僕は孤独さ – No Signal
✞
Parte terza: Il caso Tightrope Walker.
Nella Cochlea faceva sempre freddo.
Forse erano le grida, la tristezza e la disperazione dei prigionieri a rendere
il carcere gelido.
Masa c’era già stata e nonostante non
fosse particolarmente impressionabile, non si sentiva a suo agio. Le guardie
tenevano gli occhi vigili ma bassi e salutando in modo stiracchiato gli agenti
che arrivavano per portare a termine gli interrogatori. Appoggiandosi al
parapetto di cemento armato, Aiko guardò prima in basso, verso l’ultimo livello
che sembrava avvolto da un’ombra oscura, e poi in alto, verso i tre piani sopra
alla sua testa e all’enorme soffitto a raggiera metallica, in quel momento chiuso.
Non l’aveva mai visto aperto, ma sapeva
che era da lì che Aogiri aveva fatto breccia oltre un anno prima.
Si appoggiò con i gomiti alla barriera,
lasciando spaziare lo sguardo su tutte le dimensioni, attendendo il ritorno di
Hirako. Non aveva ben capito perché aveva chiesto a lei di accompagnarlo lì e
non Kuramoto. Dava per scontato che lui la ritenesse un’inetta, per questo
l’aveva presa sotto la sua ala protettiva dopo la morte di Orihara e il suo
periodo di congedo, terminato la settimana precedente. Magari voleva darle una
lezione di vita, tenendo conto del prigioniero che dovevano visitare, o forse
voleva solo fare qualcosa per lei con cuore sincero.
«Mikasa ha detto che dobbiamo aspettare ancora qualche minuto.
Porpora non è pronto a riceverci.» Take si appoggiò accanto a lei, tenendo il
telefono in mano. La guardò, studiandone il profilo, ma Aiko non si voltò per
ricambiare lo sguardo. Il caposquadra pensava di sapere cosa le passasse per la
testa. «Vuoi parlarne?»
«Purtroppo non c’è troppo da dire», sussurrò lentamente,
abbassando gli occhi sul tutore nero che le teneva fasciato il polso destro,
ancora provato dall’incontro con il Gufo col Sekigan. Era fortunata ad avercelo
ancora quel braccio. Ipocrita. «Sai,
i miei fratelli sono sempre stati in competizione per qualsiasi cosa. Scuola,
sport, donne e poi lavoro, stipendio e riconoscimenti. Quando Shinichi è
sparito nel nulla mi sono chiesta come Hiroshi avrebbe potuto rilanciare.
Sicuramente non mi aspettavo di andare al suo funerale, ma non posso negarti
che non mi dispiace poi così tanto. Triste, vero?»
Hirako incrociò le dita delle mani di fronte a sé. «Non credo di
avere i mezzi per poter in qualche modo esprimere un giudizio in merito.»
«Eppure il mio fascicolo l’hai letto bene. Nelle mansioni di un
caposquadra c’è anche l’obbligo di conoscere molto bene i propri sottoposti.»
Take alzò un sopracciglio, quando Aiko si accostò appoggiandosi
con la fronte al suo braccio, sospirando pesantemente come se si sentisse
stanca. In effetti, sembrava che non dormisse da giorni. «Sei fortunata che io
non sia un buon capo, allora.»
«Poco ma sicuro, mai classe
speciale.»
«Hirako? Potete venire entrambi ora, se volete. L’abbiamo fatto entrare nella stanza degli interrogatori.» Masa sollevò il capo senza fretta, trovandosi a guardare quello che a primo impatto sembrava un ragazzo poco più grande di lei. Scontrò i suoi occhi con quelli magenta del secondino, che ricambiò per nulla a disagio. Il sorrisetto che le dedicò rivelava quanto fosse sicuro di sé. «Io sono Huso Tsubasa», le si presentò mentre percorrevano il corridoio, allungando una mano per stringere quella della giovane e mostrandosi quindi molto occidentalizzato nei modi. Lei ricambiò, senza fare una piega, prima di guardare la porta bianca di fronte alla quale sarebbero presto entrati. «C’è chi dice che Donato Porpora sia il vero volto del diavolo.» Aiko si voltò verso Tsubasa, studiandone il viso. Era ancora agli inizi dei suoi studi di psicologia, ma sapeva riconoscere la soddisfazione quando la vedeva. «Sei pronta per entrare all’inferno?»
«Sei cristiano?», gli domandò a bruciapelo, adocchiando poi una
collanina d’oro che spariva dentro le divisa beige da secondino. Sicuramente
doveva portare una croce sul petto. «Interessante. Per questo sei il suo
secondino?»
Lui fece un passo indietro, senza nascondere una sottile vena di
divertimento.
«Aiko», la richiamò Take mentre lei ancora lo studiava. «Sii seria
ora.»
«Non posso essere seria», rispose la ragazza, lasciandolo fare
mentre le allacciava i bottoni della camicia viola che indossava quel giorno
fino al colletto. «Così come tu non puoi essere divertente. Ma stiamo per
partecipare a una messa?»
«Fidati, non vuoi dargli motivi di provocarti.»
Nell’arco di dieci minuti, Masa aveva già compreso cosa intendesse
Hirako. Donato Porpora era un uomo all’apparenza innocuo, anziano. I suoi occhi
e il suo sorriso invece avevano qualcosa di puramente diabolico. Ogni volta che
la guardava, le veniva la pelle d’oca, come se la stanza si fosse
improvvisamente fatta più fredda. Nella sua pura malvagità, Donato sembrava
trarre piacere non solo dalla paura, ma anche dalla loro frustrazione.
Non collaborò e dopo quaranta minuti, Take aveva finito le
argomentazioni sufficienti. Lanciò uno sguardo alla ragazza accanto a lui, ma
lei non aveva staccato gli occhi nemmeno per una frazione di secondo da
Porpora. Sembrava un cane in punta costante, non rispondeva nemmeno alle
provocazioni.
«Forse le è venuto un colpo, Hirako», suppose il ghoul, inclinando
di lato il capo, mentre si massaggiava un polso. «Una bella ragazza, molto
giovane. Scommetto che è nuova.»
«Perché non ci dici tutti i nomi e la chiudiamo qui, Donato?», lo
incalzò nuovamente Take, con il solo risultato di sentirsi ridere in faccia.
«Perché non mi puoi dare nulla in cambio. Perché dovrei farti
rovinare i miei affari per niente?»
La porta della stanza si aprì alle loro spalle e Mikasa si
affacciò, facendo riflettere parecchio Masa sul fatto che quell’individuo
dall’aria malata faceva molta più paura del ghoul dall’altra parte del vetro.
Chiamò Hirako dicendogli che c’era un problema e questi si alzò, lasciando il
suo trench sulla sedia. Quando guardò Aiko, la ragazza scosse piano il capo.
«No, io rimango», rispose alla domanda silenziosa del suo capo,
sventolando la mano. «Anche io voglio provare a parlare con lui.»
«Non credo che-»
«Sarà un bell'esercizio in vista dell’esame di psicologia
criminale. Vai, non preoccuparti per me.»
Hirako non sembrava per nulla convinto, ma alla fine annuì, girando attorno alla sedia e seguendo il direttore del carcere. Aiko voltò il capo per guardare la porta chiudersi e quando furono soli, si alzò in piedi a sua volta. Si sfilò il cappotto, guardando Donato Porpora che aveva iniziato a ricambiarle il favore, studiandola attentamente e in silenzio, con un certo divertimento ad animargli gli occhi.
«Signor Porpora», iniziò Aiko, lanciando uno sguardo alla
telecamera e aprendosi i due bottoni della camicetta che Take aveva provveduto
a chiudere prima del loro ingresso. «Perché non mi viene incontro? Io do
qualcosa a lei e lei dà qualcosa a me.»
«Pensi di avere qualcosa che possa volere da te?», le chiese lui,
appoggiandosi con i gomiti al tavolino di fronte a sé. La guardava con
attenzione. «La sola cosa che potresti darmi è un pezzo della tua carne, ma non
credo che tu ne abbia abbastanza su quelle ossa lunghe per farmi fare anche
solo uno spuntino.»
Anche Masa si avvicinò al tavolino, che era parte integrante della
parete del vetro antiproiettile. Si mise a sedere su di esso, parlando piano.
«In cambio dei nomi che ci servono, sono pronta a darle informazioni importanti
su una persona a cui lei tiene molto.»
Lui ridacchiò sotto i baffi, per nulla impressionato da quella
sicurezza. Le mani di Masa tremavano, lo aveva notato subito. Apprezzava però
il tentativo, era affascinato dal coraggio che ci stava mettendo, tradito dalle
iridi liquide. «Chiunque sia il tuo informatore, deve averti ingannata.»
«Io so cosa è successo ad Amon Kotaro.» Come una stilettata, un lampo attraversò le iridi di Porpora, facendole venire un tuffo al cuore. «Il mio informatore non mi ha ingannata.»
Le labbra del ghoul si sciolsero in un sorrisetto appagato. «Molto
bene, uccellino. Inizia prima tu, allora.»
Cinque minuti dopo, Aiko uscì da quella stanza. In mano teneva le
due valigette e il trench del collega, che trovò alla fine del corridoio.
Parlava fitto con Mikasa e si stupì non poco di vederla arrivare.
«Hai deciso di scappare?», le domandò senza particolare crudeltà,
prendendo i suoi effetti personali.
Per risposta, Aiko alzò un sopracciglio. Infilò la mano dalla tasca della giacca elegante che indossava, mostrandogli poi un foglio come se fosse scontato o di poco conto. Glielo schiacciò contro il petto, avviandosi agli ascensori. «Io ti aspetto fuori, ho bisogno di fumare.»
Hirako lesse i nomi scarabocchiati con una calligrafia piccola,
rialzando però gli occhi sulla collega che si stava allontanando. «Aiko», la
chiamò con tono fermo, costringendola a fermarsi. «Come?»
Lei sbuffò, incolore. «Non faccio così schifo come credi tu,
vedi?»
Fece un cenno di saluto a Mikasa, prima di entrare nell’ascensore.
Non appena le porte si richiusero di fronte a lei, si passò una mano nei
capelli corti, sorridendo appena.
La sua nuova vita era iniziata esattamente come aveva predetto
Eto.
Come
l’attimo di silenzio prima di uno scrosciante applauso.
Capitolo
sedici.
«Buongiorno, Donato. Ti trovo bene. Nuovo taglio di capelli?»
C’era qualcosa di malsano nel modo in cui Aiko si era rivolta al
ghoul di rating SS che le guardava da dietro il vetro antisfondamento, Tooru ne
era sicuro. C’erano delle situazioni in cui la sua partner era disturbante, ma
quella le batteva ufficialmente tutte.
La guardò accomodarsi sulla sedia con infinita naturalezza, un po’
come aveva fatto anche Sasaki mesi prima, quando si erano rivolti al medesimo
informatore. Quella volta l’aveva preso in contropiede, sperava che non sarebbe
successo più.
«Agente Masa, ma che piacere.» Con un sorrisetto di sbieco, Porpora osservò il volto del vice caposquadra, concentrandosi subito dopo sulla presenza dell’altra colomba. «Il secondo di Haise Sasaki. So che ha deciso di tornare alla squadra Arima.»
Aiko non sembrò colpita dal fatto che Donato fosse così informato.
Sapeva più cose di loro riguardo i colleghi del ccg, ne era sicura. «Stiamo
subendo delle risistemazioni dell’organico, non sto nemmeno a raccontarti che
brutta storia sia.»
Lui non voleva saperne di smettere di fissare Tooru. «Quindi ti ha
abbandonato? Immagino che grande vuoto abbia lasciato.»
«Donato.» Masa lo richiamò, così da fare in modo che guardasse lei
e non Mutsuki, che non si era ancora seduto, in apnea. «Abbiamo poco tempo,
purtroppo. Oggi sei determinante più che mai.»
«Cosa fareste senza di me?» Con mani bramose afferrò i fogli che
l’agente gli passò attraverso la sottile feritoia, iniziando ad osservare con
curiosità le scene del crimine raffigurati in quelle foto. «Ah, so benissimo di
chi parliamo», disse con tono carezzevole, passando il dito su un dettaglio.
«Questi segni sul muro sono unici, fatti da un kagune che conosco molto bene.
Conoscevo almeno, lo avete ammazzato.»
«Se l’avessimo ammazzato non sarebbero morte dieci persone.» Il telefono di Aiko suonò e lei lanciò uno sguardo allo schermo, prima di rigettare la chiamata. Urie avrebbe aspettato ancora un po’. «Dimmi qualcosa di sorprendente, andiamo.»
«La prima volta che ho visto una cosa del genere è stato nel
sessantasei», iniziò a raccontare con cipiglio quasi malinconico. «Il primo
della famiglia dei Funamboli si chiamava Mihino Saburo ed era un vero artista.
Un ottimo elemento, certo, ma suo figlio Kairo era anche meglio. Ha lavorato
molto bene per me, fino a che non ha incontrato quell’agente pazzo, quello che
ha perso la moglie a causa del Gufo.»
«Non mi hai dato molto per stringere il campo», disse sarcastica Masa, segnandosi il cognome, in grande al centro del foglio, sull’agenda. Lanciò un’occhiatina a Mutsuki, ma sembrava persistere nella sua condizione di lampada da interni, così proseguì quell’intervista da sola. «Penso che tu stia parlando di Kureo Mado», aggiunse infine, guardando Porpora annuire.
«Che brutta faccia aveva quello.»
«Non dirlo a sua figlia», gli fece presente Aiko, prima di
scioccare la lingua. «Parlando di figli, Saburo ne aveva?»
«Uno solo. Un ragazzo dalla faccia poco sveglia, di uno stampo
diverso rispetto il resto della sua famiglia.» Donato guardò una delle foto più
attentamente, scuotendo il capo. «Una buona imitazione degli schemi del padre e
del nonno, ma c’è troppo caos in questa composizione. Poi non c’è passione, non
c’è la sincera vena sadica dei Saburo. Per questo Senza Faccia lo ha bandito
dai clown.»
«Quindi lo avete buttato fuori?»
«Non aveva proprio la stoffa della grandezza e mancava
completamente del senso dell’umorismo. A cosa può servire un clown che non fa
ridere?» Restituì le foto, incrociando le mani di fronte a sé e studiandone le
rughe che ricoprivano il dorso, in un dedalo complesso. «Sai, Masa, io non sono
un uomo nostalgico, ma ci sono collaboratori che ogni tanto mi ritrovo a
ricordare. Se avessero visto cosa è diventato l’ultimo dei Saburo, si sarebbero
vergognati. Per questo supporto la decisione di Senza Faccia, soprattutto dopo
il grande tradimento che ci ha fatto quel pivello.»
Aiko sentì che c’erano quasi. La risposta era proprio dietro
l’angolo. «Quale tradimento?»
«A quanto ne so, era innamorato di una ragazza umana. Ha trovato
un lavoro e ha cercato di inserirsi nel mondo.» Donato scosse il capo, grave.
«Che pessima, pessima decisione.»
«Dammi qualcosa di consistente, Donato.»
Il ghoul sorrise, mostrando i canini. «Posso farlo?»
«Sì. Decisamente.»
La guardò, prima di annuire. «Va bene, allora. Stai cercando Youto
Saburo. Se posso consigliarti da dove iniziare penso che dovresti…», il
telefono riprese a suonare e per la seconda volta, lei lo spense. «Sembra importante.»
«Forse è meglio che facciamo una pausa o stasera lo strozzo.» Aiko
si alzò, appoggiando la penna sul tavolino. Lanciò uno sguardo a Tooru, che
annuì piano, senza spostarsi di un centimetro. Poi si rivolse a Porpora. «Un
secondo solo, Donato.» Si avviò quindi, tenendosi però fuori dalla porta
chiusa, senza spostarsi. La chiamata durò circa due minuti e la causa
scatenante di tutta quella fretta era ovviamente Matsuri che pretendeva di
avere immediatamente delle informazioni. Dopo aver liquidato velocemente il
caposquadra riattaccò, facendo per entrare.
Tooru uscì in fretta, rischiando di sbatterle contro. Non le diede
il tempo di parlare e le ricordò un po’ se stessa, quando a sua volta era
uscita da quella stanza,incontrando Take. Non aveva la stessa determinata e
vittoriosa espressione però. «Saburo lavora alla banca Imperiale di Tokyo», le
fece sapere, scartandola mentre cercava di uscire. «Chiamo io per avere il
mandato per i loro registri. Ti aspetto in auto.»
«Tooru?», allargando le braccia, Masa lo guardò sfrecciare via.
Gli arti ricaddero lungo i fianchi e non le rimase altro che rientrare. «Cosa
gli hai detto?»
«Non so di cosa parli.»
«Va bene, non importa.» La mora tornò a sedersi, alzando una mano
in un movimento preciso. Sapeva che c’era Tsubasa a guardarla oltre la
telecamere e sapeva che di lì a cinque secondi non ci sarebbe stato più l’audio
nella registrazione. Guardò di nuovo Donato, sapendo a che punto erano di
quella visita.
Lui però la sorprese. «Io non ho detto nulla», sussurrò con tono
canzonatorio, come se quell’intera situazione lo stesse divertendo parecchio.
«Il ragazzo è già abbastanza squilibrato di suo. Fossi in te farei una ricerca
su di lui.»
Aiko riflettè su quelle parole, realizzando che però non era il
caso di giocare al ‘caro diario’ con Donato Porpora. Tirò un sorrisetto,
passando oltre.
«Parliamo di Amon.»
Un sorriso si dipinse sulle labbra del prete, crudele e freddo
come l’inverno.
✞
Dopo aver passato la mattinata a controllare e ricontrollare i
permessi che puntualmente Matsuri le rigettava sostenendo che non erano chiari
abbastanza, Masa aveva ottenuto il via libera di andare personalmente alla
banca Imperiale a fare qualche domanda, senza però avere fra le mani un
mandato.
Matsuri si divertiva a metterle i bastoni fra le ruote, questo era
poco ma sicuro, e lei sapeva che non poteva biasimarlo visto che il passatempo
preferito della ragazza era quello di deriderlo o fargli fare figure ben poco
onorevoli. Seminava ciò che raccoglieva. In ogni caso, scavalcandolo, aveva
chiesto direttamente alla sola persona che sapeva avrebbe firmato qualsiasi
cosa senza leggere. Per questo aveva preso Komoto e lo aveva scaricato
direttamente di fronte alla sede centrale della banca, con in mano un mandato
firmato da Arima Kishou per visionare le registrazioni inerenti al personale di
sicurezza. Aveva un identikit molto dettagliato datole da Porpora in persona ed
era certa che Saburo non avrebbe mai usato il suo vero nome per ottenere un
contratto lavorativo.
Aveva scavalcato il classe speciale Washuu senza farsi nemmeno un
problema, ben decisa a continuare a sfruttare lo Shinigami Bianco. A nessuno
sarebbe mai venuta la malsana idea di fargli rapporto o andare anche solo da
lei a dirle che non poteva. Arima valeva molto più di Matsuri, nonostante non
fosse lui il figlio del direttore Yoshitoki.
Non si sarebbe più sottomessa all’umiliazione di presentare dodici
richieste per vederle tutte rigettate o ridimensionate.
Dopo averlo detto nemmeno troppo candidamente al capo della
squadra S2, che si era inalberato nel suo solito modo vagamente contenuto, era
tornata a casa senza avere nemmeno una notizia di Tooru. L’aveva chiamato due o
tre volte, prima di realizzare che aveva blaterato qualcosa circa una pista che
voleva provare a seguire. Aveva quindi preso quel pomeriggio da sola per farsi
un lungo bagno avvolta dal vapore dell’acqua bollente a contatto con la pelle,
fino a renderla rossa. Cullata dei profumi dei sali da bagno aveva perso un po’
di tempo. Quando era uscita erano quasi le sei e la stanza non era più vuota.
«Mi hai comprato la cioccolata?», fu la prima cosa che chiese a
Urie, quando lo vide. Quando questi alzò una mano, senza staccare gli occhi da
un fascicolo, mostrandole la tavoletta avvolta dalla carta bianca e azzurra,
lei andò verso di lui contenta. «Buonasera», gli disse, afferrando il dolce e
stampandogli un bacio proprio sopra all’orecchio, nel modo più rumoroso
possibile. Kuki tremò sul materasso, guardandola male e cercando di scostarla,
quando Aiko si appoggiò a lui con i capelli bagnati. «Il rapporto di Tooru
sull’interrogatorio a Porpora?»
«Come mai lo hai fatto fare a lui?»
«Perché non ha mai lasciato la cella, al contrario di me. Dovevo
rispondere a un rompipalle.» Aiko tornò verso il comò, portando con sé lo
sgabello sul quale Urie di solito si appoggiava per dipingere. Sistemò
l’asciugamano sul petto, prima di accendere il phon per asciugare i capelli,
con un pezzo di cioccolato che le sporgeva dalle labbra sottili.
«Sai a cosa stavo pensando?», domandò retorica quando spense
l’apparecchio rumoroso, senza voltarsi a guardarlo. Nei cassetti condivisi non
trovava mai niente, così prese ad aprirli più o meno tutti, incasinando anche
la roba dell’altro.
«Non mi interessa, Aiko.»
«Abbiamo maturato un sacco di ferie.» Lei ovviamente proseguì,
incurante. «Dovremmo prenderci una settimana a giugno. Andiamo al mare?»
«Andiamo? Andiamo chi? Senti, questo rapporto ha parecchie omissioni, lo hai letto? Tooru non ha scritto nemmeno una riga su ciò che è successo mentre tu eri in corridoio.»
«Se pensi di fare il taccagno ti sparo. Non rimarremo a Tokyo,
perché la spiaggia di Odaiba fa un po’ schifo. Voglio andare a Shirahawa o su
una delle isole di Okinawa, tipo Main. L’ideale sarebbe andare proprio fuori
dal Giappone, perché conoscendoti staresti sempre al cellulare con il tuo
scopamico Matsuri che oggi mi ha-»
«Aiko.»
Lei lo guardò, prima di puntargli contro il reggiseno minacciosa.
«Io non ho contatti con Mutsuki da questa mattina a colazione. Poi mi sono
occupata della parte legale mentre lui seguiva una pista di cui non mi ha
parlato. Anche io l’ho letto e aspettavo solo che fossi tu a fare il tuo lavoro
di caposquadra. Non pretenderai che faccia tutto io, no?»
«Tutto tu?», Urie alzò un sopracciglio, tornando al rapporto. Il
reggiseno gli arrivò in faccia, preciso al millimetro. «Non hai il diritto di
offenderti. Non fai proprio niente.»
«Chi ha cucinato ieri?»
«Io.»
«…Chi ha fatto il bucato per tre giorni di fila?!»
Il ragazzo lasciò perdere quell’ennesima battaglia persa in
partenza. Sospirò, sfogliando velocemente il fascicolo prima di richiuderlo.
Sembrava pensieroso. «Vado a parlarci non appena rincasa, allora. Hai provato a
chiamarlo?»
«Per tutto il giorno.» Tenendo in mano l’intimo, Aiko andò a
sedersi dietro di lui. «Però non mi risponde.»
Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi il caposquadra passò a
un altro rapporto, stavolta di Hsiao. Masa lanciò un’occhiata alla scrittura
perfetta della taiwanita, prima di schioccare la lingua contro il palato.
Sorrise maliziosamente, appoggiando il mento sulla spalla di Urie. «Quindi,
dove mi porti in vacanza?»
«A Fukushima.»
La ragazza lo sorprese. Invece di lamentarsi per quella battuta
per nulla simpatica allungò le mani avanti, aprendogli la cintura dei
pantaloni.
«Ok, Cookie. Riproviamo.»
Urie guardò verso il basso, prima di allungare un occhio indietro.
Accanto alla sua spalla era apparso il braccio della ragazza che reggeva in
mano l’asciugamano giallo che l’aveva avvolta fino a quel momento. Gli si
asciugò la bocca.
Aiko lo lasciò cadere a terra.
«Dov’è che mi porti?»
Alla fine della sessione di sesso Masa aveva ottenuto otto giorni
di ferie insieme a Kuki a metà giugno. La data precisa era ancora da definirsi,
ma grosso modo avevano un’idea e lei avrebbe prenotato entro la fine della
settimana da qualche parte, così da non dargli il tempo di ritrattare.
Avevano perso tempo a letto, lei a prenderlo in giro e lui a
concederglielo, notevolmente ammorbidito dall’amplesso e dalle carezze che lo
avevano succeduto. Nonostante giocassero entrambi la carta dell’amicizia con
benefici, il tempo che trascorrevano insieme iniziava a diventare imbarazzante.
Lei aveva passato le dita fra i suoi capelli umidi di sudore per lunghi minuti,
così tanti che si erano fatte le otto e mezza. Convinti che Mutsuki fosse
tornato e che Saiko e Hsiao stessero aspettando la cena, si erano costretti a rivestirsi.
Urie aveva optato per una doccia veloce, dando precise disposizioni a Masa: accendere
il forno, mettere a bollire una pentola di acqua e preparare una padella con
dell’olio, magari iniziando a tagliare le cipolle senza lasciarci le dita.
«Tanto ricrescono e nessuno disdegna troppo la carne umana», lo
aveva ripreso lei ridendo, mentre si infilava un paio di culotte nere e la
camicia dello stesso Urie, a mo’ di trofeo. Poi aveva ignorato le lamentele del
ragazzo sul fatto che quella fosse la sua ultima camicia nera pulita ed era
sfrecciata giù per le scale, con i piedi scalzi che battevano piano il parquet
di legno.
«Saiko!», aveva trillato saltando gli ultimi quattro gradini e
atterrando con agilità. «Mucchan è tornato?», aveva proseguito, lanciando uno
sguardo ai divanetti e immobilizzandosi subito dopo. Oltre alle due colleghe,
c’erano altre due paia di occhi a fissarla.
Rimase ferma di fronte a loro, con le gambe lasciate nude dagli
slip e dalla camicia, che arrivava di pochissimo a coprirle quel poco di
coscia. Urie non aveva poi il busto molto più lungo del suo, ma quella era
palesemente una camicia da uomo. Si vedeva dalle spalle.
«Uhm?»
Yonebayashi, che stava sogghignando senza pudore, alzò una mano
indicando quelli che erano palesemente due adolescenti molto interessati allo
spettacolo. «Macchan, ti presento i due nuovi Quinx arrivati in anticipo:
Higemaru Toouma e Aura Shinsempai. Lei è il vicecaposquadra Masa Aiko.»
Entrambi rimasero imbambolati su quelle gambe chilometriche per un
paio di secondi, mentre l’ossigeno tentava di affluire al cervello. Solo quando
Aiko parlò, tornarono in contatto con la realtà e si alzarono contemporaneamente,
chinandosi con rispetto al superiore, rossi in viso come due pomodori maturi.
«Piacere di conoscervi ragazzi.» Lei non sembrava nemmeno
lentamente a disagio, solo sorpresa. «Siete giovincelli eh? Dovrò iniziare a
mettermi dei pantaloni.» Nonostante questo, comunque, non andò a cercare
qualcosa con cui coprirsi nell’immediato. Guardò piuttosto Saiko, mentre
Higemaru blaterava qualcosa che somigliava molto a un ‘amo questo lavoro’ detto
a mezza bocca. «Perché non ci hai chiamati?»
«L’ho fatto.»
La mora sviò. «Tooru?»
Saiko le fece spazio, togliendo il braccio così che Aiko riuscisse
a sedersi sul bracciolo del divanetto, perplessa. «Non lo abbiamo ancora visto»,
le rispose, sorpresa. «Non lavora con te?»
«Oggi avevamo da fare troppe cose, tutte insieme.» Portando il
telefono all’orecchio, Masa riprovò a chiamare. Nessuna risposta. «Ti dirò,
inizio a preoccuparmi un po’. Non lo sento da questa mattina e sta indagando
sul caso del Funambolo.»
Saiko parve condividere la sua preoccupazione, mentre Hsiao
lanciava uno sguardo abbastanza eloquente alle due nuove leve, distratte in
modo eccessivo da quelle gambe. «Forse dovremmo dirlo al caposquadra?»
«Tanto ora scende.», le rispose Masa, alzandosi e andando verso la
cucina, prendendo una pentola e una padella. Non ricordava quale era l’altro
ordine di Urie, così con molta nonchalance fece finta di non averlo proprio
sentito. «Quindi, siamo diventati tanti in questa casa. Preferenze alimentari?»
Aura era troppo imbarazzato per aprir bocca. Higemaru invece non
si fece nemmeno uno scrupolo a raggiungerla nell’angolo della cucina, sedendosi
al tavolo. Ironicamente, al posto di Urie. «Qualsiasi cosa il vicecaposquadra
cucinerà, andrà bene.»
«Io so fare il riso bianco», rispose lei, cogliendo al balzo
quella sorta di flirt molto dolce. Higemaru sembrava un quattordicenne. «Lo
chef sta arrivando», lo mise al corrente, sentendo dei passi per le scale.
«Aiko, giuro che se mi hai già sporcato la camicia, te la ficco in
gola!»
Masa e Yonebayashi si scambiarono uno sguardo di puro
divertimento, ma nessuna delle due riuscì a trattenersi dal ruggire una risata
di fronte alla faccia dei novellini. Higemaru aveva guardato Urie, che fra
l’altro lo stava fissando piuttosto perplesso dalla presenza sua e dell’altro
giovane, con gli occhi sgranati e la bocca socchiusa. Aura era diventato
praticamente di marmo.
Non c’erano speranze che i due non avessero capito la situazione,
tanto che Hsiao sospirò, ripetendo le esatte parole che erano state dette a lei
al suo arrivo. «Stanno insieme.»
«Non è vero!», ripeterono quei due a copione, mentre Hige iniziava
a guardarli entrambi con la faccia di chi si è fatto una bella idea in testa.
«Chi siete, quindi?», domandò stanco il caposquadra, accendendo il forno e
facendo ricordare a Masa che anche quello era suo compito.
«I due nuovi Quinx.», aveva risposto proprio Aiko, lasciandolo un po’ a corto di risposte. Bell'inizio, notevole anche per noi due, era stato il primo pensiero del ragazzo, che però poi era arrivato alla conclusione che era meglio tenere i panni sporchi in casa. «Siamo preoccupate per Tooru, comunque. Non riusciamo a contattarlo.»
Urie rizzò le orecchie a quelle parole, puntando gli stretti occhi
serpentini sul suo vice. «Non risponde ancora al cellulare?»
«No. Sono quasi dodici ore che non mi fa sapere la sua posizione.»
Il ragazzo allungò la mano. «Dammi il tuo telefono, provo io e se
non risponde allora allerterò Matsuri. Sai almeno dove potrebbe essere?»
Masa gli diede lo smartphone, scuotendo il capo. «No. Ma non credo
sia ancora nella prima. Mi aveva detto che voleva fare qualche domanda al
negozio di maschere e partire da lì, ma non so altro.»
«Quindi ha iniziato nella quarta? Hai il numero di quel tipo
strambo, no?»
«Uta?», Masa non sembrava convinta. «Preferisco non chiamarlo.
Vediamo prima se riesci a contattare Tooru.»
Non appena Kuki portò il telefono all’orecchio, seppur ovattata,
una melodia arrivò alle loro orecchie. Un grattare di chiavi nella toppa
precedette l’entrata di Mutsuki, che reggeva fra le mani il telefono. «Aiko?»,
chiamò, permettendo così a Urie di riagganciare.
«Mucchan!», lo chiamò Saiko. «Eravamo tutti preoccupati, dove sei
stato?»
Il ragazzo era più pallido del solito. Sorrise tirato a
Yonebayashi, guardando verso la cucina dove Hige e i due superiori lo
esaminavano in attesa. Sia Urie che Masa erano visibilmente sollevati, in ogni
caso. «Vi chiedo scusa», sussurrò, imbarazzato, prima di rivolgersi solamente a
Urie. Sembrava teso. «Posso parlarti in privato?», domandò, stringendo fra le
mani la cintura del trench, strizzandola.
Il moro annuì, rivolgendosi ad Aiko. «Taglia le cipolle», le disse
con tono tirato, ferendola un po’. C’era qualcosa in quel suo modo di porsi,
come se la stesse già preventivamente incolpando di qualsiasi cosa potesse essere
successo a Tooru.
Masa comunque gli rispose che l’avrebbe fatto subito, guardandoli
sparire al piano superiore, prima di avvicinarsi al divano, seguendo una scia
d’odore.
«Lo hai sentito?», le chiese subito Saiko. Masa annuì. «Non è
umano, vero?»
«No.» Aura guardò alternativamente Aiko, ferma come un cane da caccia in punta e poi i due Quinx da poco arrivati come lui, poi tornò sul vice. «Non credo nemmeno che sia ghoul, ma è forte. E tanto.»
«Cosa succede?», chiese Higemaru, che non stava capendo assolutamente
niente. Per evitare di creare qualsiasi incidente diplomatico, Masa mosse la
mano davanti al viso, tornando da lui in cucina.
«Niente», gli sorrise, prendendo dal frigo la cipolla e un
tagliere, che mise sotto al naso del ragazzo. «Aiutami a cucinare e dimmi
qualcosa di te, avanti.»
Il ragazzo rispose entusiasta, ma non gli sfuggì l’occhiata veloce
che Aiko scambiò con Saiko.
Sembravano sapere qualcosa che non avrebbero condiviso con lui.
Urie e Mutsuki non si videro per un po’, così a cucinare ci finì
Hsiao. Quando Urie riapparve era scuro in volto e mangiò poco del pollo saltato
con le verdure che la taiwanita aveva preparato, rivelandosi una cuoca
decisamente migliore di lui.
Mangiò in silenzio, mentre i due nuovi acquisti si raccontavano,
sotto lo sguardo velatamente preoccupato di Aiko. I piatti da lavare spettarono
alle due colleghe, così dopo aver sistemato nelle stanze i ragazzi – Hige
avrebbe dormito nella vecchia stanza di Masa, mentre Aura in quella di Urie – andarono
spediti in camera.
Anche lui sembrava desideroso di parlarle.
«Allora?», chiese con una certa apprensione Masa, mentre il
ragazzo andava al letto, lanciando nel cestino il rapporto di Mutsuki. Quel
gesto la lasciò per un istante senza parole. «Cookie, cosa è successo?»
«Tooru oggi non ha fatto nessuna ricerca», la informò spicciolo il
moro, sedendosi sul materasso che cigolò sotto di lui. «Ha parlato con Suzuya e
poi col direttore Washuu, chiedendo un trasferimento a tempo indeterminato
verso un’altra unità, come supporto a causa della scarsità di personale nelle
squadre di prima linea.»
«Aspetta», lo interruppe lei. «Mutsuki ha deciso di lasciare i
Quinx?»
Urie non rispose direttamente alla domanda. «Ha chiesto
un’aspettativa di una settimana e poi inizierà a lavorare con Suzuya e i suoi,
fino a che non verrà riassegnato a un’unità bisognosa. A quanto pare, solo
quella squadra ha deciso di accollarsi il rischio di avere un Quinx fra le
proprie file.»
Masa andò a sedersi accanto a lui, con le labbra schiuse per lo
stupore. Quella notizia arrivava come una fucilata nella notte. Tutto si
sarebbe aspettato, ma non quello. «Ti ha detto il motivo?»
«Ha detto che non si sente a suo più agio nella squadra, da quando
abbiamo cambiato gli assetti. Mi ha ripetuto che non ha niente a che fare con
il lavoro che stavate svolgendo insieme, me lo ha detto così tante volte che
inizio a pensare che volesse convincersene da solo per non scaricare su di te
tutta la colpa.»
Aiko lo guardò, improvvisamente all’erta. «Stai dicendo che pensi
che sia colpa mia se ha deciso di andare via?»
«Lo hai lasciato da solo con Porpora.»
«Due minuti! Avevo un grado molto inferiore al suo la prima volta
che Hirako mi ha lasciata in una stanza da sola con lui.»
Lui non la ascoltò nemmeno. «Forse le hai messo qualcosa in
testa?»
«Non gli ho messo nulla in testa», corresse calcando soprattutto sul maschile, prima di alzarsi, fuori dalle grazie del cielo. «Sai cosa penso? Non accetti il fatto che la tua leadership gelida, rispetto a quella di Sasaki, potrebbe aver messo Tooru nella condizione di voler provare qualcosa di diverso. Per questo preferisci scaricare a me la colpa, perché ammettere che forse sei un capo di merda è troppo per il tuo enorme ego.»
Sapeva di averlo ferito profondamente, soprattutto perché Aiko era
perfettamente a conoscenza dei sentimenti contrastanti che Kuki provava verso
Mutsuki. Forse si era innamorato dell’idea che sotto Tooru fosse una ragazza,
che forse lo capiva o chissà quale altra parabola mentale, ma Aiko non avrebbe
accettato niente di tutto ciò perché, alla fine di quella storia, quando Tooru
avrebbe liberato la stanza, ci sarebbe stata lei a raccogliere i cocci di Urie
per tutta la casa.
Come sempre.
Però lui non si era minimamente curato di denigrarla, dimostrando
che allora pensava davvero che lei non solo non sapesse fare il suo lavoro, ma
che forse non era nemmeno portata a essere un capo.
«Mi chiedo perché mi hai nominata tuo vice, quando non ti fidi di
me.» Lo disse tagliente come una spada, soffiato, in modo che dalla voce
trasparisse tutta la delusione che provava in quel momento. Si rifiutò di
guardarlo, prendendo un cuscino e una coperta dall’armadio.
Lui non la fermò.
Non disse niente.
Lei arrivò a prendere anche un paio di pantaloni e infilarli,
prima di lasciare la stanza. Non se ne andò in silenzio, ad ogni modo.
«Sai, ti atteggi a grande investigatore, ma non ti sei nemmeno
accorto che il vero problema di Tooru è il non lavorare più con Sasaki. Perché
lo ama, coglione.»
Uscì tirandosi dietro la porta, puntando diritta il divano sul
quale avrebbe dormito di lì al giorno in cui si sarebbe liberata la camera di
Mutsuki. Non sarebbe probabilmente successo, non avrebbe lasciato la stanza di
Urie, ma in quel momento bruciava così tanto che avrebbe preferito chiederlo
lei, il trasferimento.
Si sentiva messa in discussione per qualcosa che non aveva fatto,
perché delle tante cattiverie delle quali si era vista protagonista in quegli
anni, l’impegno che metteva nei Quinx ne rappresentava il riscatto.
Impegno che però non vedeva riconoscimenti.
Continua.
Nda.
Grazie a Virgy per la betatura <3
Grazie a chi legge.
C.L.