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Autore: Stella94    20/04/2017    4 recensioni
Dal primo capitolo:
"La pelle di suo marito contro la bocca era calda, emanava un dolce sentore di buono e abiti puliti.
Le piaceva la sensazione di averlo intorno a se, contro di se. Jon era sempre stato una fortezza di segreti, ma ora che l’aveva fatta entrare sapeva quanto valeva caro quel mondo inesplorato."
[Jonsa]
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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                                                                    Quando arriva la notte 










Doveva essere una farfalla, o una libellula, Sansa non riusciva neppure a ricordarlo. 
Guardò il suo ricamo impreciso, dalle linee storte, confuse, e solo allora si rese conto che per tutto il tempo aveva lasciato vagare l’ago senza neppure preoccuparsi di prestare attenzione. 
Rilasciò un sospiro frustato. Non ricordava l’ultima volta che l’aveva fatto. Forse era a Nido dell’Aquila, o nella Fortezza Rossa. Sembrava passata un’eternità e Sansa non era neppure più tanto sicura di essere brava come un tempo.
Il ricamo l’aiutava a rilassarsi, era come leggere un libro. La tela rappresenta la pagina bianca di un antico volume di storie fantastiche e piene di avvenute. A lei bastava che rimasse un po’ a fissarla, ed ecco che comparivano paesaggi, maestosi animali, mani coraggiose ed occhi felici. 
Quella sera però tutto ciò che ci aveva visto dentro era solo lo sguardo corrucciato di Jon, i suoi occhi vacui e torbidi, l’espressione che le aveva rivolto nel mentirle, come se non fosse stata all’altezza della sua verità.
Per questo si era arresa, pur continuando a far scorrere i fili colorati. Sperava che con il passare delle ore la rabbia avrebbe preso il posto di una muta rassegnazione, ma tutto ciò che sentiva era solo fuoco e faceva male. 
La sua posizione, per quanto favorevole e ambita fosse, non le permetteva di avanzare pretese verso il re del Nord. Ne era consapevole. 
Era cresciuta con la solida convinzione che una Lady deve accompagnare il proprio marito, essere paziente, mostrargli sempre il lato migliore, vezzeggiarlo, non scuoterlo. Ma Sansa non si sentiva più quella donna, e non era disposta a rimanere in un angolo aspettando di vedere morire tutti coloro a cui teneva. Aveva imparato a conoscere le regole del gioco, ed era stata brava, addirittura sorprendente. 
Jon poteva essere un valido cavaliere, ma era stata lei a mettere con le spalle al muro gli uomini di Bolton, constringendoli alla sconfitta. Poteva ancora sentire scorrere dentro quella sensazione di incontrollata libertà. Sansa Stark regina del Nord, non poteva starsene lì ferma sul tavolo da gioco ad aspettare che le altre pedine compiessero le loro mosse tutte intorno.
Sentì un rumore di passi avvicinarsi ed alzò la testa, accorgendosi che Jon stava avanzando nella sua direzione, con la testa  bassa. La Sala Grande era quasi del tutto buia, rischiarata solo dalle torce tenute sospese lungo le pareti di pietra. 
Sansa aveva scelto di sedersi di fronte al maestoso camino acceso al centro della stanza. Più Jon si avvicinava e più le fiamme lo illuminavano di una luce dorata. 
È il dono dei Targaryen. Solo adesso se ne rendeva conto. Il fuoco gli rimbalzava addosso, era il suo ornamento, come una cornice sempre splendente. Sembrava quasi cercare costantemente il suo abbraccio.
─Sono una pessima sovrana, dillo pure ─ mormorò cominciando a sentire anche il suo profumo ─Il mondo è sottosopra e io sono qui a ricamare.
Jon inclinò la testa. Non si era cambiato da quella mattina, ma appariva stanco. Il farsetto scuro aveva dei ricami argentati sul petto, le maniche di lana fasciavano i suoi muscoli sempre troppo tesi. Aveva metà dei capelli legati all’indietro, come un tempo ricordava che anche suo padre abitualmente acconciava, gli occhi due perle di tenebra in cui ne riconosceva un familiare vuoto.
─In realtà ─ Convenne mettendosi in ginocchio ─Sono venuto ad implorare il perdono della mia regina. Se alla mia regina compiace.
Le tolse il telo su cui stava lavorando dalle mani appoggiandolo a terra. Nell’afferrare le sue dita, Sansa si accorse che Jon aveva la pelle fredda e si chiese se avesse trascorso il pomeriggio fuori dalle mura di Grande Inverno. 
Aveva lo sguardo rivolto verso l’alto ad incontrare il suo, ed un’espressione tenera e allo stesso tempo determinata. Nonostante la collera e il risentimento, non ancora del tutto scemati, Sansa si ritrovò a ricambiare la stretta, rendendosi conto di essersi già persa in quegli occhi che sembravano afferrarla sempre troppo forte.
─A me compiace compiacere il mio re. 
─Non parlarmi  da moglie ─Jon incominciò ad accarezzarle il dorso di una mano con il pollice ─Parlami da Sansa.
─Sono arrabbiata.
─Ecco.
─…E delusa. ─ Ammise senza troppi giri di parole ─Mi sono sentita così stupida questa mattina. Una sensazione che non provavo da un po’. E non mi sarei mai aspettata che me l’avresti risvegliata tu.
─E per questo ti chiedo perdono ─ si trascinò la sua mano su una guancia ispida di barba, anche il viso era freddo. ─Stavo solo cercando di proteggerti.
─Non ho bisogno…
─Di protezione. Lo so. ─ Gli occhi di Jon erano grandi e intensi, sembrava un bambino appoggiato al suo palmo, quasi come se implorasse la sua attenzione dopo averla disobbedita incendiando la sua ira. ─Ma sono tuo marito, è mio dovere farlo in qualsiasi circostanza. ─Abbassò lo sguardo, le gambe ancora piegate ─Hai ragione, io e Lord Bealish stavamo litigando. Mi ha provocato, e ho reagito male. Mi rendo conto di aver sbagliato, sia nei suoi confronti, per quanto avessi ragione, che nei tuoi. Sono consapevole della gravità della situazione, e anche che abbiamo bisogno del sostegno della Valle, se vogliamo uscire indenni da questa battaglia. Non ho più intenzione di escluderti dalla mia vita, e neppure permettere alla rabbia di accecare il mio giudizio. Sto cercando di fare le cose per il meglio. Ti chiedo solo di fidarti di me. 
Jon Snow era fiducia. Tutto in lui emanava un senso di assoluta sicurezza, come una roccia, un inespugnabile fortezza. In quel rifugio di calore e braccia, Sansa ci si era rifugiata e aveva imparato cose che neppure immaginava, come l’affetto disinteressato, l’emozione di sentirsi stringere lo stomaco dalla gioia, la certezza di non essere sola, e la promessa che non lo sarebbe mai stessa.
Sansa si fidava.
Gli sorrise concedendogli una carezza. Fu sorpreso di vederlo muoversi fino ad arrivare a baciargli il palmo. Le sue labbra sulla pelle erano calde, morbide, leggermente umide. Sansa provò vergogna e si piegò il braccio contro il petto, sperando che l’oscurità potesse celare l’eventuale rossore che sentiva pulsare sulle guancie. 
Anche guardarlo diventò più complicato, e in un attimo si ritrovò a studiare le fiamme che danzavo alte e libere nel camino di pietra, pensando a quanto l’aveva fatta sentire nuovamente bambina.
Ma questa volta c’era qualcosa di diverso al posto della rabbia. Continuando a riflettere, non seppe darci un nome. 
 
 
Fece un passo. Poi tornò indietro. Cambiò nuovamente rotta. Rimase ferma su i suoi passi. 
Grande Inverno di notte era una grande fortezza sommersa dal silenzio, le ombre lunghe, sussurri e cigolii sinistri. 
Sansa si era ritrovata nel bel mezzo del lungo corridoio che conduceva alle camere di Jon senza neppure saperne il motivo.
Dopo la loro prima notte di nozze, Sansa aveva ripreso possesso della sua vecchia stanza, mentre a suo marito era stata concessa quella patronale, dal soffitto alto e dalle mura spesse, che un tempo era appartenuta ai suoi genitori. Non erano costretti a condividere anche il materasso, se non per tentate di generare un erede, tuttavia Sansa si era accorta di quanto il suo letto fosse inaspettatamente freddo quella sera, i cuscini troppo duri e persino le lenzuola sembravo darle fastidio. 
Aveva tenuto gli occhi aperti per ore, fissi sul soffitto, e per una strana ragione ci aveva visto cose nella pietra, sussurri che parevano aver preso forma nell’oscurità e tra le ombre. 
C’era stato un momento in cui si era costretta a chiudere gli occhi, l’attimo successivo stava già ritornando con la mente a quell’unica notte che aveva condiviso con Jon, il corpo del ragazzo premuto contro il suo, il petto che si alzava e si abbassava seguendo il ritmo del suo respiro lento.
Gli mancava. 
Il mondo era spaventoso se visto solo con i suoi occhi, ma quando Jon l’aiutava a guardare, Sansa ci trovava sempre qualcosa di bello e rassicurante. 
Non seppe dove trovò il coraggio, ma nel momento in cui si rimise dritta, i piedi di Sansa sapevano bene dove condurla. Ed eccola ora, scalza, infreddolita, coperta solo con una sottoveste di lino bianca, tremante, sciocca e spaurita, tra una spinta che la obbligava ad andare avanti e il rimorso, una stretta nello stomaco pronto sempre a farla tornare indietro. 
Che cosa gli dico? Che ho avuto un incubo? O che non riesco più a dormire se non lo sento accanto a me? E se non fosse da solo?
Quell’ultimo pensiero la spaventò e la incuriosì allo stesso istante. Jon era libero di comportarsi nel modo che riteneva più opportuno, e non poteva pretendere che stesse lì, giorni interi ad aspettare che colei che aveva sempre considerato sua sorella si decidesse a consumare il loro matrimonio. 
Jon in passato aveva scelto una vita di castità, ma essere Lord Comandante a Castello Nero era diverso da essere re nel Nord a Grande Inverno, in una tenuta che brulicava di donne giovani e affascinanti che avrebbero fatto di tutto per essere sfiorate solamente da uno dei suoi sguardi. 
Si aprì come un fastidio al centro dello stomaco, come se lì l’aria si fermasse, e tutto il resto fosse vuoto, e annaspava per sopravvivere. 
Strinse i pugni ripetendo a se stessa che non poteva essere codarda. 
Se Jon era in compagnia di qualche donna, sarebbe andata a bussare alla sua porta per scoprirlo. 
Non si trattava di gelosia, non credeva che fosse gelosia. Septa Mordane l’aveva istruita dicendole che non sempre gli uomini rimangono fedeli alle loro promesse, così deboli e poco inclini al sacrificio. 
Gli uomini giacciono con altre donne, le donne imparano ad amare gli uomini nonostante le loro fragilità. È questo quello che dobbiamo essere, il bastone su cui avranno sempre il bisogno di appoggiarsi. 
Ma dubitava che sua madre fosse stata d’accordo con le parole di Septa Mordane. Si morse la lingua e proseguì il suo cammino. 
Era Sansa Stark, regina del Nord. Era Sansa Stark regina del Nord. E si sentiva sola, e voleva che lui le fosse accanto, proteggendola con il suo respiro caldo. Era Sansa Strak, regina del Nord, ed era coraggiosa abbastanza da aprire uno scrigno che forse avrebbe celato una vipera feroce pronta ad avvelenarla 
Ma era Sansa Strak, regina del Nord. Sarebbe sopravvissuta. 
Davanti alla porta delle camere di Jon trovò due soldati a montare la guardia. Quando Sansa lì vide arrossì, sentendosi  troppo nuda e talmente sciocca da non aver indossato neppure una vestaglia. 
Si abbracciò il petto con le mani nel tentativo di coprirsi. La tunica la copriva tutta, dal collo alla caviglia, ma era pur sempre un indumento intimo, e di solito a vederla in quello stato erano solo le sue servette o Jon. 
Quando i soldati la videro drizzarono le spalle, apparentemente sorpresi. Uno di questi, il più giovane e quello che sembrava avere il viso più gentile, le venne incontro con la mano stretta sull’elsa della spada. 
─Vostra Grazia, permettetevi che vi chieda per quale ragione vi aggirate per le mura del castello di notte tutta sola? Può essere pericoloso.
Sansa si sfregò le braccia con le dita. Per una strada ragione non riusciva a guardare il ragazzo negli occhi.
─Io volevo solo… vedere Jon.
─Il re sta riposando. Desiderate che lo svegli? 
─E’ solo?
Lo sussurrò appena non sapendo neppure cosa avrebbe dovuto aspettarsi. Il soldato la osservò con un’espressione curiosa, negli occhi scuri un briciolo d’incredulità. 
─Si, vostra grazia.
Fu allora che Sansa ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, riusciva a sentire il resto del corpo rilassarsi. 
─Allora, ti prego, digli che sono qui ad aspettarlo.
La guardia fece un breve inchino poi bussò alla porta di Jon, più volte. Riconobbe la voce di suo marito impastata dal sonno che gli dava il permesso di entrare, e si sentì un po’ in colpa, un po’ bambina. 
Ci furono dei bisbigli. Il ragazzo gli disse che sua moglie desiderava vederlo. Jon sembrò confuso e sbalordito quando chiese spiegazioni. Sansa rimase ferma, fuori al corridoio, con le braccia strette al petto e il gelo che sembrava penetrarle sotto la veste come un soffio di ghiaccio.
Spostò il peso da un piede all’altro mordendosi le labbra. Udì Jon che ordinava alla sua guardia di passargli i pantaloni, facendogli presente di essere nudo. A quel punto Sansa arretrò e sentì un fuoco divampare sino alle tempie.
Aveva svegliato Jon mentre dormiva. Aveva svegliato Jon mentre dormiva nudo. Pessima idea quella di seguire l’istinto! Radicate, maledette, puerili paure. 
Lo vide comparire sull’uscio della porta, sembrava incredulo quando la fissò dall’alto in basso. Aveva indossato dei pantaloni di lana scuri, ma era scalzo, a petto nudo, con i capelli scompigliati sulla testa e gli occhi grandi già pronti a vedere tutto.
Sansa lo trovò bello, non nel modo in cui lo trovava spesso bello. In un modo intimo, personale. Quel tipo di bello che è speciale, perché sai che ti appartiene, quel tipo di bello che sospetti che nessuno troverebbe altrettanto bello, ma che senti fatto apposta per te. 
─Sansa, che ci fai qui?
Anche il tono di voce era diverso, roco, sensuale. L’aveva sentito così solo quella mattina dopo il giorno del loro matrimonio, quando si erano svegliati insieme e lui l’aveva stretta, rassicurandola che non si sarebbero mai persi. 
Pareva così grande, con una mano a reggersi allo stipite della porta, e le luci delle torce sulle pareti che si riflettevano sulla sua pelle bianca. Ancora una volta era come se il fuoco ardesse solo per renderlo visibile nel buio e nella nebbia, ma Sansa dubitava che uno come Jon sarebbe passato inosservato.
Il suo stesso mondo sembrava essersi ridotto a quella figura che le stava di fronte, in attesa, sempre così gentile, sempre così pronto, comprensivo.
─Io non… ─ Poteva dirgli qualsiasi cosa, Jon era troppo intelligente per non rendersi conto del semplice fatto che era lì, coperta solo dal suo intimo, scalza e infreddolita, solo perché c’era lui ─Non volevo restare da sola. 
C’era una cosa che aveva sempre amato di Jon. Era un tipo di poche parole, quindi a lui bastava un’occhiata per entrare dentro ad una persona. In quel momento sentiva che suo marito la stava letteralmente trapassando, e si stava appropriando dei suoi pensieri delle sue paure, delle sue incertezze. Lo vide nel modo in cui alzò leggermente il mento e trattenne il respiro. 
Sansa aveva pensato bene alle sue parole, eppure Jon ci aveva visto tutto, quello che non voleva dire e quello che lei stessa si negava di sentire.
─Entra.
Si fece da parte, e nel momento in cui gli passò accanto Sansa fu invasa dal suo profumo, un aroma nuovo. Sapeva di lenzuola pulite, di bei sogni, di sudore e di uomo. Rimase a bocca aperta, ferma nel bel mezzo della stanza come se ci fosse stata per la prima volta. 
Non era cambiato nulla lì dentro, dall’ultima volta che ci era stata. Quel posto le era familiare quanto estraneo, inesplorato, immenso, senza fondo. La stanza era calda, fiocamente illuminata dalla luce del camino. Il letto era per metà disfatto, gli abiti di Jon buttati alla rinfusa sul pavimento. Fu allora che le ritornò in mente la scena a cui aveva assistito qualche momento prima.
─Dormi nudo?
Gli chiese un po’ stranita girandosi verso di lui. Jon si passò una mano dietro la nuca, visibilmente imbarazzato. Sembrava una persona completamente diversa, tutt’altro che il ragazzo impenetrabile, schivo e difficile di sempre. C’era l’ombra di un pallido rossore sulle sue guance, aveva un’aria quasi tenera mentre abbassava gli occhi, la mano appoggiata ad un fianco.
─E’…una vecchia abitudine. 
Sansa sorrise ─Mi dispiace averti svegliato.
Ebbe la premurosa gentilezza di assottigliare le labbra e basta, come in un ghigno comprensivo.
─Sono stupito di vederti qui.
Sansa si fermò a fissarlo, tutto muscoli e ombre al centro della stanza, la pelle quasi come rischiarata dal fuoco perpetuo di un drago. 
Perché non ci aveva mai fatto caso? Tutti gli Stark sembravano spiccare come papaveri in un campo di rose nel pieno inverno del Nord. Jon invece era sempre stato diverso. L’estate lo rendeva vivido, come la luce e il sole caldo. Tra tutti i suoi fratelli, Jon era sempre stato l’unico contornato da un’aurea diversa. Il suo posto era qualsiasi angolo ben nascosto e oscuro del castello, eppure Jon lo notavi sempre, come l’unica stella in un cielo di tenebra.
Si strinse un lembo della veste bianca. Quando si sedette sul materasso ebbe solo la voglia di sprofondare nelle lenzuola, ma si sforzò di restare vigile, qualcun altro che le toglieva tutta quella dolce sensazione di caldo tempore conquistata.
─Veniva sempre di notte… Ramsay ─ al pronunciare quel nome notò la mascella di Jon irrigidirsi ─Dopo che ci fummo sposati, persi quasi l’abitudine di dormire. Non bussava neppure. Apriva la porta della mia stanza e…faceva del mio corpo tutto quello che voleva. Frequentava anche con altre donne, non che la cosa mi importasse. Dicevo che non ero abbastanza. Dopo avermi violentata ripetutamente, mi umiliava. Non riuscivo a soddisfarlo come lui voleva, lo faceva sembrare quasi come se fosse colpa mia. So che è morto, ma ho ancora paura di vederlo entrare nella mia stanza, ubriaco e folle. 
Jon le si avvicinò. Temeva sempre di dover parlare di quella parte del suo passato, perché detestava che la gente provasse pietà per la sua fin troppo sfortunata vita, alcune delle volte, nei peggiori dei casi non era neppure vera. 
Ma tutto ciò che vide in Jon, fu il riflesso del suo volto provato in quegli occhi scuri come pezzi di carbone. Il ragazzo la guardava e basta, ed era presente, e valeva più di qualsiasi altra parola detta solo per confortare un senso di colpa che non apparteneva mai alla vittima. 
─E’ difficile da mandar via. 
Eccolo ancora. Un solo sguardo ed aveva capito tutto quanto.
─Non quando sono con te. ─ Convenne Sansa provando un pizzico di vergogna ─La notte in cui abbiamo dormito insieme, ho sentito solo il tuo affetto. E mi è bastato. Ho bisogno di averlo ancora un po’ con me.
Lui si inginocchiò e le prese il viso tra le mani. 
─Tutte le volte che vuoi.
E poi successe tutto troppo in fretta. Un attimo primo era a fissarlo, quasi imbambolata, tutta la sua realtà solo labbra, occhi, riccioli scuri e un profilo rigido e perfetto. Un secondo dopo lui era lì, con la bocca premuta contro la sua guancia a prolungare un contatto che sarebbe già dovuto finire da un pezzo.
Non seppe per quale motivo, ma Sansa si ritrovò a trattenerlo con un palmo aperto contro la sua spalla. 
Gli era mancata la pelle di suo marito. Quando l’aveva stretto la sera del loro matrimonio, le era piaciuto proprio come gli stava piacendo adesso. Faceva paura il modo in cui la faceva sentire. 
Sansa non era capace di formulare neppure un pensiero che le pareva coerente. 
C’era lei e i mille sensi di colpa. Il mondo e poi solo il silenzio. 
 
 
CONTINUA…
 
Oh si avete ragione! Vi ho fatto aspettare molto per questo capitolo, il fatto è che negli ultimi giorni non ho avuto davvero tempo, e quando tornavo a casa ero talmente stanca che volevo solo mettermi a letto a dormire, dormire, dormire. Ma meglio tardi che mai!
Le cose cominciano a farsi un pochino più intense. Vi dirò: sono davvero eccitata all’idea di scrivere i prossimi capitoli, perché tutto comincerà a maschiarsi, a diventare più intenso e sentito! Vi ringrazio immensamente per la vostra risposta a questa storia! Davvero non mi aspettavo che vi piacesse tanto, e leggere tutte le vostre recensione per me è una vera gioia!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo ci conto! Spero che avete passato una felice Pasqua! Vi mando un grosso bacio e a presto! 
 
 
 
   
 
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