Pensavo
che ormai tutto fosse
passato, che tutto quel dolore fosse finito per lasciare il posto alla
serenità, per lasciare che la mia vita continuasse felice
dopo quegli anni bui.
Ma
mi ero sbagliata, mi ero
illusa.
Ecco,
vedo l’Oscurità tornare.
«Hello
darkness, my old
friend
I've come to talk with
you again
Because a vision softly
creeping
Left its seeds while I
was sleeping
And the vision that was
planted in my brain
Still remains
Within the sound of
silence»
Non
posso che sentire mia la prima strofa della meravigliosa canzone
“The Sound of Silence”
scritta e
interpretata da Simon & Garfunkel, anche se con
un’interpretazione tutta
mia..
Si,
mia vecchia amica. Così a lungo mi aveva tenuto la mano, per
molto tempo aveva
camminato al mio fianco.
E’
strano, a volte anche per me, pensare che
l’Oscurità possa diventare un’amica,
una compagna di vita … ma è così
…
Almeno
così io l’ho percepita.
Ci
convivi così a lungo, fino a quando non diventa parte
integrante di te, la
senti tua.
Straziante,
lacerante, terribile ma allo stesso tempo familiare, personale, intima.
Oscurità
che porta con sé un’amica, Solitudine.
Quella
sì che faceva male, molto male. Molto ho sofferto a causa
della sua incombente
presenza. Si cibava della mia anima.
Tutto
il mondo sembrava aver perso i suoi colori, come se fossi di continuo
in un
vecchio e malinconico film in bianco e nero. Tutto appariva lontano e
sbiadito
e più il dolore aumentava più mi rifugiavo in me
stessa. Ma anche quel luogo
era pervaso dalla tristezza e dal dolore. Era in corso una feroce
guerra dentro
di me, una guerra che poco a poco mi stava facendo a pezzi, centinaia e
centinaia di pezzi. Mi stavo distruggendo, demolendo con le mie stesse
mani.
Mi
rinchiudevo in camera, nella mia gabbia, la mia prigione, ma non me ne
liberavo
perché temevo l’esterno, temevo le persone.
Dove
andare, dove trovare un briciolo di luce? Di felicità?
Nei
libri, nella scrittura, nei film, nell’immaginazione
…
Ovunque
potesse, anche solo per poco, allontanarmi da quella triste
realtà.
E
la
mia immaginazione mi avvolgeva, mi portava in tutti quei mondi di cui
avrei
voluto far parte, a fianco di tutte quelle fittizie persone che per me
rappresentavano l’unica famiglia.
E’
grazie a questo, grazie a loro, ai miei compagni, che sono riuscita a
tirar
avanti, a tener duro. Mi davano un barlume di speranza, di malinconica
serenità. Una speranza, anche se impossibile e immaginaria,
di essere salvata
da loro, prelevata da questo grigio mondo e portata nel loro, luminoso
e
colorato. Speranza di entrare veramente a far parte delle loro vite e
della
loro famiglia.
Rifugiarmi
nei sogni e nell’ immaginazione era un modo per sottrarmi
anche per poco alla
mia sbiadita vita.
Non
era vera e propria felicità, era più dolce
malinconia. C’è chi descrive in modo
negativa la malinconia, altri invece in modo un po’
più positivo. Io faccio
parte dell’ultima categoria.
«Quanto é soave la
malinconia.
Felicità nella tristezza.
Culla degli animi più tumultuosi.
Velo di dolce e vaga tristezza.
Regno di illusioni e ricordi.
Calda e avvolgente, amica e compagna.
Leggera come una piuma, ma profonda come il blu.
Penetra dolcemente, celando l'opera di lenta corrosione dello spirito.
Ti immerge nella più sconfinata immaginazione, esplori nuovi
mondi, nuove
realtà sfuggendo a quel lieve dolore.
Come recita l'immortale Leopardi: "e il naufragar m'é dolce
in questo
mare".
Il MIO naufragar é nella malinconia, nella dolce tristezza.
Ritenuta AUTUNNO del dolore, dalle sfumature gialle, arancio e rosse.
Un dolore oscuro, lacerante, amaro, duro e maligno, divora l'anima e
distrugge
la malinconia.
E quanto mi manca la malinconia, mi faceva sentire un po' poeta,
scrittore,
pittore, musicista ...un po' artista.
Mi manca la sua dolce musica, il suo tocco delicato, il suo calore;
mentre il dolore mi assorda, mi distrugge, mi brucia.
La malinconia apriva la mia mente alla fantasia, il dolore non mi
concede la
forza di sognare.»
Questo
è un testo che avevo scritto qualche mese fa, non risale a
quegli anni bui, ma
all’inizio del mio nuovo sprofondare nel dolore.
Dolore
era solo quello che provavo, non riuscivo neanche a rifugiarmi nella
malinconia.
Come
sempre era tutta una situazione causata solo e unicamente da me, dal
mio
cervello.
Avevo
trasformato un pensiero in paura, e poi ossessione. Martellava di
continuo dentro
la mia testa provocando assordanti echi. Mi provocava angoscia, ansia,
dolore …
Non
mi lasciava in pace, mi tormentava, torturava la mia mente. E io le
permettevo
di infliggermi tutto questo, rimuginandoci sopra e di conseguenza
aumentare la
sua forza.
Non
ne potevo più, rovinava ogni mia singola giornata.
Basta.
Decisi di prendere in mano la situazione, di non permettere a tutto
ciò di
travolgermi, di lacerarmi. E trovai la soluzione. Non permisi
più a quel
pensiero di prendersi con prepotenza il ruolo più
importante. Doveva essere uno
dei tanti pensieri che ogni giorno mi attraversano la mente, pensieri
irrilevanti, che quasi non senti. Ed ha funzionato, non subito,
però ha
funzionato.
Ma
…
Si
c’è
un ma.
Era
troppo tardi. Avevo risolto quel problema, un problema che
però per troppo
tempo si era accumulato in me insieme a mille altri. Problemi che si
ammassavano nel mio animo e che non trovavano il modo di fuoriuscire,
non
trovavano sfogo.
E
quella
instabilità “mentale” (si, ammetto che
suona brutto) ha iniziato a mandare
messaggi di aiuto al mio corpo, e il mio corpo messaggi di aiuto
all’esterno.
Così
ecco scatenarsi la tempesta: continui e destabilizzanti attacchi di
panico.
La
mia mente mi stava mandando dei segnali. Non ce la faceva
più, era al limite,
chiedeva aiuto. Avevo la sensazione di stare per implodere, per
collassare su
me stessa. La tensione mi accompagnava tutti i giorni, tensione
muscolare e
tensione mentale. Ero distrutta, stanca, senza forze. Ho dovuto
ricorrere a
metodi invasivi. Metodi che tutt’ora utilizzo.
Mancamento
d’aria.
Sensazione
di soffocamento.
Nodo
alla gola.
Nausea.
Giramento
di testa.
Formicolio
alle mani.
Disorientamento.
Distacco
dalla realtà.
Convinzione
che ogni respiro possa essere l’ultimo.
Convinzione
di stare per rimettere.
Vampate
di calore.
Forti
brividi.
Tensione
muscolare.
Dolore
al petto.
Panico.
Terrore
della morte.
Sensazione
di stare per impazzire.
Orribile.
Il mio cervello era convinto che il mio corpo avesse qualche malattia
grave,
una malattia che avrebbe potuto portarmi alla morte. E questo non
faceva che
alimentare l’ansia. Mi svegliavo nel mezzo della notte
convinta di star per
soffocare. A volte avevo paura di addormentarmi.
Poi
piano piano ho iniziato a controllare gli attacchi e ad accettare la
presenza
di questa forte ansia, a conviverci.
Ora
sto molto meglio. Gli attacchi non ci sono quasi più, e se
arrivano sono lievi,
riesco a stroncarli sul nascere.
Ora
sto vivendo un periodo di relativa tranquillità. Il mare
è sereno, gioca con i
raggi di un sole in tramonto, o sul punto di sorgere, e danno vita a
piccoli e
timidi barlumi di luce.