del circolo ufficiali, ma in quel momento succede un miracolo: comincia a piovere. Non una di quelle leggere pioggerelline che si annunciano dapprima con qualche timida goccia e poi man mano vanno intensificandosi e frattanto bruiscono leggiadre.
Nossignore: un attimo prima non pioveva, un attimo dopo viene giù un muro d’acqua che riduce la visibilità a tre metri. Il rombo che produce è così forte che per parlarsi bisogna alzare la voce.
I pochi indigeni che stavano ascoltando le farneticazioni del mio superiore si disperdono a raggiera alla ricerca di un riparo. Rimaniamo in mezzo alla piazza io e Waxen, entrambi fradici come aquariani, a guardarci nelle palle degli occhi. “Secondo me è meglio andare allo sprinter, signore,” propongo.
Stavolta, nemmeno lui può darmi torto.
Ripariamo dunque nel nostro potente veicolo. Lì ci raggiungono con mezzi di fortuna anche la professoressa e Lothar, che sono sì completamente bagnati, ma nel frattempo sono riusciti a fare la spesa, acquistando un assortimento di granitiche noci di cocco e ovviamente nulla per aprirle.
La Du Bal, capelli penzoloni e scarpe grondanti, si strizza la gonna. “Sarà contento, immagino,” dice, con un tono che fa sembrare l’acido fluoridrico una crema emolliente.
Le rivolgo lo sguardo mite di un eopie che sta pascolando. “Per cosa?”
Lasci perdere.”
Lothar si scuote vigorosamente, infradiciando anche chi aveva avuto la fortuna di rimanere asciutto.
Ripartiamo con mestizia mentre la pioggia frusta i finestrini ed entra a rivoli da quelli chiusi male.
Arriviamo così ad un cortile sordido, disseminato di rottami. Da una parte c’è un edificio intorno al quale girano, incuranti delle precipitazioni, numerosi individui armati.
Ma com’è che su questo cazzo di pianeta non c’è neanche un cesso pubblico senza almeno dieci scagnozzi che lo pattugliano?
Una domanda destinata a rimanere probabilmente senza risposta. Mi volto comunque verso Rani e chiedo: “Cos’è questo posto? Non mi dà l’idea di essere uno spazioporto.”
Infatti non è,” mi risponde la nostra guida, “questo posto di Mister Amandeep. Lui lavorare per Mister Beruwela. Tu ricorda Mister Beruwela?”
Difficile dimenticarselo. Cosa ci facciamo qui?”
Lasciare sprinter. Prendere posto di dormire per Kamino. E poi salutare.” Allarga le braccia come per suggerirmi di abbracciarlo. Considerato che i sullustiani sono più bavosi dei lumaconi di Dagobah, io faccio amabilmente finta di non capire.
Portiamo il veicolo sotto una tettoia e mentre viene giù il monsone tropicale i due aiutanti di Rani cominciano a scaricare la roba. Alla fine c’è un mucchio che sembra un bantha adulto.
Mentre io mi sto chiedendo perplesso da dove diamine possa essere venuta fuori una montagna del genere, una voce alle mie spalle fa: “Non possibile tutto questo su nave per Kamino. Non possibile.”
Vedo Rani e i suoi aiutanti prosternarsi come adepti al cospetto del Capo Eremita di Maryx Minor. Mi giro e vedo un sullustiano obeso, con una tunica simile a quella di Mister Beruwela, un assortimento di anelli alle dita e una generica aria sdegnosa che mi guata critico.
Lui Mister Amandeep,” mi sussurra la mia guida.
Salve,” lo saluto.
Questa troppa roba,” dice il tizio per tutta risposta. “Metà lasciare qui.”
E poi come facciamo a recuperarla?”
Noi vendere.”
Aggrotto le sopracciglia. “No, un attimo, qui non ci siamo capiti. Voi non vendere proprio un cazzo della nostra roba. Non senza il nostro permesso, almeno.” E già penso al coro di lamentazioni che una notizia del genere susciterebbe tra i miei accompagnatori.
Allora voi non andare su Kamino.”
Sto già pensando di scatenare il colonnello addosso a questo borioso grassatore quando mi viene in soccorso Rani: “Trasporto piccolo, non possibili grandi bagagli.”
E non si può avere un trasporto più grande?”
Interviene il grassatore di cui sopra, che con tono da trafficante di organi toydariano mi fa: “Pagare.”
Tutto qui? Tiro fuori la Imperial Platinum di Darth Vader e gliela mostro. “Può bastare?”
A quella vista, Mister Amandeep tende la grinfia rapace, ma ormai sono diventato rapidissimo e gli sottraggo abilmente l’oscuro oggetto del desiderio. “Allora, può bastare?” ripeto.
Il sullustiano mi rivolge un sorriso untuoso, e in un Galattico Base assolutamente forbito, mi dice: “Caro capitano, purtroppo la nostra interazione è partita con il piede sbagliato. Ne sono davvero desolato e faccio ammenda per il comportamento decisamente inurbano che ho tenuto poco fa.”
Mi prende per una spalla e mi sospinge verso l’edificio. “Ma venga ad asciugarsi un po’,” prosegue, “e anche la sua famiglia, ovviamente. Sua madre, suo nonno, i nipotini, la sua bella fidanzata...” Lo fermo precipitosamente prima che possa proferire altro.

Poco dopo siamo in viaggio verso lo spazioporto di Kolumbus, quello delle navette di lusso, con uno sprinter-limousine completamente cromato. Il veicolo deve essere stato usato di recente per qualche festino, perché a seconda delle curve rotolano qua e là sul pavimento bottiglie vuote e in mezzo ai sedili rinvengo anche un reggipetto abbandonato. Non posso fare a meno di sogghignare al pensiero di quando Vader riceverà l’estratto conto della sua carta, dove fra le altre cose figurerà la voce ‘limousine cromata a diciotto posti con moquette e sedili antimacchia’.
A questo punto si è fatta anche l’ora di mangiare, e tutti sogguardano con aria cupida e vorace il sacchetto con le noci di cocco.
Roooy...” fa la Twi’lek, sfarfallando le ciglia.
Hm?”
Li apri per noi?”
Questi frutti hanno una simpatica caratteristica: ci potrebbe camminare sopra un AT-AT e non farebbero una piega.
Io considero sconsolato le palle marroni, che in effetti hanno l’aria di essere dure come tungsteno, ma in tutto l’abitacolo dello sprinter, pur lussuosissimo, non c’è nulla che potrebbe fungere alla bisogna.
Idea. Mi rivolgo a Rani, che ha deciso di accompagnarci nell’ultimo tratto del viaggio per poterci salutare con comodo allo spazioporto: “Ci sono templi Jedi da queste parti?”
Ci pensa. Rumore di ingranaggi nella testa.
Infine trionfante risponde: “Grande tempio qui vicino!”
Ecco, facciamo tappa lì. Hai mica dei vestiti borghesi sottomano?”
Eh? Per fare?”
Non devo sembrare imperiale.”
A questo punto si intromette il vecchiaccio, che nella mia ingenuità credevo dormiente: “Cosa sarebbe questa sciatteria, giovane capitano? Un ufficiale è l’immagine stessa dell’Impero. Non va attorno con ridicoli paludamenti borghesi.”
Io assumo l’espressione neutra del giocatore incallito di sabacc. “È una missione in incognito, signor colonnello,” rispondo compunto.
E chi l’avrebbe ordinata questa missione?” replica il fossile indispettito. “Qui l’ufficiale in comando sono io, mi pare.”
Una comunicazione del governatore Tarkin sul canale riservato, mentre lei dormiva.”
Io non dormo mai, al massimo medito sulle tattiche da adottare nel corso della missione.”
Mentre lei meditava, mi correggo.”
Gli rivolgo un sorriso innocente come un cocktail analcolico. Il colonnello mi fissa critico. “E cosa dovremmo fare nel tempio Jedi, giovane e sconsiderato capitano?”
Andrò io signore. Non è necessario che lei si disturbi.”
Il baffo ha un inquietante fremito d’ira. “Capitano! Esigo di sapere cosa andrà a fare nel tempio Coso… come si chiama...”
Tiro fuori una noce di cocco. “Vado a spargere qua e là detonatori termici.”
La faccia di Waxen si distende. “Ah, molto bene! Un’ottima iniziativa, figliolo. Del resto mi ricordo che anche nella battaglia di Thali diede prova di essere temerario e immaginoso.”
Grazie, signore.” rispondo compunto. “Ah,” aggiungo poi alzandomi, “La professoressa Du Bal adorerebbe ascoltare qualche suo aneddoto di guerra, colonnello.”
Ma io devo venire a compiere la missione!”
Vuole deludere una signora?”
E mi eclisso ghignando.
Il tempio Jedi, nel quale entro con addosso un camicione di Rani e la sacca di noci di cocco in spalla, è il solito assortimento di sale colonnate, fontanelle mormoreggianti, zone di addestramento e sobri alloggiamenti. Qualche tizio col saio gira qua e là.
Attiro l’attenzione di quello che mi sembra il più giovane e scemo. “Ehm, scusi...”
Il ragazzotto si gira verso di me con una certa sicumera. “Sì?”
Gli rivolgo un sorriso disarmante. “Ecco, vede, io sono un missionario delle Venticinque Personificazioni della Virtù. In questo momento ho tanti bambini poveri a cui dare da mangiare, ma ho solo queste.” Gli mostro desolato le inespugnabili noci di cocco.
Il tizio mi guarda con l’aria di non capire.
E io, volonteroso: “Non so come aprirle. Non è che me le taglierebbe in due con la spada laser?”
Il giovane Jedi si gratta la testa perplesso. Dieci a uno che durante il suo addestramento non gli è mai stato prospettato un caso del genere.
La prego,” lo incalzo accorato, “I bambini hanno fame...”
Tolto quello che poi è diventato Darth Vader, Non c’è Jedi che possa resistere a dei poveri bambini sofferenti. Il tizio mi raccomanda di stare indietro, estrae la spada laser e in men che non si dica i miei cocchi sono pronti per la consumazione.
Me ne vado profondendomi in ringraziamenti. “Che le Venticinque Virtù discendano su di te una dopo l’altra!” gli auguro eclissandomi. E la prima di esse sia l’intelligenza, penso appena fuori dal perimetro del tempio.
Ripartiamo alla volta dello spazioporto. Io ho una certa premura di allontanarmi, perché se per caso in effetti la virtù dell’intelligenza piomba davvero in testa al mio Jedi, tra un po’ ce ne troveremo una frotta alle calcagna incazzati come rangkor.
Tutti nel frattempo mangiano cocchi e disquisiscono della temperatura dell’acqua su Kamino. Fjo’ona, assolutamente convinta che si vada a fare una vacanza balneare, ci narra con dovizia di particolari quali e quanti costumi da bagno si è portata.

Allo spazioporto ci dirigiamo verso l’area vip. La navetta che la Imperial Platinum ha noleggiato è una Tydirium nuova di zecca taroccata e smarmittata, con le fiamme dipinte sugli scarichi e i bordi d’uscita delle ali cromati.
Nella parte inferiore ha un assortimento di LED blu.
Gli interni sono tutti di velluto rosso fuoco, da una parte c’è un secchiello per il ghiaccio, il soffitto è sostituito da un enorme specchio. Adocchio subito una scatola piazzata in posizione strategica: sollevo discretamente il coperchio e scopro una collezione di preservativi praticamente per qualsiasi specie aliena in grado di accoppiarsi. Mi affaccio nella cabina di pilotaggio e noto due dadi di peluche che penzolano da un lato del vetro anteriore. Il pomello della manetta del gas è un teschio dorato con dei brillantini rossi al posto degli occhi.
Com’è fine!” esclama la twi’lek salendo a bordo. “Sembra di essere nella reggia di Naboo.”
Ci sei stata?” le chiedo.
E lei: “Certo, quando facevo la olomodella. Una volta dopo la sfilata ci hanno portate tutte alla reggia. Solo che non ho capito cos’era quell’insegna al neon con una donna nuda a cavallo di un gamorreano che c’era all’entrata...”
Probabilmente un’allegoria,” le rispondo.
Ah, certo. Porta allegria,” fa lei, e annuisce più volte come a significare che condivide l’idea.
Gli altri intanto stanno salendo a bordo. Hyaskon, brutalmente strappato al suo sonno farmacologico, si guarda intorno e fa: “Cos’è, un bordello?”
La Du Bal, che era già sulla rampa, arretra precipitosamente. “Io non entro in un postribolo!” esclama.
Magnifico. Mi affaccio al portello e le dico: “Ottima idea. Sappia che in cabina ci sono anche profilattici sparsi e macchie dall’aspetto strano. Fossi in lei rimarrei qui, pensi a quanta ginnastica a tette nude potrà fare.”
Potrebbe avere il buon gusto di non alludere a certe cose!” protesta la professoressa, quindi, col solo intento di farmi dispetto, sale sdegnosa a bordo.
I tre soldatini entrano stupefatti, con l’aria di un ewok che improvvisamente si trova nel centro di Coruscant.
Indifferente agli arredi, Lothar sale a bordo emettendo bramiti.
Da ultimo arriva su il colonnello, che si guarda intorno, poi mi strizza l’occhio e mi dice: “Ha trovato un posticino con delle donnine allegre, giovanotto? Molto ben fatto, un soldato deve anche svagarsi ogni tanto, se capisce cosa intendo. Quella bella figliola azzurra è molto carina, ma l’altra è un po’ troppo stagionata, non le pare?”
Per fortuna, prima che l’esimia docente abbia modo di farsi venire una crisi isterica, salgono a bordo anche i due piloti, che sono un weequay e un rodiano. I due ci riassumono brevemente le procedure di sicurezza: “Niente sborrate sui sedili, i fazzoletti sono in quell’armadio, da bere lo trovate nell’altro. Il cesso è in quella porta. Se la navetta cade attaccatevi alle palle.”
Perché alle palle?” chiede ingenuamente Wolfen
Perché non vi rimane altro posto dove attaccarvi.”
Poi si chiudono in cabina.
Salutiamo la nostra inutile guida sullustiana sventolando fazzolettini e agitando mani, quindi la rampa si alza, il portello si chiude e decolliamo alla volta di Kamino.

Il viaggio ce lo dormiamo. Nonostante l’aspetto evocativo dell’arredamento, a nessuno del gruppo viene voglia di darsi a copule pro o contro natura.
È il weequay a svegliarci quando stiamo uscendo dall’iperspazio nei dintorni del pianeta d’acqua, e lo fa spruzzando dappertutto un insetticida pestilenziale.
Alle mie rimostranze, il tizio replica: “È la regola dei B’omarr. Nessuna nave può atterrare se prima non è stata disinfestata.”
B’omarr?” chiedo basito. “Non ci avrete mica portati a Tatooine?”
Con mio indescrivibile orrore, il pilota risponde: “La maggior parte dei kaminoani ha adottato la regola B’omarr.”
Vengo assalito dallo sgomento. I B’omarr sono una setta di monaci nemica di qualsiasi stimolo, piacere, soddisfazione e simili, che per liberarsi dalle tentazioni si fanno addirittura espiantare il cervello e lo mettono a mollo in una boccia che pende da un droide semovente. La vita dei B’omarr è quindi di una tristezza sconfinata, e ovviamente lo diventa anche la vita di chiunque abbia la sfortuna di risiedere in un territorio dove si segue quella religione.
Non si può tornare indietro?” azzardo.
Il Carburante non basterebbe.” E giù un’altra spruzzata di insetticida.
Poco dopo ci posiamo sulla pista principale di Timira, che è una delle poche città sulla terraferma di Kamino. Appena vengono aperti i portelli della nostra navetta ci assale un caldo devastante, talmente umido che in breve abbiamo i vestiti appiccicati addosso e il sudore che gronda ovunque. La twi’lek ha le ciglia finte penzoloni e il trucco che le cola giù per le guance.
Si affacciano dall’esterno un paio di kaminoani che dapprima ci squadrano diffidenti, poi estraggono uno strumento rilevatore di qualche genere e lo attivano. Il coso fa ‘bip-bip’ ed emette luci verdi.
I nuovi arrivati appaiono piuttosto scontenti del risultato. Tirano fuori un altro strumento, più grande.
Neanche a dirlo, dopo un po’ questa procedura mi genera una certa irritazione nelle gonadi.
Questa è una missione a priorità uno!” li ammonisco severamente, “State ostacolando l’Impero.”
I tizi mi guardano con la faccia del dewback che pascola e attivano il secondo strumento, che di nuovo fa ‘bip-bip’ e luci verdi.
Sentite, qui si sta facendo tardi,” ritento. “Siamo una missione imperiale a priorità uno.”
Rimangono atarassici.
Poco dopo viene fatto salire a bordo anche un worrt addestrato, che annusa coscienziosamente ognuno di noi ma deve andarsene deluso.
I kaminoani non si capacitano.
Si rassegnano a farci scendere dalla Tydirium. Sulla pista il caldo è ancora più devastante. È buio pesto, ma si intuisce che il cielo è pesantemente coperto e ci troviamo nell’intervallo tra una pioggia monsonica e l’altra.
Io sogguardo di tanto in tanto il colonnello sperando che perda la pazienza e faccia una delle sue scenate, ma ovviamente quando servirebbe il vecchio fossile rimane in stato comatoso.
Veniamo condotti all’interno dello spazioporto, dove la temperatura è perlomeno leggermente più confortevole che all’esterno.
Ci accoglie una kaminoana simpatica come una scimmia-lucertola appesa allo scroto, bardata con una mascherina sterile, che comincia a rivolgerci domande insulse.
La prima di esse è: “Come si chiama la nave su cui alloggerete?”
Io la fisso imperturbabile. “E secondo lei come faccio a saperlo?”
Avete con voi i documenti?”
Se ci hanno fatti uscire dallo spazioporto di Kolumbus e non li abbiamo buttati fuori bordo durante il volo, direi che li abbiamo, no?”
Glieli esibisco.
La stronza vorrebbe replicare, ma un timbro imperiale rosso largo un palmo è una cosa che rende decisamente inclini al dialogo. Mi restituisce i documenti con fare schifato, poi tira fuori un altro aggeggio e passa anche quello su ognuno di noi. Nel frattempo, però, il wookiee si è stufato di tutte queste procedure (come noi, del resto) e ha solo voglia di andare a dormire. All’arrivo dello strumento le fa un ruggito tonante ed esibisce una chiostra di zanne che sembra quella di un nexu.
La kaminoana decide che si può soprassedere con la rilevazione.
Ci congeda.
Nel frattempo, fuori si è scatenato l’inferno meteorologico: viene giù una pioggia torrenziale e tira un vento che rovescerebbe un bantha. Ci scambiamo un’occhiata, guardiamo fuori, guardiamo anche la kaminoana odiosa, e tutti di comune accordo ci sediamo sulle rispettive valigie in attesa che uscire non comporti un serio rischio di annegamento.
Tanto per fare qualcosa di utile, tiro fuori il com-link e chiamo il corrispondente locale, sperando ardentemente che il contatto che mi ha fornito Mister Amandeep sia attendibile.
Passa un tempo di lunghezza angosciante, nel quale riesco a figurarmi gli scenari più foschi che la mia psiche sia in grado di elaborare, poi finalmente una voce assonnata dice qualcosa in una lingua incomprensibile.
Parla il galattico base?” mi informo.
Poco.”
Cominciamo bene.
Sono Veers. Dovrebbe esserci una nave prenotata a mio nome.”
Ha perso nave? Che nave?”
Sillabando attentamente, ripeto: “Sono Veers. C’è una prenotazione a mio nome.”
Una postazione?”
Penso ai massimi sistemi.
Manda. Uno. Sprinter. Allo. Spazioporto.”
Ma lei chi è?”
Massimi sistemi, motori primi e fini ultimi.
Mandare. Sprinter. Spazioporto. Adesso.”
Uno sprinter?”
Sì. Allo spazioporto.”
Va bene.”
Chiudo la comunicazione. Hyaskon, che nel frattempo si è svegliato, si guarda intorno stranito e mi fa: “Veers, ma com’è che tutt’a un tratto e diventato afasico?”
Parlare. Con. Indigeni.” gli spiego.
Ah, ecco. Pensavo che le fosse venuto un ictus.”
Ad ogni buon conto, mi tocco gli attributi.
Poco dopo arriva anche lo sprinter, che per fortuna è coperto. Fuori sta ancora infuriando la tempesta. Pur con la sua deplorevole carenza di materia grigia, la twi’lek ha capito che il tempo fa schifo, e da mezz’ora sta frignando disperata perché non potrà indossare nessuno dei centodue costumi da bagno che si è portata dietro.
La Du Bal sospetta che questo tempo abbia a che fare con qualche mia capacità di manipolare, ovviamente a suo svantaggio, le condizioni meteorologiche. Lothar, che intanto è riuscito a infradiciarsi, puzza come un tappeto marcio.
Le eroiche truppe, nel senso di Wolfen, Lawrence e Felsen, sono ammucchiate in un angolo con aria derelitta.
Non più comatoso, il colonnello, mustacchio fremente e mani a brocca sui fianchi, guarda fuori ed esclama: “Magnifico tempo, nevvero giovane capitano? Mi ricorda Aquaris. Quando ci fu la battaglia di… Coso… come si chiama?”
Si volta verso di me in cerca di ispirazione, ma io mi stringo nelle spalle.
Lei deve farsi vedere,” sentenzia allora l’attempato ufficiale. “Non ricorda mai niente, ragazzo mio. Non è normale.”
Per fortuna l’arrivo dello sprinter (nel quale a onor del vero non speravo) distoglie il mio superiore dalle sue considerazioni e instilla in ogni membro del gruppo una nuova speranza.
Dal mezzo smonta un kaminoano dinoccolato, che viene verso di noi e con voce soave chiede: “Chi Veers?”
Sperando ardentemente che il colonnello non scelga questo decisivo momento per mettersi a rompere le palle, mi faccio avanti.
L’indigeno mi squadra, poi fa girare lo sguardo sul resto del gruppo e finalmente chiede: “Nave? Mister Amandeep di Sullust?”
Io annuisco energicamente.
Venire con me.” dice il kaminoano.
Non mi pare vero: qualcosa che funziona.
Raccogliamo i bagagli, la twi’lek come al solito frigna perché nessuno le porta la valigia, la Du Bal si guarda intorno indispettita ma non la considera neanche Lothar, per cui, ognuno con il proprio bagaglio, raggiungiamo lo sprinter.
Dal cielo sta venendo giù una cosa che definire pioggia sarebbe penosamente riduttivo: è come se fosse stata aperta una diga e noi fossimo sotto. Il kaminoano, totalmente indifferente a ciò, ci indica con gesto ieratico il vano bagagli.
Sacramentando carichiamo la roba e ci accomodiamo fradici e incazzati sui sedili.

Dopo un po’ arriviamo a una specie di molo, sul quale stanno aspettando altri due kaminoani, a loro volta perfettamente insensibili alla devastazione idrica che sta venendo giù. Uno anzi solleva una mano in un lento gesto di saluto.
Scendiamo io e Hyaskon per andare a conferire con gli indigeni. Mentre io grondando mi intrattengo, il capitano medico si allontana per controllare il mezzo che ci è stato assegnato.
Dopo un po’ torna con la faccia di uno che ha visto Tarkin in calze a rete e minigonna. Con voce atona mi fa: “Veers, è una nave.”
Sì, beh, è quello che abbiamo chiesto, no?”
Ma questa è una nave-nave, mi capisce?”
Lo guardo perplesso. “In che senso?”
Una nave. Va sull’acqua.”
Come, sull’acqua? Non ha ali? Deriva? Reattori?”
Niente di tutto questo.”
Emetto un sospiro sconsolato. Oh, merda. Una nave. Un’umida, maleodorante e traballante nave. L’unico lato positivo della faccenda sarà dirlo alla Du Bal.
Con mia soddisfazione, infatti, appena vede il natante la professoressa categorica dice: “Io non salgo su quella cosa!”
Magnifico! Più spazio per noi,” le rispondo.
Spazio in realtà ce n’è finché vogliamo, perché essendo una nave kaminoana è stata fatta per esseri alti due metri e mezzo ed è grande come una rimessa per AT-AT.
Allora, professoressa, lei si organizza per restare qui a Timira?” mi informo. “Da quello che ho letto sulla guida, pare che ci sia anche qualche albergo decente, ovviamente non tenendo conto degli insetti.”
Gli insetti?”
Zecche kaminoane, più che altro. Qui sono endemiche. Ma stia tranquilla, Hyaskon dice che con frizioni di zolfo, sterco di dewback e pesce marcio si staccano e muoiono.”
Mentre siamo impegnati in questa discussione si avvicina la twi’lek, che ormai tra la disperazione del non poter indossare i costumi, la stanchezza e la valigia infradiciata ha i freni inibitori di un gungan ubriaco.
Vede la docente con la gonna grondante, le mani a brocca sui fianchi e i capelli che le ricadono scomposti sulla faccia e ha immediatamente un accesso di riso isterico.
Cerco di richiamarla all’ordine, ma la pitonata, in piena crisi, è insensibile a qualsiasi stimolo. Continua a ridere sotto la pioggia battente con tale frenesia che persino gli ieratici kaminoani le rivolgono uno sguardo perplesso.
Mentre Fjo’ona è in queste deplorevoli condizioni, si fa avanti uno dei tre soldatini. A occhio deve essere Wolfen, che paragonato agli altri due è quello dotato di un adamantino coraggio. Il ragazzo mi guarda, poi lancia una fugace occhiata alla nostra nave che sobbalza sulle onde trattenuta a stento dagli ormeggi. “Signor capitano, sarà pericoloso dormire lì dentro?” mi chiede timidamente.
Siamo militari,” gli rispondo fissandolo con severità, “Il pericolo è il nostro mestiere.”
A questa frase, Fjo’ona ha un accesso di risa particolarmente incontenibile, strilla, singulta, saltella un po’ con le gambe serrate, infine lentamente si seda e mormora: “Mi sono fatta la pipì addosso...”


   
 
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