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Autore: Urban BlackWolf    05/05/2017    3 recensioni
Michiru scorse mentalmente il titolo della prima pagina sentendosi improvvisamente le gambe molli. Ferma accanto a lei la giovane Usagi rilesse ad alta voce quello che appariva essere un epitaffio inquietante. “Consegnata la dichiarazione di guerra da parte del giovane Regno d'Italia.”
“Ecco perchè il nostro treno è stato soppresso.” Disse Ami stravolta. Lei era italiana ed ora si ritrovava ad essere nemica di alcune di loro.
“Michiru adesso cosa faremo? Dove andremo se non possiamo più varcare i confini?”
La più grande sospirò ripiegando il foglio dalla carta grigia accarezzandole poi una guancia. “Non lo so Usagi. Ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo proseguire. Il mondo che conosciamo da oggi in poi non sarà più lo stesso.”
Legato ai racconti: "l'atto più grande" e "il viaggio di una sirena".
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Inner Senshi, Michiru/Milena, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Fronte occidentale

 

 

 

Collegio di San Giovanni, Merano.

Austria sud occidentale – 15/4/1915

 

Usagi sospirò guardando gli occhi profondissimi della ragazza più grande seduta sulla brandina accanto a lei. Considerava Ami Mizuno come una sorta di sorella maggiore ed ogni volta che sentiva di avere un problema correva immediatamente da lei per sfogarsi e chiedere consiglio. Di carattere socievole, dalla simpatia prorompente, dolce, pasticciona, ma anche intimamente determinata, l'adolescente sapeva di essere accerchiata di buone amiche, ma preferiva scegliere l'infermiera italiana per le sue confidenze, sia in campo sentimentale, che scolastico. Ed era proprio questo secondo punto che l'aveva spinta a mentire spudoratamente al Dottor Daniel manifestando l'unica indisposizione alla quale lui, uomo riservatissimo, non avrebbe mai avuto il coraggio di porre rimedio; l'emisfero fisico mensile. Come un animale di fronte al fuoco si era dato alla macchia delegando Ami nell’aiutarla ad alleviarle i dolori del mestruo. Usagi aveva gridato intimamente alla vittoria potendo dare così sfogo ai rubinetti che teneva nei suoi grandi occhi chiari.

“Fammi capire bene Usagi, è della pagella di fine anno che stiamo parlando?” Attonita, ma sollevata dal dolore fittizio della ragazzina la guardò severa captando un mugolio simile ad un assenso.

“Io ci metto tutta la buona volontà della quale sono capace, ma proprio non riesco Ami.” Si difese stropicciandoli un occhio per poi tirare su con il naso.

Alcuni leggeri tocchi alla porta dell'infermeria e le due puntarono lo sguardo all'anta chiara. “Ed hai pensato bene di fingere uno svenimento per saltare l'ultima interrogazione di letteratura moderna. Brava, mi compiaccio. Bella trovata.” Disse sarcastica alzandosi dal materasso per andare ad aprire.

“Non dirlo alla signorina Kaiou.” Pregò pentita non rendendosi conto del timbro di voce troppo alto.

"Difficile cara." Ridacchiò l'altra aprendo l'anta per fare entrare l'insegnante.

Michiru guardò entrambe serafica, chiedendo poi alla biondina di quale segreto spaventoso non sarebbe mai dovuta venire a conoscenza. Deglutendo a vuoto Usagi la guardò per poi abbassare la testa. Bella figuraccia. Possibile che davanti alla sua insegnante di musica continuasse ad inanellare una stupidaggine appresso all'altra. Come la settimana precedente, quando guidando fieramente il biciclo della sua amica Minako, alta pressappoco come lei, nel salutare l'insegnante con la mano non aveva notato un sasso proprio davanti alla ruota del mezzo finendo per ruzzolare vergognosamente addosso alla proprietaria che le stava correndo accanto.

“Allora signorina Tsukino? Cosa non dovrei venire a sapere?” Chiese sorridendole dolcemente.

Usagi chinò ancora di più la testa ammettendo per l'ennesima volta a se stessa quanto quella splendida donna di classe riuscisse a metterla in soggezione.

“Ve lo dico io Michiru...” Intervenne Ami dando così forza alla più giovane per uscire dal torpore della vergogna.

“Ho mentito al Dottor Kurzh. Non ho mal di pancia. E' che..., ecco...”

“Abbiamo forse qualche interrogazione oggi?”

L'insegnante piegò leggermente la testa da un lato e all'altra non rimase altro che confessare definitivamente la sua colpa. “Si. Letteratura.”

“Oh... allora capisco. Devo ammettere che nell'avere come giudice la direttrice, mi sarei servita anch'io di un mezzo tanto scaltro.” E nel dirlo enfatizzò maggiormente il sorriso donando alla ragazza più tranquillità.

“Non diremo nulla a Daniel, vero Ami?”

L'infermiera strinse le labbra per niente convinta. La signorina Kaiou era sempre troppo gentile con quella monella ed il suo gruppetto di amiche. Quattro ragazzine che insieme facevano impallidire altrettanti cavalieri dell'Apocalisse. Una vera e propria associazione a delinquere. Una piccola batteria d'assalto che era riuscita a prendere i punti nevralgici di tutto l'istituto.

Makoto Kino, diciassette anni, tedesca, alta, magra, forte come un toro, di indole guerriera, generosa, ma poco incline alla pazienza e alla ponderazione. Rei Hino, sedici anni, francese, ragazza che da sempre portava in dote una passionalità incredibile, austera, estremamente amante della sua Parigi e della Patria. Minako Aino, quindici anni, viennese e come tale, romantica, perennemente innamorata dell'amore. Di sovente la si trovava con tra le mani romanzi di grandi autrici dell'ottocento come Emily Bronte o Virginia Woolf. Anche se non la più grande, capo indiscusso del gruppo. Ultimamente la si sentiva discutere animatamente con le prime due, ree di azzuffarsi a causa della politica che stava infiammando l'Europa. Infine c'era Usagi Tsukino, quattordici anni, belga e come tale, costretta a non poter tornare a casa per via del suo paese sotto assedio. Buona e pronta all'aiuto a volte fino alla stupidità, non le importava che alcune compagne di scuola fossero di origine teutonica, ripetendo continuamente che l'invasione del suo Belgio ad opera della Germania non fosse colpa loro e che, prima o poi, tutto si sarebbe sistemato nel migliore dei modi. Pia illusione di bambina, perché le cose purtroppo, da li a qualche settimana non sarebbero che peggiorate. Usagi era quella cosa appiccicaticcia e fastidiosa che riusciva però a tenerle tutte insieme nonostante i venti di guerra stessero sconquassando il loro mondo e le loro giovani anime.

“Davvero non lo direte al vostro fidanzato signorina?!”

“Parola d'onore.”

Usagi si alzò di scatto per andare ad abbracciarla, ma la porta dell'infermeria si spalancò sbattendo violentemente contro il muro proprio un istante prima che le sue mani riuscissero a toccare la vita della donna. Minako entrò sorreggendo Rei che con la mano destra sul medesimo occhio stava piangendo. Uno sfogo rabbioso all'indirizzo di Makoto, che dopo qualche secondo fece capolino tenendosi la tempia sinistra.

Al vedere tale “spettacolo” Michiru strinse d'impulso la schiena di Usagi impedendole di guardare, mentre Ami richiudeva la porta per poi aiutare Minako a far sedere l'amica su una sedia.

“Ma cos'è successo?!” Chiese l'italiana scansando delicatamente la mano della ferita constatandone una gran brutta tumefazione.

“E' colpa di quella guerrafondaia!” Urlò Rei indicando la ragazza alta ferma come un fuso accanto alla porta.

“Non è colpa della Germania se è scoppiata la guerra e se la tua adorata Francia non è stata in grado di rimanere neutrale, mia cara.”

“Non ti permettere! Se non foste stati alleati dell'Austria i nostri confini non sarebbero stati valicati Dovreste vergognarvi!”

“Ti ricordo che c'era un accordo. Abbiamo solo tenuto fede alla parola data.”

“Bada Mako o te le suono ancora!” Minacciò la mora portando nello sguardo scuro come la pece una scintilla d'odio. Nel coglierlo Michiru intervenne prontamente.

“Signorine non azzardatevi mai più! Non tollererò oltre questo vostro comportamento infantile. D'ora in avanti esigo che non si parli più del conflitto, di politica, di invasioni o di qualunque altra cosa riguardi ciò che sta accadendo in Europa. E' chiaro?!”

Minako guardò alternativamente le due sperando in una tregua. L’insegnante aveva ragione. Erano sempre state amiche. Era già orrendo vedere come, giorno dopo giorno, i loro paesi corressero al massacro, non dovevano iniziare ad azzannarsi anche loro.

“Signorina Kino?”

Makoto guardò altrove lasciando un si poco convinto.

“ E lei signorina Hino? Mi sono spiegata?”

“Si, signorina Kaiou. Come volete.” Cedette digrignando i denti. Quella storia non finiva li.

“Ami, per favore, cerchi di porre rimedio a questo scempio. Ci inventeremo qualcosa per far fronte alle domande che la direttrice sicuramente ci porrà. Sappiate che non mi piace affatto mentire e questa sarà l'ultima volta che mi vedrò costretta a coprire le vostre assurde bravate.”

 

 

Riale Riavena, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 20/4/1915

 

“Eccone un altro!” Giubilò stando attenta a non strattonare la canna. La terza trota nel giro di dieci minuti. Ottima giornata, nulla da dire.

“Che fortuna sfacciata che hai Haru!” Si lagnò il bambino seduto sulla roccia accanto a lei.

“Ma fa silenzio! Questa è bravura amico mio. - Un rapido movimento del polso destro ed afferrando la lenza si guardò il pesce stirando un sorriso soddisfattissimo. - Ed anche per oggi la cena è assicurata.”

Mattias la imitò tirando su l'asta notando con avvilimento che l'esca era sparita. Sospirando guardò Haruka infilzare l'ennesimo lombrico sull'amo.

“Cos'è che sbaglio?!”

“Te l'ho già detto Matti; dai troppi scatti alla canna. Devi essere più dolce nei movimenti. I pesci lo avvertono che dietro questo vermetto succulento in realtà si cela la più grande fregatura della loro vita.” Disse contenta.

Le piaceva la compagnia del suo giovane amico, ed anche se non poteva instaurare con lui discorsi eccelsi per via dell'età, almeno era un modo di passare qualche ora in allegria. Anche se nel farlo, Mattias rischiava ogni volta una strigliata dal padre. Il signor Adelchi, vecchio amico di Sebastiano Tenou, aveva da tempo proibito al figlio di intrattenersi con lei e se fosse venuto a conoscenza delle razzie che compiva nella dispensa di famiglia e del tempo speso assieme alla ragazza, sarebbe arrivato a batterlo a sangue pur di inculcargli in quella testa vuota il rispetto per le regole paterne.

“Credo invece che tu abbia il dono di ammaliare gli animali Haru. Come hai fatto con Flint. “Disse guardando di sottecchi il mezzo lupo tranquillamente disteso accanto alla ragazza intento a godersi il tepore roccioso.

“Sarebbe proprio una forza. - Ammise ridendo di gusto. - Avrei risolto tutti i miei problemi di cibo.”

Il bambino si fece serio spostando lo sguardo al sacco dimenticato dietro le loro spalle. “Non ti basta quello che ti porto Haru? Cercherò di fare meglio la prossima volta.”

Anche lei si fece seria ordinandogli di non farlo più. “Non voglio che tu rubi togliendo cibo e sapone alla tua famiglia Mattias. Ti ringrazio dei doni che mi fai, ma i tempi che si prospettano non sono rosei e siete tanti a casa. Io posso cavarmela da sola, lo sai.”

“Non sempre lo prendo di nascosto. Alle volte è mia madre che te lo manda, come questa mattina.”

Haruka provò una stretta al petto e serrando la mascella sentì un leggero bruciore agli occhi. Quella donna era stata una cara amica dei suoi e da quando aveva memoria se l'era sempre vista in casa, accanto a Ilde, intenta a filare chiacchierando amabilmente.

“Ringraziala, ma ti ripeto che non voglio che vi priviate delle già scarse razioni che ancora si riescono a trovare in città.”

Il bambino sembrò pensarci su per poi uscirsene piatto con una frase bruciante. “Dovrebbe essere lei a portarti quello che più ti serve.”

“A chi ti riferisci?” Chiese dimenticando la canna sul grembo avendo però una vaga idea del soggetto incriminato.

“A quella vigliacca di Giovanna!” Sputò fuori neanche si fosse trattato di un boccone amaro.

Nel sentire il nome della sorella lei puntò lo sguardo ai mulinelli poco lontani dall'area di pesca. Le faceva male sentirlo pronunciare con tanto astio. Le voleva un bene immenso ed avrebbe continuato a nutrire un sentimento fraterno anche se fosse cascato il mondo.

“Ti pregherei di non chiamarla più a quel modo.”

“Ma lo è stata e lo è a tutt'oggi! Perché non c'è lei qui accanto a te? Perché non si batte per farti tornare in città? Perché ha scelto di rimanere accanto a vostro padre quando ti ha cacciata di casa?”
“Adesso basta! - Alzò la voce per poi abbassarla di colpo. - Mattias te lo ripeto, non parlare di lei in questi termini. Tu non sai nulla ed il rapporto che ho con Giovanna non deve interessarti!

Risentito lo vide alzarsi richiamando l'esca. Ancora anima candida non poteva certo comprendere discorsi come l'omosessualità e la ghettizzazione da essa derivante. Lui era solo convinto che l'allontanamento forzato dell'amica dalla casa paterna fosse dipeso da gelosie represse che la sorella maggiore nutriva per la minore. Aveva sentito di fantomatici spasimanti che avevano irretito il cuore di Giovanna, abbandonandolo poi per quella bellezza di Haruka e nella sua testa di bambino, Mattias aveva preso a fantasticare su improbabili Cenerentole e sorellastre crudeli ed invidiose. Naturalmente nulla di più falso. Purtroppo la verità era un'altra, più cruda e meno romantica.

“Come ti pare, ma io la odio lo stesso!”

Afferrandogli il polso la bionda cercò una dolcezza che non sentiva di possedere. “Mattias ti prego fallo per me, vuoi?” E poi quanto poteva essere brutto sentirlo pronunciare quella parola; odio. Sembrava che da qualche tempo tutto il mondo se ne stesse avidamente nutrendo.

Continuando ad avere un’espressione arcigna sul bel viso chiaro, borbottò serrando i pugni. “Quando sarò grande ti sposerò, così tutti in città dovranno rispettarti. Devi solo avere un po' di pazienza Haru.”

“Mmmm... Quando mi sposerai. Si...” Sogghignò strofinandosi il collo.

Quanto poteva essere tenero il suo “cavaliere dall'armatura scintillante”.

 

 

Periferia di Bellinzona.

Svizzera meridionale – 29/2/1913

 

“Corri Ruka, corri!” Urlò Giovanna cercando di non scivolare sul sottile strato di ghiaccio che ricopriva il selciato. Arpionato il legno dello steccato con la mano guantata sentì una folata prima alle spalle, poi al fianco, capendo così di essere stata raggiunta e superata.

“Hai le gambe troppo corte Giò.” Derise beffardamente la sorella riuscendo a prendere un paio di metri di vantaggio.

“Se non portassi questi stupidi stivaletti!” Una mezza scivolata immediatamente ripresa e con un saltello via, sullo strato di neve fresca per avere una maggiore presa sul terreno.

Voltando la testa ed accorgendosi dell'intuizione la bionda corrugò la fronte guardandola con sfida. “Non vale! Si era detto di rimanere all'interno del viale. Fai sempre come ti par...” In picchiata dentro una montagna di neve. Tradita dal ghiaccio, dal baricentro alto, nonché dal vestiario pesante, Haruka dovette arrendersi al fatto che non potendo più correre libera da gonne e cappotti come quando era bambina, avesse perso molto del vantaggio che aveva sempre avuto nelle gare di corsa con la maggiore.

“Prima!” Gridò l'altra toccando il cancelletto secondario del loro giardino.

Respirando pesantemente per via dello scarso ossigeno e della sconfitta, la bionda iniziò a togliersi la neve dal petto con gesti secchi ed alquanto scocciati. Non sopportava perdere. Via il cappello, liberata la treccia dorata, uscita dal manto traditore, la raggiunse pugni stretti e sguardo infuocato, con ampie falcate militaresche. Giovanna non poté impedire ad un sorriso d'inondarle il viso.

“Non finisce qui!” Minacciò la più piccola guardando dritta davanti a se. Poi piegando finalmente la testa in avanti accettò la sconfitta.

“Povera la mia Ruka. Battuta ed umiliata.” Disse abbracciandosela stretta per lasciarle un enorme bacio sulla guancia.

“No, dai! Non fare l'appiccicosa Giovanna.” Ordinò stirando però anche lei un luminosissimo sorriso.

“Su rientriamo prima che nostro padre ti veda conciata in questo modo. Assomigli ad un randagio.”

“Magari lo fossi, vivrei senza vincoli o imposizioni. Pensa che bello sarebbe se potessimo portare i calzoni come gli uomini ed avere tutta la loro libertà.”

“Stai parlando come una suffragetta lo sai?!”

“Ma dai, sono cose che pensi anche tu!” Una risata ed un'altro abbraccio, ma questa volta di Haruka.

“Vero, ma non vado a sbandierare ai quattro venti le mie idee, soprattutto tra le mura di casa. Vuoi che a nostro padre venga un infarto?”

“A proposito di nostro padre. Guarda con chi sta parlando.”

Si fermarono all'unisono riconoscendo nell'uomo fermo accanto a Sebastiano Tenou il giovane Stefano Astorri. Slanciato, capello folto e scuro, sguardo castano e caldo, ragazzo intelligente, ma soprattutto, gran lavoratore. La sua famiglia possedeva una vigna a qualche chilometro dall'inizio città.

“Non è un tuo ex compagno di scuola? Quello che si dice in giro spasimi per te?”

“Ma piantala! Si è Stefano. Chissà perché sarà venuto.”

“Magari per dichiararsi!” Rispose fredda alzando le spalle e proseguendo in direzione dell'entrata al tinello. Giovanna iniziava ad avere un po' troppi ragazzotti che le ronzavano intorno e questo proprio non le piaceva. Haruka non amava i cambiamenti, a maggior ragione se questi riguardavano la sorella maggiore o i suoi genitori.

“Vedrai invece che sarà venuto per chiedere a nostro padre di aggiustargli il trattore.”

Fosse vero pensò Haruka rabbrividendo di piacere immaginando di poter finalmente mettere mano ad un Pavesi.

Aperta la porta vi trovarono la madre e la sua migliore amica, Marta Adelchi, intente a prendere una tazza di te. Haruka era contenta quando quella donna veniva a trovarla, perché sembrava che Ilde, da tempo malata ai polmoni, trovasse giovamento dalla sua solarità. Praticamente sorelle, avevano passato tutta la vita assieme sposando poi due brav'uomini che, nonostante una cultura di base differente, avevano comunque stretto amicizia.

“Buon pomeriggio madre, signora Marta.” Salutò la bionda seguita da Giovanna.

“Haruka, ma come ti sei combinata?!”

“Emmm. Ho avuto un piccolo incidente.” Rivelò imbarazzata andandole vicino per baciarle una guancia. “Scusatemi. Vado subito a cambiarmi.” Sospirò ad un orecchio della donna mentre questa le carezzava il viso.

“Vai prima che tuo padre ti veda. Lo sai che non vuole che tu faccia la scavezza collo per la strada. E tu Giovanna, visto che sei la più grande dovresti impedirle di ridursi in questo stato.”

“O non sgridateci madre. Erano giorni che nevicava e lo sapete che poi la “piccola” qui, se non corre un po' come un puledro ci si intristisce. - Imitò la minore donando alla bella donna bionda un grosso bacio. - Ma vi do ragione nel dire che Haruka dovrebbe stare più attenta a dove mette i piedi. Arrivederci signora Adelchi. E' stato un piacere.” E così dicendo seguì Haruka al piano di sopra.

“Sono proprio due brave ragazze Ilde. E Haruka poi... si è fatta proprio una bellezza. Ti somiglia moltissimo, mentre Giovanna ha preso gli stessi colori di Stefano.”

L'altra sorrise orgogliosa versando un altro po' di te all'amica. “Hai proprio ragione Marta. E poi sono così unite. Fanno tutto insieme, anche se questo mi preoccupa. Prima o poi dovranno separarsi per metter su famiglia.”

“Be si, sono ormai entrambe in età da marito. Ma vedrai che continueranno a volersi bene e a sostenersi.”

“Lo spero proprio.” Sospirò avendo però nel cuore un pessimo presentimento.

 

 

Sant'Antonio, Bellinzona.

Frontiera meridionale – 1/5/1915

 

La giovane donna guardò il commilitone sorridendole amorevole mentre prendeva a soffiarsi aria polmonare nell'incavo delle mani, scrutando poi per nulla convinta il cielo grigio buttar giù una quantità impressionante d'acqua. In quella mattina umida ed improvvisamente priva di tinte colorate, dove aveva preso a montare un vento di tramontana micidiale e le mulattiere che salivano su fino ai punti di trincea si erano improvvisamente trasformate in torrenti violenti, Giovanna Tenou si sentiva sin dentro le ossa una tristezza sconfinata. Quel tempo uggioso non le era mai piaciuto, soprattutto da piccola, quando costringeva lei e la sorellina a starsene chiuse in casa assieme ai grandi ed alle loro chiacchiere. E poi c'era l'umidità primaverile a falciarle i tendini e la muscolatura di tutto il corpo. Mai possibile che ogni volta che toccava a loro due andare a portare alla milizia i rifornimenti, il tempo si trasformava improvvisamente da pura serenità a martellante accanimento acqueo?

“Andrà a finire che ci buscheremo un raffreddore.” Sentenziò Stefano stringendosi ancor più nella mantella. Aveva gli stivali zuppi e le calze nel medesimo straziante stato.

“Non la sopporto l'acqua. Sarebbe meglio tornare indietro Giovanna.”

Avevano trovato riparo per loro e ii due muli carichi di provviste, sotto uno spuntone di roccia sperando in una momentanea tregua, ma la verità era che quando in quella stagione iniziava a piovere, non la smetteva più andando avanti per giorni.

“Non possiamo lasciarli senza viveri. Aspettiamo che la pioggia diminuisca d'intensità e poi ripartiamo.”

“D'accordo, speriamo solo che la farina non si bagni.”

Ci mancherebbe solo questo. Non amava fare con lui quegli interminabili “sali e scendi” dalla valle alle trincee dell'altopiano. Sembrava che il Tenente Smaiters lo facesse apposta ad appiccicarglielo alla schiena ad ogni incarico! Dove andava lei, andava lui e come una specie di mastino zelante, si arrogava la briga ed il diritto di tentare di proteggerla da chissà quale nemico invisibile. Così sentendo di non avere più margine di movimento a Giovanna iniziava a mancare l'aria. In più sapeva perfettamente qual'erano le mire del giovane Astorri, Era un anno che le faceva una corte discreta, ma asfissiante e dopo tutto quello che era accaduto all'interno della sua famiglia anche per causa sua, aveva del miracoloso che la giovane staffetta non lo avesse ancora scaraventato giù da qualche crinale. Letteralmente.

“Mi posso permettere una domanda? Mi vuoi dire che cos'hai da qualche tempo?” Le chiese a bruciapelo interrompendo i suoi pensieri.

“Cosa intendi dire?”

“Lo sai benissimo.”

“Ed allora perché me lo chiedi?!”

Grattandosi la testa rise scuotendola. Quella donna era incredibile. “Tendo a dimenticare troppo spesso quanto sia indipendente il tuo modo di ragionare Giovanna.”

Ma sospirando mani nelle tasche dei pantaloni militari lei non raccolse.

“Perché non vuoi essere felice?”

“Dovresti essere tu l'uomo con il quale esserlo?” Gli rispose con altrettanta sincerità.

“Non dico questo e lo sai. Ne abbiamo già discusso. Come sai cosa provo per te.”

Le iridi grigio verdi della ragazza si incatenarono alle sue. Profondissime e tristi. “Proprio perché ne abbiamo già parlato Stefano sai perfettamente che non potrò mai essere felice ne con te, ne con nessun altro, finché non lo sarà anche lei.”

 

 

Collegio di San Giovanni, Merano.

Austria sud occidentale – 20/5/1915

 

La penna correva veloce sulla pagina bianca trascrivendola con l'aiuto di una calligrafia chiara ed elegante. Michiru sorrise tra se e se mettendo un punto all'ultimo pensiero. Non avrebbe mai sperato che lo scrivere con dedizione giornaliera un diario potesse aiutarla così tanto. Trovava consolatorio rivolgersi a quell'amico muto che discretamente si faceva carico delle angosce, delle gioie, delle paure e dei dolori di una giovane donna in terra straniera. Eppure l'Austria non avrebbe dovuto esserlo, anzi, come madre amorevole e protettiva avrebbe dovuto accogliere la sua futura figlia, invece di farla sentire rifiutata e sola ogni giorno.

Ormai l'anno scolastico era finito e le studentesse sarebbero partite da li a breve per far ritorno a casa ed anche lei, complice un’informativa che dava al suo fidanzato qualche giorno di permesso, sarebbe tornata con Daniel a Berna dalla sua famiglia. Il padre Viktor voleva vederlo, molto probabilmente per parlare delle nozze e lei, che già pregustandova un'ultimo periodo immersa nella piu' completa nubile libertà, si era vista spezzata l'ala da quel fuori programma. Ed ora provava solo rabbia. Incontrollata e profonda.

Amava il suo fidanzato, questo era un fatto acclarato, ma erano alcuni suoi atteggiamenti a farla andare su tutte le furie. Era cresciuta in una famiglia liberale, aperta alla modernità, dove entrambi i genitori, persone di gran cultura, l'avevano cresciuta con l'obbiettivo di farne una donna indipendente, intellettualmente ed economicamente, svincolata dai canoni sociali dell'inizio del secolo. Una gran fortuna se paragonato al periodo storico che stavano vivendo. Ma Daniel non era come loro, non aveva avuto la stessa impostazione di Michiru, ed anche se coadiuvato da studi impegnativi che ne avevano fatto un uomo di scienza, non aveva la stessa visione della vita che avevano tutti i Kaiou. Questo poneva la loro relazione su basi meno solide di quanto sperassero lei ed i suoi genitori e come gran parte delle donne maritate, avrebbe dovuto chiudere gli occhi di fronte alla cosa e rimanere prona alle idee del marito.

Chiudendo il volume di pelle nera Michiru puntò l'attenzione su uno dei capitelli binati che circondavano il chiostro dell'istituto. Antico monastero di clausura benedettino, trasformato in altolocata scuola per signorine di un certo livello sociale, quella particolare ala della struttura era la sua preferita. C'era tanta pace li ed era forse l'unico posto dove in quei due anni passati a svolgere il ruolo d'insegnante al San Giovanni, si era trovata in un certo senso come a casa.

Improvvisamente avvertì un insieme di passi rimbombare pesantemente tra le voltature del corrente ed alzandosi dalla seduta in pietra, vide Minako correre a perdifiato verso le stanze del piano superiore. Pochi secondi ed intravide Usagi, Rei e Makoto inseguirla e fare altrettanto. Immaginandosi l'ennesimo alterco scattò raggiungendole un paio di minuti dopo nella stanza della prima. Ferma dietro alla porta della viennese, ascoltò il gran vociare e le lacrime disperate di un paio di loro bussando poi energicamente sull'anta interrompendo così quel bailamme emozionale. Rei le aprì con la fronte solcata da una profonda ruga di sorpresa.

“Signorina Hino di grazia, cosa sta succedendo qui?!”

Interdetta per la tempestività con la quale l'insegnante era riuscita a sorprenderle, la francese l'invitò ad entrare nella camera dove lei e Minako alloggiavano dall'inizio dell'anno accademico.

La scena che le si presentò fu pressappoco questa; Usagi che pugni sugli occhi piangeva disperata, Makoto ferma alla finestra mentre con una mano arpionava nervosamente la tenda di lino rosa e Minako che singhiozzava sommessamente seduta sul suo letto con il viso tra le mani.

L'insegnante guardò a turno le quattro socchiudendo gli occhi non capendo. Mani sul grembo chiese maggiori spiegazioni alla mora che intanto aveva richiuso la porta.

“Non posso aiutarvi se non mi dite cosa vi sta accadendo.”

“Purtroppo signorina Kaiou c'è poco da fare.” Disse Rei aumentando di colpo i singulti della bionda compagna di stanza. Usagi la seguì a ruota iniziando a balbettare parole incomprensibili.

“Non è giusto, non è giusto.” Furono le uniche parole di senso compiuto che Michiru riuscì ad afferrare in quella dialettica tutta sua.

Prendendo il toro per le corna scelse e chiese direttamente alla più grande. Makoto rivelò allora che Minako era stata appena congedata dalla preside la quale le aveva dato la notizia dell'arrivo di un telegramma da parte della madre. Il figlio, appartenente al distaccamento dell'Imperial Regio Esercito dislocato al fianco della milizia tedesca, nonché fratello maggiore di Mina, era stato ferito piuttosto gravemente mentre si trovava nei pressi di una località di frontiera tra la Francia e la Svizzera.

“Mio fratello Wolfgang è stato colpito durante un assalto alla baionetta sul fronte occidentale. Non è specificato in quale parte del corpo, ma deve essere intrasportabile se lo hanno ricoverato in un ospedale nei pressi di Basilea e non nelle nostre retrovie.” Confessò riuscendo finalmente a guardare l'insegnante negli occhi.

“Signorina Aino sono profondamente dispiaciuta.” Ammise Michiru andando a sedersi accanto alla ragazza posandole poi una mano sui dorsi ancora umidi di lacrime.

“Mia madre mi ha scritto che non potendo allontanarsi da Vienna delega me per sincerarsi delle sue condizioni. Devo perciò partire quanto prima.”Confessò rabbrividendo.

“Da sola?”

“E' ovvio signorina Kaiou. Non posso perdermi in tentennamenti proprio ora che la mia famiglia ha più bisogno di me.”

“Non si preoccupi per lei, l'accompagneremo noi.” Disse con una certa punta d'innocente orgoglio Makoto, aggiungendo che in virtù della fine delle lezioni tutte avrebbero comunque fatto ritorno alle rispettive terre d'origine e lei essendo nata a Wehr, nella Germania sud-occidnetale, avrebbe optato per la strada ferroviaria più breve e sicura passando per il paese neutrale svizzero, unendo così al viaggio di ritorno il sostegno dell'amica.

“Per andare a Parigi anch'io ho scelto di passare per la Svizzera. La via dall'Italia è molto più lunga e faticosa. Quindi come vede, Minako avrà compagnia almeno fino a Zurigo.”Rincarò Rei gonfiando il bel petto acerbo.

Nell'ascoltare quel programma tattico già pienamente studiato, Michiru iniziò a dubitare seriamente della salute mentale delle sue studentesse. Con una media di quindici anni a testa, senza aver mai viaggiato da sole, senza aver mai visto gran parte delle strade che stavano saccentemente menzionando, con una guerra mondiale che presumibilmente avrebbe coinvolto altri paesi e non aveva ancora raggiunto l'apice della sua crudeltà omicida, dove diamine volevano andare quelle tre scellerate!

Respirò cercando di riflettere il più velocemente possibile. Quelle adolescenti dovevano essere fermate prima di subito, perché sarebbe bastata una sola disattenzione per vederle prima di sera bagagli in mano trotterellare verso il cancello dell'istituto. “Signorine fermiamoci un momento e cerchiamo di razionalizzare. Non potete intraprendere un viaggio così lungo e pericoloso da sole. Si da il caso che anche Daniel ed io abbiamo intenzione di tornare a Berna. Parlerò con la direttrice per far si che anticipi la nostra partenza di qualche giorno. Saremo noi ad accompagnarvi.”

Asciugando gli occhi di Minako con il suo fazzoletto, Michiru glielo lasciò tra le mani per poi alzarsi e dirigersi verso la porta. Prima di uscire incrociò lo sguardo azzurrissimo di Usagi, rimasta in religioso silenzio fino a quel momento. Di tutte le studentesse del collegio quella che non avrebbe potuto muoversi da li sarebbe stata lei. Lo “Stupro del Belgio” del '14 ad opera del piano Schlieffen portava ancora strascichi di violenza e sarebbe stato utopico anche solo pensare di mettere piede entro i confini di quel povero paese.

“Signorina Kaiou, vi ringrazio.” Disse Minako vedendola scomparire dietro il legno dell'anta non prima di averle donato l'ennesimo sorriso.

 

 

Michiru non riusciva a credere alle proprie orecchie. Possibile che Daniel si fosse trasformato in un uomo tanto egoista? O forse lo era sempre stato? Stavano discutendo ormai da svariati minuti ed all'ennesimo sguardo di rimprovero della fidanzata, lui si alzò dalla sedia della scrivania dell’infermeria spazientito oltre ogni dire.

“O basta così cara! Non intendo cambiare i nostri programmi solo perché un branco di scolarette vuole giocare alla guerra.”

“Giocare alla guerra?! Ma ti stai ascoltando Daniel? Stiamo parlando del ferimento di un parente della signorina Aino, della cortesia affettuosa che le sue due amiche vogliono riservarle accompagnandola e della necessità che hanno di una protezione maschile. Vorresti forse lasciarle partire da sole?”

Lui la guardò e per un attimo si senti' catturare da una vampata di ardore possessivo. Quella donna possedeva una forza, una grazia ed un orgoglio da far impallidire chiunque. Provava eccitazione ogni qual volta avevano occasione di discutere così animatamente. Allontanando a forza il desiderio che sentiva di rapirle le labbra, tornò a concentrarsi sui fogli di dimissione da consegnare alla direttrice.

“Ti ripeto che partiremo tra una settimana. Devo radunare le mie cose ed istruire il nuovo medico. Ci sono montagne di carte da firmare e non voglio rischiare di dimenticarmi qualcosa.”

“Daniel non lo accetto! Vorresti davvero farmi credere che il fare bella figura di fronte ad un collega valga più che portare sane e salve a Zurigo delle ragazze? Ma che razza di uomo sei!” Abbandonando la sua compostezza quasi urlò di rabbia. Serrando i pugni lo sfidò apertamente non abbassando lo sguardo neanche per un secondo.

“Michiru... non continuare oltre.” Disse minaccioso facendo un passo verso di lei.

Non oserà toccarmi. Non avrà mai il coraggio di colpirmi, pensò forte delle sue certezze. Allora perché i suoi occhi erano tanto dittatoriali? Perché si stava avvicinando con quella sconosciuta determinazione? Una paura improvvisa e si ritrovò a cambiare drasticamente approccio. Non poteva battersi con lui a livello fisico, ma lo avrebbe sicuramente vinto su quello della scaltrezza.

Fintamente pentita, ma comunque offesa, fece per uscire dall'infermeria non prima di avergli risposto per le rime. “Faremo come credi Daniel, ma sappi che questo tuo atteggiamento non mi è affatto gradito.” Ed aprendo la porta uscì senza neanche guardarlo in faccia.

Sentendosi scioccamente vincitore, il medico sogghignò tornando tronfio ad occuparsi dei suoi affari non immaginando che la sua fidanzata avesse preso la decisione di andare a parlare immediatamente con la direttrice.

 

 

Portandosi una mano alla tempia la giovane insegnante si ritrovò a camminare solitaria per i corridoi del secondo piano non riuscendo a smettere di pensare. La conversazione avuta poc'anzi con la direttrice e quella prima ancora con Daniel l'avevano scossa. Per non parlare della disperazione cieca di Minako e della follia delirante delle sue amiche. Ma cosa stava succedendo? Arrivata alle scale ed avvertendo un forte capogiro, dovette sedersi un attimo sul primo gradino. Cercando di immettere più ossigeno possibile nei polmoni si costrinse a darsi un contegno. Entrare nel panico non sarebbe servito a nulla, men che mai a trovare il coraggio necessario per poter risolvere quell'insieme di situazioni ingarbugliate.

Michiru Kaiou è ora di dare prova della tua maturità si disse non accorgendosi degli enormi occhi che Usagi le stava puntando contro.

Ferma sul primo dei due pianerottoli, l'adolescente stava guardando la sua personale “eroina” sperando intimamente che un giorno non troppo lontano avrebbe potuto assomigliarle almeno un pò. Facendo qualche gradino si ritrovò dritta nella sua direzione non sapendo cosa fare. Sembrava talmente turbata da apparire finalmente umana, una ragazza di qualche anno più grande di lei.

Sentendo coraggio le chiese timidamente se andasse tutto bene. Michiru quasi sobbalzò.

“Usagi!”

L'aveva chiamata per nome in barba all'etichetta. Sorridendole la biondina la raggiunse.

“Posso?” Chiese di potersi sedere facendo cenno con il capo sempre adornato da due buffi codini.

“Naturalmente. - Contraccambiò il sorriso per poi scusarsi di averla trovata in una posa abbastanza sconveniente. - Una signorina non dovrebbe mai cedere alla “stanchezza” per andarsi a sedere in terra.” Polemizzò verso se stessa.

“Siete stanca! Avete un malore? Volete che vada a chiamare il Dottor Kurzh?” Disse allarmata.

“No!” E fu talmente perentorio che Usagi rimase stupita.

Essendosi accorta della reazione troppo esagerata, Michiru cercò di spiegarle che quel particolare disagio fatto d'anzia e spossatezza fisica veniva dal fatto di aver toccato con mano e per la prima volta dallo scoppio della guerra, la violenza di quell'evento.

“Sono costernata per la sorte toccata al fratello della signorina Aino. E non vi nascondo Usagi che anche l'atteggiamento dimostrato dalle vostre amiche mi ha profondamente turbata.” Ancora una volta nell'arco di una manciata di minuti l'insegnante aveva chiamato la ragazza più giovane con il nome di battesimo. Usagi aveva il dono di farla sentire completamente a suo agio.

“Signorina Kaiou so che potrò sembrarvi superficiale e sicuramente lo sono, ma sono più che certa che per Wolfgang tutto si risolverà per il meglio. In più vi posso assicurare che Minako, Makoto e Rei sono ragazze assennate e giudiziose. Ognuna di loro ha doti incredibili ed insieme potranno sicuramente arrivare a Zurigo senza problemi.” Seguando il filo di una fiducia incrollabile nel suo gruppo di amiche, la ragazza riuscì finalmente ad immergere le sue iridi in quelle dell'altra. Michiru sbattè le palpebre sentendosi improvvisamente indifesa.

“Ma come avete fatto a...”

“A capire che il Dottor Kurzh non ha acconsentito ad accompagnarle? Semplice signorina, avete uno sguardo talmente deluso che non mi è stato difficile intuirne la causa.”

Impressionante. Usagi Tsukino aveva una capacità di comprensione dell'animo altrui fuori dal comune.

Sospirando la giovane donna staccò lo sguardo da quel viso sincero per puntarlo al vano scale che si apriva dinnanzi a loro. Quadri di monarchi, un paio di arazzi con scene mitologiche ed una vetrata colorata raffigurante San Giorgio che uccide il drago. Tutto epicamente poco indicato se paragonato al comportamento del suo fidanzato.

“Devo ammettere che l'empatia che state dimostrando di possedere mi ha impressionata. Devo confessarvi che sono per natura abbastanza brava a nascondere agli altri i sentimenti che si celano dentro al mio cuore. - Tornò a guardarla per poi accarezzarle il viso con il dorso della mano. - Usagi la direttrice mi ha messa al corrente della vostra situazione economica.”

“O... è anche per questo che vi siete rattristata? Non dovete.” Disse con un candore che all'altra sembrò stridere come un gesso sul piano di una lavagna.

“Come non devo. Usagi vi rendete conto che sono mesi che i soldi per la retta non arrivano più?”
“Così come le lettere di mia madre. Non so cosa sia successo alla mia famiglia; ai miei genitori, al mio fratellino.”

“E come potete allora essere tanto fiduciosa?” Michiru aveva saputo che la direttrice acconsentiva a tenerla ancora al collegio perché, in tutta onestà, non potendo tornare in Belgio Usagi si trovava di fatto ad essere un'esule senza alcun sostentamento economico.

“In realtà signorina Kaiou non lo sono affatto, anzi. Mi trovo spesso a piangere come una bambina, ad avere persino paura del buio, immaginandovi al sul interno chissà quale assurda entità maligna. Ma disperarsi non porta a nulla. Prima o poi il sole sorge e dopo una notte vi è sempre l'alba.”

Incredula, ascoltando le parole semplici e perfettamente lineari di quella ragazza, Michiru si stava rendendo conto di quanto Usagi possedesse una forza d'animo fuori dal consueto, mai avvertita in nessuna persona incontrata fino a quel momento e sentendo improvvisamente affetto e stima, decise di compiere l'ennesimo gesto ribelle di quel giorno di fine maggio.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Eccomi qui. Anche la storia del primo conflitto mondiale ho dovuto rileggere! No, in realtà studiare, perché sono una ciuccia ignorante! E non mi ricordavo niente. E si che mi “bombo” Rai Storia tutti i giorni! Comunque, eccomi a voi con una storia che sta pian piano delineandosi.

Punto primo - sento già serpeggiare maledizioni poco velate all'indirizzo di Daniel Kurzh, che se nel primo racconto era solo uno “scanner belloccio” (come lo aveva soprannominato Giò) o uno “psicopatico in bianco” (epitaffio della carognagine di Haruka), qui è un... bastardo cronico, misogino narcisista, maschilista incallito. Povero! Be un mister simpatia si doveva pur eleggere. E guarda un po' a chi è toccato questa volta?!

Punto secondo - Haruka Tenou, detta La Grande, mi porta le gonne e la treccia. La treccia!!! Spettacolo. Ma solo fino a quando sara' sotto il tetto paterno tranquille.

Punto terzo - Se da una parte Michiru ha visto il fidanzato eletto a bastard of the year, lei è stata assunta ad ribellious angel. Ricordiamoci sempre che siamo agli inizi del XX secolo e che una cosa che può sembrare ovvia per noi, per le donne di allora non lo era affatto. La vedremo spesso fare di testa propria.

Punto quarto - Che Giovanna ed Haruka vadano così d'amore e d'accordo? Non si scannino, punzecchino e diano noia? Fatto alquanto bizzarro.

A prestissimo 

   
 
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