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Autore: crazy lion    18/03/2017    6 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Il capitolo è, in assoluto, il più lungo che ho scritto. Cavolo, non credevo fosse così lungo XD, me ne sono resa conto solo ora. Ho preferito tenerlo tutto insieme e non dividerlo in due perché è quasi tutto incentrato sullo stesso tema, quindi sarebbe stato stupido spezzarlo.
Ringrazio tutte coloro che recensiscono e seguono la storia e anche quelle che leggono soltanto: siete tutte lettrici preziose.
Preciso due cose e poi mi dileguo:
1. se ho scritto più volte che il dolore di Andrew non passerà in fretta, o con dialoghi o con riflessioni, è perché è una cosa che io stessa ho pensato spesso in questi anni e quindi volevo che Andrew facesse lo  stesso. Ho comunque cercato di variare un po' la situazione e le parole per descriverlo, quindi spero non sia troppo pesante.
2. Non c'entra, ma mi è venuta in mente una cosa: intanto ringrazio Ciuffettina per avermi detto che quella che legge le carte è la cartomante e non la chiromante, dandomi così la possibilità di correggere i capitoli nei quali avevo commesso questo errore. Inoltre, all'inizio avevo pensato di chiamare la donna Mambua, che significa una cosa del tipo "nata nella stagione delle piogge", ma poi ho cambiato in Fatima, in ricordo di una bambina che conoscevo, che era anche un po' mi amica, morta quando aveva 12 anni a causa di una grave e rarissima
malattia.
 
Godetevi il capitolo! Buona lettura.
 
 
 
 
 
And now I've got to try to turn it all around
And figure out how to fix this
I know there's a way so I promise
I'm gonna clean up the mess I made
maybe it's not too late
(Demi Lovato, Not Too Late)
 
 
 
I won’t let this take me down tonight
'Cause I know this spark inside could turn into a fire
And I can make it through tonight
Even when it’s killing me just to breathe
I know I can make it out of here
Make it out of here
[…]
I’ll keep my head up
I’ll keep my voice strong
When my heart’s weak
And the night’s long
Even when it feels like there is nothing left in me
I won’t let it get the best of me
I’ll light a candle
Bow my head and say a prayer
Take a walk
Breathe in the words and say
I’ll be okay
I’ll be okay

I can take the pain
Bring it on
Let it rain
It’s only gonna make me better
I’ll take this broken heart
I’ll pick it up every part
It’s never too late to restart
And I might fall
But that won’t change my mind
I choose to believe
It’s worth the fight
It’s worth the fight
I’m worth the fight
(Cimorelli, Worth The Fight)
 
 
 
 
 
 
75. LENTA RIPRESA
 
Demi, Hope e Mackenzie si trasferirono da Andrew il giorno successivo. Le due bambine erano elettrizzate nel sapere che avrebbero potuto stare da lui per un po'.
"Atti, atti" disse Hope, quando vide Jack e Chloe.
Corse verso di loro e ne prese uno per la coda.
"Micio, micio miao!" esclamò.
Il gatto si lamentò con un basso miagolio, ma non la graffiò.
Demi ed Andrew risero nel vedere quella scena.
"No, Hope, accarezzalo piano" disse la mamma, avvicinandosi.
Prese il gatto in braccio: era Jack. Lo accarezzò e il micio cominciò a fare le fusa.
"Guarda, così, lentamente, come faccio io. Devi accarezzarlo dalla testa alla coda, altrimenti se fai il contrario si arrabbia. Non devi tirargli la coda perché gli fai la bua, capito?"
"Non fare bua al gattino" disse Hope.
"Esatto, non fare bua, brava! Coraggio, accarezzalo."
Demi si chinò alla sua altezza e la bambina imitò la mamma. Il gatto fece le fusa e leccò il dito della bambina, che rise divertita.
Mackenzie, intanto, accarezzava Chloe che, sdraiata sul pavimento del salotto, si godeva quelle coccole restando immobile e a pancia in su, come in estasi.
Ovviamente Demi aveva portato con loro Batman, il cane, sperando che sarebbe andato d'accordo con Jack e Chloe. Vedendo la sua padrona accarezzare il gatto le si avvicinò e la guardò mugulando, come a dirle:
"Ehi, ci sono anch'io; e comunque sono geloso!"
Nei giorni che seguirono Demi aiutò Andrew a spogliarsi e a vestirsi, gli preparò i pasti e gli diede una mano a pulire la casa. Lui, intanto, quando non poteva fare lavori troppo pesanti a causa del suo braccio, giocava con le bambine e questo, con il passare dei giorni, lo aiutò molto. Demi lo vedeva più allegro e spensierato, a volte riusciva persino a sorridere e altre a ridere. Andrew, Demetria e le bambine facevano tantissimi giochi insieme. Giocavano con le costruzioni, con gli animali di plastica, a nascondino… Demi aveva portato molti giocattoli da casa, ma anche Andrew ne aveva comprati alcuni. Mentre loro si divertivano, Batman, Jack e Chloe facevano conoscenza, annusandosi e a volte si rincorrevano. Erano riusciti ad andare d'accordo fin da subito e facevano tutto insieme e questo aveva rallegrato molto Demi ed
Andrew.
Di notte, però, l'uomo era completamente diverso. Sdraiato nel suo grande letto, accanto alla fidanzata, spesso faceva degli incubi. Iniziava a tremare e poi balbettava:
"No, Carlie! N-non lasciarmi, n-non andare v-via! Voglio abbracciarti, resta con me!"
Si dimenava e, quando Demi lo svegliava, lo trovava sempre tutto sudato e angosciato. Cercava di calmarlo abbracciandolo, a volte baciandolo e sussurrandogli sempre parole dolci, ma gli incubi continuavano e lui faticava sempre più a dormire.
"Ne stai parlando con la psicologa?" gli chiese, dopo una settimana da quando si era trasferita lì.
"Sì, ci stiamo lavorando. Lei dice che questi sogni riflettono ciò che sento nell'anima."
"Sì, penso che abbia ragione" rispose la ragazza.
Lei era stata aiutata da molti spicologi quando aveva finalmente iniziato a curare i suoi problemi e spesso aveva sognato di ricominciare a non mangiare, o a tagliarsi, svegliandosi poi in lacri,e. Gli psicologi le avevano spesso detto che quegli incubi erano un riflesso delle sue più grandi paure, delle insicurezze che provava e delle quali magari non si rendeva conto, ma che il suo inconscio continuava a conservare. Immaginava quali sentimenti provava Andrew e credeva che le conclusioni della psicologa fossero giuste.
"Ogni volta che faccio questi sogni, cerco di ricordarmeli e di parlargliene," continuò l'uomo, "anche se non è facile, a volte. Insomma, sono incubi che spesso mi turbano o mi sconvolgono. Sogno il momento in cui ho saputo che mia sorella era morta, o quello in cui l'ho vista, immobile, in quella camera mortuaria, o il giorno del funerale, o un mix di tutti questi terribili ricordi insieme."
"Capisco; e parlarne ti fa bene?" gli domandò la sua ragazza, prendendogli le mani e stringendogliele con affetto.
"Sì, mi aiuta a sfogarmi e anche farlo con te mi dà una mano."
"Sai che puoi dirmi tutto, vero?"
"Sì, amore; anche tu puoi."
"Lo so."
Spesso durante la notte Andrew piangeva e raccontava a Demi di Carlie e dei loro momenti insieme. Lei lo ascoltava con pazienza, cercando di non giudicarlo, di non forzarlo a stare meglio, ma di aiutarlo, pian piano, a capire che avrebbe potuto ricominciare a vivere e a sentirsi
bene.
Dopo un'altra settimana Andrew andò a togliersi i punti e la fasciatura. Gli restarono delle cicatrici sui polsi e sulle braccia ma, come disse a Demi poco dopo, quando uscirono insieme dall'ospedale:
"Almeno queste mi ricorderanno sempre il mio errore, così saprò come non voglio più essere."
Dopo qualche giorno tornò al lavoro e questo, seppure lo stancasse molto, lo aiutò a distrarsi.
Fu accolto con gioia dai colleghi e da Janet. Gli avevano preparato una piccola festa a sorpresa, con tanto di palloncini, buffet e uno striscione, sulla porta dello studio legale, con scritto in grande:
 
Bentornato, Andrew! Sei una forza della natura!
 
"Grazie, ragazzi!" esclamò l'uomo, commosso.
"Come ti senti?" gli domandò Charles, un collega che aveva più o meno la sua età.
"Fisicamente bene, psicologicamente un po' meno, ma penso che lavorare mi darà una mano; almeno non avrò sempre in testa cattivi pensieri."
"Siamo felici di riaverti con noi, Andrew!" esclamò Bill, dandogli una pacca sulla spalla.
"Grazie; anch'io sono contento di essere tornato. Ah, vi ringrazio anche per essermi venuti a trovare in ospedale" disse poi, guardando Janet e Bill.
Loro gli assicurarono che l'avevano fatto con il cuore, poi il collega gli disse:
"Pensavo che, se ti va, qualche volta potremmo pranzare insieme, o andare a bere un caffè, non so. Insomma, il fatto che fino a qualche tempo fa non siamo stati in buoni rapporti non significa che dovremo esserlo per sempre. Non sei così male, Andrew e mi piacerebbe conoscerti meglio. Forse non saremo mai veri amici, ma potremmo provare ad avere rapporti più civili, sempre se lo vuoi anche tu."
L'uomo sorrise.
"Stavo per dirti la stessa cosa io" gli rispose poi, con sincerità.
Aveva capito che Bill non era così stronzo come dava a vedere e che, sotto quella scorza dura, si nascondeva un uomo di buon cuore.
 
 
 
"Wow!" esclamò Selena, quella mattina, al telefono.
Andrew era in ufficio per il suo primo giorno di lavoro dopo tutto quel che era successo e Demi, felice ma allo stesso tempo un po' preoccupata per lui, aveva deciso di chiamare l'amica. Selena sapeva già che i due abitavano insieme da un paio di settimane, ma si stava facendo idee un po' strane.
"Cosa vorrebbe dire "Wow", scusa?" le chiese infatti Demi.
"Beh, che da abitare insieme a sposarsi ci vuole poco."
"Ecco, lo sapevo. Tu passi subito a conclusioni affrettate" sbuffò.
"Guarda che sono stata io ad invitare Andrew a quel ballo. Se non fosse stato per me, forse vi sareste messi insieme dopo molto più tempo. Da quella sera sono cambiate molte cose, o sbaglio?" le fece notare l'altra.
"Sì, hai ragione. Gran parte del merito va a te, ma Sel, davvero, stiamo insieme da pochi mesi e, anche se ci conosciamo da una vita, non abbiamo intenzione di sposarci ora. Se lo facessimo, sarebbe una decisione affrettata e prematura. Non ne abbiamo nemmeno parlato. Prima mi piacerebbe andare a vivere con lui, o che Andrew venisse da me e solo dopo rifletteremo sul da farsi. Vogliamo vedere il nostro amore crescere giorno dopo giorno, capisci?"
"Sì, ho capito cosa vuoi dire. Sarà che io non sono fidanzata da un bel po' e quindi penso sempre che tutti intorno a me si stiano mettendo insieme o sposando e mi sembra di essere l'unica single o zitella acida di Los Angeles" ridacchiò.
"Tu non sarai mai una zitella acida!" esclamò Demi.
"Davvero? Vedremo se penserai la stessa cosa quando avrò ottant'anni, sarò vecchia, piena di rughe e non avrò né marito, né figli."
"Oddio, ma perché pensi queste cose?"
Demetria era stupita. La sua migliore amica non era certo il tipo di persona che faceva discorsi del genere. Si era comportata in modo strano solo nel periodo in cui era stata male e anche prima, quando aveva voluto nascondere il suo stato d'animo. Ora era una persona molto più tranquilla, ma la sua allegria, fortunatamente, era rimasta la stessa. Da tempo, però, sembrava diversa, più disposta ad ascoltare e a capire le persone senza giudicarle.
"Scherzavo, idiota!" esclamò l'altra, scoppiando a ridere.
"Cretina, io ci ero cascata" sussurrò Demi fra i denti.
"Senti, Dem, che fai oggi?"
"Niente di che; ho lavorato un po' stamattina, scrivendo una nuova canzone. Devo solo metterla in musica con il pianoforte, registrarla e poi spedirla a Phil quando sarà pronta. Ho già alcune idee, ma credo ci vorrà qualche giorno. A parte questo, penso che giocherò con le bambine, il cane e i gatti. Perché?"
"Che ne dici di venire a casa mia con quegli angeli adorabili che sono le tue figlie e stare un po' tutte e quattro in compagnia, tra donne?"
Mackenzie, di fronte a lei, fece cenno di sì.
"Va bene" rispose quindi Demi. "Ora, però, Hope sta dormendo. Non appena si sveglierà arriveremo."
"Sìììììììììììììì!" urlò la ragazza.
Demi sorrise. Le avrebbe sempre rotto i timpani nei suoi momenti di eccitazione. Le due amiche riattaccarono e poi la ragazza si avvicinò a Mackenzie, che guardava il vuoto.
"Che succede?" le chiese, con dolcezza.
La bambina non rispose. Continuava a tenere in mano un foglio e una penna, ma non scriveva nulla.
La madre la sollevò tra le braccia e si accomodò sul divano. Mackenzie le si sistemò sulle gambe.
"Piccola, non posso aiutarti se non mi dici cos'hai."
Mac sospirò, poi cominciò a scrivere qualcosa e, quando ebbe finito, passò il foglio alla ragazza.
C'era scritta una frase che, sulle prime, Demi non riuscì ad interpretare nel modo corretto.
Tra poco inizierò la scuola
"Sì e allora? Non sei contenta? Conoscerai tanti nuovi bambini, ti farai degli amici e imparerai cose nuove" le rispose.
Cosa succederà se i miei compagni mi prenderanno in giro perché non parlo, o perché sono di colore?
Il cuore di Demi si spezzò quando lesse quelle parole. Avrebbe voluto dirle che non sarebbe successo, ma sapeva di non poterglielo promettere.
"Tesoro, se accadrà dovrai parlarne con me e con papà e noi ti aiuteremo. Lo diremo alle maestre e risolveremo la situazione, ma io sono sicura che incontrerai anche bambini gentili con i quali farai amicizia."
Mackenzie fece cenno di sì, ma non scrisse altro. Non aveva più voglia di parlarne e poi, nel profondo del suo cuore, non era sicura che avrebbe avuto il coraggio di dire ogni cosa ai genitori, se fosse stata presa in giro o trattata male.
"Vuoi che ne parliamo ancora?" le chiese la mamma.
No, tranquilla, sto bene.
Demi si fidò. Mackenzie sorrideva, ora e sembrava tranquilla.
Dopo poco Hope iniziò a piangere. Dopo averla cambiata e averle dato la colazione, Demi spiegò anche a lei che sarebbero andate da Selena.
"Ha voglia di vedervi" aggiunse, rivolgendosi anche a Mackenzie. "Quando abbiamo fatto la festa per papà, voi siete state solo con lui e va bene così, non vi sto rimproverando per questo. Era appena tornato a casa e vi era mancato, ma sapete che anche Selena vi vuole bene, quindi ora andremo da lei e staremo un po' tutte e quattro insieme, d'accordo?"
Mac fece ancora cenno di sì. Hope ovviamente non aveva capito e Demi lo sapeva, ma vedendola sorridere prese quella sua espressione per un sì.
Il viaggio fino alla casa di Selena fu breve e nessuna delle tre parlò durante il tragitto. A volte Demi accendeva la radio, ma quella mattina decise di non farlo. Non ne aveva voglia.
Con Hope in braccio e Mackenzie al suo fianco, la ragazza stava per suonare il campanello, ma Selena aprì la porta.
"Finalmente!" esclamò, aprendo loro il cancello.
Accolse tutte e tre con baci e forti abbracci. Mackenzie, pur non conoscendola così bene, si lasciò coccolare. Le braccia di Selena avevano una stretta rassicurante
La ragazza fece accomodare le sue tre ospiti sul divano, poi diede a Hope e Mackenzie due bambole che aveva comprato loro. Erano Stella e Aisha, due Winx.
"Forse le avete già,"! disse, un po' titubante, "ma ero così felice nel sapere che sareste venute qui, che non ho resistito e ve le ho comprate."
Grazie! esclamò Mackenzie, sorridendo e stringendo Stella. Non le avevamo, ma il cartone animato ci piace molto.
"Sì," confermò Demi, "lo guardano spesso. Ti ringrazio anch'io, Selena!"
"Figuratevi! L'ho fatto con il cuore" rispose lei, sorridendo.
Hope tirò i capelli ad Aishaa, ma quando vide ciò che faceva la sorella la imitò.
Le due bambine si sedettero sul tappeto e cominciarono a giocare. Avevano solo due bambole, ma si divertivano anche con così poco. Pettinavano i loro capelli con le mani, anche se Hope lo faceva un po' violentemente, così Mackenzie le insegnava, con i gesti, che doveva andarci piano e con dolcezza, poi slegò i capelli della sua, che erano legati con un elastico e cercò di far capire alla sorellina come fare una treccia o una coda. La bambina era troppo piccola per riuscirci da sola, ma guardava la sorella come incantata, forse pensando che anche lei, quando sarebbe stata più  grande, ci sarebbe riuscita.
Nel frattempo, Demi e Selena parlavano di lavoro.
"Insomma," stava dicendo quest'ultima, "ho finito di registrare anche questa canzone. È molto rock, ma credo che ai miei fan piacerà."
"L'importante è che sia tu ad apprezzarla per prima" le fece notare l'amica.
"Ah, sì certo, è ovvio. A me piace. A te, invece, come va con il lavoro? Mi avevi detto che stai facendo delle cose da casa."
"Sì, scrivo qualche canzone quando le bambine dormono, oppure suono il piano per creare la melodia e gli accordi, poi registro tutto, anche la mia voce e la invio al mio manager. Per ora ho composto parecchie canzoni, circa una ventina in un anno!"
"Così tante?"
Selena era positivamente impressionata.
"Sì, ma tieni conto del fatto che ho parecchio tempo essendo a casa. Certo, fare la mamma è un lavoro a tempo pieno," disse poi, sorridendo, "ma quando sono libera, anche se mi sento stanca, scrivere, suonare o cantare mi rilassa. Andrew non ha il pianoforte a casa, ma tempo fa avevo registrato alcune tracce sul cellulare e proprio stamattina, dato che mi sono svegliata presto, ho scritto un po'."
Parlarono di questo per qualche altro minuto, poi decisero di coinvolgere le bambine. Fu Selena a proporre di vedere un film tutte insieme e fece scegliere a Mackenzie un DVD. La bambina si avvicinò al mobile vicino alla TV, nel quale la cantante le disse che li teneva. Ce n'eran o tantissimi. Sembravano tutti molto interessanti, ma lei ovviamente concentrò la sua attenzione sui cartoni animati o sui film per bambini, dei quali conosceva già parecchi titoli. Alla fine scelse "La sirenetta". Prima di far partire il tutto, Selena andò in cucina e tornò poco dopo in salotto con un piccolo tavolino pieghevole sul quale aveva appoggiato un vassoio pieno di biscotti al cioccolato.
"Oh, no, questi saranno la mia rovina!" esclamò Demi ridendo.
L'amica si unì alla sua risata, così come Mackenzie. Demi la abbracciò forte. Sentirla ridere era ogni volta un'emozione indescrivibile.
Mentre guardavano il film mangiarono i dolcetti, che erano ottimi. Anche Hope li assaggiò, ma dato che i biscotti erano grandi, Demi preferì dividerglieli in piccoli pezzetti. Ovviamente li mangiò ma si sporcò di cioccolata le mani come se ce le avesse annegate in essa. Demi non se la prese. Sapeva che i bambini si sporcano facilmente, soprattutto a quell'età. Comunque, la piccola preferì giocare e non prestò tanta attenzione alla televisione. Non le piaceva molto guardare i cartoni nemmeno quand'era a casa. Mackenzie, invece, era concentratissima e spesso rise durante il film. Si spaventò un po' quando vide Ursula, la strega, ma poi capì che era tutto finto e si tranquillizzò.
In una delle scene nelle quali comparve il principe, Selena commentò:
"Ehi, Dem, è carino! Io sposerei un tipo così."
"No, è troppo perfetto per essere vero" commentò l'altra.
"Bah, tu non capisci niente solo perché ce hai già il tuo principe!"
Detto questo, Selena le tirò un piccolo schiaffo sulla guancia. Quando lo vide, Mackenzie guardò entrambe, spaventata.
"Tesoro, che hai?" le chiese la mamma, vedendo la sua espressione.
Era improvvisamente impallidita e aveva gli occhi sbarrati.
Ti ha picchiata scrisse, poi i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Le due donne capirono che, se non avessero detto o fatto qualcosa, sarebbe scoppiata a piangere a momenti.
"No!" esclamò Selena. "Non farei mai del male a tua mamma, Mac."
"Infatti, non mi ha fatto niente, guarda" disse Demetria, mostrandole la guancia. "Vedi? Non c'è nemmeno un segno."
Mackenzie tirò un sospiro di sollievo e si scusò con Selena, poi ricominciò a guardare il film.
"Mi dispiace di averla fatta stare male" sussurrò la ragazza all'amica.
"Non è colpa tua, è dell'uomo che ha ucciso i suoi genitori. Mackenzie ha creduto che tu volessi farmi del male come lui ne ha fatto alla sua mamma e al papà naturali e a loro. Non ho mai incontrato quell'uomo, grazie a Dio, ma lo odio con tutto il mio cuore. Non riesco a capire come certe persone possano essere tanto pazze e crudeli. Mackenzie non aveva mai reagito così, ma è anche vero che io ed Andrew non ci siamo mai schiaffeggiati per gioco in loro presenza. Forse lo fa perché è preoccupata per la scuola, non so…"
"Cosa intendi?"
Demi le riferì il dialogo che avevano avuto poco prima.
"Sì, forse hai ragione" convenne Selena, poi anche loro non ne parlarono più e tornarono a guardare il film. Quel piccolo momento di crisi era
passato.
Quando "La sirenetta" finì, Mackenzie scrisse che le era piaciuto tantissimo e che non l'aveva mai visto prima.
"Magari un'altra volta potremo vedere il secondo" propose Selena.
Sarebbe bello! le rispose Mac, con un gran sorriso.
Era ormai ora di pranzo e Demi preferì portare le bambine a casa. Hope era stanca e voleva farla mangiare e metterla a letto.
"Grazie per questa bella mattinata, Sel" le disse, abbracciandola.
"Sono io che ringrazio voi per essere venute. Mi piace tanto stare con te e quelle meravigliose creature" rispose, poi baciò e abbracciò di nuovo le piccole.
Tutte e tre tornarono a casa felici dopo aver passato una mattinata spensierata.
 
 
 
Andrew e Bill andarono a pranzare assieme già quello stesso giorno. Fu Bill a voler scegliere il posto.
"Possiamo andare nel bar qui  vicino, io ormai sono un loro cliente abituale" insistette Andrew.
Non voleva che il collega si scomodasse a portarlo più lontano.
"Fidati di me, conosco un posto che ti piacerà; è molto più tranquillo di quel bar" replicò quest'ultimo.
"Okay, ora sono curioso!"
"Bene, ottima scelta!" esclamò. "Saliamo nella mia macchina e andiamo. Non è lontano comunque, non preoccuparti."
Andrew non volle insistere anche sul fatto che avrebbero potuto usare la sua auto. Non voleva che Bill si offendesse o che ci restasse male.
Dopo dieci minuti di strada arrivarono davanti ad una piccola birreria. Era un edificio molto rustico, in legno. Pareva più una casa di campagna che un locale, anche a giudicare dal prato che lo circondava e dal recinto in cui, tranquille, pascolavano alcune caprette. Era un posto molto semplice, che trasmetteva una sensazione di tranquillità e rilassatezza. Fu proprio quell'ambiente così suggestivo a catturare completamente l'attenzione di Andrew.
"Ehi, sei senza parole?" gli domandò il collega, mentre suonava il campanello per farsi aprire cancello e porta d'ingresso.
"Beh, sì; non conoscevo questo posto, non l'avevo mai visto; e poi mi stupisce che ci sia un ambiente tanto rustico in una città grande come Los Angeles."
L'edificio si trovava dopo uno stretto portico e, a meno che le persone non fossero passate per di lì anziché continuare a procedere sulla strada, non l'avrebbero notato.
"Lo so, è parecchio nascosto," disse Bill, mentre i due entravano nel grande giardino e si avvicinavano alla porta, "ma è abbastanza frequentato, soprattutto dal lunedì al venerdì. Vengono a mangiare qui molti camionisti o operai; e anch'io, ovviamente."
"Ciao Bill!" esclamò un'anziana donna, che Andrew pensò fosse la proprietaria.
"Ciao, Amélie; questo è Andrew, un mio collega di lavoro."
"Oh, salve, signore; prego entrate. Il solito tavolo è già pronto per te, caro, ma non mi costa nulla aggiungere una sedia, delle posate e un bicchiere. Pazientate solo un momento" disse questa sorridendo.
Parlava bene l'inglese, anche se aveva un accento francese molto marcato e a volte usava la "r" moscia, rendendo leggermente difficile la comprensione.
I tre attraversarono una grande sala con dieci o quindici tavoli, nella quale si trovavano parecchie persone, soprattutto uomini; poi passarono ad una stanza più piccola, con solo quattro tavoli.
"Sedetevi dove volete" disse loro la donna. "Il menu è sul tavolo."
"Grazie" le rispose Andrew.
Si accomodarono al centro della stanza e si misero l'uno di fronte all'altro. Come nell'altra sala, anche in quella vi erano dei quadri appesi ai muri, raffiguranti immagini di contadini che lavoravano la terra, o di animali, in particolare asini e buoi che trainavano degli aratri.
"Una volta questo posto era una fattoria, ma parliamo di tantissimi anni fa" spiegò Bill. "Amélie è la nipote del proprietario, che ora non c'è più e ha lasciato il locale a lei, dato che il padre della donna non se ne voleva occupare. Amélie l'ha rimodernato e ne ha fatto un ristorante, più o meno vent'anni fa."
"Tu da quanto tempo la conosci?"
"Amélie, dici? Vediamo, lavoro in questo studio legale da quando ho trent'anni, quindi da allora. Ne sono passati dodici, ormai."
Nonostante il posto rustico, i piatti di quel ristorante non lo erano affatto. C'era di tutto. Andrew ordinò un hamburger con dell'insalata, mentre Bill prese una pizza con patatine fritte, prosciutto, wurstel e salamino piccante.
"Mangi leggero" gli disse Andrew sorridendo.
"Mi piace troppo la pizza; e quando la si prende non bisogna certo stare a dieta" affermò questi, convinto.
"In effetti hai ragione."
Si ricordò di quella volta in cui lui e Demi erano stati al McDonald e lei aveva ordinato l'insalata. Andrew l'aveva presa in giro per tutto il tempo. Sorrise a quel pensiero.
Per i primi giorni Andrew e Bill parlarono solo di lavoro mentre mangiavano. Non toccarono altri argomenti perché non sapevano bene cosa chiedersi. Si stavano ancora conoscendo e temevano che, se avessero fatto domande troppo personali, l'uno o l'altro avrebbe potuto spaventarsi o rimanerci male. In ogni caso cominciavano a capire di apprezzare l'uno la compagnia dell'altro e di starsi abbastanza simpatici.
 
 
 
Mentre lui era al lavoro Demi puliva la casa, cucinava e teneva d'occhio le bambine, giocando con loro nei momenti liberi. Lavorando l'uomo pensava ad altro e non solo al suo dolore. Per più di un altro mese, però, stette ancora molto male, soprattutto la notte e se non ci fosse stata Demi a dargli una mano e a stargli vicino, lui non sapeva come avrebbe fatto.
Spesso, in quei momenti di crisi profonda, Andrew la abbracciava e rimanevano stretti l'uno all'altra per lunghissimi minuti, oppure a volte si baciavano. Quel contatto ad Andrew faceva bene. Tra le braccia della sua ragazza si sentiva sicuro e protetto. Demi era casa, tranquillità, comprensione, amore e dolcezza. Era tutto ciò di cui lui aveva bisogno per tentare - anche se, lo sapeva, non ci sarebbe mai riuscito appieno -, di riempire almeno un po' il vuoto che c'era nel suo cuore da quando Carlie era morta. Demi ovviamente non l'avrebbe mai sostituita, anche perché non sarebbe stato giusto e nemmeno possibile. Il rapporto che c'era tra lei ed Andrew e tra lui e la sorella era completamente diverso, ma quella ragazza era un valido sostegno per l'uomo, una persona preziosa che gli stava accanto dandogli tutta se stessa.
A volte lui si sentiva un egoista a stare così male, perché sapeva che in quei momenti Demi si rattristava. Avrebbe voluto essere più forte, darle più di quanto le donava, ma Demi non gli disse mai nulla a riguardo, anzi, capiva bene che l'amore che lui le dimostrava era sufficiente e che, in certi momenti della vita, non si riesce a dare tutto ciò che si vorrebbe, perché si soffre molto. Lei l'aveva provato, anche se in modo e in circostanze diverse, in passato.
"Carlie farà sempre parte della tua vita" gli disse Demi una sera, mentre lui piangeva.
"Io non voglio… non posso dimenticarla, non posso! Non riesco a lasciarla andare!"
"Lasciar andare una persona non significa dimenticarla, anzi. Vuol dire solo riprendere a vivere, a stare bene; e se non riesci a farlo per te stesso, fallo almeno per le persone che ti amano."
"No," disse lui, "se non lo faccio anche per me stesso, allora tanto vale. Se non lo facessi anche per me, il mio non sarebbe vivere."
Il giorno dopo quella conversazione, Andrew e Demi andarono a trovare Carlie in cimitero. Lei restò lì un po', disse qualche preghiera, poi li lasciò soli. Andrew restò a lungo davanti alla tomba della sorella. Pregò, le parlò e pianse e, dopo circa venti minuti, uscì.
"Demi, ho bisogno di fare qualcosa, stasera, altrimenti so già che passerò tutto il tempo a pensare a lei."
"D'accordo! Che ne dici se usciamo, solo io e te?"
Cominciarono ad uscire ogni tanto, da quel giorno, a volte con le bambine, altre da soli. Passavano qualche serata fuori casa in un locale tranquillo oppure al McDonald e questo non aiutava solo Andrew, ma anche Demi, a distrarsi e a pensare ad altre cose, almeno per qualche ora.
Anche se a lui erano stati tolti sia i punti, sia la fasciatura, la ragazza e le bambine erano rimaste lì, ma ad Andrew non dava fastidio.
Quando uscivano i due scherzavano, a volte si portavano via il cibo come avevano fatto molto tempo prima, anche se Andrew non rideva granché, né aveva molta voglia di fare battute. Sì, si rilassava e a volte si divertiva, ma la sua mente era ancora così piena di dolore, che l'uomo non riusciva a distrarsi a lungo. Demi sapeva che ci sarebbe voluto tempo e che lui si stava sforzando più che poteva di stare bene, ma che era passato troppo poco da quella tragedia e, quindi, era normale che Andrew non fosse al suo meglio.
 
 
 
Era passata da poco la metà di agosto. Andrew aveva ripreso a lavorare da un mese e, per fortuna, in quel periodo allo studio legale le cose erano tranquille. C'erano parecchi casi da risolvere, ma non erano molto complicati; e, benché gli avvocati dovessero studiare strategie, scrivere arringhe da dire ai processi e ripassare i vari decreti e codici legislativi per essere sicuri al cento per cento di non sbagliare, in ufficio non si respirava tensione, come invece di solito accadeva nei mesi da settembre a dicembre o al massimo a gennaio. Chissà perché, in quel periodo sembrava che la gente si riempisse di problemi, o almeno, questa era l'impressione che aveva Andrew. Adorava il suo lavoro e non avrebbe mai voluto fare altro nella vita, però a volte, nei mesi invernali, era davvero stressato. Solo Demi e le piccole riuscivano a farlo sentire meglio, com'era sempre
stato.
"Ehi, Andrew!"
Bill entrò nel suo ufficio senza nemmeno bussare e gli diede una pacca sulla spalla. Aveva cominciato a fare così da qualche tempo, ma ad Andrew non dispiaceva, anzi. Iniziava a capire che Bill era un uomo simpatico e dallo spirito molto positivo, con un carattere talmente ottimista  da far invidia; e, se Andrew pensava a ciò che questi gli aveva raccontato, alla morte di suo padre e a tutto il dolore che doveva aver provato, si domandava come facesse ad avere, quasi sempre, il sorriso sulle labbra. Per tanto tempo quel sorriso gli era sembrato canzonatorio, come se con tale gesto il collega avesse voluto prendere in giro tutti coloro che erano in ufficio, ma quel mese passato a pranzare con lui quasi tutti i giorni gli aveva fatto cambiare idea.
"Ciao" gli rispose Andrew, sorridendo. "Ti piace il sushi? Conosco un ristorante dove potremmo andare, se ti va."
"Non l'ho mai assaggiato, per cui sì, mi piacerebbe provare."
"D'accordo, allora ci vediamo tra un'ora."
"Certo, ti lascio lavorare."
"Sì, grazie per essere passato a salutarmi."
"Figurati, ormai ci conosciamo benino, è un…" In quel momento il cellulare di Bill squillò. "Scusa" disse, ""credo sia un mio cliente, doveva chiamarmi per parlare di una questione. Devo rispondere."
"Fai pure!"
"Merda! No, che cazzo vuole questa?" chiese Bill indignato, quando vide il numero sul display.
Le cose qui si mettono male, pensò Andrew guardando preoccupato il suo collega.
Non doveva essere un cliente. L'uomo era sempre stato molto bravo nel suo lavoro, non aveva mai insultato nessuno di coloro che cercava di aiutare, almeno per quanto ne sapeva lui.
"Pronto? Perché mi hai chiamato? Sì, al lavoro va bene… no, non ti preoccupare, non ti farò sfigurare davanti ai tuoi dipendenti del tuo studio legale, figurati! Eh? Aspetta, perché cambi discorso ora? Cosa c'en… No, non cambierò mai idea, te lo ripeto da anni! Senti mamma, basta, okay? Sono stufo di sentire sempre i soliti discorsi. Mi chiami solo per questo, non mi domandi più nemmeno come sto e… Okay, sai cosa ti dico? Si devono rispettare i genitori, ma tu questo non lo meriti. Va' al diavolo!"
Detto ciò chiuse la chiamata e spense il cellulare, poi lo gettò per terra. Per fortuna la cover lo protesse e il telefonino non si ruppe.
"Tutto bene?" chiese Andrew con un filo di voce.
Bill era stato così preso da quella chiamata che non era nemmeno uscito dall'ufficio e, per un momento, aveva dimenticato che il suo collega era lì. Sospirò pesantemente e si lasciò andare su una sedia accanto ad Andrew.
"No, non va bene per niente" rispose questi, affranto.
"Ti va di parlarmene?"
Andrew gli aveva parlato di Carlie, del dolore che aveva provato e che l'aveva spinto a fare quel gesto, di Demi e le piccole e di tutto ciò che significavano per lui. Gli aveva aperto il suo cuore, confidandosi sempre un po' di più ogni giorno e Bill l'aveva ascoltato, non l'aveva mai giudicato ed era stato molto gentile e comprensivo, quindi ora il collega voleva fare lo stesso con lui, se l'altro gliene avesse dato la possibilità.
"Te ne parlerei, ma non so bene come dirtelo. Insomma, è una cosa un po' delicata e non so se potrai accettarla…"
"Ti assicuro che, per quanto possibile, ho sempre cercato di avere meno pregiudizi che potevo. Quindi, qualsiasi cosa sia, se vuoi io ci sono" gli rispose, con dolcezza.
"Io e mia madre litighiamo da anni" iniziò Bill, cercando di mantenere un tono di voce fermo, "da quando ne  avevo diciotto, per la precisione. Quando mio papà stava male ci eravamo riavvicinati, ma da dopo la sua morte tutto è tornato come prima. Il motivo dei nostri dissapori, molto accesi aggiungerei, è che io sono gay e lei non lo accetta."
"Oh" disse Andrew, sorpreso.
Non lo sapeva, non si era mai accorto di nulla. Del resto, Bill gli aveva detto che separava molto bene la su vita professionale da quella privata - come il suo collega -, quindi probabilmente era per questo che non si era mai fatto vedere con un altro uomo, nemmeno alle cene di lavoro alle quali partecipavano le mogli e le fidanzate di coloro che lavoravano in quello studio. Forse temeva che qualche collega l'avrebbe offeso.
"Per te è un problema?" gli domandò.
C'erano amarezza e dolore nella sua voce, che tremò impercettibilmente, ma Andrew notò quella sfumatura di cambiamento e gli dispiacque per Bill. Doveva aver sofferto molto, in passato, a causa del suo orientamento sessuale.
"No!" si affrettò ad esclamare. "Figurati! Non smetterò certo di essere tuo amico per questo."
L'uomo tirò un sospiro di sollievo.
"Grazie a Dio! Avevo paura che non mi avresti più voluto intorno."
"Stai con qualcuno?" gli domandò allora Andrew.
"No, o almeno non più."
Tirò fuori il suo portafoglio dalla tasca dei calzoni e gli mostrò una foto di un uomo di circa trent'anni, con i capelli castani e gli occhi che, Andrew non ne era sicuro, ma parevano nocciola. Era di bell'aspetto, anche se un po' basso di statura.
"Lui era Oscar. Siamo stati insieme fino a cinque anni fa. Da quando abbiamo iniziato a conoscerci meglio, lui mi ha detto di avere l'AIDS. Prima che tu dica qualcosa no, non l'ha preso facendo l'amore con un'altra persona. Lui era medico. Stava facendo delle analisi del sangue ad una bambina con l'AIDS. Lei però non stava ferma e quindi Oscar non riusciva a trovare la vena giusta; poi l'ago gli è scivolato fra le dita, si è punto e il guanto che indossava si è bucato. All'inizio non ci ha dato peso, era andato subito a disinfettarsi, ma dopo un anno ha scoperto che si era ammalato. Nonostante questo io gli sono stato accanto, prima come amico e poi come fidanzato. Siamo sempre stati attentissimi, prendendo tutte le dovute precauzioni. Io per sicurezza facevo comunque un check-up tutti gli anni, ma non ho mai avuto problemi di nessun genere, né l'AIDS, né altre malattie sessualmente trasmissibili." In quel momento a Bill mancò il fiato, perché ciò che doveva ancora raccontare era la parte più difficile. "Gli sono stato accanto anche nei momenti più brutti," continuò, con gli occhi pieni di lacrime e il volto che era diventato una maschera di dolore, "quando lo vedevo a letto senza forze, troppo stanco persino per mangiare, o farsi una doccia. L'AIDS si può controllare, ma non curare, come sai. Sono stato vicino ad Oscar fino alla morte, nonostante ogni giorno sapessi a cosa andavo incontro, lo amavo così tanto che ho fatto questa scelta. Siamo stati insieme dieci anni."
"Mio Dio!" esclamò Andrew. "Io non so cosa farei se Demi non ci fosse più."
In quel momento pensò a lei, a ciò che doveva aver provato quando lui si era fatto del male. Si sentiva in colpa per questo, ma d'altra parte si diceva che le cose erano andate sicuramente così per una ragione. Evidentemente era stato necessario che lui toccasse il fondo, per poi provare a risalire. Forse era stato scritto questo, nel libro della sua vita, ancora prima che Andrew nascesse.
"Scusami" si affrettò ad aggiungere Bill, " non era mia intenzione rattristarti."
"No no, non l'hai fatto, non preoccuparti. La tua storia mi fa pensare, tutto qui." Gli raccontò cosa gli era venuto in mente. "Credere che ciò fosse scritto nella mia vita mi fa sentire più tranquillo, in pace con me stesso" concluse, poi gli domandò: "Non ti sei più innamorato?"
"No, ho avuto solo una breve storiella, ma nulla di significativo; e non so se potrò mai amare qualcuno come ho fatto con Oscar. Per ora non sono ancora pronto ad iniziare una relazione con nessuno, nonostante siano trascorsi cinque anni e preferisco rimanere single piuttosto che mettermi con qualcuno e poi lasciarlo. L'ho già fatto una volta, per fortuna quando le cose non erano ancora serie. Non voglio che capiti di nuovo. Dopo la morte di oscar sono finito in depressione. Sono stato da uno psichiatra, ho seguito una terapia psicologica con lui e ho anche preso forti farmaci per molto tempo. Solo in questi ultimi mesi ho cominciato a diminuirli. Ho continuato a lavorare e per fortuna gli antidepressivi mi hanno aiutato a migliorare il mio umore, ma se in questi ultimi anni sono stato forse molto più stronzo di prima, era perché ero in guerra contro il mondo. Cercavo un colpevole, qualcuno con cui prendermela per ciò che era successo. Sia chiaro, non mi sto giustificando. So di essere stato un emerito coglione, soprattutto con te. Mi dispiace così tanto! Lo dico sinceramente. La verità è che non mi rendevo conto che non potevo avercela con nessuno, perché la colpa non si può attribuire ad alcuno."
"Mi dispiace che tu sia stato così tanto male, Bill" disse Andrew, "ma hai avuto una forza incredibile. Ti ammiro tanto, per questo!"
Capì ancor di più che, sotto tutta quella maleducazione, si nascondeva un Bill diverso, che era stato ferito profondamente e che lottava ogni giorno per stare meglio. A volte il dolore rende più sensibili, altre incattivisce. A Bill era successa questa seconda cosa, ma il fatto che ora ne stesse parlando significava che iniziava già a guarire. Andrew glielo disse, aggiungendo che quel giorno aveva fatto un grande passo.
"Spero che tu abbia ragione" gli rispose l'altro. "A parte la mia psichiatra e il mio medico, non lo sa nessuno."
"So quant'è difficile raccontare che si sta male. L'ho provato anch'io" gli assicurò Andrew.
Lo capiva benissimo.
Bill si schiarì la voce. Avrebbe voluto piangere, ma non lo fece.
"Dammi cinque minuti, poi ti prometto che andiamo a mangiare il sushi, okay?"
"Certo!"
"Grazie per avermi ascoltato; insomma, non eri tenuto a farlo visto come mi sono comportato con te in tutti questi anni."
"Tranquillo, so che sei migliore di quanto appari" gli rispose e gli strinse la mano. "Per quanto riguarda gli screzi che abbiamo avuto, ormai è acqua passata."
Bill gli sorrise, uscì, si ritirò nel suo ufficio, si lasciò andare sulla sedia accanto alla scrivania e lì, tirata di nuovo fuori la foto di Oscar, pianse tutte le lacrime che si possono versare in  pochi minuti. Quel breve pianto gli servì per sfogarsi. Da tanto non versava più lacrime, se l'era imposto perché gli era stato insegnato che gli uomini non piangono mai e che non devono farlo per non sembrare deboli, perché lui voleva essere forte, ma quel giorno non ne aveva potuto veramente più. Era molto grato ad Andrew per averlo ascoltato, più di quanto le sue parole potessero far capire. Dopo che si fu calmato andò a lavarsi le mani e la faccia, poi raggiunse il suo collega.
Durante il pranzo parlarono del più e del meno e si rilassarono.
 
 
 
Quando Andrew parlava a Demi di Bill, lei vedeva quanto entusiasta fosse il suo fidanzato nell'avere un amico. Ne era felicissima. Le cose stavano davvero migliorando.
"Mi piacerebbe conoscere questo Bill" gli disse un giorno. "Magari potremmo invitarlo a cena qui o a casa mia, un giorno o l'altro."
"Sì, sarebbe bello!" esclamò Andrew, sorridendole.
"Okay, lascia solo che mi sistemi con la scuola di Mackenzie e l'asilo di Hope e che inizino le loro lezioni, poi ci penseremo, d'accordo?"
"Certo, non voglio metterti fretta."
Anche se ancora non lo conosceva, Demi era grata a Bill. Se Andrew stava meglio era anche merito suo.
Fu così che arrivò settembre. Andrew si sentiva meglio, era più sereno, adesso Demi poteva dirlo con sicurezza. Ovviamente, in lui il dolore era ancora grande. In fondo erano passati solo sei mesi dalla morte di Carlie, ma di notte l'uomo dormiva meglio, si agitava di meno e i suoi pianti si erano ridotti molto. Fu allora che disse a Demi che avrebbe potuto tornare a casa sua.
"Sei sicuro? Se vuoi posso restare ancora, nel caso ti servisse qualcosa o…"
"Demi, lo vedi anche tu, sto meglio adesso. Certo, non posso dire di sentirmi bene, né di essere davvero felice, però mi sento più sereno rispetto a quando sono tornato a casa dal'ospedale e gran parte del merito va a te e alle bambine, che mi avete aiutato e rallegrato le giornate."
"No, invece; noi ti abbiamo solo dato una mano, ma il lavoro più grande l'hai fatto tu, su te stesso, sei stato forte e hai lottato."
Andrew annuì. Sapeva che Demi aveva ragione.
"Sì; ed è proprio per questo motivo che ti dico che tu, Hope e Mackenzie potete tornare a casa vostra. Io sono tornato al lavoro da tempo e sono contento che voi restiate qui, non fraintendermi. Tu per tutto questo tempo hai cucinato, mi hai tenuto in ordine la casa…"
"Ah, è solo per questo che sei felice di avermi qui? Bene bene, signor Marwell, ne terrò conto" disse Demi, ironica.
"Dai, scema, sai che sono contento di averti con me per mille motivi che non riguardano affatto la pulizia della casa! Io ti amo ed è ovvio che avere qui la mia ragazza mi faccia piacere, però è ora che inizi a cavarmela da solo nella quotidianità."
"Va bene, se ti senti pronto non posso obiettare. Credo sia inutile dirti che io ci sarò sempre per te, vero?"
"Questo lo so, Demi e ti sarò per sempre grato per tutto ciò che hai fatto."
"Stavo pensando, ti rendi conto che stiamo insieme da quasi sette mesi?"
"Saranno sette tra pochi giorni" disse Andrew sorridendo e baciandola con passione.
In quei mesi passati insieme, anche se da un certo punto in avanti Andrew era stato così tanto male, Demi non l'aveva mai abbandonato, non si era allontanata da lui, anzi, tutto il contrario! Gli aveva lasciato i suoi tempi, in modo che Andrew capisse che poteva ancora tornare a vivere, ma non per gli altri, per lui stesso, perché se lo meritava.
Come aveva detto ad Andrew la sua psicologa:
"Tu ora non stai più sopravvivendo e soffrendo, stai vivendo e soffrendo."
Anche se questo a molti avrebbe potuto sembrare un piccolissimo passo, per Andrew era comunque una grande conquista. Il fatto che Demi gli fosse stata accanto significava che lo amava davvero, cosa della quale lui non aveva mai dubitato, ma non credeva che lei sarebbe stata così paziente e dolce per tutto quel tempo; invece, era stata la persona che, più di ogni altra, era riuscita a capirlo, ad ascoltarlo, a confortarlo e a supportarlo. Il loro amore, anziché diventare più debole, era cresciuto e si era fatto sempre più vero, sincero e
forte.
Fu così che, dato che Andrew era convinto della sua decisione, il giorno dopo Demi e le bambine tornarono a casa. A tutte e tre dispiacque molto andarsene, ma sapevano che lui sarebbe venuto a trovarle presto. Mackenzie aveva capito che Andrew amava sua mamma. L'aveva compreso da molto tempo, anche se non aveva mai detto niente a riguardo.
   
 
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