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Autore: ethelincabbages    11/05/2017    3 recensioni
Questa è la storia di quello che sarebbe successo se Harry e Hermione non fossero stati quei retti e leali eroi che noi conosciamo. Questa è la storia di quello che sarebbe potuto succedere in una tenda nascosta nel nulla inglese, una notte di dicembre, tra due ragazzi soli, spaventati e alla ricerca di un po' di calore. Questa è la storia di un errore.
Chi sei, Chris? Chi sei?
Un’incrinatura sul percorso lineare del destino. Sei un pensiero scritto frettolosamente nella stesura di una lettera altrimenti perfetta, una frase sbagliata che hanno cercato con sollecitudine di cancellare, sistemare, riordinare in qualche modo. E non ci sono riusciti.

Avvertimenti: Questa storia contiene una buona dose di drammaticità postmoderna, qualche triangolo amoroso, diversi cliché, personaggi che potrebbero essere considerati Out of Character e personaggi non presenti nella saga originale.
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
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Capitolo 35
Goodnight Moon
Mantenere i piedi saldi sul terreno, coprire il corpo con la spada, stringere il braccio lungo i fianchi per ridurre i punti di contatto e poi colpire con la parte appuntita. Le regole le erano sempre sembrate semplici, sulla carta. Metterle in pratica era un’altra storia.
“I tuoi insegnanti non sono stati granché o è colpa dell’allieva?” Tom era agile e rapido, si copriva bene e attaccava anche meglio. Non appena Chris respingeva un attacco, la lama di Tom si riproponeva contro di lei. Dove diamine ha imparato a dare di scherma così bene?
“Non ho mai nascosto il mio interesse per le armi letali, Chris. E io imparo, di solito. Al contrario di te.”
Tom ascoltava, Tom osservava e aspettava, lo aveva fatto per anni. Ecco perché sapeva benissimo come colpire.
“A che gioco stiamo giocando, Tom?”
“Questa è la tua testa, Chriseys.”
Una notte cristallina davanti a un lago pacifico, tra alberi da giardino e bubuli di gufi. Questa era la sua testa. Un affondo, una parata, un altro affondo, lo stridore di due spade che si incrociano. “E come ci sei finito tu nella mia testa?” La schiena contro una quercia, e poi colpiscimi con la parte appuntita, Tom.
“Come spiegarlo in poche parole?” Tom lasciò scivolare la punta della spada lungo il braccio di Chris. “L’anatema che dovrebbe uccidere non lo fece – come sempre con Harry Potter, dovrei dire –  ma il rituale aveva già scinto nuovamente la mia anima, quel che rimaneva aveva solo bisogno di qualcosa o qualcuno che l’accogliesse, senza fare tante storie. E tu eri lì, indifesa e ancora incosciente.”
“Quindi,” incominciò Chris. Tom aveva interrotto il viaggio della sua spada sulle dita della mano di Chris. “Sei un parassita?” chiese lei. Strinse poi il palmo contro la lama – non poteva farle realmente del male nella sua testa.
Tom si avvicinò, riducendo ai minimi termini il suo spazio personale, la spingeva sempre più contro il tronco della quercia, a cercare il suo sguardo diretto. Quel viso di serafico adolescente perse le sue sembianze pacifiche in un attimo, e adesso Chris riconosceva il mostro delle antiche storie di Ron e Hermione: un mostro senza scrupoli, senza paura, senza passato, senza affetti. “Ti piaccia o no, sono parte di te.” Affondò la spada nel palmo della mano, le urla di Chris si persero nella vastità di quel prato notturno.
Ma Tom aveva lasciato il proprio fianco completamente scoperto e Chris non aveva di certo abbandonato la presa sulla sua spada – attaccò le costole, con tutta la forza che aveva, forse poca, ma abbastanza per farlo indietreggiare e lasciargli sanguinare il fianco sinistro. “Perché non sei ancora morto?”
E se moriamo, moriamo insieme. Chris sentì distintamente la frase risuonare nell’aria, nella sua testa, come un monito, un ricordo, una promessa. Tom era parte di lei. Quel mostro era parte di lei.
“Quella cos- quel bambin-,” incominciò, cercando di mettere ordine ai propri pensieri. Se questa era una proiezione della sua mente, se Tom era parte di lei, allora anche il bambino scuoiato e sofferente che avevano abbandonato nella stanza del pianoforte era parte di lei.
“Non c’è niente da fare per lui,” urlò Tom. Lo aveva già detto, sembrò annoiato di doverlo ripetere. Portò la lama a coprirgli il busto e si avvicinò per lanciare un ulteriore attacco. “È morto,” sputò, sul clangore delle spade che si incrociavano.
Chris parò con calma e contrattaccò. Sapeva osservare anche lei. Anche se peccava di pulizia.
“Chi sei davvero?”
Tom aveva indietreggiato ma rimaneva in posizione d’attacco, coi piedi bagnati nell’erba umida, una ferita sanguinante sul fianco sinistro, la divisa di Hogwarts sgualcita, un graffio lungo il collo. Respirava affannosamente e si rifiutava di mollare la spada. Testardo, teneva gli occhi fissi su di lei.
Occhi verde nocciola.
“Questa è la tua testa, Chriseys.”
Il suo lago, i suoi tasti, il suo prato, le sue spade. La sua testa. Suoi erano il pallone, il campo e le regole di questo bizzarro gioco.
Sue la linea melodica e l’armonia, sue le penne colorate sugli spartiti e gli orsacchiotti blu nella neve, suoi i litigi, gli abbracci e i mignolini incrociati in segno di pace, sua la torta di zucca e Alice nel Paese delle Meraviglie, sue le risate alla luce scarlatta del camino e le corse a perdifiato nella foresta, sue le carezze tra i riccioli prima di addormentarsi,  sue le chiacchierate sui pavimenti scoscesi, suoi i buongiorno, i grazie e gli arrivederci, sue le favole della buonanotte.
Ma tu lo sai quanto ti voglio bene, piccoletta?
Chriseys sorrise. Quel mostro aveva paure, aveva un passato, aveva scrupoli e aveva affetti. I suoi occhi non erano rossi, né grigi. Quel mostro si arrabbiava e si infastidiva, piangeva e rideva, correva e cambiava idea per nulla. Ed era parte di lei.
Lord Voldemort è morto.
Tom piegò leggermente il capo di lato, accennando un sorrisetto. Alzò di poco le spalle e, in segno di resa, lasciò scivolare la spada a terra.
Buonanotte, amore.
 
*
 
“ … ”
Aveva una parola sulla punta della lingua – un saluto, una promessa, un augurio. Sapeva di avere qualcosa da dire ma non riusciva a ricordare cosa. E non c’era neanche abbastanza forza per articolare bene le parole. Deglutì e solo allora si accorse di essere nel fondo del lago. Ora sì che non avrebbe potuto pronunciare nessuna parola.
Acqua tutt’intorno, alghe e pesci di un verde sconnesso. Il cuscino era troppo rigido.
La consapevolezza di essere in dormiveglia la raggiunse lentamente: come accade in questi casi, non è mai possibile ritrovare quel momento, quell’esatta frazione di secondo, che segna il confine tra alghe, pesci di un verde sconnesso e un cuscino troppo rigido.
Aprì gli occhi e ad accoglierla fu il bianco squallore di un soffitto rettangolare. Niente del baldacchino rosso scarlatto a cui era abituata. C’erano stati pochi risvegli nella sua vita che non avessero implicato una immediata voglia di rigirarsi nel letto e tentare nuovamente di farsi coccolare da Morfeo. Questa era una di quelle rare occasioni.
D’istinto, tentò di girarsi per smuovere un po’ quel cuscino fastidioso, ma non appena accennò un movimento sentì una fitta all’addome e non abbastanza forza per combattere il dolore.
“Bentornata.” Tre dita lievi le sfiorarono i capelli sulla fronte. Hermione. “Dove credi di andare?” sussurrò con delicatezza e un accenno di sorriso.
“C- cuscino,” spiegò a stento. Chissà da quanto tempo non apriva bocca. Adesso, un po’ d’acqua le avrebbe fatto bene. Hermione si sporse sul letto e sistemò il cuscino sotto di lei, poi, quasi avesse indovinato i suoi bisogni con uno sguardo, le porse un bicchiere d’acqua e l’aiutò a berlo. Piano, piano, uno, due sorsi. Scosse la testa, era già troppa.
Era un ospedale. Chris era in ospedale, in un letto e uno, no, due cuscini scomodi, con le pareti bianche, le lucette colorate a destra del letto – verde, gialla e rossa –, le finestre socchiuse e Harry addormentato su una sedia di fortuna.
Oh, ricordò.
L’arrivo di un Guaritore e seguito fece scattare Harry in piedi imbarazzato e le impedì di ricordare tutto e troppo in fretta. Il Medimago scrutò, chiacchierò, esaminò quello che aveva da esaminare, bisbigliò robe ai suoi assistenti, sorrise condiscendente, le chiese due o tre cose senza senso alcuno.
Stava bene, sarebbe tornata a stare bene, a quanto pareva. Avrebbe potuto godersi tranquillamente la convalescenza durante le vacanze di Natale. Piacevole.
Sembravano cauti e diffidenti, gli assistenti là dietro. Confusi dalla presenza di Harry Potter forse, o dallo strano modus dell’ “incidente”. Il Guaritore continuava  a ripetere “incidente”, quasi potesse aggiungere le virgolette nel tono della voce. Non aveva avuto nessuna intenzione di uccidersi, se era questo quello che pensava. Stava solo cercando di riprendere il controllo della propria vita – e del proprio corpo, e della propria anima. Addio, Tom. Non è stato per niente piacevole finché è durata. Grazie mille.
“Non volev-, non stavo cercando di suicidar-,” fu la prima cosa che tentò di spiegare non appena i Medimaghi lasciarono la stanza. Harry e Hermione la guardarono entrambi con un’espressione di sorpresa dipinta sul viso. “E non stavo neanche cercando di uccidere voi, comunque…”
“Nessuno ha mai pensato volessi farlo, Chris,” si affrettò a specificare Hermione. Tornò al posto in cui l’aveva trovata appena sveglia, accanto al suo letto, con le mani impegnate a carezzarle la fronte, la mano, il braccio. Qualsiasi minimo fazzoletto di pelle pur di sentire la sua presenza. Hermione non cambiava mai.  “I Medimaghi fanno solo il loro lavoro. Sappiamo che non eri in te.”
Harry aveva preferito posizionarsi di fronte a lei, stringendo le nocche attorno alla pediera del letto. Aveva i capelli schiacciati su un lato e la camicia tutta sgualcita a causa, forse, della pessima posizione in cui si era addormentato. I suoi famosi occhi verdi sotto le lenti tonde sembravano scrutarle l’anima nel tentativo di capire se stesse davvero bene o meno.
Harry Potter era suo padre.
“Ti serve qualcosa? Un po’ d’acqua, un altro cuscino? Un giornale?” Hermione era sua madre.
Ora aveva preso a stringerle delicatamente la mano, passava avanti e indietro il pollice sul taglio che le segnava il palmo, quasi potesse farlo guarire così.
Chris tirò indietro la mano e girò il braccio, aveva bisogno di vedere il proprio polso: il serpente era andato via, come anche il teschio, restava solo il segno di una cicatrice a forma di stella racchiusa in un pentagono. Il peccato originale.
Harry Potter e Hermione Granger erano i suoi genitori. Perché? Si affacciò la domanda nel silenzio che era piombano sulla stanza. Perché non gliel’avevano detto? Perché mentirle per così tanto tempo? Perché farle credere di essere un’altra persona? Cosa cambiava adesso? Nulla. Assolutamente nulla. I suoi veri genitori erano stati e sempre sarebbero stati Edward e Helen Granger.
“Ti va un croissant?”
“Harry!”
La domanda di Harry e la susseguente reazione indignata di Hermione spezzarono il corso dei suoi pensieri. Erano davvero due idioti cronici quei due. E a lei toccavano i loro geni combinati? Adesso sì che si spiegano tante cose.
“È stata addormentata per giorni. Ha bisogno di zuccheri, non è così?” Parlava con Hermione, ma si rivolse verso Chris alla fine. Si era sistemato gli occhiali sul naso e aveva inarcato leggermente le sopracciglia, prima di passarsi la mano tra i capelli, spettinandoli ancora di più. Harry Potter era suo padre, ed  era divertente, sciocco e imbarazzato, e aveva una voglia matta di scappare via dall’aria pesante che c’era in quella stanza.
“Non mi dispiacerebbe un croissant.” Chris ebbe pietà di lui. Forse voleva solo schiarirsi le idee. Una passeggiata sarebbe servita anche lei, ma difficilmente quella paranoica di sua sor-, Hermione l’avrebbe lasciata andare a spasso per il San Mungo.
Harry strinse le braccia intorno al petto e annuì soddisfatto verso Hermione, che alzò le mani in segno di resa. In un lampo poi si appressò alla testiera e le baciò rapido la guancia per lasciare la stanza in direzione probabilmente della Sala da Tè. Chris si ritrovò a toccarsi la guancia e a sorridere alle sue maniere buffe,  la barbetta del giorno prima le aveva solleticato la pelle. Ti voglio bene, anche se pungi.
“Non credo tu possa mangiare un croissant, adesso. Forse è meglio chiedere al professor Lane …” Partiva per la tangente, Hermione. Probabilmente in quel momento le stavano volando in testa miliardi di pensieri al secondo.
“Hermione?” la chiamò, catturando la sua attenzione, prima che potesse scappare anche lei. “Non preoccuparti.”
“È il mio lavoro,” spiegò lei. Fece spallucce e poi si fermò a osservarla. A Chris risultava vagamente fastidioso questo sguardo concentrato sulla sua persona, ma Hermione era Hermione, le era davvero impossibile smettere di preoccuparsi. Tuttavia, dopo tutto quel gran macello che era successo, forse preoccuparsi era comprensibile, anche se decisamente fuori tempo massimo. “Mi dispiace,” bisbigliò, infine. “Mi dispiace,” ripeté. Adesso era il momento per scusarsi? “Non avrei mai vol-, noi non volevam-”
“Cos’è quello?” la bloccò Chris prima che potesse continuare. Un po’ perché quel fiore sul comodino era davvero curioso, e un po’ perché non si sentiva ancora pronta per sentire quel tipo di scuse e affrontare quella conversazione.
“Questo? Un fiore di loto, lo ha lasciato Sybil.” Hermione si fermò ad osservarlo e poi glielo porse. Il fiore, probabilmente rafforzato dalla magia, galleggiava bonario in un boccia d’acqua, le enormi foglie verdi facevano risaltare i petali bianchissimi. Gentile e puro come la sua amica.
“È venuta con Teddy e Damian Blackwood ieri mattina,” chiarì. “Minerva non è stata molto felice della loro trovata, ma io penso siano stati molto carini.”
Chris ascoltò e sorrise, pensando alla gentilezza che avevano dimostrato. Poi si fermò.
“Con Teddy e Damian? Insieme?”
Hermione annuì, ridacchiando, forse per l’espressione che doveva esserle balenata sul viso. Teddy e Damian non funzionavano insieme nella stessa frase. Teddy e Damian andavano d’accordo adesso? Teddy e Damian erano andati fino al San Mungo insieme per… lei? L’ultima volta che li aveva visti insieme di certo non sembrava sarebbero potuti diventare grandi amici, l’ultima volta che li aveva visti…
“Damian!” Oh, merda! “L’ho lasciato a congelare nella neve!”
“Sì,” rispose Hermine mentre rimetteva il fiore di loto al suo posto. “Direi di sì.”
E aveva fatto anche altre cose, prima di abbandonarlo nella Foresta. Strane cose. Ma lo aveva abbandonato nella Foresta, gli aveva rubato la bacchetta e lo aveva lasciato svenuto nella neve, in mezzo al nulla. E aveva quasi strozzato Ted, aveva reciso con violenza il braccio di Ron e anche il tipo al Ministero non lo aveva trattato nel migliore dei modi.
Hermione si piegò a guardarla per richiamare la sua attenzione, e lei se la ritrovò davanti con quegli occhi marroni così tanto simili ai suoi. “Non eri tu, Chris.”
Solo quando sentì la carezza di Hermione che le asciugava il viso si rese conto che il magone si era trasformato in pianto. “E sta bene, adesso?” chiese.
“Fanny lo ha trovato e riportato al castello.” Fanny? Quindi, alla fine, aveva iniziato a trovarlo simpatico.
Quante persone aveva deluso? Quanto dolore aveva causato? Era stupido ora ritrovarsi a piagnucolare, lasciandosi divorare dal senso di colpa. Le ritornò alla mente il volto di Tom Riddle e quel mostriciattolo nascosto dalla penombra. Era lui che guidava, ma lei gli aveva lasciato il timone.
“A quante persone ho fatto del male, Hermione?”
“Non eri in te. Non è stata colpa tua.” Avrebbe potuto ripeterlo miliardi di volte. Forse alla fine le sarebbe entrato in testa. “E non è successo nulla di irreparabile, Chris. Non hai mai oltrepassato il limite, e questo deve pur voler dire qualcosa.”
“E che cosa? Cosa vorrebbe dire?”
“Vuol dire che sei stata coraggiosa e testarda come sempre e sei riuscita a tenergli testa. Hai vinto, Chris, hai vinto tu e hai fatto tutto da sola.”
Hermione non era in torto, forse. Ma ciò non significava che Chris fosse pronta a perdonarsi. Non si sentiva pronta per un sacco di cose in quel momento, avrebbero dovuto lasciarla dormire ancora un po’. Un altro paio di anni sarebbero bastati, forse.
“Dovresti riposare, adesso. Stare tranquilla.”
Facile a dirsi. Chiamate un Medimago. Avrebbero potuto darle una o due delle loro pozioni anestetiche. Annuì con poca convinzione.
“Su, datti tempo,” ribadì Hermione, tornando a stringerle la mano. “Tornerà tutto a posto, bollicin-”
“N-, no!” Chris non seppe evitare di sussultare al nomignolo. Scostò di scatto la mano che la stringeva, quasi fosse un pericoloso veleno. Perché aveva dovuto tirare fuori quel nomignolo, adesso? Stava andando quasi bene ora.
Era troppo presto per sentire di nuovo quel nome, significava troppe cose. Chris sentiva davvero il bisogno di una pozione narcotizzante.
Hermione si morse il labbro, quasi a ricacciare le parole in bocca. Lanciò occhiate alternate al viso di Chris e alla sua mano abbandonata sul lenzuolo. Con buona probabilità, quella reazione l’aveva ferita, ma Chris, davvero, cosa poteva fare? Tutta quella situazione la opprimeva in modo incredibile. Poteva perdonarle quel piccolo insignificante dettaglio così come se non fosse esistito? Come se non avesse completamente rivoluzionato le basi della loro intera relazione?
“Scusa, scusa. Solo… non chiamarmi così, per favore. Non… farlo.” 
“Certo, hai ragione, scusami,” borbottò, in fretta, abbassando lo sguardo. Era riuscita a castigare con successo Hermione Granger. Chissà cosa avrebbero pensato i suoi colleghi al Wizengamot. Hermione Granger non si lasciava zittire mai da nessuno.
Hermione Granger, la sorella più fastidiosa e straordinaria di sempre, era sempre stata il suo modello di rettitudine e coraggio. Ma era sua m… adre. Era un pensiero così difficile da considerare.
Perché? Perché mi avete mentito per così tanto tempo? Tornava la domanda, ma Chris sapeva in cuor suo che non avrebbe avuto la forza di accettare alcuna risposta in quel momento. Era stanca, stanca, stanca. Si sentiva tremante e flebile come la lucetta gialla che lampeggiava sul suo letto.
“Possiamo riparlarne più in là, quando starai meglio,” sussurrò Hermione infine. “Non devi pensare a nulla ora, solo a riposarti e rimetterti in forze. E…” Preoccuparsi era il suo mestiere, in fondo. “Possiamo anche vedere se il professore ti permette di mangiare il croissant.”
Il croissant di Harry. Lo aveva scordato.
Croissant ora, e disastri famigliari dopo. Sì, questo poteva funzionare.


Note: Il viaggio sta per concludersi e questo capitolo, a mio avviso, ne è una prova. Il confronto - duello mentale tra Chris e Tom si è risolto, la verità in tutta la sua durezza si presenta nelle relazioni tra Harry, Hermione e Chris. Ora non resta che cercare di capirne le conseguenze.
Goodnight Moon è il titolo di una famosa favola della buonanotte negli Stati Uniti - forse, se avrete voglia di ascoltarmi, un giorno potrò spiegarvi il ragionamento contorto che mi ha spinto a sceglierla come titolo per questo capitolo.
 
   
 
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