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Autore: Urban BlackWolf    22/04/2017    3 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

I piccoli fuochi che riportano a casa

 

 

 

La zona accoglienza posta all'ingresso della pista era piena di gente, uomini per lo più, di ogni nazionalità. Dodici team suddivisi in tre giorni, ognuno con a disposizione quattro ore di tempo per le rilevazioni.

Giovanna si guardò intorno cercando di non dare a vedere quanto si sentisse fuori posto. Una sensazione simile a quella provata al circuito di Bremgarten, ma accentuata dal sapere di non essere accerchiata dalla “famiglia lavorativa” di Haruka, bensì da “rivali” sportivi, pronti a tutto pur di lasciarti indietro. Spesso incollata al fianco della sorella, osservava avida ogni suo gesto, sentendosi intimamente orgogliosa di lei. Quanto poteva essere bella la bionda immersa nel suo ambiente, completamente a suo agio nello stringere mani, nel ricevere pacche affettuose sulle spalle o sorrisi di stima, nello scambiare brevi frasi di circostanza in inglese. Felice, Haruka era felice e pienamente consapevole del fatto che lo stare nuovamente a contatto con gran parte dei tecnici che sovente aveva visto sulle piste fino all'anno precedente, era da considerarsi un dono.

In pratica tutti i team avevano saputo che l'Ingegner Tenou aveva dovuto ritirarsi momentaneamente dall'attività e, gira che ti rigira, le voci sulla malattia che l'aveva colpita erano circolate tra i box, dispiacendo tanti. Era un tecnico molto ben voluto ed una pilota stimata. La notizia del ritorno alla piena vita lavorativa del fuego del viento, era stata accolta con molta positività da tantissime persone.

“Team Ducati.” Urlò un uomo attempato emergendo da una pedana posta in fondo alla stanza mentre prendeva due bedge da una scatola poggiata sul piano della scrivania.

“Haruka Tenou...”

“Eccola...” Rispose la bionda alzando il braccio sogghignando mentre avanzava a testa alta tra i colleghi.

Cazzona. Pensò Giovanna seguendola a ruota.

“Ingegner Tenou, per voi Ducati abbiamo due nominativi. Il suo e... - leggendo rapidamente la lista che stringeva tra le mani identificò il secondo soggetto. - l'Architetto Giovanna Aulis. Un documento ed una firma qui per la consegna dei cartellini, prego.” E porgendole la penna la guardò scrivere mentre ne apriva il Passaporto. Stessa cosa fece con Giovanna.

“Mi raccomando non girate per la struttura senza pass di servizio. Allora, qui sono segnate le fasce orarie dell'accesso alla pista. La Ducati potrà eseguire i rilevamenti domani dalle 14 alle 16, dopo il team Yamaka, ed il giorno successivo, dalle 10 alle 12, subito prima della Red Bull. Vi prego di rispettare orari e tempistica. Troverete la Golf Car a voi assegnata nel box numero 7.” Concluse porgendo ad Haruka il foglio e a Giovanna cartellino e documento.

“Ok, grazie.” Disse rileggendo le porzioni di tempo loro assegnate per imprimersele nella memoria mentre scendeva con un saltello dalla pedana.

Fu allora che, sempre con gli smeraldi degli occhi fissi al foglio, non vide il team successivo franando addosso a Dominik Blank. Er lumaca la guardò profondamente stirando un sorrisetto per niente rassicurante.

Mani ai fianchi di lei le consigliò di guardare avanti. “Opsss Tenou. Stai attenta. Non è il caso che una buontempona come te si distragga.”

Colta alla sprovvista e sentendosi toccata, Haruka scattò all'indietro con un rapidissimo movimento del busto. Lasciandola andare, ma non abbandonando quella smorfia da iena, il rivale le passò accanto dirigendosi con il compagno verso la scrivania dell'organizzazione. L'incontro morì li. Pessimo segno. Fulminandolo con lo sguardo, Giovanna si sentì chiamata dall'altra seguendola poi all'esterno della struttura.

Stai attenta. Non è il caso che una buontempona come te si distragga.” Ed Haruka seppe che la vendetta di Blank per le lumache traditrici non avrebbe tardato ad abbattersi su di loro.

 

 

Già, è strafottente ed arrogante, ma è tipico dei cavalli di razza. Lo sono anche io. Michiru. Hai scelto bene. Quell'ultima frase proprio non riusciva a togliersela dalla testa. Non voleva. Non poteva. Troppo potente. Troppo esaustiva. Troppo meravigliosa.

Si girò nel letto ponendosi su un fianco e rabbrividendo si tirò fin sopra all'orecchio la coperta. L'avere una camera con vista sul mare aveva i suoi vantaggi, ma se da una parte era incredibilmente rilassante sentirsi cullati dal suono delle onde, l'avvertire i polmoni invasi dallo iodio, il godere giornaliero di quel manganese a volte profondissimo, altre quasi cristallino, dall'altra si doveva fare i conti con l'umidità micidiale di quella stagione. Michiru sorrise nel buio della sua camera. Dolce scotto da pagare per sentire il suo immenso padre blu sempre accanto a lei. Le sarebbe mancato. Terribilmente. E per assurdo che fosse, le sarebbe mancata anche sua madre. Si erano salutate qualche ora prima non potendo fingere che da li ad un prossimo incontro sarebbe passato parecchio tempo. La partenza di Michiru era infatti imminente e gli impegni di Flora altrettanto pressanti.

Hai scelto bene, riecheggiò nuovamente. “O mamma...” Disse piano ricordando lo sguardo serissimo di Flora mentre continuava.

“Hai sempre avuto un carattere forte ed indipendente, ma anche riflessivo ed accomodante. Non lasciarti schiacciare dalla sua personalità, mi raccomando.” E così dicendo si era alzata pronta per congedarsi.

Non aveva più la resistenza di una volta e dopo una prima tesa come quella, iniziava ad accusare la stanchezza.

Si lo so. Haruka non è docile, ma è anche una donna di una dolcezza disarmante e nell'ultimo anno è cambiata talmente tanto che a volte la sensibilità che dimostra mi lascia senza fiato. Pensò stringendosi tra le braccia immaginando fossero le sue. Haruka... e sentendo arrivare il sonno sospirò profondamente. Aspettami amore.

 

 

Erano in procinto di arrivare alla curva chiamata La Chapelle quando il cart elettrico a due posti ebbe un sussulto ed agonizzando come un bacarozzoide, spirò. Pigiando più volte sull'acceleratore, Haruka serrò il volante tra le dita per poi guardare l'orizzonte in cerca di una risposta. L'illuminazione arrivò da Giovanna seduta al posto del passeggero.

“Inutile che sfondi il pedale, Ruka. La batteria è andata.” Disse laconicamente convinta del fatto suo attirandosi addosso solo disappunto.

Dall'assegnazione delle fasce orarie per le rilevazioni sul campo, contro ogni previsione nefasta di Tenou, era andato tutto bene. Le due sorelle avevano pianificato il lavoro da farsi e la bionda aveva saggiato di sottecchi l'abilità di Giovanna con il programma che avrebbero usato per la restituzione grafica. Poi, una volta finito e visto il tempo loro rimasto del dolce far niente, ne avevano approfittato per godersi la città di Le Mans, scoprendo anche nuovi interessi in comune, sicuramente ereditati dal padre, visitando il museo Archeologico e la cattedrale gotica di San Giuliano. Scaricandosi un'applicazione fotografica che le avrebbe aiutate nel lavoro dell'indomani, si erano buttate anima e corpo nell'ennesima sfida facendo una rapida escursione tra le campagne e le cittadine vicine, duellando metaforicamente sul numero di oggetti curiosi o difficili da trovare che sarebbero state in grado d'immortalare con le rispettive fotocamere. Come in un safari nostrano, avevano “snidato” nell'ordine; vespa, cinquecento, mucche, cavalli, pecore, sbarre di caselli, trattori, Ducati e via discorrendo. “Partite” vinte, prima dall'una e poi dall'altra, che non avevano fatto altro che aprire lo stomaco di due fameliche carnivore.

Così prendendo estremamente sul serio il termine street food, avevano trangugiato come suini ogni sorta di porcherie trovate sui banchetti di un mercato, concentrandosi poi nell'acquisto ruffianamente mirato da parte di Tenou, di qualche pensierino per una Michiru che al suo ritorno l'avrebbe inesorabilmente bacchettata per la latitanza nel loro appartamento di quella cosa chiamata “sorella” pulizia.

Dormito senza non pochi imbarazzi iniziali per via della camera in comune, docciate, vestite e rifocillate per l'ennesima volta durante il corso di quelle ore, in quello splendido pomeriggio di primavera si erano dirette al circuito con la macchina piena di pesanti strumenti di rilevazione. Su tutti uno Scanner da svariate migliaia di franchi, un cavalletto, due paline, due portatili e cancelleria varia.

Giovanna aveva aiutato la bionda ad “incollarsi” circa venti chili di materiale, convinta che una volta arrivate al box numero 7, avrebbero caricato tutto sulla Golf Car salutando così la fatica fisica.

Nulla di tanto distante dalla realtà che le stava ora costringendo per forza di cose ad una fermata non preventivata dalla parte opposta degli uffici, sotto al sole e in un punto totalmente inutile della pista.

“Di tutte le problematiche elettriche che potrebbe avere questo giocattolo, mi vuoi spiegare perché dovrebbe essere proprio la batteria?!” Disse Haruka scendendo agilmente per andare verso il cofano ed aprirlo.

Il miracolo di Santa BMV accade una volta sola nella vita. Questa è una macchinina elettrica... cazzona. Pensò nervosamente l'altra rovistando nel cruscotto in cerca della radio di servizio che in genere ogni cart aveva in dotazione. Mai una volta che Tenou le concedesse la ragione o almeno il beneficio del dubbio.

“Se proprio lo vuoi sapere ho lavorato come caddy in un circolo di golf e so riconoscere il rumore di una batteria che saluta il mondo dei vivi prima di entrare in quello dei morti.” Radio trovata.

“Ma che sorpresa!” Rispose beffarda la minore constatando quanto poco ci si raccapezzasse tra tutti quei cavi elettrici.

Il problema poteva essere in ogni dove e con qualunque forma e per la prima volta in vita sua dovette arrendersi nell'ammettere di non sapere cosa fare di fronte ad una scocca, delle ruote ed un motore.

“Ma porca zozza!” Borbottò richiudendo il cofano mentre la sorella lanciava una maledizione.

“Che c'è?!”

"Le batterie! La radio non ha le batterie.” Disse Giovanna guardandola.

Ebbero così la certezza che il team Yamaka aveva compiuto l'ennesima mossa nello scacchiere della sfida Tenou - Blank e che nel pensare ad ineluttabili sfighe cosmiche, non ci si sbagliava mai più di tanto.

 

 

Lanciando l'ennesimo sasso tra le radici di un pino ad una diecina di metri da quello dove stava ora poggiando le spalle, Haruka sentì la suoneria rispondendo di malavoglia senza neanche verificare chi fosse.

“Si.” Laconico.

Dalla parte opposta Michiru sbatté le palpebre stupita. “Ruka?”

Drizzando la colonna, la bionda sorrise addolcendosi di colpo. “Michi mia.”

“Disturbo?” Chiese guardinga riponendo i documenti nella borsa.

“No. Non esattamente. No...” Grattandosi la testa sospirò guardando verso la strada di servizio fra gli alberi dove una quindicina di minuti prima si era incamminata Giovanna.

“Se hai da fare ci sentiamo con più calma.” Disse Michiru e l'altra negò con maggior convinzione poggiando nuovamente la schiena al tronco resinoso.

“Scusami amore, ma sono nel pieno di una piccola emergenza.” E si prese qualche minuto per raccontarle tutto.

“E perché non siete andate entrambe agli uffici?” Kaiou era stata avvertita di quel viaggio, ma l'idea che Haruka aveva avuto nel farlo con la sorella era nata solo in un secondo momento, perciò si stupì positivamente del fatto che avesse chiesto a Giovanna di aiutarla in una cosa tanto seria come il suo lavoro.

“Perché l'attrezzatura costa svariati soldini e mentre Giò è un ospite, io facendo parte della Ducati ho l'assicurazione e se dovesse accadere una qualunque cosa al materiale saremmo coperte. In più tutta questa roba pesa un casino e non ce l'avremmo mai fatta a trasportare tutto a piedi in tempi brevi. Ci serve per forza un'altra Golf Car. ” Terminò sbuffando lanciando un altro sasso.

“Riuscirete a terminare le rilevazioni per tempo?” Chiese sapendo quanto la compagna odiasse lavorare con la mannaia di una scadenza sul capo.

“Abbiamo diritto ad una proroga, perché è compito dei manutentori della pista farci avere un mezzo in piena efficienza. Comunque c’è ancora un discreto margine temporale e Giovanna lavora molto bene. Devo ammettere che con il programma di restituzione grafica è più veloce di me.”

Michiru alzò le sopracciglia divertita.”Ma non mi dire, Ruka. E' un complimento quello che sento?”

“Per favore Michi. E' solo la verità. - Abbassò la voce. - Comunque vedi di non farmi fare brutte figure dicendoglielo. Lo sai che poi mi scodinzola e non la smette più di gongolare.”

Ridendo l'altra continuò mettendo ordine sul comodino. “Lo sai che l'ho terminato?” Dichiarò aspettando qualche secondo la reazione della compagna.

Haruka scattò sull'attenti sentendo il cuore sobbalzare. “Il murales?”

“Già... Torno presto Ruka.”

“Quando?”

“Prestissimo...” Rispose. Non le avrebbe mai detto la data precisa, perché era sua intenzione ricambiare la bellissima sorpresa che le aveva fatto venendola a trovare ad Atene, con la stessa stupenda pariglia.

“Dopo la prima, sei riuscita a parlare con tua madre? Mi detesta ancora più di prima, vero?”

“Certo non hai fatto nulla per attirarti addosso le sue simpatie e questo lo sappiamo entrambe, ma devo dire che la sua reazione dopo l’averti vista è stata completamente diversa da quella che mi sarei mai immaginata.” E si sentì rispondere un ho fatto colpo, seguito da una risata incontrollata.

“Haruka piantala!”

La bionda continuò a ridere mettendosi una mano sul collo. Alzando la testa puntò lo sguardo alle chiome verdi che coprivano parzialmente lo spazio del cielo. “Lo sapevo che se mi avesse incontrata anche solo una volta, avrei fatto breccia nel suo cuore di donna...”

“Ma la finisci?! Non scherzare con il fuoco. Mia madre è uno scorpione e non è mai saggio cantar vittoria. Comunque si, le sei... piaciucchiata.”

“Sono troppo, troppo figa.” Cantilenò prendendo a giocare con un bastoncino facendolo rotolare in avanti ed in dietro sotto la suola dell'anfibio.

“Si, si, va bene. Ora però ti lascio, devo andare. Salutami Giovanna e cercate di stare lontane dai guai. Mi raccomando Ruka.”

“Ricevuto Michi. Quando torni ti racconteremo tutto.”

“Va bene. Ciao amor mio.” E chiuse.

Ti racconteremo tutto. Pensò beandosi intimamente di quel plurale che in un passato neanche troppo lontano la sua compagna non avrebbe mai usato. Alzando gli occhi guardò la stanza che era stata sua soffermandosi qualche istante sulla finestra, sfogo della vista e dell'anima, poi afferrando il trolley si diresse verso la porta.

Riponendo l'Iphone nella tasca interna del suo giubbotto, Haruka avvertì un ronzio proveniente dalla pista e voltandosi intravide una Golf cart arrivare di gran carriera. Pensando a Dominik strinse la mascella preparandosi alla presa per i fondelli. Quando uno dei manutentori le suonò due colpi di clacson ricominciò a respirare più agilmente.

“Ci avete messo poco.” Convenne vedendo Giovanna al fianco dell'uomo. Parcheggiando in scioltezza dietro al mezzo in avaria i due scesero in sincrono.

“Ha visto che eravamo in panne dalle telecamere a circuito chiuso. Quando sono arrivata stava per venire ad aiutarci e non ho neanche dovuto sforzarmi troppo nel cercare di farmi capire.” Ammise sorridendo. Stava per prendersi l'ennesima soddisfazione.

Afferrando dal posteriore del veicolo una batteria, l'uomo andò verso il loro cart ed armeggiando scollegò quella in sito per poi alloggiare e ricollegare i cavi d'avviamento a quella nuova. Una volta salito e messo in moto, il loro mezzo redivivo partì facendo qualche metro. Chiudendo leggermente gli occhi Giovanna stirò le labbra talmente trionfante che Haruka non si sentì soltanto battuta, ma umiliata.

“Tutto a posto. Era la batteria. In genere quelle che montiamo sono sempre cariche. Scusate per l'inconveniente.” Disse il manutentore in perfetto quanto non richiesto francese e risalendo sul suo cart si dileguò dalla parte opposta da dov'erano arrivati.

“Sempre simpatici da queste parti.” Borbottò la bionda tornando alla guida mentre l'altra continuava a fissarla divertita. Partì sentendosi due occhietti beffardi puntati contro.

“Allora? qual era il problema?”

“Giovanna bada, se non ti togli immediatamente quell'espressione cretina dalla faccia te le suono.”

“Non oseresti...”

“Mettimi alla prova.”

“Ed io lo dico a Michiru, così con il sesso hai chiuso...” Minacciò la maggiore serissima vedendola arrossire in meno di un nano secondo.

Haruka inchiodò sgranando gli occhi e dopo un imbarazzatissimo sguardo tornò a guidare non proferendo più parola.

Basta poco per metterti a catena, sorella. Pensò divertita Giovanna.

Ed iniziando a capire quanto la bionda fosse timida, soprattutto in merito a certi argomenti, per il restante pomeriggio, cena inclusa, si sentì una regina appagata da mille vittoriose battaglie.

 

 

Alexios aveva insistito nel volerla accompagnare con la sua macchina ed Ami lo aveva seguito. Non l'avrebbero mai lasciata partire da sola e “scortandola” sin quasi all'imbarco, era un modo per elaborare un distacco che sarebbe durato parecchio.

Michiru aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per tornare a trovarli presto, non appena le vacanze estive le avrebbero concesso un po' di tregua da un lavoro che doveva assolutamente essere ripreso, ma conoscendo la reticenza di Haruka per l'acqua, sarebbe stato arduo rivedersi tutti a stretto giro. In più c'era Khloe e non sarebbe stato saggio farle incontrare. Non ancora almeno.

Già, Khloe. Michiru non era riuscita neanche a salutarla. Aveva comunicato ai Mizuno l'intenzione di partire subito dopo il concerto, qualsiasi piega avesse preso il suo incontro con la madre e la greca non aveva battuto ciglio. Sapeva fingere bene Khloe, talmente bene che Michiru non si era resa conto che mentre si salutavano dopo essere ritornate dal Megaron Concert Hall, ognuna diretta verso la propria stanza, per la donna più grande quello scambio di sguardi era equivalso ad un addio. Troppo orgogliosa per vederla andar via, ancora troppo sentimentalmente coinvolta per affrontare un distacco potente come quello che un aeroporto può dare. Non avrebbe avuto la forza per vederla partire così e Michiru, la quale aveva affrontato una separazione simile soltanto pochi giorni prima, aveva compreso non offendendosi, anzi, chiedendo ad Agapi di salutarla.

“Dille che...” Ma non aveva saputo come continuare.

Cosa le avrebbe potuto dire per lenire la sua sofferenza? Che le dispiaceva di non provare più amore, ma solo affetto? Che sarebbero rimaste amiche? Che per lei ci sarebbe sempre stata? No, ipocrisia di pensiero. Michiru non avrebbe potuto esprimere ciò che aveva dentro senza apparire banale o meschina. Eppure era ciò che sentiva. Khloe le sarebbe sempre stata cara.

“Stai tranquilla angelòs, ha la scorza dura, ma ha anche bisogno di tempo per farsene una ragione. Non farci caso se è andata a rintanarsi da qualche parte, perché avrebbe finito con il piangere e non è da lei farlo in pubblico.” Aveva detto quella saggia donna abbracciandosela forte al petto.

“Mi raccomando, chiama qualche volta. Lo sai che è come se avessi due madri.”

E Michiru l'aveva stretta a sua volta sentendosi più triste di quel che avrebbe mai voluto.

Alzandosi dalla poltroncina, Alexios chiese alle due donne sedute se fossero state vogliose di un caffè.

“Vado al bar a prendere qualcosa. Volete niente ragazze?”

“Non è il caso che rimaniate qui fino alla chiamata del volo. Alexios, la pensione è a pieno regime e dovresti essere presente e tu Ami, hai già perso fin troppo tempo nello starmi dietro.” Disse Michiru un tantino in imbarazzo.

“Ma stai scherzando? Ho fatto talmente tanta esperienza con il tuo caso, che se avessi il coraggio mollerei l'argomento della mia specializzazione puntando tutto su di te Michi.” Rise l'altra per stemperare mentre il padre tossicchiava fintamente serio.

“Vedi di prendere questo pezzo di carta ragazzina. - S'intromissione il padre per poi sorridere bonario. - Michiru ci fa piacere e lo sai e poi è un modo per farmi perdonare. Ho latitato. Non sono stato molto d'aiuto come invece hanno fatto le “mie” ragazze.”

Aveva già denunciato a Michiru questa sua convinzione e continuava ad averla. Alla donna parve un'eresia gnostica. Guardando la custodia del violino che come bagaglio a mano non abbandonava mai di vista, scosse la testa afferrandogli le dita.

“Un padre non avrebbe saputo fare di meglio.” E vedendolo sorridere nuovamente lo lasciò andare verso il punto ristoro più vicino.

“Hai un potere enorme su questa famiglia Michi.” Rivelò l'amica piegando la testa da un lato.

“Mi avete dato così tanto calore e sostegno, disponibilità e forza, che non saprò mai come sdebitarmi Ami. E tu più di tutti. Solo ora che tutto sta tornando al suo posto, mi rendo conto che quando sono partita l'ho fatto senza sapere cosa stessi facendo. Se non mi avessi trovata, avrei girato a vuoto e molto probabilmente... mi sarei persa.”

Ami aveva acceso piccoli fuochi per ricondurla a casa.

“Ma sei tu che hai avuto l'umiltà ed il coraggio di chiedere aiuto.” Disse vedendo le spalle dell'altra alzarsi leggermente.

“Forse, ma sta di fatto che ti devo tanto e te ne deve anche Haruka.”

“Sai, mi sono ritrovata spesso ad immaginare come sarebbe stata la vita se le nostre famiglie non si fossero divise.”

“Credo bella. Indubbiamente diversa. Sicuramente più ricca.” Ammise Michiru mentre dai megafoni partiva il primo avviso del volo che avrebbe preso da li a breve per tornare in Svizzera.

 

 

Khloe alzò lo sguardo l'ennesima volta sul quei colori vividamente colti. Non riusciva a guardare quell'immagine per più di qualche secondo senza sentirsi bruciare gli occhi. Seduta in terra davanti al muro che accoglieva l'opera che Michiru aveva dipinto, gambe raccolte al petto, braccia serrate alle ginocchia, schiena in avanti come se un macigno di proporzioni bibliche le stesse incurvando forzatamente le spalle, si sentiva avvilita e sola. Sapeva che in quei minuti l'aereo che l'avrebbe riportata a casa stava preparandosi per rullare sulla pista di decollo. Quanto avrebbe voluto fermare quel moto e quanto si sentiva un'imbecille nel desiderare quell'utopica follia.

“Fai proprio pena Khloe Mizuno.” Disse a mezza voce sezionando con le iridi i colori che si espandevano per tutta la parete.

Poi qualcosa scritta nella parte inferiore del lato sinistro ne colpì l'attenzione. Alzandosi stancamente si diresse verso quella macchiolina nera che, man mano che si avvicinava, prendeva sempre maggior consistenza e leggibilità. Khloe alzò i palmi di entrambe le mani poggiandole sul muro ed eccola li, la riconobbe immediatamente come la sua firma, quella vista anni addietro sui tanti fogli che componevano il suo album di schizzi. Una M ed una K poste ai lati dell'asta di un piccolo tridente stilizzato. La donna sospirò chinando nuovamente la testa e lasciandola così, inerme e dimenticata, avvertì finalmente le lacrime liberarsi dal dolore dei suoi occhi.

 

 

Erano le ventidue passate quando la Mazda RX-9 guidata da una Tenou esausta fino all'inverosimile solcò il cancello condominiale del comprensorio. Svolta a sinistra, pollice premuto sul telecomando, attesa e giù per la rampa fino ai box. Parcheggio, stiratina alle vertebre della colonna, carezza alla sua dolce Ducati e chiusura serranda.

La bionda e Giovanna, entrate in ascensore più morte che vive, si guardarono soddisfatte. Il lavoro era andato bene ed a parte l'intoppo del sabotaggio di Blank, comunque mai del tutto verificato, avevano ricostruito la nuova pista graficizzandola con dovizia di particolari, riuscendo persino a spedirla all'ufficio tecnico di Bellinzona prima della loro partenza, avvenuta quella stessa mattina.

Haruka ci teneva che Giovanna facesse bella figura di fronte ad Henry Smaitter, perché in mente aveva un'idea, ovvero cercare di farla entrare in scuderia come collaboratrice esterna. Sarebbe stata un'opportunità unica e l'avrebbe tolta da una precarietà lavorativa intollerabile per una professionista capace come stava dimostrando si essere. Naturalmente di tutte queste elucubrazioni la maggiore non sapeva e non avrebbe dovuto sapere nulla o la sua paranoia nel dover affrontare un passo importante come il trasferimento in un altro paese, avrebbe rischiato di mandare tutte le fantasie della bionda all'aria.

All'apertura della porta scorrevole uscirono sentendosi le gambe intorpidite. La più provata delle due era senz'altro la pilota, che aveva macinato circa duemila chilometri in quattro giorni. Le faceva male tutto. Schiena, gambe, spalle e... orecchie, si orecchie, perché per evitare colpi di sonno, verso la fine del viaggio Giovanna aveva iniziato a soverchiarla di parole e, soprattutto, di domande.

“Mi sanguinano i timpani.” Disse Haruka infilando la chiave nel nottolino della blindatura.

“Preferivi addormentarti per farci schiantare contro qualche pilone?”

“Avrei preferito del Metal sparato a bomba.”

“E perché non lo hai messo su?!”

“Perché avresti sicuramente avuto da ridire....” Si fermò di colpo notando che la chiave non girava.

L'altra la guardò stupita. “Non mi dire che non hai chiuso, Ruka?!”

Certo che aveva chiuso e a quattro mandate. Oppure no?

“Andavamo di corsa, ma non posso essermene dimenticata.” Corrugando la fronte aprì lentamente l'uscio. Il buoi del corridoio ed improvvisamente la luce a ferirle le iridi chiare.

“Certo che non te ne sei dimenticata Ruka. Ci sarebbero mancati anche i ladri nel delirio che siete riuscite a lasciarvi dietro.” Disse Michiru ferma al centro della sala da pranzo a braccia conserte.

“Sono due giorni che vi aspetto e tanto mi è servito per rendere questa casa nuovamente presentabile.”

Haruka dilatò gli occhi mentre le dita della mano sinistra si aprivano lasciando i manici della sacca.

“Sei tornata!” Urlò Giovanna facendo per andarle incontro, venendo pero' bloccata da un gesto perentorio.

“Le scarpe!” Una vigilessa davanti ad un incrocio.

“Che?” Chiese mentre la bionda eseguiva come se nulla fosse.

“Giovanna per cortesia... Le scarpe. Ho dato la cera questa mattina e non vedo perché dobbiate arrivare voi a vanificare tutto il mio lavoro.”

“Fa come ti dice.” Consigliò piatta Haruka mentre prendeva le loro pantofole dal ripiano sotto la consolle.

“Ma siete fuori?!” Guardandole confusa Giovanna iniziò a tirarsi i lacci degli anfibi borbottando.

Proprio non stava afferrando la situazione. Forse in Grecia c'era stato un litigio?

Rimasta in calzini, Haruka allargò le braccia scocciata. “Contenta Kaiou? Sono stanca e non ho voglia di mettermi a discutere, ma sappi che la casa è stata lasciata in disordine per motivi che vanno oltre la mia volontà.”

“Certo Tenou, c'è sempre qualcosa che va oltre la tua volontà.” Rispose di rimanendo in quella posa composta che tanto stava impressionando Giovanna.

“Che vorresti dire?” Haruka venne avanti tirandosi giù la lampo della giacca.

“Voglio dire che trovo oltremodo irrispettoso vivere come maiali in una casa che non è una cloaca. Ho trovato delle scaglie di carne ormai essiccata tra i cuscini del divano! E non capisco come sia stato possibile non accorgersene visto che tu, Giovanna, lo hai usato come letto per giorni.”

La più grande delle tre si fece piccina alzando una mano. “Colpa mia. Ammetto.” Guardando la sorella inarco' le sopracciglia. Dovevano essere i “famosi” pezzi di montone del galeotto Kebab spazzolato senza pietà qualche settimana prima.

“Te l'avevo detto Ruka, che dovevamo pulire o quella carne avrebbe belato la sua presenza.” Ed a testa bassa si sfilò anche lei la giacca per appenderla ordinatamente all'entrata.

“Ditelo subito; devo trovarmi una stanza in albergo o posso continuare a sentirmi di casa anche se ho contribuito a renderla un casino?” Chiese guardandole alternativamente e fu davanti a quegli occhi dispiaciuti che le altre due scoppiarono finalmente a ridere.

“Oddio Giò quanto sei facile da prendere in giro.” Disse Michiru allargando le braccia per accogliere la compagna che stringendola forte la baciò con dolcezza.

“Ben tornata a casa anima mia.” Soffiò nell’orecchio lasciandole poi la fronte adagiata nell'incavo del collo.

Il suo profumo, i suoi respiri, le dita sottili serrate tra i fili dorati dei suoi capelli. Erano tornate nuovamente un corpo unico.

“Ma andate al quel paese... tutte e due! Ed io che ci casco sempre. Un giorno arrivo e trovo questa piagnona disperata e te sparita nel nulla. Torni e montate in un bater di ciglia questo teatrino... Dite un po'... per chi mi avete presa?!”

Michiru rise allargando il braccio lasciato libero facendo segno con la mano di raggiungerle. “Su Giovanna. Uno scherzo innocente, anche se dei pezzi non identificati di qualcosa che una volta deve aver respirato li ho trovati veramente.”

“Mi ha portato sulla cattiva strada, Michi.” Piagnucolò la bionda continuando a godersi le meritate carezze.

“Non è vero! Sei stata tu a dire che delle nostre porcate culinarie, Michiru non avrebbe mai dovuto sapere nulla!” Fece il verso mentre Haruka la guardava storto.

“Basta voi due. La legge è tornata in città. Dai, vieni qui e fatti abbracciare. Mi sei mancata anche tu, sai?” Ed accogliendo anche l'amica Michiru si sentì finalmente a casa.

Quell'avventura l'aveva cambiata, molto probabilmente in positivo, questo solo il tempo lo avrebbe confermato, ma sentiva di poter affrontare la vita in maniera diversa, libera dalle imposizioni del passato, dai sensi di colpa, dai ricordi dolorosi, che sarebbero rimasti in lei, certo, ma non più in forma di quiescenza pronti a colpirla a tradimento, ma sotto una più naturale e sana consapevolezza. La sua famiglia era cresciuta accogliendo un nuovo membro, ed anche se aveva reputato fin da subito Giovanna una ragazza speciale, forse perché recante lo stesso sangue della sua Ruka, ora era palese che la considerasse una delle persone più importanti della sua vita. In più aveva ritrovato quello scrigno meraviglioso che erano i Mizuno ed avrebbe fatto tutto il possibile per evitare alla lontananza di dividerli ancora da lei.

Quel viaggio e le sue laceranti confessioni le avevano restituito anche una madre, donna difficile certo, caparbia, con un carattere criptico e dominante, che verosimilmente non sarebbe mai cambiato, ma che grazie ad un affetto riemerso dal naturale rapporto madre – figlia, avrebbe lentamente aiutato la prima ad accettare in toto le scelte della seconda.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ci siamo quasi, CORAGGIO. Siamo alla fine di questo piccolo spaccato di vita. Un altro paio di “sorpresine” che le nostre due eroine vorranno farsi a vicenda e poi via… verso nuove avventure.

A prestissimo|

 

 

   
 
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