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Autore: esmoi_pride    15/04/2017    3 recensioni
"Storie di Saab" è un medieval fantasy slash nato nel mondo di Pathfinder che racconta le vicende della famiglia imperiale dell'Alba di Saab, città devota al dio minore Saab e dalla recente fondazione, luogo di grandi promesse e di speranza. E' l'ideale se siete alla ricerca di drow poco ortodossi, elfi carini, slash andante e una misteriosa storia sulle origini del Dio e della sua città, da scoprire capitolo dopo capitolo.
E' una storia che si domanda cosa è giusto e cosa è sbagliato, e lo scopre attraverso le esperienze di Vilya Goldsmith, un ragazzo che non sa se potrà mai riuscire a diventare un uomo. Lo scoprirà proprio a Saab, città creata sotto antiche rovine secondo la missione di suo padre Azul: riunire la gente oppressa e discriminata in un solo popolo che guadagni forza e unità, e che accolga tutti quelli come loro. Intrecci tra molteplici personaggi mostreranno una città ricca di diversità, e le azioni di Vilya ci porteranno a chiederci quanto possa essere doppia la linea estrema dove le cose non sono più giuste, né sbagliate, e quanto spesso potremmo finire per percorrerla.
Genere: Dark, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Ciao a tutti! Come potete vedere, il mio tentativo di aggiornare il giovedì sta miseramente fallendo! Cercherò comunque di rimediare. Intanto beccatevi questo capitolo un po' più sereno <3 buona lettura!








Indiscrezioni.








Vilya si accucciò davanti al muro della biblioteca. La biblioteca era composta da molte stanze, alcune delle quali non venivano quasi mai utilizzate per la poca ricercatezza dei temi che ospitavano le loro librerie. Per fortuna sua e di So’o, la stanza in cui si trovavano era una di quelle. Il mezzodrow lo raggiunse poco dopo, inginocchiandosi accanto a lui e porgendogli l’attrezzo che aveva in mano.

Si trattava di un piccolo cannocchiale cilindrico, di ottone, con attaccato a lato un curioso tubo che si piegava in un semicerchio e terminava in un cuscinetto più soffice, della grandezza di un polpastrello. Al centro, un marchio circolare dall'evidente provenienza magica lampeggiava di una fioca luce celeste.

Vilya afferrò il cannocchiale magico e piantò la lente sulla parete. Si avvicinò ad esso con un occhio e fece per spiarvi dentro.
“Anche l’orecchio.” La mano di So’o gli spinse la nuca e Vilya spinse via lui in un moto di fastidio. Ma obbedì poco dopo, appoggiando l’orecchio al cuscinetto del tubo. Appena sistemò l’occhio davanti alla lente notò che il muro era sparito, e al suo posto vedeva la stanza di fronte.

“È quella.” Confermò al fratellino. Gli arrivò un “Mh” in risposta, ovattato, mentre il drow si concentrava su quello che stava vedendo. Delle gambe passarono davanti al suo cannocchiale e poi, allontanandosi, fecero inquadrare alla spia il resto della figura. Dall’orecchio destro in cui era infilato il cuscinetto sentì risuonare la voce di Imesah.

“Sappiamo che i drow attaccheranno da soli. Non si fanno guidare da nessun altro se non dalle loro Ilharess. Invece gli altri potrebbero muoversi insieme.”
“Che numeri ci aspettiamo dal primo scontro?” Valentino poggiò le mani sul tavolo al quale erano riuniti tutti e quattro, alzati.
“I primi sono proprio i drow.” Gli rispose Ra’shak dall’altra parte, fissandolo negli occhi con espressione dura. “Trattandosi di colonie, ci aspettiamo un numero minore rispetto a quello che il resto dell’Alleanza è capace di sguinzagliarci contro.”

A quel punto Vilya si scostò e si voltò verso il fratellino per fare un cenno al cannocchiale.
“Vieni.”
Il biondino si smosse per gattonare verso di lui e dopo che ebbe preso il cannocchiale si scambiarono i posti. Il corpo pieno del drow si rannicchiò contro il muro, costretto nello spazio angusto, raccogliendo le ginocchia al petto in una stretta delle braccia muscolose. Poggiò un lato della nuca mora al muro e restò a guardare l’altro che spiava.

Passarono diversi minuti. Vilya spostò l’attenzione sulla stanza della biblioteca. Un tavolo massiccio li nascondeva alla vista nel caso in cui qualcuno avesse l’impellente bisogno di leggere tomi specifici sul giardinaggio. Dopo aver scrutato con minuzia la penombra che li avvolgeva, tornò al fratello. Dall’espressione sembrava che non stesse assistendo a niente di esaltante. Ogni tanto lo vedeva abbassare lo sguardo per concentrarsi sulle parole, o forse sui propri pensieri. Vilya comunque stava zitto e faceva il bravo, aspettando. Studiandolo notò il disordine insolito dei lunghi capelli del mezzodrow. Si sporse con una mano per sistemarglieli e li accarezzò, lisciandoli sulla sua schiena senza che So’o mostrasse una reazione.

Dopo poco, però, la voce del più piccolo ruppe il silenzio.
“Hai mai avuto un ragazzo?”
La domanda arrivò inaspettata al drow. Vilya inarcò le sopracciglia dalla sorpresa.
“Uh…” Abbassò lo sguardo, riflettendoci. Ragazzo? In che senso?
“Una relazione.” Spiegò So’o prontamente.
“Ah. Uhm…” Vilya premette le labbra tra loro e si passò una mano sul collo spoglio, assaggiando il calore del proprio stesso corpo e i muscoli sotto i polpastrelli. “… sì!” Tornò a guardare l’altro.
So’o rimase fermo, l’occhio puntato nel cannocchiale. Quando scrollò le spalle, Vilya capì in ritardo che stava aspettando che lui proseguisse.
“Con chi?” Lo esortò.
Il drow spostò, evasivo ma con aria ingenua, lo sguardo sull’angolo tra il muro e il pavimento. La mano destra passò le dita tra i capelli mori e continuò a giocarci in un tentativo di sfogare la piccola tensione che quella domanda gli aveva provocato.
“Con papà.” Rispose, tono innocente.
So’o attese qualche altro secondo prima di continuare.
“E poi?”
“Poi basta. Solo con papà.”
So’o si scostò dal cannocchiale per fissarlo, sinceramente perplesso. Sbatté le palpebre. Vilya si strinse nelle spalle e corrugò la fronte, un po’ a disagio.
“Che vuoi?” Borbottò.
Dopo qualche istante di insistenza So’o tornò a guardare il cannocchiale. Smise di fare domande. Vilya iniziò a sentirsi più a suo agio, e spostò le mani al bordo inferiore della maglia color sabbia. La torturò un po’, sovrappensiero. Le parole gli uscirono di bocca come acqua.
“Stavamo insieme. Però io potevo fare quello che volevo. Andavo con chi mi pareva.”
“Ah.” La voce stranita di So’o risuonò sul muro.
“Sì…” replicò Vilya; piegò il capo all’indietro, la nuca strofinò sulla parete, gli occhi blu puntarono il soffitto. “… anche lui poteva, ma succedeva meno spesso. Poi… a volte,” il sottofondo di una risata nella gola fece vibrare la sua voce compiaciuta “invitavamo un’altra persona nel nostro letto. Va bene: non a volte. Spesso. Molto spesso.”
“T-I! T-I!” Esclamò So’o. Quando Vilya tornò a guardarlo, vide il palmo della sua mano aperto verso di lui, avvicinato dal braccio teso. “Troppe informazioni.” Spiegò il mezzodrow, deciso. Poi riabbassò la mano.
“Era molto divertente.” Incalzò Vilya.
“Smettila.” Sbottò seccato So’o.
Vilya schiuse le labbra in un ghigno divertito, ma obbedì.

Non fu sorpreso di sentire di nuovo la voce dell’altro poco dopo.
“Quindi non hai mai avuto una cosa seria?”
“Mh? Quella era una cosa seria.” Rispose Vilya, preso in contropiede. “Ci amavamo. Cosa è più serio?”
So’o, di nuovo, sembrò prendersi del tempo per riflettere sulle sue parole.
“Ma andavate con altre persone.”
“Per te ‘serio’ vuol dire ‘esclusivo’?” Vilya rafforzò la stretta delle braccia attorno alle ginocchia.
Dopo lunghi secondi So’o si strinse nelle spalle.
“Io non so niente.” Ammise con voce più bassa.
Vilya abbassò lo sguardo. Si prese anche lui del tempo per replicare, stavolta.
“Alcune persone vogliono essere uniche per la persona che amano. Altre no. Per mia esperienza, posso dire che alcune delle prime sono così perché non conoscono bene le relazioni e hanno paura di perdere gli altri, ma possono essere convinte.” Sollevò un sopracciglio e sorrise, furbo. Sbuffò, ma proseguì poco dopo, ora serio, mentre la sua mano andò alla fronte per pettinargli indietro i capelli.
“È comunque una cosa molto personale.”
So’o impiegò il solito momento di silenzio per metabolizzare quelle informazioni.

Poi, in una piega appena timida della voce, chiese:
“Tu non vorresti stare con una persona e basta?”
“Tu vorresti?” La domanda di Vilya gli arrivò subito dopo, come impaziente. Vilya se ne accorse solo dopo averla formulata e si ritrovò in imbarazzo nel non capire, di preciso, perché l’aveva fatta.
“… io…” Mugugnò l’altro, incerto. Esitò.
“… a me non interessa.” Il tono di voce era appesantito, come se gli fosse difficile parlare.
“Cioè,” si corresse frettoloso “non mi importa avere un ragazzo.”
Zittì.
Vilya corrugò la fronte, perplesso.
“Mi…”
Il drow si accorse che era in evidente imbarazzo. Con un filo di voce terminò.
“… mi importa avere te.”
So’o abbassò lo sguardo dal cannocchiale. Era arrossito, e non sembrava avere alcuna intenzione di incrociare lo sguardo di Vilya. Lui, del suo canto, venne invaso da una strana sensazione che gli scaldò il respiro e lo costrinse a smuoversi per terra, nel disagio.
“Uhm…” Il drow piantò gli occhi sul pavimento, smettendo anche lui di guardare l’altro. Non seppe proseguire. L’imbarazzo lo afferrò, brutale.
Con la coda dell’occhio vide So’o fiondarsi di nuovo al cannocchiale. Allora poté rialzare gli occhi e spiarlo da lì.

“… solo per te?” Vilya mugugnò quella domanda.
So’o non si scostò dal cannocchiale, ma l’altro lo vide abbassare comunque lo sguardo.

“Sarebbe egoista?” Sussurrò.

Vilya inarcò le sopracciglia. Prese un sospiro che gli gonfiò i polmoni e abbassò lo sguardo sulle gambe del fratello. Non ebbe il tempo di replicare, So’o lo interruppe all’improvviso con tono fermo.
“Vilya, si è appannato il vetro.”
“-Ah, sì, allora-” Vilya alzò una mano per indicare l’uscita della stanza “sì, il panno è di là, io”
“Vai a prenderlo.” Lo interruppe di nuovo e annuì.
“-sì, vado a prenderlo. Mh.” Il maggiore annuì vigorosamente in risposta e si alzò quasi frettoloso da terra per camminare fuori dalla stanza. Una volta attraversato l’arco della porta, si sentì parecchio sollevato.

***


Asia non voleva sapere per quale dannato motivo Vilya era sbucato dal tavolo della sezione di giardinaggio della biblioteca. Non voleva sapere neanche perché aveva avvolto qualcuno nel suo mantello e se l’era portato via come un sacco cercando di farle credere che stesse trasportando un enorme pout-pourri nei meandri del Palazzo a scopo olfattivo.

Non voleva niente in quel momento che non fosse levarsi di dosso la soverchiante sensazione di disagio che la afferrava mentre sedeva a una panca della biblioteca con al fianco la Tesoriera Bibi.

“Vediamo… dovrebbe essere tutto scritto qui dentro.” La giovane umana dalla pelle rosea aveva un grosso libro tra le mani e sfogliava lentamente le pagine, soffermandosi per molto tempo su ognuna di esse nel cercare l’obiettivo della loro ricerca. Al tavolo dove erano sedute, due tazze di tè fumavano e spandevano nell’aria un profumo rilassante. Una cosa che rendeva Asia semmai più a disagio. Essere rilassata in quel momento era del tutto fuori luogo: Bibi, la ragazza che le piaceva più di ogni altra, era seduta accanto a lei e stava leggendo un libro come se fosse normale!

Gli occhi rossi della donna calarono sul tomo che aveva davanti. Il suo era poggiato sul tavolo, accanto alle tazze di tè, aperto al centro. Si sporse per leggere alcune righe. ‘Quando ci si trova in sella è importante avere una buona postura per essere sicuri di diventare un tutt’uno con la propria cavalcatura. Solo così si può destreggiare bene l’arte della lancia. ’ Asia esalò un sospiro desolato.

“Su, su.” La mano di Bibi impattò in due pacche sulla spalla di Asia. La mora sgranò gli occhi come se il suo stomaco fosse appena stato trapassato dalla lancia di poco prima. La sensazione che provò fu la medesima. Per fortuna Bibi non sembrò notarlo, perché continuò a parlare.
“È dovere, Asia. Bisogna fornire i testi ed essere sicuri che siano attendibili. Troviamo le nostre fonti e possiamo chiudere questo capitolo.”
Quando la mano morbida della ragazza mollò la spalla della mora, Asia esalò un sospiro di sollievo. Fece cadere di nuovo gli occhi sulle pagine.

“Devo ringraziarti per esserti offerta di aiutarmi in questo compito.”
La voce le uscì piatta e cavernosa come al solito. Lugubre. Si maledisse da sola. Ma perché non poteva parlare come una persona normale?!?! Ugh…
“Non c’è di che.” Con la coda dell’occhio, Asia intravide la mano di Bibi agitarsi leggiadra nell’aria. “Mi fa piacere passare un po’ di tempo con te.”
Asia voltò il capo dalla parte opposta della stanza per nasconderle il violento rossore che lei le aveva provocato.

Ricordò come si era ficcata in quella situazione: per una volta non aveva seguito il percorso, studiato accuratamente da lei da quando aveva conosciuto Bibi, che le permetteva di entrare nel suo studio senza incontrarla ed era finita a parlare con lei, perché l’umana l’aveva coinvolta in uno dei suoi discorsi qualsiasi e da lì, con la sua fervida parlantina furba, aveva spostato la discussione sul suo desiderio di passare del tempo insieme. Asia immaginava che fosse un’usanza umana quella di allacciare relazioni tra colleghi, ma come tutte le altre noiose usanze umane non aveva intenzione di assecondarle. Solo che non era riuscita a dirle di no, e così Bibi l’aveva incastrata con sé nella biblioteca con la scusa di aiutarla nei suoi compiti di istruzione.
Ripensandoci, Asia ebbe la certezza che una parte di Bibi derivasse direttamente dal dio del male.

“Allora? Questa ricerca?” La bacchettò Bibi.
Asia sobbalzò e tornò con la faccia sulle pagine del suo libro.
“Sì, sì…” Borbottò con voce più coinvolta. Girò una pagina.
“Maud mi ha raccontato che i ragazzi dell’Imperatore stanno crescendo un sacco.” Eccola. Bibi aveva intrapreso una delle sue conversazioni qualsiasi.
“Ah, sì?” La assecondò Asia, senza smettere di fissare le pagine.
“Mh-mh. So’o dimostra un’aria più sicura da quando sta con il fratello.”
Asia annuì distrattamente. Sì, in effetti era vero. L’aveva notato anche durante le lezioni.
“E Vilya sarebbe un ottimo Cavaliere per lui. Gli sta sempre appiccicato e ha due bicipiti…”
Asia alzò, sconvolta, le pagine dal libro. Sentì un impeto di angoscia e orrore prenderla. Voltò subito il visetto su Bibi per spiare con invadenza la sua espressione, mentre la Tesoriera valutava i bicipiti del drow.
“Cosa vuoi insinuare?!” Sbottò con un’ottava più in alto.
Accorgersi del suo tono di voce la fece sentire ancora di più a disagio. Arrossì.
Bibi spostò interrogativa lo sguardo su di lei.
“In che senso? Ha dei bicipiti, insomma: è bello grosso. Può proteggerlo.”
“I bicipiti non sono l’unica cosa! Sai!?” Esclamò Asia. Si urlò mentalmente di ricomporsi e riprendere possesso di quello che diceva. Riformulò: “Voglio dire- non vuol dire che sia forte solo perché è muscoloso. Ecco.”
La Tesoriera si era preoccupata, e ora la guardava con allarme negli occhi.
“Uhm… no, è vero.”
“Mh.” Annuì Asia e tornò a darle il profilo e fissare il libro, nella disperata speranza che l’altra smettesse di fissarla. Ecco: l’aveva spaventata. Asia era incapace. Non poteva gestirla. Non ci sarebbe mai riuscita. Sarebbe stato meglio se non avesse assecondato Bibi. Se le avesse impedito da subito di starle vicino. Così non l’avrebbe trattata in quel modo, e Bibi non avrebbe dovuto assistere a certe scene raccapriccianti.

Dopo un lungo silenzio, però, la Tesoriera riprese a parlare.
“Ma l’hai vista la Vipera? Non si sta curando affatto in questi giorni.”
“No?” Chiese Asia. Non le importava proprio niente della Vipera.
“Cavolo, indossa sempre gli stessi vestiti! E sono pure spiegazzati! Qualcuno le mandi un maledetto uomo a stirarle le camicie!” Con tono esasperato, la Tesoriera poggiò il libro sul tavolo.
“Perché un uomo?” Sbottò Asia, nervosa, in un tono di nuovo secco. “Una donna non saprebbe farlo ugualmente bene?”
Sentì Bibi fissarla.
“A lei piacciono gli uomini.” Si giustificò.
“Ah.” Disse Asia, zittendo.
Prima di insinuare un mugugno.
“E a te?”
“Eh?”
“Niente.” Disse a voce più udibile.

Zittirono entrambe per molti secondi.
“E comunque dovremmo procurarle un fidanzato.” Riprese la più alta.
“Bibi, lascia stare le persone, lasciale vivere in pace.” Sospirò Asia.
La sentì sospirare.
“Non puoi darle un uomo e basta. Non è una giumenta, non si accontenta così.” Le spiegò la mora.
“Ho capito…” Borbottò la Tesoriera.
“Tu… hai un uomo?” Chiese Asia, incerta. Quello era il suo tentativo migliore di far finta di niente.
“Mh.” Asia dovette lanciarle un’occhiata per vederla scuotere il capo e comprendere la risposta.
“Perché?” Le chiese. “Non ti interessa?”
“Oh, interessarmi?” Bibi si poggiò una mano sul petto. Dallo scollo affioravano i suoi seni, che più giù riempivano la camicia. Asia deglutì quando i suoi occhi caddero su quella visione. “Mi piacerebbe avere qualcuno nella mia vita, ma non- Asia, va tutto bene?”
La mora alzò appena gli occhi per vedere come la testa della Tesoriera si era inclinata e la sua espressione mutata dalla preoccupazione, e incrociò lo sguardo nocciola di lei, che la travolse senza alcuna pietà.
“Oh… sì, perché, che succede.”
“Ti sta sanguinando il naso.”
“OH!”
Asia si coprì subito il naso e arrossì come un papavero. Si voltò per nascondersi alla vista dell’altra ragazza e tirò fuori un fazzoletto di stoffa per pulirsi dal proprio sangue.
“Maledizione… s-scusami!” Esclamò.

“Ad ogni modo, ho trovato quello che cercavamo.”
Con il fazzoletto ancora contro la narice sinistra Asia si voltò di nuovo verso Bibi, perplessa.
“Ah… quando?”
“Diciamo subito.” Replicò la Tesoriera. Si strinse nelle spalle. “Ma volevo chiacchierare.”
Tirò le labbra in una smorfia e poi le sorrise.
Asia corrugò la fronte desolata, in un moto di esasperazione.
“Non… non è carino chiacchierare con me.” Borbottò.
Bibi rise. Una risata allegra, gioiosa. Asia sentì il cuore batterle più forte.
Maledizione, pensò. Abbi almeno un po’ pietà di me.
“Beh, sei… un tipetto speciale.” Le concesse, con un altro sorriso.
Asia la fissò in tralice nel tentativo di essere minacciosa o inquietante. A detta dell’espressione imperturbabile di Bibi, non funzionò. Sospirò e tornò al libro che aveva davanti, per chiuderlo in un tonfo.

***


Azul incrociò le gambe tese sul tavolo di legno quadrato. Un suo braccio longilineo si poggiò su di esso, mentre l’altra mano era ficcata nelle tasche dei pantaloni.
“Cosa si dice da queste parti, Nan Zur?”
L’oste, un mezz’orco corpulento, al momento ripuliva i bicchieri da dietro il bancone.
“Sono tutti un po’ agitati per la guerra, signor Undome. Chi dice schiocchezze più o meno folli.”
“Voglio ascoltarle, queste sciocchezze.”
La mano di Azul, poggiata al tavolo, si smosse per afferrare la bottiglia di grog.
La portò alla bocca e tracannò un sorso. Un rivolo di grog gli scappò dalle labbra e cadde sulla maglia leggera che indossava. Si ripulì il mento con il dorso della mano sinistra mentre riportava la bottiglia sul tavolo.
“Sahwa vaneggia sulla leggenda delle mura. Dice che quando arriveranno i nemici, l’Imperatore farà sciogliere la pietra. Quella storia là, la conoscete: le mura diventeranno una cascata di non morti, che si riverseranno verso i nemici per difendere la città.”
“In realtà era diversa.” Lo corresse Azul, stavolta allungando la mano destra a una ciotola che conteneva delle fragole. Ne prese una e la avvicinò alla bocca. “Le mura furono costruite con i cadaveri dei nemici dell’Imperatore, che li ammassò tutti attorno alla città e li trasformò in pietra, per richiamarli a combattere per lui quando fosse stato necessario.” Dischiuse le labbra per accogliervi la fragola.
“Sì, quello che volete voi.” L’oste fece svolazzare il panno per aria in un gesto infastidito. “Le ho detto che è una credulona.”
“Magari non ci sarà bisogno di arrivare a certi espedienti.” Considerò Azul una volta inghiottito il suo piccolo bottone. Lanciò un’occhiata poco lontano. Sul piccolo palco della taverna, due fanciulle stavano ballando sotto la musica tenue di un liuto e di un tamburo.
Sentì l’oste sbuffare.
“Sapete cosa? È il momento perfetto per una rivolta interna. Il primogenito rivendica il suo trono e tutto finisce a puttane.”
“Il primogenito?” Azul sollevò un sopracciglio. Corteggiava una fragola con le labbra piene, che vi si strofinavano con lussuria prima di avvolgerla tra esse senza infilarla in bocca.
“Il primogenito di Azul Goldsmith. Il trono è suo di diritto, ma Saab ha dato all’Imperatore il suo erede. Eppure dalle voci sembra che questo primo figlio del re sia un uomo non raccomandabile, e mi aspetto che stravolga la situazione. Dopotutto, che interesse avrebbe a mantenere la pace di questo posto? Non gli interessa degli abitanti, solo del potere a cui ha diritto.”
Azul sbuffò e una smorfia divertita gli contrasse i muscoli del viso. Aprì la bocca per infilarci la fragola e prese a masticarla a bocca chiusa.
“Ma avete proprio ragione, signor oste.” Mormorò la sua voce piena e roca.

Stava giocando con le fragoline nella ciotola, quando ebbe la chiara sensazione che qualcuno si trovasse alle sue spalle. Si schiarì la gola e piegò il capo all’indietro, ma continuò a guardare la propria mano destra che giocava con l’intenzione di ignorare chi stava cercando di farsi notare.
“Nan Zur, dimmi, le signorine sono danzatrici esperte?”
“Sì, signor Undome. Domani verranno le prostitute a ballare, per mettersi in mostra, ma stasera ci sono le danzatrici. Se volete unirvi a loro c’è solo da salire sul palco.”
Il mezz’orco gli rivolse un ghigno, e Azul replicò con un sorriso e un socchiudere dei grandi occhi.

“Vuoi ballare con me?” Mormorò la voce dietro di sé.
Azul abbassò lo sguardo languido.
“Vuoi chiedermi di ballare?”
“Lo sto facendo, piccolo serpente.”
Azul inspirò un sospiro dalle narici e si decise a sollevare il viso magro e affilato, dagli zigomi pronunciati, per guardare appena dietro di sé.

“Il grigio non ti dona affatto, sai.” Confessò a Imesah. “Con questi bei capelli rossi.”
“È il colore del mio Dio.” Si giustificò l’uomo, scrollando le spalle.
“Già, pazienza.” Disse Azul. “Posso metterti dei pantaloni stretti color foresta quando siamo soli in camera.”
“Molto stretti?”
Molto stretti.”
Azul sfidò l’uomo con lo sguardo. Imesah lo ricambiò con la sua espressione imperscrutabile. Abbassando gli occhi il drow notò che aveva le mani nelle tasche.

Imesah si smosse dalla propria posizione per portarsi davanti al lui.
“Allora? Vuoi ballare con me?”
Azul prese un altro sospiro e con uno sforzo piegò le gambe per riportarle a terra. Si sistemò la maglia una volta alzato in piedi, lisciandosela sugli addominali. Imesah gli si fece vicino in pochi passi, e il drow sentì il suo profumo circondarlo. Alzò i grandi occhi sul viso dalla barbetta incolta del più alto.
“Ma che ci fa il Cavaliere così vicino a uno sconosciuto?” Mormorò a voce bassa all’altro, facendo un altro passetto per renderli ancora più vicini. Sollevò il viso sorpreso verso il suo.
“Il Cavaliere forse si vuole divertire…” replicò a voce calda e ugualmente bassa il rosso, che poggiò le mani sui fianchi stretti del piccolo jaluk.
Azul sollevò una mano tra i loro corpi.
“Il Cavaliere conosce i suoi trucchetti per divertirsi…” Gli replicò deliziato, socchiudendo gli occhi in due lunette e andando a guardare la propria mano poggiare l’indice sul petto dell’umano per scendere piano verso il basso.
“Ha anche trovato un jaluk affascinante, che vuole dargli soddisfazione.”
Imesah lo attirò a sé e piegò il capo dall’altro lato, l’espressione tranquilla, una stilla di compiacimento che probabilmente solo Azul poteva leggere nel suo volto.
Azul si sentì pervadere dalle sue attenzioni. Era una sensazione piacevole, che lo scaldava dentro e lo faceva rabbrividire sulla pelle. Sorrise e si strinse nelle spalle strette, crogiolandosi in un brodo di giuggiole. Imesah sbuffò divertito dalle narici e sorrise a sua volta. Il drow sentì le sue mani calde salire alle spalle e accarezzarle dolcemente. Esse scesero senza fretta mentre l’umano indietreggiava, fino a prendere quelle dell’altro e trascinare Azul verso il palco.

Si fermarono nello spazio vuoto tra esso e i tavoli e Imesah poggiò di nuovo le mani sui fianchi del drow. Azul sollevò le sue fino alle spalle ampie del Cavaliere. I musicanti dovevano aver intuito le intenzioni del Cavaliere perché adattarono il ritmo in una musica lenta, e in quel ritmo Imesah iniziò a guidare i fianchi di Azul in un armonico ciondolare. Il drow lo assecondò tenendo lo sguardo basso sul petto accogliente dell’uomo e poi sollevandolo per incrociare i suoi occhi verdi.

“Ti diverti a fingere di essere una persona qualsiasi con gli incantesimi di Valentino?” Gli chiese Imesah.
Azul inclinò il capo di lato in un gesto ruffiano.
“Sto misurando il polso della situazione, lasciami in pace…” Sussurrò in un tono fintamente esasperato.
Imesah sorrise. Lo strinse di più al proprio corpo, e Azul intrecciò le braccia attorno al suo collo. Si sporse con il viso il giusto per posare le labbra sulle sue. Imesah chinò il capo e lo ricambiò premendosi piano. Le sue dita accarezzarono il corpo del jaluk da sotto la stoffa, e Azul lo attirò a sé per rafforzare il bacio. Quando si staccò chinò il capo e adagiò la guancia sul suo petto. Nel loro dolce ciondolare giravano piano su se stessi.

Azul chiuse gli occhi e con un sospiro si lasciò andare, rilassandosi tra le braccia del suo compagno.

   
 
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