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Autore: ___Page    01/05/2017    3 recensioni
Con l’estate alle porte, le speranze del ragazzo si rafforzavano di giorno in giorno. Certo era pazzesco pensare che, fino a quello che gli sembrava ancora ieri, erano solo due sconosciuti in punizione e lunedì sarebbero andati a scuola insieme per l’inizio degli esami.
*Fanfiction partecipante alla challenge "This would be love" indetta dal forum FairyPiece - fanfiction&images*
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Starring: Charlotte Pudding, Ishley, Izou, Jewellry Bonney, Kayme, Koala, Marco, Nefertari Bibi, Perona, Portuguese D. Ace, Sabo, Satch, Trafalgar Law.
Seguito di "Otto in condotta".
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Koala, Nefertari Bibi, Portuguese D. Ace, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Raftel High School - Le Cronache'
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Angolo dei chiarimenti: 
Salve signore e signori! Ebbene sono qui solo perchè mi sono dimenticata (pessima me!) l'altra volta di specificare due importanti dettagli. Ovvero che per l'espressione "strano bello" devo ringraziare Momo, che mi ha contagiato con questo bellissimo concetto che ormai è entrato nel mio vocabolario e che è grazie a Zomi se ho avuto l'idea di far fare a Izou la contrazione dei nomi delle coppie. Un bacio a queste due meraviglie!
Non vi disturbo oltre e vi auguro buona lettura. Hope you'll enjoy it.
Page.  
 


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*AMORE TIMIDO*





 
Venerdì 16 giugno.
Ore 21.30 ca.
 
 Bibi era sempre stata una persona adattabile. Pur essendo di famiglia benestante, non era viziata e i suoi genitori avevano avuto la lungimiranza di tirare grandi lei e suo fratello Pell insegnando loro l’importanza di guadagnarsi le cose nella vita.
I buoni voti a scuola per ottenere la bicicletta gialla con il manubrio arancione, l’impegno a danza per poter ballare in prima fila al saggio, le ripetizioni per pagarsi le pizze con le amiche e quella gonna effetto vedo non vedo che teneva come una sacra reliquia nell’armadio e indossava solo in occasioni speciali.
Bibi aveva imparato a non dare mai niente per scontato e non pensava che nella vita nulle le fosse dovuto, se non il giusto rispetto che ogni persona merita, a lei come a chiunque altro.
Per questo non era proprio riuscita a trattenersi quando Miss Doublefinger aveva ridotto in lacrime la povera Musse durante un’interrogazione. Era stato un abuso bello e buono a cui Bibi aveva reagito forse con un po’ troppa veemenza e momentanea amnesia di tutte le buone maniere che i suoi le avessero mai impartito.
C’era da dire che all’Alubarna Private School for Girls era considerato volgare anche lo smalto di una sfumatura di rosa diversa dal confetto e le colorite espressioni di Bibi erano state sufficienti a comprarle un biglietto di sola andata per l’espulsione, proprio all’ultimo semestre dell’ultimo anno.
D’altro canto, Miss Doublefinger era stata tempestivamente rimossa dal suo ruolo di supplente e Bibi non era stata costretta, come sarebbe accaduto qualora fosse stata realmente lei quella in torto, a porgere formali scuse alla sedicente insegnante. Anche se nessuno lo aveva detto chiaramente e ad alta voce, a casa erano stati tutti fieri di lei, come testimoniava la totale assenza di ramanzine o punizioni a seguito dell’avvenimento.
Bibi si era ben guardata dal contestare la scelta del liceo dove avrebbe trascorso gli ultimi mesi e sostenuto gli esami e in fondo, anche se avesse voluto, non avrebbe comunque trovato nulla da ridire. Fintanto che avessero tenuto conto della sua particolare situazione, la Raftel andava bene come qualsiasi altro istituto.
Ora, a quasi tre mesi di distanza dal fatidico giorno della sua prima visita, che aveva coinciso anche con il fatidico giorno dell’esplosione del laboratorio di chimica, Bibi vedeva la situazione con occhi nuovi e più saggi e la Raftel, a posteriori, era in coscienza la cosa migliore che le sarebbe mai potuta capitare.  
Cora aveva smosso mari e monti per accertarsi che si integrasse, che tutti i compagni l’accogliessero, che l’intero corpo docente venisse a conoscenza con precisione delle reali motivazioni che avevano spinto Bibi ad agire come aveva agito. Per un qualche motivo, che solo a Cora sfuggiva, solo Vergo non aveva trovato eroiche e degne di nota le sue azioni. Tutti gli altri insegnanti, chi manifestatamente chi con più discrezione, avevano espresso ammirazione nei suoi confronti.
A Bibi sembrava di essere alla Raftel da sempre e quando ricordava che non era così una strana malinconia la assaliva alla bocca dello stomaco, perché avrebbe voluto davvero essere lì da sempre, avere percorso quei corridoi e sostato in quelle aule per più di un semestre spezzato. Ma subito la malinconia si dissolveva al pensiero che almeno aveva fatto in tempo a fare parte di quella folle scuola e conoscerla abbastanza da poterla considerare una seconda casa, anche se per poco. E questo certo era stato grazie al suo spirito altamente adattabile, alla sua indole dolce ed altruista ma anche, e innegabilmente, al supporto e vicinanza del più malassortito gruppo che la Raftel avesse mai visto percorrere i propri corridoi e nel quale si era ritrovata catapultata di pieno diritto, essendosi formato proprio il giorno della sua prima visita nonché dell’esplosione del laboratorio di chimica.
Non si era dovuta inserire nella compagnia, era stata una delle sue fondatrici. E da quel non poi così lontano ventuno febbraio erano stati ogni giorno di più e ogni giorno immancabilmente loro sei. Certo a volte Law spariva per stare con Shachi, Bepo e Pen o Shachi, Bepo e Pen si univano a loro, a volte Koala mangiava con Nami e Izou ma c’era sempre posto al loro tavolo per lei o Perona o Ace, come anche per Zoro, Sanji, Satch e Marco, e quando Sabo sentiva il bisogno di fare il fratello maggiore e controllare che Rufy e i suoi amici non si stessero mettendo nei casini, se la trascinava sempre dietro.
Non l’aveva mai lasciata da sola. Non l’avrebbe mai lasciata da sola, lo sapeva Bibi.
Da quel non poi così lontano ventuno febbraio erano stati ogni giorno di più e ogni giorno immancabilmente loro due. E ancora faticava ad abituarsi all’idea. Al punto che, nonostante il suo spirito altamente adattabile, a Bibi ancora faceva strano girare con tanta familiarità per casa Monkey.
«Ragazzi volete anche voi dei pop-corn?» chiese, inarcando appena la schiena all’indietro per sporgersi oltre lo stipite della porta della cucina.
Chopper, Franky, Usopp e Rufy erano impegnati a cercare di distruggere i joystick della MiniMerry 2, la console vintage di Usopp che il ragazzo spostava da casa propria a casa del suo migliore amico una cosa come due volte a settimana durante l’anno scolastico e che lasciava lì in pianta stabile durante la stagione estiva. In fondo il piccolo cubo si incastrava alla perfezione tra il televisore al plasma e la Sunny 100, la console di ultima generazione che nonno Garp aveva regalato a Rufy. E, soprattutto, per loro l’estate era già iniziata da una settimana, nonostante i debiti, da cui solo Chopper si era salvato, e l’otto in condotta, che avevano collezionato tutti e quattro.
«Per caso ci sono quelli dolci, Bibi-san?» chiese Chopper, con quel suo tono dolce e gli occhi speranzosi che facevano sciogliere chiunque si ritrovasse ad osservarli. Era così tenero che Bibi si chiedeva a volte come facesse ad avere nelle vene lo stesso sangue di Nami, con cui era diventata amica al gruppo di dibattito, e Nojiko, che conosceva appena ma che bastava vederla dare direttive alle compagne della squadra di softball per farsi un’idea del suo bel caratterino.
Bibi controllò con occhi esperti il contenuto della dispensa, zigzagando tra le barrette energiche, la crema alle nocciole e le scorte di zucchero e caffè. «Ci sono quelli al caramello, vanno bene?»
«Benissimo!» rispose Chopper già in estasi, aggrappandosi alla testata del divano con occhi stelliformi e un po’ di saliva all’angolo della bocca.
«Chopper, non distrarti! Non ora!» protestò Usopp.
«Vai fratello di gomma, è il momento, roviniamoli! Sì!!! SUUUUUUUUUUUUUUUUUUUPER!!!»
«Oh accidenti!» protestò Usopp, lanciando il joystick sul pavimento in un gesto di stizza, mentre Franky dimenava il bacino avanti e indietro, in mutande e in piedi sul divano, per festeggiare la vittoria sua e di Rufy, che rideva a crepapelle rotolando sul pavimento.
«Usopp scusa io…»
«Non preoccuparti Chopper.» lo interruppe subito l’amico, scompigliandogli i capelli. Chopper dava a tutti l’impressione di avere bisogno di protezione. «Alla prossima li facciamo neri.»    
Bibi sorrise tra il divertito e il perplesso, ascoltando scoppiettare i pop-corn senza sale, mentre apriva la salsa al caramello da versarci sopra e contemporaneamente travasava quelli salati che aveva appena preparato per sé e Sabo. Lanciò un’occhiata un po’ preoccupata verso le scale e sospirò abbacchiata. Non lo aveva mai visto così a terra e il solo pensiero faceva male.
Il trillo del microonde arrivò celere a distrarla dalle sue deprimenti riflessioni e Bibi accolse quel breve diversivo, travasando anche quei pop-corn in una ciotola di plastica colorata e spargendo la salsa ocra e appiccicosa sugli snack, prima di portarli in salotto e posarli sul tavolino.
«Oh Bibi grazie!» esclamò Usopp, sottraendo prontamente la ciotola dalla presa abbuffina di Rufy. Chopper era troppo estasiato per esprimersi.
«Ehi sorella, ti ho mai detto che i tuoi capelli hanno un color suuuuuper?!»
«Almeno una decina di volte Franky.» gli rispose Bibi, sempre cortese e sorridente, un piede sul primo scalino della rampa che portava al secondo piano.
Prese a salire, sempre più in fretta, ansiosa di tornare in camera ma, non appena fu davanti alla porta chiusa, esitò con la mano sulla maniglia.
Dire che Sabo era giù di morale era un eufemismo e lei odiava vederlo così, vedere quell’espressione sul suo viso perfettamente simmetrico e senza un difetto. Odiava non poter fare niente per cancellarla e su questo punto non sapeva più nemmeno lei se fosse altruismo o egoismo. Probabilmente un mix di entrambi.
Da un lato c’era la voglia quasi ingestibile di farlo stare meglio, di fare tutto per lui. Dall’altro la delusione di non essere abbastanza o comunque, ora ne aveva la conferma, di non significare per lui quanto lui significava per lei.
Non che Bibi pretendesse di essere più importante di Ace, che faceva parte della vita di Sabo da sempre. E neanche Bibi chiedeva di più. Lei era felice anche così, felice di poterlo baciare, felice di essere sua. Solo, alla luce di quella serata, era grata di non essere mai andata oltre tutte quelle volte che era arrivata a tanto così dal dirgli ciò che provava.
Non ci era voluto poi molto, per cadere tra le sue braccia. Se avesse dovuto indicare un momento, non ne sarebbe stata capace ma a volte aveva il dubbio di essersi innamorata di lui non appena le aveva sorriso, davanti alle macchinette del pian terreno.
Così aveva aspettato, perché sembrava troppo presto, e quando aveva smesso di sembrare troppo presto e aveva cominciato a sembrare ridicolo stare zitta solo perché sembrava troppo presto la timidezza aveva preso il sopravvento.
Ora, per la prima volta, ringraziava di non essere riuscita mai ad andare oltre ogni volta che era stata a un passo dal dirgli chiaramente cosa provava per lui. Ora sapeva che non era ancora il momento.
Era evidente che Sabo tenesse lei ed era quindi legittimo sperare che fosse solo una questione di tempo a meno che le loro strade non si fossero divise prima.   
Bibi sapeva cosa voleva. Voleva andare a Marijoa e studiare Scienze Politiche. Ma non conosceva i progetti di Sabo, non ne avevano ancora parlato e certi giorni temeva che quello che per lei rischiava di diventare il primo amore per lui non fosse che una stagione rubata.
Ma non voleva pensarci, in quel momento il suo futuro arrivava fino al ballo della scuola e non oltre. E in quel preciso istante la sua sola preoccupazione era ciò che avrebbe trovato oltre quella porta.
Con un profondo respiro abbassò la maniglia ed entrò.  
«Pop-corn!» annunciò con molto più entusiasmo di quel che davvero provava, agitando appena la ciotola nell’aria.
Sabo, sdraiato sul letto, staccò gli occhi dal soffitto per girarsi a guardarla e sorriderle, un po’ malinconico. Bibi si avvicinò, le sopracciglia appena corrugate e si sedette accanto al suo costato, posando la ciotola sul comodino. In fondo era andata a prepararli come diversivo, non era come se Sabo non avesse mangiato nulla.
Se c’era una cosa positiva in tutta quella faccenda era che né lui né Ace avevano perso l’appetito. D’altronde non lo perdevano mai per niente.
Bibi fece vagare gli occhi sui fiocchi bianchi e croccanti, senza realmente vederli, ripensando alle condizioni in cui aveva visto Ace quel pomeriggio. E anche alle condizioni della sua camera. Mio dio, quella camera…
Un tocco delicato sul viso la riscosse.
«Ehi?»
Si girò verso Sabo, che si era tirato su e l’aveva chiamata piano e stava allargando il palmo sulla sua guancia mentre la guardava con quello sguardo così difficile da interpretare ma che la mandava sempre così in tilt.
«Ehi.» rispose con tutte le intenzioni di sorridergli ma senza fare in tempo.
La bocca di Sabo si posò decisa sulla sua prima che lei potesse fare qualsiasi cosa. E prima di poter realizzare pienamente cosa fosse successo stava già rispondendo. Si schiacciò contro di lui quando le braccia di Sabo la circondarono, possessive. Gli morse il labbro inferiore mentre si sdraiava sul letto, seguendo docile i suoi movimento, lasciandogli libero accesso nella propria bocca. Lo sentì ridisegnare con la punta della lingua il profilo interno del suo labbro superiore prima di succhiarlo delicato e poi ricominciare a divorarla.
Bibi adorava quando faceva così, quando la coccolava per poi, un attimo dopo, annegarla in quel vortice di sensazioni che spazzavano via ogni pensiero lucido e razionale che Bibi avesse mai avuto. Adorava farsi trascinare, farsi sopraffare dall’istinto quando era Sabo a portarla a quel livello.
Tra un ansito e un mugugno, Bibi si tirò su per mettersi a cavalcioni del suo bacino, le dita incastrate tra le ciocche bionde, i polmoni impegnati a inalare e trattenere il suo profumo. Sarebbe andata avanti a baciarlo così anche tutta la notte, senza smettere, se solo non avesse avuto bisogno di respirare.
E avrebbe anche ricominciato per continuare per il resto della serata se solo, nel separarsi da lui per riprendere fiato la sua bocca non avesse deciso di disconnettersi dal cervello. «Ti a…»
Sgranò gli occhi e chiuse di scatto la bocca, appena in tempo, prima di lasciarsi sfuggire qualcosa di più. Ringraziò la penombra in cui erano immersi perché, a giudicare da come le guance le stavano andando a fuoco, non c’era nessuna possibilità che il colore della sua faccia non si posizionasse da qualche parte tra il porpora e lo scarlatto.
«Bibi?» cominciò Sabo, puntellandosi su un gomito, perplesso.
«Ti avevo portato i pop-corn!» esclamò, con un sorriso nervoso, maledicendosi immediatamente per il pessimo recupero.
Sabo spostò gli occhi dal comodino a Bibi e sorrise, stranito. «Sì, lo hai detto prima.»
«Sì perché ho pensato che, sai, magari ti poteva andare qualcosa da sgranocchiare anche se in effetti hai mangiato un sacco a cena però tu mangi sempre tanto e poi già che c’ero ne ho preparati anche per i ragazzi. Ma lo sai che con la risoluzione della vostra tele i giochi della MiniMerry sono così sgranati che sembra di giocare con dei poligoni? Non so nemmeno come fanno a capirci qualcosa ma mi sa che ormai conoscono il percorso a memoria però sai è davvero strano! E tra l’altro, non so se ti ho detto che anche papà stava pensando di cambiare tivù e dare la nostra a Pell. Mi fa ancora così strano pensare che Pell va a vivere da solo. Beh non solo solo però comunque… cioè sai è diverso dall’università che stava in dormitorio ma poi tornava a casa nel weekend e se penso che a settembre tocca già a noi io boh, cioè a te non fa un po’ strano che…»
«Ehi, ehi, ehi! Wowowow! Bibi calma!» la fermò Sabo non appena riuscì a infilarsi nella stringa ininterrotta di parole. «Calma. Ti stai parlando addosso*.»
«Ah io…» Bibi fece per giustificarsi ma fu interrotta da un altro pensiero. «C-che cosa?» domandò corrugando le sopracciglia.
«Ti parli addosso. Scusa, è un’espressione che ho ereditato da mamma, mi viene naturale usarla. È quando parli a raffica e continui a cambiare discorso. Rufy lo fa spesso.»
«Oh. Oh, ho… ho capito! Scusa io…»
«No, no, non scusarti! Ehi! Non c’è problema, anzi sei tenera quando lo fai.» precisò Sabo, scostandole una ciocca azzurra dal viso. «Di solito non ho problemi a starti dietro ma stasera sei più… missile del solito ecco. Va tutto bene?»
Bibi sbatté le palpebre, esitante, alla ricerca di una risposta che non sembrava voler arrivare. Era completamente bloccata, il cervello in standby e mai in vita sua aveva provato così tanto sollievo quando Demon si mise a grattare alla porta da fuori.
Cogliendo la palla al balzo, Bibi scattò in piedi e si precipitò ad aprire al micio, che mangiava quanto Rufy, pesava come un vitello e aveva fatto sua missione di vita assicurarsi che tutte le porte di casa Monkey restassero sempre aperte. Su quest’ultimo punto la situazione gli stava sfuggendo di zampa ma fu con estremo aplomb che il gatto osservò Bibi richiudere testardamente la porta dopo averlo fatto entrare.
In fondo per le coccole poteva passarci anche sopra e Bibi sembrava particolarmente in vena di fargli i grattini quella sera, cosa che a Demon andava più che a genio.
Fu dopo due minuti abbondanti di attesa, durante i quali Bibi non aveva dato segni di volersi schiodare dalla posizione accosciata in cui si era messa per accarezzare più comodamente Demon, che Sabo decise di riprendere il discorso dove lo avevano lasciato.
«Amore, devo preoccuparmi?»
Per Bibi fu come una cannonata, difficile dire se in positivo o in negativo. Quel termine, “Amore”, usato con così tanta naturalezza da Sabo e rivolto a lei era la cosa più bella e più spaventosa che avesse mai sentito uscire dalla bocca di quello che, tecnicamente anche se non ufficialmente, era in pratica il suo ragazzo.
Poteva significare molto oppure niente e Bibi si rese conto di non essere affatto preparata alla delusione quando, sollevati di scatto gli occhi su di lui, si ritrovò di fronte un Sabo che più impacciato di così non avrebbe potuto. Con gli occhi ora abituati alla penombra riusciva a vedere che era arrossito ma si sarebbe comunque accorta  del suo imbarazzo dal modo in cui si stava accarezzando la nuca.  
 «S-scusa io… A furia di sentire mamma chiamare così papà io…»
«Non importa!» esclamò, rimettendosi in piedi. «E no, non devi preoccuparti, davvero.» decise di cambiare argomento. Era assolutamente il caso di cambiare argomento. «Sto bene, stavo solo ripensando a oggi. Mi è spiaciuto così tanto vedere Ace così.»
E quanto le faceva male vedere Sabo così.
Ma, contro i suoi pronostici, Sabo non si passò una mano tra i capelli, non sospirò rassegnato, non distolse lo sguardo con malinconia. Indurì la mascella in un’espressione determinata e sollevò appena il mento.
«Ace deve fare qualcosa.» affermò deciso, prendendo Bibi in contropiede.
«Come?» chiese perplessa, tornando veloce verso il letto, mentre Sabo si metteva a sedere.
«Io non voglio giudicare nessuno, dovrei prima sentire la versione di Perona per capire che cosa gli ha detto per farlo desistere così ma qualunque cosa sia stata, non è da lui arrendersi in quel modo.» Sabo strinse i pugni e Bibi si affrettò a sedersi sul letto accanto a lui. «Gliel’ho detto anche oggi, deve fare qualcosa. Non può semplicemente stare fermo ad aspettare, non se tiene davvero a lei. Mi stupisco che non abbia fatto niente sul momento, che l’abbia lasciata andare così, se devo essere completamente sincero.»
«Perché, tu che avresti fatto?» Bibi non riuscì a impedirsi di chiedere.
Era colpita dal tono quasi furente di Sabo. Razionalmente sapeva che non ce l’aveva con Ace anche se poteva sembrare, che era solo arrabbiato perché odiava vedere suo fratello in quelle condizioni ed era chiaro che pensasse che Ace fosse la soluzione al suo stesso problema.
Ma in quei tre mesi non lo aveva mai visto una sola volta in disaccordo con lui e non ci voleva un genio per capire che Sabo e Ace erano da sempre due teste e una sola mente. Stava assistendo a un evento che non credeva nemmeno possibile.
«Si è arreso, Bibi, si è arreso senza neanche provarci!» Sabo scosse la testa, senza rispondere alla sua domanda.
«Non puoi dire questo.» lo fermò, determinata. «Sono mesi che Ace lavora sul loro rapporto. Se consideri il carattere di Perona ha fatto passi da gigante, sia nel loro rapporto che con l’atteggiamento di Perona. Aveva anche iniziato a confidarsi con me e Koala, non puoi dire che Ace non ci ha nemm…»
«Io ti avrei inseguita!» esplose Sabo, girandosi di scatto verso di lei. «A costo di sembrare un maniaco, ti avrei inseguita, non ti avrei lasciato andare così! Avrei passato la notte sotto casa tua e anche tutto il giorno, solo per poterti parlare e se anche tu ti fossi rifiutata non me ne sarei mai e poi mai andato senza dirti quello che provo! Anzi te l’avrei urlato nel bel mezzo della strada pur di fermarti!»
Bibi rimase stordita dal pompare del proprio cuore che le rimbombava nelle orecchie, soprattutto perché era certa che a un certo punto, da qualche parte tra “inseguita” e “strada”, avesse proprio smesso di battere. Ma invece era ancora viva, con il fiato sospeso, lo sguardo incredulo e il copriletto stretto tra le dita.
«Che vuoi dire con “quello che provo”?» chiese cauta e forse un po’ spaventata.
Sabo sgranò gli occhi sotto shock e boccheggiò un paio di volte prima di alzarsi improvvisamente dal letto e dirigersi a grandi passi verso la finestra aperta. «No niente. Io non… non parlavo di noi, stavo solo facendo un esempio…»
Non è vero.
Per una volta, Bibi era propensa a fidarsi della voce nella sua testa.
Perché dannazione, lo conosceva bene ormai! Non stava facendo solo un esempio!
«Era un tu universale.»
No, non è vero!
«Comunque non ti ho nemmeno chiesto a che punto sei con la tesina. Io alla fine credo di dover scegliere…»
«Sabo.» Bibi si alzò in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi.
Smettila!
«…altrimenti rischia di venire troppo confusionario, forse potrei fare giusto una piccola divag…»
«Sabo non cambiare discorso!» esclamò, alzando la voce. Si avvicinò decisa a lui, che la fissava senza parole per quel suo improvviso exploit. «Non stavi facendo un esempio! Dimmi cosa intendevi!» insistette, fermandosi di fronte a lui per fronteggiarlo decisa.
Sabo la fissò interdetto un paio di secondi prima di abbassare lo sguardo ai propri piedi, in evidente difficoltà. «Io non… Bibi, io… è complicato…»
«Sì, è la stessa cosa che mi ripeto da settimane e ora mi sto rendendo conto che forse sono stata una cretina a pensarlo.»
«Che…» cominciò Sabo, gli occhi così spalancati da sembrare due fondi di bottiglia. 
Avrebbe voluto chiederle di cosa stesse parlando ma aveva la sensazione di saperlo già, da qualche parte dentro di lui. Ed era troppo bello per riuscire a crederci senza nemmeno un po’ di paura, era troppo bello per essere vero eppure…
Fu la delusione sul volto di Bibi, come se avesse improvvisamente capito qualcosa e Sabo seppe, senza nemmeno un legittimo dubbio, che qualunque cosa fosse aveva capito male.
«I-ignora quello che ho detto. Mi sono fatta trascinare e…»
«Ti amo.»
E stavolta il cuore, almeno per un attimo, le si fermò per davvero.
Tornò a guardarlo, incredula, gli occhi lucidi e pieni di speranza.
«Intendevo questo. E se fossi stato al posto di Ace ti avrei inseguita per tutta Raftel urlandolo al mondo, mi sarei appostato sotto casa tua e lo avrei scritto in giardino usando la ghiaia del vialetto di ingresso e lo avrei ripetuto ancora e ancora finché non mi avresti dato una risposta.» una mezza risata, un po’ amara, gli sfuggì dalle labbra mentre puntava per un attimo gli occhi fuori dalla finestra. «E so che non sembra complicato ma lo è perché ora che l’ho detto ad alta voce se t… B-Bibi, che hai? Perché stai piangendo?» si agitò non appena riportò gli occhi sul suo viso.
Bibi si asciugò le guance e tirò su appena con il naso in un modo che solo lei riusciva a far sembrare elegante. «Perché è vero che sono una cretina. Se penso da quanto è che voglio dirtelo e… e avevo così paura perché credevo che tu non avresti mai…» smise di parlare quando Sabo posò le mani ai lati del suo collo.
«Perché? Da quanto è che vuoi dirmelo?» chiese con un sorriso tra l’incredulo, il teso e l’innamorato.
«Ah beh…» Bibi si tirò indietro i capelli dal viso con una mano. «Più o meno dopo due settimane dal nostro primo incontro?»
Non lo avrebbe ammesso con anima viva ma anche gli occhi di Sabo, a quel punto, avevano iniziato a pizzicare. Un altro sbuffo di risa gli sfuggì dalle labbra. «Allora siamo cretini in due. Io volevo dirtelo già dopo dieci giorni.»
Bibi deglutì a vuoto, sopraffatta da così tante emozioni che si chiese come facesse a stare ancora dritta sulle proprie gambe. Sollevò le mani e si aggrappò alla maglietta di Sabo, annullò quell’ultimo passo di distanza tra loro e si spinse sulle punte dei piedi. «Ti amo.»
Una parte del suo cervello, l’unica in cui i suoi neuroni non andarono in collisione provocando una serie di micro esplosioni  che le bruciarono le sinapsi, ringraziò che Sabo avesse spostato un braccio intorno alla sua vita prima di baciarla con una foga che non aveva mai usato prima. Anche se avesse voluto, e non voleva, non sarebbe riuscita a evitare di abbandonarsi completamente tra le sue braccia. Gli circondò il collo e si lasciò portare di nuovo fino al letto, felice come non credeva che una persona si sarebbe mai potuta sentire.
Non capì esattamente nemmeno come fosse successo quando, a un certo punto, staccatasi da lui per riprendere aria giusto una frazione di secondo, realizzò di essere sdraiata sopra di lui, ogni singolo centimetro del suo corpo a contatto con quello di Sabo e la voglia di sentire anche di più, di liberarsi dei vestiti, di amarsi senza più nessuna sciocca remora o timidezza.
E forse non era ancora il momento, forse quella non era la notte giusta ma sarebbe arrivata presto perché non avevano più paura di dare tutto di se stessi all’altro, ormai.
Ormai sapevano che, qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe andato tutto bene.
 






 
Meno due ore e due giorni all’inizio degli esami.    






 
  
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