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Autore: Urban BlackWolf    11/05/2017    3 recensioni
Michiru scorse mentalmente il titolo della prima pagina sentendosi improvvisamente le gambe molli. Ferma accanto a lei la giovane Usagi rilesse ad alta voce quello che appariva essere un epitaffio inquietante. “Consegnata la dichiarazione di guerra da parte del giovane Regno d'Italia.”
“Ecco perchè il nostro treno è stato soppresso.” Disse Ami stravolta. Lei era italiana ed ora si ritrovava ad essere nemica di alcune di loro.
“Michiru adesso cosa faremo? Dove andremo se non possiamo più varcare i confini?”
La più grande sospirò ripiegando il foglio dalla carta grigia accarezzandole poi una guancia. “Non lo so Usagi. Ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo proseguire. Il mondo che conosciamo da oggi in poi non sarà più lo stesso.”
Legato ai racconti: "l'atto più grande" e "il viaggio di una sirena".
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Inner Senshi, Michiru/Milena, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le trincee dei nostri cuori

 

legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Fughe nella notte

 

 

 

Periferia di Bellinzona.

Svizzera meridionale – 3/3/1913

 

Seduta alla scrivania, chiusa nella sua stanza, con ancora in dosso il cappotto ed i guanti di spessa lana grigi, Haruka non riusciva proprio a smettere di tremare. Sentiva freddo fin dentro l'anima, gli occhi gonfi di un pianto che si ostinava a non voler giungere a darle sollievo, il cuore dai battiti accelerati, la salivazione completamente assente. Aveva sempre saputo di essere una ragazza fuori dal comune, per larghi tratti diversa dalle altre, ma non avrebbe mai immaginato che quella unicità potesse riguardare l'aspetto sentimentale. Ormai era un fatto; ad Haruka Tenou non piacevano gli uomini, anzi, per alcuni versi il loro comportamento a volte lascivo la disgustava, i loro approcci amorosi la terrorizzavano e la libertà della quale godevano le faceva provare un invidia folle. In quel pomeriggio dall'aria gelida aveva finalmente compreso il perché non si fosse mai persa dietro alle romantiche fantasie proprie di ogni altra diciottenne, il perché non le importasse assolutamente nulla del matrimonio ed infine, il perché non avesse mai voluto approfondire amicizie femminili. In pratica subito dopo l'età dello sviluppo, Haruka aveva incominciato a starsene per conto suo, china sui libri, nell'officina del padre, a zonzo per le campagne circostanti o appiccicata a Giovanna, l'unica ragazza che tollerasse al suo fianco. Non si era mai soffermata nel cercare di capire quel comportamento. In fin dei conti si era sempre piaciuta così e non vedeva proprio il motivo del perché farsi tali domande.

“Oddio, sono una diversa.” Disse poggiando la fronte sulle mani intrecciate sul piano della scrivania.

Era una scoperta scioccante, dovuta alla fuga nata dopo un approccio abbastanza sfacciato che Stefano Astorri le aveva rivolto solamente due ore prima. Tutti erano convinti che il ragazzo avrebbe presto chiesto il permesso a Sebastiano di poter frequentare Giovanna ed Haruka stessa, nel vederlo fermo a parlare con il padre davanti alla porta di casa, lo aveva freddamente predetto. Ma si era sbagliata. Si erano sbagliati tutti!

In realtà una dichiarazione, si c'era stata, ma rivolta alla più piccola delle sorelle Tenou. La sera della visita di Stefano, la bionda si era vista il genitore fermo davanti alla porta della sua camera annunciarle orgogliosamente stentoreo che l'erede degli Astorri aveva chiesto il permesso di poterla frequentare.

"Ha intenzioni serie!” Ed era stata talmente improvvisa quella notizia e lui così entusiasta nel dargliela, che la ragazza non aveva detto nulla. Non aveva gioito, ne si era rifiutata di prendere in considerazione la cosa.

Dal canto suo, la maggiore era rimasta interdetta dalla cosa. Stefano non aveva mai guardato Haruka, anzi, essendo lei di qualche anno più giovane, aveva trovato sempre abbastanza fastidioso che Giovanna se la portasse sempre dietro. Ma a pensarci bene la giovane Tenou si era fatta talmente bella che la sorella aveva sorriso alla cosa aspettandosi nozze imminenti, non potendo immaginare ciò che il cuore ed il corpo della sua Ruka bramavano veramente.

“Oddio Santissimo...” Togliendosi i guanti con rabbia e scaraventandoli addosso allo scaffale con i suoi libri preferiti posti in bell'ordine proprio di fronte a lei, sbatté violentemente i pugni un paio di volte digrignando i denti. Sentiva ancora l'odore della sua colonia sulla pelle del viso. Si era preso la libertà di accarezzarlo sorridendole dolcemente mentre lei si era ritrovata appoggiata allo steccato di un'abitazione sentendosi come un'animale in gabbia.

“Come diavolo è potuto accadere?! Come posso essere stata tanto stupida?! Come si sono permessi lui e mio padre d'impormi la sua presenza!” E si ricordò dell'innocente invito che il ragazzo le aveva rivolto quel pomeriggio trovandosela davanti all'uscita dall'emporio.

“Permettimi di accompagnarti a casa Haruka. Tuo padre mi ha chiesto di venire a parlare anche con tua madre.”

“A che proposito?”

“Del fidanzamento.” Le aveva risposto lui guardandola quasi con stupore per poi toglierle dalle mani il pacco di merce che aveva appena acquistato.

“Quale fidanzamento?!" Ma non avrebbero dovuto solo frequentarsi?

Ridendo ed iniziando a camminare, lui aveva preso a canzonarla bonariamente sul fatto di quanto fosse adorabile quando prendeva a fare la finta tonta.

Arrivando in poco meno di due minuti ad una svolta abbastanza appartata, si era sentita afferrare per un polso. “Prendiamo la scorciatoia per il vialetto. Saremo a casa tua nella metà del tempo.” E a quell’ennesima imposizione Haruka non aveva sopportato oltre. Bloccandosi come un asino sui selciato di un mercato, lo aveva guardato con aria di sfida strappandogli la merce dalle dita.

“Ho chiesto a quale fidanzamento ti stai riferendo Stefano! E' buona educazione rispondere ad una domanda quando ti viene posta!”

“Ma... al nostro.” E si era avvicinato costringendola a fare un passo indietro.

Ingoiando aveva spalancato gli occhi stringendo convulsamente il pacco.

“Stefano... credo che ci sia stato un enorme malinteso.” Ed era accaduto tutto molto, troppo rapidamente. Afferrandola per la vita, il ragazzo le aveva posato un bacio gentile sulla guancia e tanto era bastato per mandarla in confusione.

Sentendosi il legno dello steccato dietro alle spalle, il calore di quelle labbra sulla pelle, il tocco della sua mano ardita sul fianco avvertita nonostante gli indumenti pesanti, Haruka aveva provato un misto di paura e ribrezzo. Non sentendola muoversi, Stefano aveva pensato ad un approccio riuscito osando spingersi oltre; fino alle labbra. Un contatto abbastanza casto, ma sufficiente per farle scattare finalmente i muscoli del braccio destro che, forzando sul petto di lui, erano stati abbastanza forti da allontanarlo quanto basta per darsi alla fuga.

Una corsa a perdifiato che l'aveva portata sulle rive del torrente che scorreva accanto a casa sua. Li aveva cercato di darsi una calmata non riuscendoci e mentre adirata prendeva a fare avanti ed indietro, la possibilità di non essere del tutto incline alle attenzioni maschili aveva preso sempre maggior concretezza.

Un battito alla porta ed alzando la testa la guardò tra un ciuffo e l'altro della lunga frangia bionda.

Dio ti prego fa che non sia mio padre pensò per poi chiedere chi fosse tenendosi la fronte con una mano.

“Ruka sono io.” Alla voce della madre sospirò serrando gli occhi alle lacrime.

“Ti ho portato le camicie pulite.” Disse aprendo discretamente.

Così Ilde la trovò li, seduta alla sua scrivania dov'era solita stare, ma non con un libro tra le mani, ma a testa china, quasi vinta.

“C'è qualcosa che non va amore? Ti ho sentita rientrare di corsa.” E non avendo alcuna risposta richiuse la porta lasciando gli indumenti sulla cassettiera posta al lato del letto.

“Perché porti ancora il cappotto?”

“Ho freddo.” Rispose lapidaria. Non riusciva neanche a guardarla in faccia tanto si sentiva sporca.

“Non dirmi Ruka mia che il tuffo nella neve dell'altro giorno ti ha portato la febbre? Vieni qui.” Ma non vedendo reazioni dovette essere lei ad andare a verificare. Si sentiva stanca, i polmoni sembravano brace da quanto le bruciavano. Ci mancava solo che il suo piccolo puledro di fanteria si fosse ammalato.

Mettendo sulla carotide della ragazza due dita la sentì irrigidirsi e ritrarsi scattando sulla difensiva. “Che c'è?!”

“Non toccatemi madre. Non voglio essere toccata da nessuno!” Disse a voce alta alzandosi di colpo.

“Haruka...” E finalmente la figlia le donò le iridi. Due occhi lucidi e spaventati.

“Haruka sto iniziando a spazientirmi. Cos'è successo?” Queta volta il tono fu talmente deciso che la ragazza dovette accettarne l'autorità.

Così riuscì a trovare la forza per ragguagliarla sull'operato del giovane Astorri e sulla notizia per niente felice di un suo imminente fidanzamento.

“Che sfacciato! Certo che i ragazzi di oggi si sono fatti audaci e sfrontati. Solo qualche giorno fa era in piedi davanti la porta della nostra casa per chiedere a tuo padre il permesso di frequentarti ed oggi si permette di baciarti e di parlare di fidanzamento!? Comunque... porta pazienza figlia mia. Non sono tutti uguali, ma alcuni uomini, soprattutto se giovani, hanno tendenze un po' focose. - Le sorrise continuando più dolcemente. - Se Stefano non ti piace, troverai qualcun'altro vedrai. Sei talmente graziosa che...”

“Io non amerò MAI, madre!” L'interruppe trovando rifugio sul letto. Le stavano tremando le gambe. Non aveva mai provato nulla di tanto destabilizzante.

“Tesoro, certo che amerai. Tutte le donne ambiscono a farsi una famiglia.”

Haruka scosse la chioma dorata chinandola dalla vergogna. “No, io no madre. Io non sento... attrazione per... nessun uomo.” Ed ascoltando quelle parole uscirle a forza dalla gola, provò l'impulso di sparire dalla faccia della terra.

Gli occhi di Ilde, della stessa punta di verde dei suoi, si fecero due fessure. “Vuoi farmi intendere che provi qualche sorta di scintilla religiosa? Non me ne hai mai parlato Ruka."

Certo che non gliene aveva mai parlato, perché non si trattava di quella “fede”. Ora che stava iniziando a farsi delle domande su se stessa, Haruka aveva anche iniziato a darsi delle risposte. In effetti nell'ultimo paio d'anni qualche sentimento unito all'attrazione li aveva avuti; per una vicina di casa sua coetanea. Ecco che cos'era quella voglia di vederla tutti i giorni, di stare in sua compagnia. E lei che aveva ingenuamente pensato alla necessita' di un'amicizia.

“No madre... non ho alcuna vocazione.” E bastò questo perché Ilde capisse tutto.

Forse come madre lo aveva sempre saputo che la sua piccola Ruka aveva tendenze maschili e non solo per l'allergia alle gonne, ai merletti, alla vita del focolare o alla scarsa libertà in generale, perché la stessa Giovanna era uno spirito inquieto da quel punto di vista. Immediatamente dopo lo sviluppo, sua figlia minore aveva iniziato a manifestare atteggiamenti ed attitudini tipicamente maschili. Ora Ilde ne capiva il motivo.

“O mio amore.” Disse inginocchiandosi in terra accanto alle sue gambe. Stava tremando come una foglia la sua ragazza e d'impulso provò ad accarezzarle il viso e nuovamente Haruka non accettò il tocco materno.

“Ve lo chiedo con il cuore madre, non lordatevi le mani con una come me.” E fu come se alla donna le venisse conficcato un pugnale arroventato nello sterno.

“Ma cosa stai dicendo! Come potrei lordarmi le mani toccando la creatura alla quale ho dato la vita?”

A quelle parole Haruka cedette iniziando a piangere a dirotto tra le sue braccia. Singulti talmente violenti che Ilde dovette tenersela stretta per svariati minuti prima che la figlia riuscisse nuovamente a respirare in modo corretto.

“Ssss, ora basta. Andrà tutto bene vedrai. Ora l'importante è che tu faccia chiarezza dentro il tuo cuore. Da quanto tempo lo hai capito?”

“Oggi.... Solamente oggi mi sono resa conto di una cosa che dentro di me sapevo già.” Ammise continuando a stringersi al collo della madre.

“Va bene tesoro. Ora però cerchiamo di fare in modo che tuo padre non lo venga a sapere. Non capirebbe, lo sai.”

 

 

Collegio di San Giovanni, Merano.

Austria sud occidentale – 21/5/1915

 

Era sera inoltrata e ancora Daniel non si era deciso ad uscire dal suo studio posto accanto all'infermeria. Infermeria. Michiru sospirò guardando Ami per poi chiudere l'anta del refettorio che affacciava proprio sul medesimo corridoio. Tutta quella situazione le stava pericolosamente sfuggendo di mano. Si voltò guardando le cinque donne sedute ad un tavolo poco distante. Minako, Makoto e Rei avevano già fatto i bagagli ed erano pronte a partire in qualsiasi momento. La sera precedente, subito dopo aver parlato con la preside, Michiru era riuscita a bloccarne il “sacro” fuoco dell'avventura convincendole a partire l'indomani, quando Daniel si sarebbe finalmente allontanato dall'istituto per recarsi al suo appartamento nel centro città. Ma tutto si sarebbe aspettata tranne che vedersi Ami Mizuno ferma sulla porta della sua stanza nel cuore della notte.

“Ami, ma è tardissimo. Cos'è successo?”

“Nulla di grave Michiru, ma dovrei parlarvi un attimo.” Ed era entrata nella sua stanza non badando troppo al fatto che l'altra fosse in camicia da notte e vestaglia.

Così l'insegnante era venuta a conoscenza delle dimissioni che la ragazza di poco più giovane aveva lasciato quella mattina stessa sulla scrivania della direttrice e dell'impellente necessità di valicare il Piave per poter tornare in Italia.

“In città si parla sempre con maggiore insistenza di una prossima entrata in guerra del Regno d'Italia. Fino ad ora il mio paese si è dichiarato neutrale come la Svizzera, ma sono forti gli indizi che denunciano lo scetticismo della corrente interventista. Se dovesse accadere il peggio io devo essere pronta a partire per il fronte sotto la bandiera sabauda.”

“Ami non so che dire. Mi dispiace che vi troviate in questa brutta situazione.”

“Ho saputo da Minako, che voi ed il Dottor Daniel vi siete offerti di accompagnare lei, le signorine Makoto e Rei fino a Zurigo. Vorrei chiedervi di potermi aggregare almeno fino alla frontiera di Malles.”

La situazione non stava facendo che “rotolare a valle”. “Ami il Dottor Kurzh non potrà accompagnarci. Sarò dunque io a guidare le ragazze.”

“Allora a maggior ragione. Vi servirà tutto l'aiuto possibile Michiru.”

Certo che le sarebbe servito, anche perché senza neanche pensarci troppo su, aveva deciso di portare con se anche Usagi. L'avrebbe accompagnata a Berna dai Kaiou per farla stare con loro fino. Il padre Viktor era un diplomatico e si sarebbe attivato per cercare di reperire più informazioni possibili sulla sorte della famiglia di quella povera ragazza. Usagi aveva accettato preparando il suo bagaglio alla velocità della luce non stando più nella pelle.

Ed ora sono in cinque. Michiru sei veramente sicura di stare facendo la cosa giusta? Pensò l'insegnante sospirando lievemente.

Così si videro costrette ad aspettare in religioso silenzio fino alle venti, quando finalmente quello stacanovista di Daniel non si degnò di uscire dallo studio percorrendo a passo lento il corridoio che lo avrebbe portato al portone d'ingresso. Michiru l'osservo camminare sul ghiaietto che portava alla sua automobile, metterla in moto per poi sparire dietro le alte siepi d'alloro che costeggiavano il vialone. Nel vederlo inghiottito dalle ombre della sera si chiese quando lo avrebbe rivisto. Con molta probabilità una volta venuto a conoscenza della “fuga” della sua promessa sposa, si sarebbe messo sulle sue tracce in barba ai pochi giorni di licenza che il comando austriaco gli aveva concesso.

Me lo ritroverò a Berna in un batter di ciglia, si disse lasciando i vetri di una delle finestre del refettorio, notando come quel pensiero riuscisse a chiuderle la bocca dello stomaco. Ma davvero poteva considerare amore il sentimento che nutriva per quell'uomo? Non avendolo mai provato che per lui, si stava forse sbagliando non avendo in mano un criterio di comparazione adeguato?

“Signorina Kaiou...” La chiamò Makoto alzandosi dalla tavola per prima.

“Si, è ora di andare. Ho lasciato alla preside una lettera dove spiego il perché della necessità di accompagnare voi tre e di prendermi cura della signorina Tzukino. Perciò quello che ci rimane da fare è dirigerci verso la stazione per aspettare il treno che domani all'alba ci porterà verso la frontiera.”

“Che mezzo prenderemo?” Chiese Minako riponendo con cura la sua sedia a battuta con il piano del tavolo.

Michiru sorrise desolata. “I nostri piedi. Non abbiamo altre alternative. Ho calcolato circa un paio d' ore a passo svelto. Arrivate acquisteremo i biglietti, mangeremo qualcosa portataci dietro ed aspetteremo.”

“Possibile che non abbiamo altre possibilità?” Disse Ami non capendo il perché di quella forzatura.

“In pratica tutte le studentesse sono già partite e al collaggio non è rimasto altro mezzo se non le cavalcature e per ovvi motivi non possiamo usufruirne. Mi dispiace. Riposeremo sul treno.”

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 21/5/1915

 

Correndo tra le pozzanghere del sentiero, Haruka strizzò gli occhi all'ennesimo boato proveniente dal cielo plumbeo. Inzuppata come una spugna si era trovata nel bel mezzo di un temporale primaverile neanche fosse stata una novellina di città.

“Maledizione questa volta mi hai giocata!” Urlò all'indirizzo di Giove Pluvio stando bene attenta a non scivolare sul fango.

Si era ridotta una schifezza in meno di dieci minuti ed ora, con la maglia completamente appiccicata alle sue forme, i pantaloni pesanti e gli scarponi trasformatisi in laghi artificiali dalla suola interna sgusciante ad ogni colpo di tallone, stava correndo giù per la montagna intravedendo il tetto della sua baita con il fumo serpeggiante dal comignolo. Dio quanto si sentiva viva in momenti come quello, libera, padrona di se e del suo tempo, senza regole, priva di qual si voglia imposizione. Con il suo peloso amico a quattro zampe sempre incollato a lei, viveva da un anno la sua nuova esistenza senza preoccuparsi di nulla che non riguardasse la mera sopravvivenza fisica. Non avendo contatti con gran parte del mondo civilizzato, fatta eccezione per Mattias ed alcuni commercianti della valle vicina, si era inselvatichita al punto di arrivare a gestire i suoni del bosco come una animale, pronta a scattare sul chi va la in ogni momento. Le uniche ore di riposo fisico e mentale, erano la sera, dopo aver cenato e rassettato, quando davanti al fuoco del camino s'immergeva nella lettura dei suoi adorati libri. Ne aveva trovati tanti nella baita del nonno che aveva ristrutturato appena arrivata ed altrettanti gliene aveva portati Mattias, che intrufolandosi in una casa Tenou ormai vuota, pian piano era riuscito a riconsegnare alla sua legittima proprietaria i vecchi amici racchiusi in quelle fitte pagine stampate. Il conte di Montecristo, Robinson Crusoe, le aquile della steppa, Cartagine in fiamme. Con il loro aiuto Haruka poteva viaggiare e visitare posti nuovi. Con loro sentiva meno la solitudine serale.

Arrivata finalmente al coperto della veranda puntò le mani alle ginocchia incurvando la schiena in avanti respirando affondo. Amava correre giù lungo i prati ed i sentieri, soprattutto quando il vento si alzava alle sue spalle spingendola. Acquistando sempre maggior velocità le sembrava allora di poter quasi spiccare il volo per librarsi nel cielo.

Sentendosi schizzata dal pelo del mezzo lupo, fece quasi altrettanto scostandosi dalla fronte la frangia gocciolante con un secco movimento del collo. “Stai attento a dove ti sgrulli cafoncello.”

Lui la guardò abbaiando e sbattendo sul tavolato le zampe anteriori un paio di volte.

“Che vuoi?! Non si gioca adesso. E' tempo di rientrare e darci una pulita.” Disse arpionandosi i fianchi. Flint la guardò piegando la testa prima a destra, poi a sinistra per sbattere le zampe un'altra volta.

“No, no. Non se ne parla.” E voltando il busto afferrò il panno che era solita lasciare sull'uscio per evitare che quelle sudice zampaccie le rendessero la casa un inferno di fango e sporcizia varia.

Casa pensò accovacciandosi iniziando ad asciugarlo. Ricordò com'era calda ed accogliente la sua abitazione a Bellinzona, come la madre riuscisse a trasformarla con poco, in quella che ad Haruka sembrava una villa, come si sentissero ben voluti gli amici e gli ospiti che ogni tanto venivano a far visita alla sua famiglia e come lei, giovane donna nata sul finire dell'ottocento in una cittadina svizzera, vivesse ogni giorno avvolta da amore e protezione.

Amore, già, fino a quando non sono dovuta scappare per non essere picchiata da mio padre.” Masticò amaro guardando gli occhi nocciolati del suo amico.

“Madre, forse è stato meglio che non abbiate vissuto abbastanza per assistere a quello strazio.” Parlava spesso come se Ilde fosse stata ancora li con lei, a spalleggiarla. Come quel giorno neanche troppo lontano, quando il suo segreto era stato sul punto di essere svelato.

“Ma dov'è vostro padre?” Aveva chiesto con il mestolo tra le dita pronta a servire il pranzo.

“In officina non c'è. Vengo proprio da li.” Aveva risposto Haruka andando a sedersi al tavolo del tinello mentre la maggiore finiva di apparecchiare portando la caraffa dell'acqua.

Poi una porta sbattuta, con molta probabilità quella dell'ingresso, ed il nome della figlia minore urlato a gran voce.

“Ecco qua, cos'hai combinato? Non avrai rotto qualche cosa sorella!?”

“Ma no!”

“Sebastiano siamo qui nel tinello. Vieni a tavola.”Aveva chiamato la moglie vedendolo entrare come una furia qualche secondo dopo.

“Haruka... ho appena parlato con il giovane Astorri. Mi ha detto che l'hai rifiutato!”

Ilde aveva chiuso allora gli occhi intuendo la forza d'urto che quella conversazione avrebbe avuto sulla sua povera famiglia.

Non scomponendosi e forte della presenza della madre e della sorella, la bionda aveva alzato leggermente le spalle iniziando a versarsi dell'acqua.

“Mi dispiace che ci sia rimasto male, ma non provo alcun piacere nella sua compagnia.”

“A me questo va benissimo. Lo sai perfettamente che sia tu che tua sorella avete la libertà di scegliervi gli uomini con i quali vi mariterete, ma Stefano mi ha fatto capire che non lo vuoi conoscere perché si dice in giro che tu sia...” E quell'improvviso impeto era cessato soppiantato dalla reticenza del pudore.

“Sebastiano che cos'è questa storia? Cosa ti ha detto quel ragazzotto impertinente su nostra figlia?”

“Che la qui presente ha la brutta reputazione di avere altri interessi!” Aveva concluso ingoiando a vuoto saliva inesistente per poi appoggiare la mani alla traversa della sua sedia.

“Quali interessi?”

“Ilde per tutti i Santi! Si dice in giro che nostra figlia sia un'invertita!”

Ecco, era stato così che quel giorno la prima delle tante granate che da quel momento avrebbero colpito l'anima di Haruka era deflagrata.

“Non dire assurdità!”

“Non sono io che lo dico, ma gran parte dei ragazzi del quartiere. Stefano è solo l'ultimo in ordine di tempo dei tanti che hanno cercato di approcciarsi a nostra figlia e non sono stati neanche presi in considerazione. Come si dice invece, non sia successo per la figlia dei vicini. Adesso Haruka tu mi dirai se questa voce è fondata oppure no!”

“Non metterla in mezzo!”

“Fa silenzio Ilde! Allora Haruka! Non rispondi? Bene...se ti si e' bloccata la lingua sarà Giovanna a parlare per te. State sempre insieme e sicuramente potrà dirci se questi fantomatici approcci ci sono stati e se sono realmente stati rifiutati.” E mentre il padre attendeva che denunciasse o smentisse la cosa, la maggiore aveva iniziato a capire di Haruka tante cose. Tanti comportamenti mai voluti o saputi leggere.

Giovanna l'aveva allora guardata catturando in quegli occhi verdissimi un lampo di puro terrorave. Le voleva un bene immenso e nessuna tendenza sessuale avrebbe mai cambiato quel sentimento. "Padre devo confessarvi che si, Haruka ha in passato rifiutato un paio di proposte di conoscenza da parte di ragazzi più grandi, ma lo ha fatto solo per me. Essendo la maggiore sa che ho la necessità di maritarmi quanto prima e pensa che rimanendo in disparte io possa ricevere più attenzioni. Per quanto riguarda Stefano poi, - aveva alzato il viso sul padre mentendo in maniera spudorata, ma convincente - ne sono invaghita dai tempi della scuola. A lei interessa fino ad un certo punto. E' una sorella premurosa e non ha voluto portarmelo via. Infine, sapete anche voi che la qui presente è molto timida e non ha mai fatto amicizia tanto facilmente. La nostra vicina è semplicemente riuscita a scardinare la sua reticenza.” Ed aveva così sorriso al genitore chiedendogli di perdonarle per averlo tenuto all'oscuro di tutto.

“E' così ragazzina?” E per sopravvivenza e paura la bionda aveva confermato sentendosi morire.

Da quel momento in avanti Giovanna aveva iniziato a vegliare su di lei con maggior dedizione, anche se Haruka l'aveva allontanata, fino a quando qualche mese più tardi, Ilde era spirata lasciando la famiglia nella disperazione più nera.

La maggiore aveva provato a prenderne il posto in casa, ma non ci era riuscita. Troppo giovane ed inesperta, troppo lacerata dal dolore della perdita. L'altra invece si era chiusa in se stessa ancora di piu' avvertendo un vuoto impressionante, mentre Sebastiano, di indole solitaria molto più della figlia più piccola, aveva come subito un'involuzione, portando a picco lui e le sue figlie. In officina non lavorava più, anzi, l'aveva messa in vendita contro il parere di una Giovanna allarmata dall'improvvisa mancanza di entrate economiche. Non parlava quasi più. Non si curava più di loro, ne di se stesso.

“Come avrei potuto continuare a lottare da sola senza più la vostra presenza, madre?” Disse la bionda alzandosi mentre l'ennesimo tuono sconquassava il cielo.

“Anche quando ve ne siete andata pioveva così. - Ricordò provando un brivido. - Ed anche quella notte, quando prendendo solo quello che avevo in dosso, sono scappata di casa per non farvi più ritorno.”

“Sparisci dalla mia vista! Io ti maledico!” Riecheggiò nei ricordi e sentendo il muso di Flint picchiettarle su palmo della mano destra, stirò le labbra aprendo la porta per entrare finalmente nel tepore di quella che era diventato a tutti gli effetti, il suo rifugio dal mondo.

 

 

Tratta ferroviaria Merano-Malles.

Austria sud occidentale – 22/5/1915

 

Nei pressi della stazione di Plaus, situata ancora in territorio austriaco e neanche a metà del viaggio, le ragazze più giovani si erano letteralmente “spente” sotto il peso della scarpinata compiuta la notte precedente. Era stato un supplizio che neanche le più disgraziate fantasie di Michiru avrebbero mai potuto prevedere. Non era stato tanto il ritrovarsi a camminare al buio lungo strade sconosciute, ma il mancato esercizio e le calzature non idonee ad una simile impresa. Una luna calante benedettamente brillante, le aveva accompagnate donando loro la luce necessaria per non perdersi ed il fatto di essere in sei, aveva infuso a tutte il coraggio del branco. Ma non era passata neanche un'ora che le prime vesciche erano apparse ed il restante tragitto era stata un'interminabile sequela di fermate, tanto che il tempo di percorrenza ipotizzato era passato da due a quattro ore.

Esasperata dal bruciore che le calze stavano provocando nello strusciarle le dita, Minako aveva ben presto deciso di togliersele in barba all'etichetta, mentre Minako aveva addirittura tentato di camminare a piedi nudi. Pur essendo la più piccola, Usagi aveva invece sopportato con coraggio non lamentandosi mai, non piangendo, ne pretendendo soste per riposare. Era talmente grata a Michiru per averla portata con se che avrebbe tentato di darle il meno fastidio possibile.

Ami guardò l'insegnante persa con lo sguardo oltre il finestrino chiedendosi quali pensieri affollassero la sua mente. Si era presa una bella responsabilità ed anche se molto riservata, era palese che tra lei ed il Dottor Kurzh qualcosa era successo. Aveva avuto modo di conoscerli entrambi in quell'ultimo anno, non riuscendo però a capire cosa legasse due caratteri tanto diversi. Apparentemente ad un occhio superficiale, quel binomio appariva perfetto. Fisicamente; belli entrambi, eleganti, di classe lei, compito lui. Una coppia invidiabile, soprattutto quando li si vedeva uscire per andare all'opera o ai caffè del centro città. Eppure all'infermiera italiana la loro unione non aveva mai convinto del tutto.

Daniel si era comportato con lei sempre in maniera impeccabile e pur lavorando a stretto contatto, aveva sempre mantenuto un atteggiamento cordiale, ma distaccato, proprio di un promesso sposo. Un mentore eccellente, che le aveva donato la conoscenza della pratica, portandola spesso ad esercitare anche fuori dall'istituto. E proprio in questi episodi l'attenzione dell’infermiera era caduta su piccole, impercettibili lacune che l'uomo aveva dimostrato di possedere nel rapporto che istaurava con i pazienti. Era come se la vocazione umanitaria propria della scienza medica non riuscisse ad emergere sulla necessità di sentirsi al centro dell'attenzione. A fare da contro altare c'era Michiru Kaiou, un vero talento musicale, dolce nell'approcciarsi con gli altri, ma giustamente severa nell'insegnare. Mai Ami aveva visto quella donna pretendere più di quanto le sue allieve potevano arrivare a darle.

Vedendola voltarsi nella sua direzione abbassò per istinto lo sguardo arrossendo leggermente.

“Cosa c'è Ami? Perché non dormite?” Chiese avvertendo un nuovo scossone. Non che il treno fosse il mezzo più comodo del mondo, anche se sicuramente era meglio di una carrozza.

“Credo per il vostro stesso motivo Michiru. Tutto questo scuotere non mi concilia il sonno, ma quanto a stomaco, da una bella nausea.” La vide ridere e ne fu lieta.

“Avete perfettamente ragione. Solo i “cuccioli” sono crollati.” Guardando le altre quattro poggiate l'una all'altra davanti ed accanto a loro, tornò a perdersi fuori dal finestrino notando le prime strutture dell'ennesima stazione.

“Dovremmo essere a Platus. Di questo passo arriveremo alla frontiera per le quattro del pomeriggio.”

Se la coincidenza per Zurigo è domani, avremo bisogno di pernottare a Malles.”

“Esattamente. Vi confesso Ami che la cosa proprio non mi aggrada, ma non possiamo rimanere in stazione tutta la notte. Troveremo sicuramente un albergo con delle camere libere.”

“Perdonatemi Michiru, ma abbiamo abbastanza soldi per permettercelo?”

“Per questo non dovete preoccuparvi. Ne abbiamo per pernottare e mangiare.” Rivelò mentre lo stridio metallico dei freni rallentava a poco a poco le carrozze annunciando così l'arrivo in stazione.

“Ho bisogno di muovermi Ami. Andrò a chiedere al Capo Treno quanto resteremo fermi. Nel frattempo per favore, badate voi ai bagagli.” E stando attenta a non svegliare Usagi, appiccicatasi alla sua spalla già dai primi spostamenti della locomotiva, si alzò per dirigersi verso l'inizio del vagone.

Non si era accorta che fossero saliti tanti passeggeri nelle poche fermate che avevano fatto. E proprio uno di loro, un uomo sulla cinquantina, distinto, ben vestito, curato nell'aspetto, dai folti baffi scuri, la urtò facendola barcollare. Lesto l'afferrò per la vita impedendole così di cadere addosso a chi era seduto al lato del corridoio.

“Mi perdoni signorina.” Disse sorreggendola ed aspettando che si riappropriasse dell'equilibrio.

“Sono incredibilmente maldestro quando si tratta di viaggiare su questi trabiccoli. State bene?”

“Si. Non è successo nulla signore.” E lo vide togliersi il cappello rivelando la cera che gli ordinava la chioma brizzolata.

“Meno male, non me lo sarei mai perdonato. Posso essere sfacciato e chiedervi se avete informazioni sul tempo di sosta? Sto cercando il Capo Treno, ma fino ad ora non ho avuto fortuna.”

“Pensi, avevo intenzione di fare proprio la stessa cosa. - Rivelò guardando la porta d'entrata al vagone. - Molto probabilmente d'evessere sceso un attimo.”

“Pazienza, vorrà dire che rimarrò nell'ignoranza fino alla fine della tratta.”

“Anche voi siete diretto a Malles?” Chiese rendendo conto solo una volta aver parlato di quanto fosse stata sfacciata.

“Si, ma permettetemi di presentarmi. Simon Termalen.” E le porse la mano.

“Michiru Kaiou.” E l'afferrò stringendola nella sua.

Era un uomo estremamente affascinante, anche se i calli che la ragazza avvertì nel palmo rivelavano un'occupazione dura. Molto probabilmente si era fatto da solo, come il suo Daniel.

“Le mie amiche mi stanno aspettando. E' stato un piacere signor Termalen.” E chinando leggermente il capo fece per tornare dalle altre. Lui la seguì con lo sguardo fino a quando non la vide risedersi.

Michiru non poteva ancora saperlo, ma l'incontro con quell'uomo le avrebbe presto cambiato la vita e non sarebbe stata mai più la stessa donna.

 

 

 

 

 

   
 
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