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Autore: Dakota Blood    15/05/2017    0 recensioni
Un uomo che non riesce a dimenticare il suo passato. Il suo migliore amico e suo figlio gli fanno continuamente visita ricordandogli gli orrori del campo di concentramento in cui avrebbe dovuto lavorare.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arrivo al locale che sono appena le diciotto e trenta, sono puntualmente in anticipo sia che devo incontrare un vecchio amico, sia che si tratti di lavoro o entrambe le cose assieme. Mi passano davanti un uomo ed un bambino, il primo avrà circa settant’anni mentre il piccolo non credo abbia già dieci anni. Si vede subito che c’è una buona intesa tra di loro perché l’anziano sorridere al bambino in modo affettuoso e lo accompagna a guardare una vetrina a pochi metri da me, un negozio di dolci e caramelle. Il piccolo molla la mano dell’uomo e gioisce contento buttandogli le braccia al collo, come solo i più affettuosi sanno fare. Non c’è dubbio che quei due siano nonno e nipote, meravigliosi nella loro complicità. Sorrido mentre li vedo sparire sotto il tendone verde del negozio, e girandomi dall’altra parte noto che qualcuno mi fa un cenno con la mano mentre aspetta che le macchine lo facciano passare. Lo riconosco quasi subito, con il suo portamento da aristocratico freddo e cinico ma in fondo buono e dal cuore puro. È Michael che viene verso di me per parlare di qualcosa che non avrei nemmeno voluto pensare, quel dannatissimo lavoro che vorrei dovesse toccare a qualcun altro e non certo a me. Mi si avvicina e mi mette una mano sulla spalla respirando con fatica. -Scusa se sono in ritardo ma c’era traffico, ho parcheggiato lontanissimo e poi con l’asfalto bagnato è un casino- Scuoto la testa per rassicurarlo. -Non fa niente, sono io in anticipo come sempre. Entriamo. Saranno passati sei mesi dall’ultima volta che ho messo piede al Sonne und Nacht, ma non è cambiato per niente. Le sedie in legno sono impeccabili nel loro splendore, le tovagliette a quadri bianchi e rossi danno quel tocco di familiarità perfetto, sembra quasi di fare un pic nic tutti assieme. Vedo che una giovane ragazza ci si avvicina con un sorriso bellissimo, avrà circa venticinque anni e ha delle labbra rosse carnose che potrebbero appartenere ad una donna di almeno trentasei anni. -Volete ordinare?- Ha una voce soave e melodiosa, Non assomiglia per niente ad Helena, eppure la trovo incredibilmente attraente e dolcissima nella sua linea perfetta. Guardo Michael che è assorto nei suoi pensieri e decido di pendere in mano la situazione per non risultare maleducati. -Per me un hamburger con patatine fritte e per lui insalata con mais- -Ok, da bere?- Lo guardo anche se non mi sembra sia su questa terra e faccio a modo mio tentando di ordinare la sua bibita preferita giusto per andare sul sicuro. -Due birre e siamo a posto, grazie- Mi sorride e chiude il taccuino dandoci le spalle. È davvero bella. Mi guardo intorno, il posto non è affollato ed è un bene perché non ho assolutamente voglia di parlare di una cosa tanto seria mentre mezza città ci ascolta facendosi gli affari nostri. -Hey, allora spiegami tutto dall’inizio alla fine- Il mio amico mi guarda e nei suoi occhi leggo solo tanta tristezza e questo mi fa male al cuore non solo perché in questa situazione chi deve stare davvero male sono io ma anche perché il suo dolore sembra dettato da un senso di colpa che io non voglio assolutamente che lui provi. Mi parla ma senza riuscire a trovare subito le parole giuste. Giocherella con il bicchiere passandoci sopra indice e pollice senza guardarmi in faccia. Solleva la testa verso di me mentre non dico niente, perché in certi momenti non si sa bene cosa dire, poi decido di rompere questo triste silenzio. -Guarda che sono venuto qui perché voglio essere a conoscenza di tutto, non ho paura del passato, dimmi pure ti prego- -Va bene… Ieri mattina intorno a mezzogiorno, quando tu eri ancora a Henzer, mi ha convocato Hans. Mi ha telefonato dicendomi che dovevo andare da lui perché era urgente e credimi, me l’ha detto con una voce fredda sì, ma allo stesso modo triste, come se volesse evitare tutta questa faccenda- Annuisco mentre per il nervosismo stringo forte il tovagliolo bianco che ho vicino al bicchiere, mi sudano le mani e il battito cardiaco è piuttosto accelerato. -Continua- -Ecco, sono andato da lui e li ho trovati tutti immobili, nelle loro divise orribili con i simboli che tu non vuoi ricordare. Li ho guardati dritti in faccia e ho visto gli occhi di tutti gli uomini che sono morti senza colpa. Ho abbassato lo sguardo perché ho provato vergogna al posto loro. Mi sono seduto e Frank mi ha illustrato la situazione. In una parola sola posso dirti che è ricominciata- -Cosa intendi per ‘rincominciata’?- Mentre deglutisce come se stesse per avere un attacco di panico da un momento all’altro, vediamo arrivare dal bancone verde, la graziosa cameriera con la sua lunga coda di cavallo bionda, che assieme agli occhi azzurri come il mare la fa sembrare una vera principessa, come quelle delle fiabe. -Ecco qua, il conto lo porto appena avete finito, non c’è fretta, siete i benvenuti qua. Dopo cena porto un omaggio dalla casa, buon appetito- La ringraziamo con dei sorriso forzati mentre lei ce ne rivolge uno talmente vero e splendido da far mancare il respiro. Ha denti bianchissimi e regolari, e per un attimo mi perdo completamente in tutto quel candore. Guardiamo i piatti pieni di cose buonissime ma non abbiamo poi tutta questa fame. -Con ‘ricominciata’ intendo che è arrivata l’ora che temevamo da quando eravamo solo dei bambini ingenui e inconsapevoli di quando fosse orrendo il mondo. Frank mi ha mostrato le legge che sono state emesse qualche settimana fa, mi ha rilasciato tutti i moduli, quelli da firmare obbligatoriamente. Non avrei mai voluto chiamarti per darti questa notizia ma ho dovuto farlo, Mi spiace- Mi pizzicano gli occhi, cerco di non scoppiare in lacrime solo perché non voglio che qualcuno si preoccupi e mi si avvicini chiedendomi spiegazioni quando invece non ho voglia di parlare con nessuno. Michael si abbassa fin quasi a scomparire sotto il tavolo e poco dopo rispunta fuori con un fascicolo enorme pieno zeppo di documenti, fogli inutili e doveri militari assurdi. -è tutto qui- Li prendo in mano ma decido di non guardarli, non ancora. Non è né il momento giusto né il luogo adatto. Li consulterò una volta arrivato a casa in tutta tranquillità. Vedo che Michael ha uno sguardo strano, come se cercasse di nascondermi qualcosa e allo stesso tempo volesse sputare la verità. -Che c’è?- -Non è tutto, Dan. Purtroppo c’è dell’altro. Quando Frank e gli altri hanno finito il colloquio, mi hanno trattenuto per farmi vedere delle scene orribili. Mi hanno mostrato tutte le foto che sono state scattate più di vent’anni fa in quello stesso campo di concentramento ed erano orribili. Quelle non me le hanno lasciate portar via ed è molto meglio così. Poi Frank ci ha fatto fare un giro di perlustrazione nei vecchi corridoi, nei vecchi angoli di morte e stavo quasi per vomitare sulle mie scarpe. Ma ho proseguito per non dover fare la parte dello scemo che ha lo stomaco debole e non sa toglier fuori le palle. Abbiamo proseguito in tutti i posti inaccessibili e abbiamo visto cose che nemmeno i più malvagi avrebbero immaginato- Fa un respiro lungo e poi prosegue. -In una stanza c’erano ancora le bambole di pezza delle ragazzine che passavano le ore giocandoci e spazzolandole per non dover pensare alle proprie mamme tropo distanti tra loro. In un angolo, nel muro, abbiamo persino trovato delle scritte ormai logore dal tempo e una era breve, semplicissima ma profonda. Frei. Libero. Allora ho capito che camminando su quel pavimento non solo mi sentivo un codardo ma anche un profanatore, un sacrilego. Hai presente quei film dell’orrore in cui si va ad aprire le vecchie tombe dei vampiri per piantargli il paletto nel cuore? -Si- -Ecco, mi sentivo come quei cacciatori di demoni, solo che in questo caso i veri mostri eravamo noi. Noi che non avevamo nessun diritto di disturbare il sonno di quelle povere anime innocenti e che dopo tutto il dolore che gli avevamo provocato in vita, continuavamo ad ossessionarli. Volevo fuggire via, correre prima che gli spiriti arrabbiati ci rincorressero e si impossessassero delle nostre anime facendocela pagare fino in fondo- Lo ascolto rapito, con gli occhi sbarrati, come se mi stesse raccontando di aver fatto un viaggio in capo al mondo e mi stesse descrivendo le tribù conosciute e i loro bizzarri nomi. -Poi cosa è successo? Siete andati via?- -Aspetta, ancora non sono arrivato al nocciolo della questione. Vicino alle stanze dei bambini abbiamo trovato dei fogli sparsi ovunque, con delle strane scritte indecifrabili. Li abbiamo raccolti e con una lente di ingrandimento abbiamo cercato di capirci qualcosa ma senza risultato. C’erano dei strani simboli, alcuni raffiguravano delle stelle assieme ad alcune svastiche e sopra vi erano tracciate delle enormi X che cancellavano quei bizzarri segni che non capivamo in alcun modo. Uscendo da quel piccolo corridoio buio, ci trovammo vicino alle docce… sai bene a cosa mi riferisco giusto?- Inizio a tremare e le gambe iniziano a muoversi quasi contro la mia volontà. -Si, so benissimo a cosa ti riferisci- -Ecco, siamo passati lì nei dintorni, tra gli scarafaggi e le formiche che passeggiavano tranquilli sbucando dalle mattonelle come testimoni di una guerra senza vincitori ma vinti. Lì per terra, abbiamo trovato qualcosa che ci ha spiazzati completamente. Erano dei libri con le copertine marrone, o meglio, all’inizio pensavamo che fossero dei libri, ma una volta averli presi in mano per consultarli ci siamo resi conto che erano dei diari. Pagine scritte in momenti di paura, di follia, di tensione incredibili. Ti rendi conto Daniel? Dopo tutti questi anni abbiamo trovato i pensieri di quelle persone! Non ho approfondito la lettura, non ho voluto, ma di nascosto dagli altri ho portato via qualcosa. Qualcosa che devi assolutamente avere- -Che cos’è? Io non credo di voler avere qualcosa che riguarda quel posto, non voglio e non posso, davvero- Michael mi zittisce in un secondo, scuotendo la testa e prendendo ( per la seconda volta in pochi minuti) dei fogli dalla borsa. -Tieni, devi averlo. Credo sia un tuo diritto dopo tutto che vi hanno fatto- All’inizio non riesco proprio a capire, poi vedo il libro che tiene tra le mani e capisco, dalla rilegatura e dallo spazio per metterci il lucchetto, che si tratta di uno dei diari. Ho un colpo al cuore e inizio a sudare, allento il colletto della camicia e credo di essere avvampato come un ragazzo che è appena stato visto dalla sua ragazza mentre bacia un’amica. Faccio per parlare ma dalle mie labbra non esce alcun suono. -Si, hai visto bene. Credo che qua dentro ci siano anche varie lettere sparse qua e là. Devi conservarle e tenerle con te, tutto questo è come un dono, credimi.- -Ok, ti ringrazio- -Non devi. Appena arrivi a casa leggi tutto e sfoga la tua rabbia, ogni emozione possibile, sia positiva che negativa- E per quanto riguarda il posto alla Deutchland Union, mi dispiace da morire, non so più come dirtelo. Credo che questa storia mi porterà alla pazzia.- -Non è colpa tua, solo che vorrei sapere come è successo, come si è arrivati a questa decisione assurda. Cazzo, Mich, ormai erano più di vent’anni che non si commettevano queste barbarie. Gli ebrei erano un popolo libero, dopo tutto quel dolore, ora che cosa dobbiamo dimostrare al mondo intero, che i tedeschi sono dei luridi bastardi e basta?? Stiamo parlando seduti ad un tavolino come persone civili, così come lo sono gli ebrei, e quando invece ci ritroviamo faccia a faccia con loro dobbiamo fingere di essere dei pezzi di merda? È questo che dobbiamo fare??- Mi guarda in silenzio, non riesce a trovare le parole giuste per esprimersi, forse ho detto troppe cose vere e questo gli ha toccato il cuore e l’anima. -Senti, io non sono per niente d’accordo, voglio dire, andiamo ci conosciamo da una vita e sai benissimo che non farei del male nemmeno ad una mosca che tenta di rovinarmi la cena per cui da parte mia non troverai mai il consenso a questa legge assurda. Ma cosa potremo mai fare? Non siamo noi quelli che governano questa nazione. Dobbiamo attenerci ai nostri obblighi e doveri. Comunque, in poche parole Hans ci ha convocati per farci sapere che il generale Enzet è malato ed è sicuro che non camperà ancora per molto. Cancro al fegato e non c’entra niente il fumo. Non c’era nessun altro che avesse le nostre conoscenze e che nonostante la giovane età avesse talmente tanta esperienza di guerra e di lager da poter essere all’altezza della situazione. I nostri padri ci hanno segnato il destino eh?- -Si, mi hanno distrutto la vita- -Ora non pensarci troppo, ti scongiuro. Quando arriverà il momento di presentarci andremo anche se non ci farà piacere, ma siamo pur sempre uomini e soldati e ricordati un’altra cosa Dan- Non mi piace il suo tono di voce e neppure il modo in cui tiene l’indice sollevato indicandomi. -Siamo tedeschi- -Non mene frega niente, ecco come la penso. Vorrei cambiare il mio certificato di nascita, cambiare volto e nome. Vorrei bruciare la Germania intera, da est a ovest.- Mangia un boccone e mi parla con la bocca piena. -Io sto dalla tua, ricordalo.- Guardo in basso verso il mio piatto ancora pieno. Non abbiamo mangiato quasi niente, ma d’altra parte come potremmo? Mi si è chiuso completamente lo stomaco e non riesco nemmeno a buttar giù un sorso di birra. Mi giro e vedo la ragazza bionda che prende altre prenotazioni di due coppie arrivate da poco. Non cerco il suo sguardo e rimango in silenzio senza saper bene cosa dire o pensare. Michael fa un cenno alla ragazza che lo guarda incuriosita, mentre lui sorseggia un bicchiere pieno fino all’orlo con fare nervoso. -Andiamo via?- -Si, Dan, credo sia molto meglio. Ti ho detto tutto ciò che dovevi sapere e non credo di riuscire a finire di mangiare, mi sento un po’ sottosopra. Mi è passata la voglia di mangiare e chissà quando mi tornerà. Vedo che anche per te è lo stesso- -Già- La ragazza arriva, ci porta il conto e ci alziamo per andare ognuno nella propria direzione. Cinquanta euro per non aver nemmeno assaggiato il dolce della casa.
   
 
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