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Autore: WibblyVale    08/04/2017    1 recensioni
Una neonata nell'ospedale di Konoha viene sottoposta ad un esperimento genetico e strappata alla sua innocenza. Crescendo diventerà un abile ninja solitaria, finchè un giorno non verrà inserita in un nuovo team. Il capitano della squadra è Kakashi Atake, un ninja con un passato triste alle spalle che fatica ad affezionarsi agli altri esseri umani. La giovane ninja sarà in grado di affrontare questa nuova sfida?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Shiori non respirava, sentiva le braccia di Shisui attorno a sé, sentiva che le stava dicendo qualcosa, ma lei non capiva. Era come se il mondo le fosse crollato addosso, come se non ci fosse più niente che avesse senso. Suo fratello, il suo centro stabile, era morto.
“Shikaku…” mormorò, la sua voce attutita dal petto dell’Uchiha. “No… non… È un incubo?” chiese. In quel momento, le sensazioni di Choza la invasero. Alzò la testa e si voltò verso di lui.
L’uomo era aggrappato alla parete rocciosa della scogliera, tremante, con una mano davanti agli occhi. Il suo dolore, così forte e inteso, rivelava un senso di perdita e solitudine persino maggiore. La kunoichi si staccò dal suo amico e si avvicinò a lui, asciugandosi le lacrime che le coprivano gli occhi. Gli posò una mano sulla spalla.
“Mi dispiace. Mi… dispiace… Mi…” gli sussurrò. Choza si tolse la mano dagli occhi e la strinse forte a sé, ora sorreggendosi su di lei, invece che sulla scogliera.
Fin troppo presto per poter superare un dolore del genere, i due shinobi si separarono, cercando di ricomporsi, cercando quella forza di combattere che pareva essersene andata in quell’esplosione.
Shisui si schiarì la gola, cercando di trovare la forza di parlare, di tornare alla realtà, ma quello che era appena successo aveva colpito anche lui.
“Shiori… Takeo era… era con loro.”
“Shikaku, gli aveva ordinato di uscire” rivelò Choza. “Lui sa sempre… sapeva…” L’uomo si zittì, non riusciva e non poteva affrontare quella perdita ora.
“Avrà fatto in tempo?” insistette l’Uchiha.
Shiori aveva già chiuso gli occhi, setacciando il campo, sperando in un miracolo. Proprio in quel momento Takeo apparve davanti ai loro occhi, ansimante per la corsa e con gli occhi ricolmi di senso di colpa.
La kunoichi corse verso di lui e lo strinse a sé con forza, quasi sollevandolo da terra.
“Shiori… avrei dovuto…”
“Sei vivo! Importa solo questo!”
Quando si separarono il ragazzo si inginocchiò accanto a Kenta e gli posò una mano sul petto.
“Non posso credere che… Non gli ho detto che gli volevo bene anche dopo tutto…” Le lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi.
La donna si inginocchiò accanto a lui e gli posò una mano sulla spalla. Gli occhi di lei erano ancora rossi, era ancora scossa, ma doveva combattere per onorare la memoria di suo fratello.
“Lui lo sapeva. Te l’assicuro. Eravate i suoi figli e vi conosceva meglio di chiunque altro, sapeva cosa provavate.”
Dopo avergli posato un bacio sulla guancia, Shiori si alzò in piedi e guardò Choza.
“Credi di farcela?” domandò.
L’uomo si asciugò le lacrime dagli occhi e annuì. “Ordinami cosa devo fare, Shiori. Sono pronto a seguirti ovunque.”
“Andremo al campo di battaglia ad aiutare gli altri.”
“Bene!” esclamò Shisui. “Cosa ne facciamo dei cloni?”
Shiori si mordicchiò il labbro. “Io e Choza andiamo al campo di battaglia. Tu e Takeo tornate a Konoha con i cloni e il corpo di Kenta.”
“Col cazzo, Shiori! Io non ti mando a combattere da sola, in queste condizioni.”
“Ho bisogno che là ci sia qualcuno con la tua forza che li protegga.”
“Perché non ci vai tu?” gridò Shisui. “Sono i tuoi figli! Vuoi proteggere loro, o vuoi evitare che io sia nel centro della battaglia.”
La kunoichi si avvicinò all’amico e l’abbracciò. “Voglio troppe, tante cose” gli sussurrò all’orecchio di modo che solo lui sentisse. “Voglio che tu li protegga, voglio che tu sia al sicuro. Poi, non posso tornare senza Kakashi. Devo assicurarmi che lui torni. E… ho promesso a Shikaku che mi sarei trattenuta.”
Shisui, che ora abbracciava l’amica, sbarrò gli occhi. “Vuoi dire che l’hai nascosto a Konoha?” chiese sussurrando.
Lei annuì. “E, in questo momento, se mi avvicinassi… Ne sono certa, lo userei senza nemmeno pensarci due volte.”
L’Uchiha scosse la testa. “Okay” disse ad alta voce. “Io e Takeo andiamo a casa, fate in modo che non debba tornare a salvarvi.”
Quando si separarono, Shiori gli sorrise. “Sei un buon amico, lo sai?”
“Non fare la ruffiana!” sbottò lui. “Choza, proteggila, per favore.”
L’Akimichi annuì, mentre Shiori si avvicinò a Takeo e lo abbracciò.
“Sei stato veramente coraggioso. Grazie di tutto.”
“Shiori, io…”
“Ci rivedremo presto” gli sorrise lei.
“È una promessa?”
“No, mio caro, è una minaccia” scherzò lei.
Così, i quattro shinobi si separarono, ancora sofferenti, ma sperando che quello non fosse un saluto definitivo, sperando che le morti dei loro cari non fossero avvenute in vano, sperando di poter vincere la guerra.
 
Hikaru aveva sentito una presenza sconosciuta all’interno del villaggio, così aveva chiesto a Tora, ancora leggermente zoppicante di accompagnarlo. La gatta non era molto convinta inizialmente, ma poi il bambino fece la sua faccia da cucciolo indifeso, così lei si trasformò e lo portò sulla sua groppa. Yoshino, non vedendo nessun pericolo in ciò, li lasciò andare con la raccomandazione di tornare il prima possibile.
Camminarono a lungo finché non raggiunsero il quartiere Uchiha, lì Hikaru si sentì pervadere da delle forze impossibili da spiegare e si piegò sulla gatta, tirando forse un po’ troppo il pelo.
“Hika, che succede?”
“N… Niente, va avanti.”
Raggiunsero quello che una volta doveva essere stato il tempio, e videro uscire una serie di figure. Tora cercò di acquattarsi per non essere vista, ma l’uomo alto e pallido li notò. La tigre ringhiò, in segno di difesa. L’uomo si avvicinò loro, mentre il ragazzo moro sbuffava.
“Lasciali perdere!”
Tora mostrò di più i denti, mentre l’uomo pallido si avvicinava con un sorriso sghembo.
“Hai gli occhi di tua madre, sai?”
“C… Conosci la mamma?” chiese Hikaru. L’uomo era spaventoso, ma non sembrava volergli fare del male.
“Non parlargli!” lo redarguì Tora.
“Certo…”
“Orochimaru!” sbottò Sasuke.
In quel momento altri quattro uomini uscirono dal tempio. Hikaru poteva sentire che c’era qualcosa di strano in loro, ma sapeva che erano buoni. Quel nome però lo tormentava.
“Tu hai fatto del male alla mamma, vero?” chiese.
Un uomo biondo si avvicinò a loro e si frappose tra il bambino e Orochimaru.
“È solo un bambino.”
“È il figlio di Shiori e Kakashi” lo informò il serpente.
L’uomo biondo con la tunica bianca si voltò verso di lui. “Sei il figlio di Kakashi?” Era sbalordito.
Hikaru annuì, lo sguardo dell’uomo biondo era così gentile, così sereno, metteva calma.
“Assomigli a Naruto” gli disse.
Il biondo si inginocchiò davanti a lui. “Io sono il suo papà. Mi chiamo Minato, e tu?”
“Hikaru. Cosa ci fate qui?”
Il Quarto Hokage ridacchiò. “Vai dritto al punto, proprio come tuo padre. Vogliamo aiutare quelli che stanno combattendo nella guerra.”
Il bambino indicò Sasuke. “Lui è… è… Si muove tutto dentro di lui, c’è buio!”
“Confuso?” suggerì Tora, che al vedere Minato si era rilassata. Quell’uomo ispirava fiducia.
“Confuso!” confermò Hikaru. “E lui…” Indicò Orochimaru. “Ha fatto del male alla mamma. E a tutti i miei nonni. La mamma non lo dice, ma io lo so” disse con un certo orgoglio.
Minato gli scompigliò i capelli. “Sei sveglio come i tuoi genitori, eh? Perché sei venuto qui Hikaru?”
Il bambino scostò lo sguardo e indicò Sasuke. “Lui… il suo chakra assomigliava…” Una leggera lacrima uscì dai suoi occhi. “Io non sono bravo come la mamma e pensavo che se era diverso era perché non riuscivo a riconoscerlo io.”
Gli Hokage si guardarono confusi. Minato fece per prenderlo in braccio, ma Tora indietreggiò. “Non voglio fargli del male” disse. La tigre, allora, lasciò che lo prendesse. L’uomo gli accarezzò il volto e disse. “Chi pensavi che fosse?”
“Lo zio Chichi. Avevo sentito il suo chakra quando parlavo con la mamma, poi ho sentito questo che ci assomigliava, e…”
“Hikaru, Itachi è morto, lo sai” gli fece notare Tora.
Il bambino gettò le braccia al collo dell’Hokage piangendo. Minato lo strinse a sé, mentre Sasuke sorpreso si avvicinava.
“Conoscevi mio fratello?”
Il bambino alzò il volto dalla spalla dell’Hokage e guardò il ragazzo. Si asciugò gli occhi e il suo volto si illuminò.
“Sei Sasuke!” Si voltò verso Tora e sorrise. “È Sasuke!” Sentendo che il moro era confuso, cercò di darsi una calmata e spiegarsi. “Lo zio Itachi ha aiutato la mamma mentre era sotto copertura, e ci veniva a trovare spesso a casa, che era la sua casa, che ha regalato allo zio Shisui quando è andato via dal villaggio, e…”
“HIKARU!” Tora cercò di farlo calmare.
“Ah… Lo zio Itachi ti voleva molto bene. Quando parlava di te sentiva… mmm. Come papà, quando vede Naruto sempre più forte.”
“Orgoglio” suggerì la gatta.
“Orgoglio” confermò. Sentì che quella strana tristezza in Sasuke aumentava. “Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“Non credo, Hikaru. Sasuke puoi spiegare perché stai così?” chiese Minato, ricordandosi di come Kushina si comportava con Shiori quando era piccola.
L’Uchiha era tentato di dire che non erano affari loro, ma si trattenne. “Sembra che Itachi abbia avuto tempo per te, ma non per me.”
Hikaru guardò Tora confuso. “Io… Itachi ti voleva bene. Anche il mio papà non c’era, ma lui non sapeva che esistevo, però adesso…”
“Hikaru, aspetta” lo fermò Tora. “Sasuke, tuo fratello voleva proteggerti. Da quello che ho capito, vivendo con Shisui e Shiori loro fanno di tutto per proteggere gli altri, e a volte, fanno la scelta sbagliata, ma in buona fede. Su questo non c’è dubbio.”
Il ragazzo annuì poco convinto. “Andiamo!” ordinò.
Minato guardò Hikaru ancora una volta, notando la forte somiglianza con il suo ex allievo. “Sei uguale a tuo padre. Questi capelli neri con strisce rosse però… Kushina, mia moglie, aveva i capelli di questo rosso, sai?”
“Sì, la mamma me l’ha detto. La amavi?” chiese il piccolo.
“Oh sì.” L’Hokage sospirò. “Ora noi dobbiamo andare Hikaru, credi di poter mantenere il segreto per un po’?”
“Sì, certo!” fece lui.
“Bene.” Minato riposò il bambino sulla schiena della tigre e si voltò per andarsene.
Orochimaru, che non si era mosso di un centimetro, guardò verso il piccolo Hatake per un’ultima volta.
“Spero di rivederti” gli disse, poi voltandosi e andandosene.
Il bambino tremò leggermente, poi ordinò a Tora di andarsene.
“Sei uguale a tua madre” borbottò per tutta la via del ritorno. “Hai idea di come ci saremmo potuti cacciare nei guai se non ci fossero stati gli Hokage?”
“Io volevo vedere lo zio Chichi ancora una volta. Volevo dirgli che gli voglio bene.”
“Oh, Hika, ma lui lo sapeva. Perché non hai portato Amaya?”
Il bambino nascose il volto nella pelliccia. “Perché non ero sicuro e non volevo che…”
“Che rimanesse delusa.”
“Già.”
“E tu sei rimasto deluso, piccino?” chiese Tora, facendolo scendere dalla sua groppa e accarezzandogli la guancia con la propria.
“Un po’” fece lui abbracciando il collo dell’animale.
Ad un tratto, Hikaru si sentì mancare il respiro e cadde in ginocchio. Un forte dolore lo pervase e da lui uscì un urlo tremendo. Tora si ritrasformò in gatto, perché quel dolore stava uscendo dal bambino, colpendo anche lei.
Infine, Hikaru posò le mani a terra cercando di riprendere il respiro, le lacrime gli scendevano dagli occhi.
“Hi… Hikaru, cosa?” Yoshino si era fiondata fuori di casa e ora teneva il bambino tra le braccia. “Che succede?”
Il piccolo si strinse a sua zia. “Mi dispiace” disse, tra le lacrime. “Mi dispiace.”
 
Yoshino sedeva al tavolo della sua cucina da sola. Dopo che Hikaru era tornato, gettandole addosso quella terribile notizia, aveva cercato di calmarlo. Probabilmente il bambino sentiva ciò che provava dentro, ma il suo volto non lasciava trasparire nulla.
In seguito portò i bambini da Kurenai, soprattutto perché Hikaru non poteva starle vicino in quel momento. Lasciò a Tora il compito di spiegare alla donna cos’era successo, non aveva voglia di sentirsi fare le condoglianze da nessuno. Non se la sentiva di sentirsi dire da qualcuno, chiunque fosse, quale grand’uomo era suo marito e come fosse dispiaciuto che lui…
Yoshino sbatté un pugno sul tavolo e si alzò. Non sapeva come Hikaru era riuscito a sentirlo, doveva essere stato qualcosa di forte. Non sapeva perché si stava concentrando sul come: le importava davvero che si fosse comportato da eroe? Che avesse accanto qualcuno che amava? In realtà no. Suo marito sapeva di essere amato, e lei sapeva che era una brava persona. Non un eroe forse, non gli sarebbe nemmeno piaciuta quella definizione, ma di certo faceva del bene.
Uscì in giardino. Il sole stava tramontando e ben presto sarebbe arrivata la notte. E dopo la notte, un altro giorno sarebbe sorto. Il primo giorno, dopo tanto tempo, che avrebbe vissuto nella consapevolezza che suo marito non sarebbe più tornato a casa. Da quel momento in avanti avrebbe vissuto come sempre, perché era così che avevano concordato, ma sarebbe stata incompleta. Una parte di lei era morta per sempre.
Avvolta dalle ultime calde luci del giorno, si inginocchiò a terra, e per la prima volta da che aveva ricevuto la notizia, scoppiò a piangere. Il suo fu un pianto silenzioso e intenso. Il suo corpo non era in grado di reggerla, così si sdraiò di schiena con un braccio sopra gli occhi. L’aria le mancava dai polmoni, e tirò un lungo respiro, prima di ricominciare a singhiozzare.
Tolse il braccio dal volto, guardando quel cielo che suo marito amava così tanto osservare. Quante volte l’aveva sgridato perché poltriva, quante giornate avevano perso a tenersi il broncio, ad urlarsi contro.
Sei insopportabile!, le urlava. Se tu non fossi l’idiota che sei, forse non dovrei sempre urlare!, sbottava lei. Era il loro modo di amarsi in un certo senso, ma in quel momento le sembrava così stupido e faticoso.
Si può sapere perché sorridi?, gli aveva chiesto una volta, in cui lui aveva avuto la malaugurata idea di sorridere, mentre lei lo sgridava. Perché con tutti questi idiota e fannullone, mi sembra di sentirti dire ti amo.
“Shikaku…” Si mise a sedere e nascose il volto con le ginocchia. Forse non avrebbe mai più smesso di piangere, e dire che lui amava così tanto il suo sorriso.
In quel momento, sentì una presenza vicino a sé ed alzò gli occhi. Vide Shisui che le allungava la mano e la prese.
“Shiori mi ha chiesto di venire a proteggere i bambini” le disse, mentre lei cercava di asciugarsi gli occhi. “Te l’ha detto Hikaru?”
“Com’è successo?” chiese di rimando lei.
“Yosh…”
“Tu vorresti saperlo, com’è successo no?” gli gridò contro, senza essere veramente arrabbiata con lui. Aveva solo bisogno di essere arrabbiata.
“Il Decacoda ha lanciato una Teriosfera. Era impossibile da fermare. Volevano togliere di mezzo, la mente dell’organizzazione.”
La donna abbassò lo sguardo. “Ero abbastanza apatica prima di amarlo.”
“So cosa intendi” disse lui.
“Come hai fatto?”
“Non ho fatto. Mi dispiace molto Yoshino, so che è banale, e che non vuoi sentirtelo dire, ma è vero.”
La prese tra le braccia e lasciò che si sfogasse. Lei si lasciò andare, sapendo che l’uomo non l’avrebbe giudicata, sapeva cosa provava, l’aveva provato anche lui. Quando si separarono, una parte di lei sembrava essere tornata.
“Mio figlio…”
“Se la caverà. Shiori è con lui.”
“Se gli succedesse qualcosa…”
Lui le strinse le mani tra le sue. “Shiori non lo permetterà.”
“Come sta lei?”
“Va avanti. Dovrà affrontare il lutto più tardi.”
“Se lo analizza troppo, potrebbe volerlo riportare in vita.”
“Yoshino, so che può sembrare la soluzione…”
“Non hai capito” lo interruppe lei. “Se dovesse volerlo fare dobbiamo impedirglielo. Mi spezza il cuore, ma conosco mio marito. Lui non lo vorrebbe.”
Poi, presa da un’agitazione, dal desiderio di fare quasi per colmare l’assenza del marito, quasi per fare anche ciò che lui non poteva più fare corse in cucina e si mise a preparare da mangiare.
“Riporta i bambini a casa, sono da Kurenai. Hanno bisogno della famiglia ora. Penserò al mio dolore, quando non avrò qualcuno a cui badare. Sono la moglie del capoclan dopotutto, ora ho dei doveri da compiere.”
“Yoshino, hai tutto il diritto di…”
“NO!” La donna si voltò verso di lui con le lacrime agli occhi. “Ti prego… Non voglio che pensi che mi sono arresa. Glielo avevo promesso, avrei resistito.”
“D’accordo” acconsentì l’Uchiha, comprendendo i suoi bisogni.
 
Sul campo di battaglia la disperazione e lo stato di completo smarrimento era palpabile. Ino, Choji e Shikamaru erano vicini, sostenendosi l’un l’altro solo con la loro presenza, ma non avevano avuto tempo di pensare al loro dolore.
Il giovane Nara si era sentito crollare il mondo addosso, suo padre, un punto di riferimento, se n’era andato. Inoichi, una persona che era sempre stata accanto a lui e la sua famiglia, se n’era andato. Se non fosse stato in guerra, sarebbe caduto nella disperazione, ma ora doveva essere forte. Ino aveva bisogno che lui fosse forte, e quando sarebbe tornato a casa anche sua madre avrebbe avuto bisogno che fosse forte. Al pensiero di sua madre si sentì mancare. Lei non avrebbe resistito a quel dolore.
Kakashi era appena dietro di lui e gli pose una mano sulla spalla. “Se vuoi mi occupo io di tutto” gli sussurrò. Era tentato di dire di sì. Sapeva che anche il Copia-ninja soffriva, ma lui sapeva essere molto più freddo di quanto il giovane chunin non sarebbe mai stato.
Shikamaru alzò lo sguardo e osservò il campo di battaglia. Ad un tratto, incrociò gli occhi di Temari, ricolmi di un qualcosa di indefinito. Non era pietà, era compartecipazione al suo dolore, era desiderio di aiutarlo. Io sono qui, gli disse muovendo le labbra, e lui annuì, ricacciando indietro le lacrime.
“No, Kakashi. Devo combattere.”
“Era così che loro avrebbero voluto” lo sostenne Ino, asciugandosi gli occhi.
Così la battaglia continuò senza alcuna esclusione di colpi, mentre Obito e Madara acquisivano sempre più forza. Ricacciarono indietro l’odio per chi aveva ucciso i loro genitori, pensarono al gruppo, alle sorti del mondo per quanto difficile fosse, erano esseri umani dopotutto.
Poi, la tragedia accadde di nuovo. E, di nuovo, Shikamaru non fu in grado di impedirla. Neji si sacrificò per salvare Naruto, e un urlo di dolore squarciò il cielo, fermando la battaglia. Hinata si teneva le mani alla bocca, mentre Neji diceva al Jinchuriki che doveva combattere, che lui poteva farcela.
Con uno sforzo immane guardò Shikamaru negli occhi e annuì. Il ragazzo non capì, qualcosa nei meandri della sua mente spingeva per uscire, ma qualcosa di più forte lo ricacciava sempre indietro. Il suo sguardo incrociò quello di Hinata che ricacciava il dolore nel fondo della sua anima. Lo distolse immediatamente dal Nara per concentrarsi sul cugino. Quel cugino che l’aveva fatta soffrire, quel cugino che era stato la sua roccia, e l’aveva aiutata a migliorarsi. Non voleva perderlo, non poteva perderlo.
“Hina…” chiamò, poi, il genio di Konoha, e la ragazza si inginocchiò accanto a lui. “Ce la farai. Sei tu quella forte” chiuse gli occhi e spirò.
“Neji…” Era difficile dire cosa provasse la ragazza, ma era chiaro che il dolore fosse immenso, ma non si arrese, perché non poteva arrendersi. Fu lei a dare il coraggio a Naruto per andare avanti. Fu lei che con la sua forza d’animo e il suo coraggio, forse riuscì a dare quella spinta a colui che poteva cambiare le sorti della guerra, dando loro ancora una possibilità.
Shikamaru guardò loro, e tutti i suoi amici, combattere contro il dolore per la perdita di una persona cara, sentendosi così piccolo, così inutile, così schiacciato da tutto quello che il mondo gli aveva lanciato contro per atterrarlo.
Accanto a lui, Kakashi provava più o meno le stesse sensazioni, colorate da un gran senso di colpa. Ancora, era sicuro che Obito fosse così a causa sua e che se lui avesse agito diversamente, forse…
Qualcuno si fece largo tra l’esercito, ponendosi esattamente al fianco di Kakashi e Shikamaru, inondandoli di coraggio con le sue sensazioni. “Con i sé e con i ma non si vince una battaglia” disse Shiori. “Stanno arrivando altri alleati, li sento. Quello che vi chiedo ora è di non arrendervi.”
“Zia…” sussurrò Shikamaru, mentre vedeva anche Choza entrare nel suo campo visivo.
La donna gli sorrise, mentre i suoi occhi verdi erano lucidi per le lacrime.
“Lui voleva che combattessimo. Quindi vinciamo questa guerra.”
 
 
Angolo dell’autrice
Salve a tutti e scusate per il ritardo con cui pubblico sono stati giorni infernali. Allora, be’ ora dopo questo momento che tutti volevamo evitare ci avviciniamo all’epilogo della guerra e alle sue conseguenze. Cercherò di essere più regolare nella pubblicazione e di non farvi attendere troppo ;)
Un grazie a tutti!
Baci e a presto
  
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