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Autore: Dakota Blood    15/05/2017    0 recensioni
Un uomo che non riesce a dimenticare il suo passato. Il suo migliore amico e suo figlio gli fanno continuamente visita ricordandogli gli orrori del campo di concentramento in cui avrebbe dovuto lavorare.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si dice che la casa è dove si trova il nostro cuore e forse è vero perché non appena spalanco la porta e cerco l’interruttore mi sembra di sentirmi già meglio. Sento una strana calma ripercorrermi le vene e mi distendo sulla poltrona del soggiorno vicino alla tv che però non tento nemmeno di accendere perché è proprio l’ultima cosa di cui ho bisogno. Frugo tra le tasche del giaccone e stringo forte tra le mani quei fogli che risalgono a più di trent’anni fa, impolverati, gialli e testimoni di un male così vicino a noi. Ho quasi paura a controllare queste cose che mi ha dato Michael, mi sembra quasi di sbirciare nelle vite di questa gente o di rubargli i pensieri senza alcun diritto. Eppure lo faccio lo stesso e non me ne pento. C’è un diario, non tanto grande, con la copertina marrone e dei piccoli fiori neri incisi sopra, di quelli che puoi benissimo chiudere gli occhi e passarci le dita per sentire la consistenza di ogni petalo, dal più piccolo al più grande. Sembrano delle graziose roselline. Lo apro e prima di leggerlo mi cadono sui piedi dei fogli sporchi di sangue. Si vede benissimo che non è cioccolata perché il colore inconfondibile. Li raccolgo e li tengo ben stretti in mano, notando che dall’altro lato, quello nascosto, si vedono delle lettere e tante frasi scritte con dell’inchiostro nero, in una calligrafia piuttosto infantile e umile. Giro il foglio e mi ritrovo a tu per tu con una lettera datata 1945 probabilmente scritta da un ragazzino molto piccolo perché in fondo alla pagina ci sono delle figure piuttosto infantili, sembra quasi il disegno di un bambino delle elementari che mostra al mondo intero la sua famiglia perché glielo ha chiesto la maestra. 1 Gennaio 1945 Ciao fratellone! Sono tanti giorni che sono qui in questa camera fredda al buio, senza mangiare niente a parte un pezzo di pane duro che non piace nemmeno ai topolini che vengono a farmi compagnia. Non dovrei nemmeno scriverti! Non dobbiamo avere contatti con le persone di fuori, quelle che loro chiamano ‘ quelle che ci devono leccare le scarpe’. Non potremmo nemmeno tenere un semplice foglio segreto o scrivere ai nostri babbi e mamme. Ho preso in prstito da uno dei loro uffici una matita piccola piccola ma utile per scriverti qualcosa. Spero che ricevi queste lettere! Da qaundo ci hanno separati mi manchi moltissimo! Sento dei rumori, ti devo lasciare mi spiace, Se posso, ti riscrivo domani. Ti voglio bene. Tuo Frank. Chiudo gli occhi e inizio a sentire le lacrime che mi rigano le guance. Frank. Ancora non riesco a credere di avere in mano le sue lettere, quelle che nn ho mai ricevuto e di cui non sapevo nemmeno l’esistenza. C’è un’altra lettera e credo sia ancora di lui, quel bambino troppo piccolo ma con un grande cuore e una mente eccezionale. Il foglio è ingiallito e non riesco a capire alcune parole perché sicuramente la carta è entrata in contatto con dell’acqua, rovinandosi. Ma nonostante tutto il contenuto è comprensibile. 3 Gennaio 1945 Caro D. Non ________________________ di poterti scrivere ancora per molto tempo! //////////////////////////// Uomini armati che mi hanno allontanato da _________ e mia mamma che grida assieme ad altre donne sella sua stessa età! Mio padre è morto ieri, bang bang, ucciso e sdraiato per terra in mezzo alle mosche e al fango.. Lo so perché me l’hanno detto gli uomini cattivi e poi si sono messi a ridere agitando i fucili e cantando che La Germania non è terra per i topi ebrei. Non ho capito bene cosa volevano dire, bo bo bo. Uffa io ho fame e non ho nulla da mangiare. Sai che dopo che babbo è morto si sentiva odore di bruciato? Hanno detto che qualcuno, dopo che i padri muoiono, cucina delle cose buonissime, morbide come il pane. Solo che a me non danno mai nulla. Devo mettere a posto la matita, non posso scriverti per molto tempo fratellone. __________________- presto. Ti ricordi la fattoria del signor Welmer dove correvamo assieme ai maiali e alle oche? __________ ucciso anche lui assieme ________________ Forse muoio anche io! Ti scrivo di nuovo almeno altre parole più avanti. ________________PAURA DAN!!! Uomini cattivi vengono adesso qui da me, senti i passi. Aprono la porta e urlano delle cose che non capisco. Ti lascio. P.s: ho dormito con Pinkie, il maialino che mi hai regalato due mesi fa. Scusami ma l’ho rovinato giocandoci e gli manca un occhio. Mi vuoi ancora bene vero?- Tuo Frank fratellino. Piango. Come un ragazzino di dodici anni che legge lettere d’amore da una città lontana. Frank, il mio migliore amico, mio fratello non di sangue ma di cuore e anima. Rivedere il suo nome, poter leggere le sue parole dopo tutti questi anni mi riporta indietro nel tempo e rivivo ogni attimo passato con lui, con quel bambino speciale come nessun’altro. Chiudo gli occhi e mi rilasso completamente, e le pagine scivolano via dalle mie dita, atterrando sul freddo pavimento del salotto. È una giornata molto fredda, nevica. Saranno più o meno le sei di sera e io e Frank camminiamo lungo un viale alberato, nei pressi del campo di concentramento. Lui inizia a correre e ridere:- Non mi prendi, non mi prendi!- Lo rincorro ma non riesco a raggiungerlo perché tra i due quello che fa la parte della lumaca sono sempre stato io. -Dai fermati, mangiamo un frutto seduti qua, si sta benissimo- Mi ascolta, d’altra parte il più grande fra i due sono io e vedo che trema. Non so se è per il freddo o per la paura, in ogni caso mi avvicino a lui e lo abbraccio cercando di dargli un po’ del mio calore. -Grazie fratellone- -di niente piccino. Ci sediamo per terra, tra la cenere e i cumuli di neve bianchissimi che avvolgono i nostri piedi come se volessero accarezzarci. -cos’hai portato di buono?- Apro il cestino ed estraggo due tramezzini farciti con insalata e maionese, poi tolgo fuori due frutti rossi belli maturi. -Che fame! Non mangio da ieri mattina e a colazione ci hanno dato solo acqua sporca e un tozzo di pane nerissimo- Lo guardo e mi rendo conto di quanto sia stato fortunato ad averlo incontrato, di come sia potuta nascere una così bella amicizia in un momento così brutto. Decido di non toccare cibo perché lui ha la priorità, io almeno quando tornerò a casa troverò un piatto caldo e i miei familiari con i loro sorrisi, la mamma che con il suo profumo dolce mi inebria i pensieri e mio padre che toglie la divisa come fosse un medico mentre si sbarazza del camice. -è tutto per te, puoi mangiare anche la mia parte- Mi stritola gettandomi le braccia al collo e facendomi quasi cadere all’indietro, rido e lo stringo forte a me. Gli voglio un gran bene. Inizia a mangiare con avidità come se non toccasse cibo da una settimana e lo guardo mentre ogni tanto sollevo la testa verso il cielo spalancando la bocca assaporando il gusto della neve mista a pioggia ghiacciata. È buonissima. -Scusa, mh, ho una fame da lupi- -Fai pure, io sono qui e ti aspetto.Appena finisci facciamo una passeggiata- -Mh, ok- Mangia davvero come un lupo, divora prima il tramezzino come se niente fosse e il secondo gi scivola giù per la gola quasi intero, tanto che per un attimo ho il timore che possa ingozzarsi. -Mangia piano, non c’è fretta- -Sai che stamattina due uomini mi hanno detto che tra qualche ora morirò?- Non rispondo. Chiudo forte i pugni e mi faccio davvero male, ma quello non è niente in confronto al dolore che sto sentendo. Non voglio che dica certe cose, anche se possono essere vere. -Non devi credergli, lo sai. Te l’ho detto tante volte, Frank. Non succederà niente stai tranquillo- Mi guarda e mi sorride nonostante sappia che tra poco non potrà più farlo- -Ma è così, hanno ragione. L’hanno già detto a tutte quelle persone e ora di loro non rimane altro che cenere e vestiti.- -Smettila Frank. Non ti succederà niente di tutto questo, non ad un bambino come te- -Io me ne andrò e tu mi ricorderai sempre. La mia mamma mi diceva sempre che le persone speciali continuano a volersi bene anche dopo che si separano, che il loro bellissimo rapporto va’ avanti nonostante la morte. Io sarò sempre al tuo fianco, stupido tedesco- Mi abbraccia forte con le mani ancora sporche di maionese e gli sorrido mentre qualche lacrima mi fa il solletico sugli zigomi. -Andiamo adesso? Ho voglia di camminar- Si stacca dalla mia presa e inizia a correre a braccia aperte, verso il cielo nuvoloso che sembra stia per piangere con me. Comincia a piovere ininterrottamente e Frank inizia a ridere come sa fare solo un bambino della sua età, con la spensieratezza che dovrebbe avere sempre, allargando le mani e girando su se stesso divertito. Metto le mani a forma di imbuto vicino agli angoli della bocca e urlo con quanto più fiato ho in gola, perché voglio mi senta davvero. -Ti voglio bene- Si ferma e socchiude gli occhi, senza rispondermi. Poi sorride e scappa via. -Mi hai sentito?- -No, ti voglio bene. È proprio uno scemo. Lo guardo allontanarsi, mentre pian piano rallenta per prender fiato e scalciando pezzi di neve ancora solidi. Siamo uguali, io e lui, abbiamo gli stessi sogni, le stesse paure e prospettive, non c’è niente che ci differenzia, neanche il suo buffo pigiama a righe celesti e bianche. Si gira verso di me per farmi la linguaccia e io guardandolo non vedo un numero, vedo bambino proprio come me. Apro gli occhi e mi trovo nella mia stanza, guardo gli oggetti sul mobile di fronte a me e non li vedo realmente. Mi sembra piuttosto di scorgere una fitta nebbia, è tutto bianco attorno a me, attorno a noi… si, perché in meno di tre secondi mi rendo conto di non essere solo. Al mio fianco vedo il mio piccolo amico , in trasparenza come una figura evanescente, come quello che ormai è diventato… un fantasma! Mi sorride e dolcemente si avvicina al mio viso, con quelle piccole e delicate dita mi asciuga le lacrime e io sento che mi sta parlando, mi dice di non piangere perché ora lui sta bene ed è con la sua famiglia. Mi dice che ora finalmente è felice. Richiudo gli occhi per un istante solo, certo del fatto che quando li riaprirò lui non ci sarà più, infatti lui non c’è, guardo dritto davanti a me e vedo solo la finestra dove fuori il vento sta facendo agitare gli alberi e scaraventare sul vetro piccoli pezzi di legno. Non c’è nient’altro. Mi alzo e decido di non leggere più il diario, non mi sento pronto… lo conservo nel cassetto vicino alla scrivania. Credo proprio che andrò a letto, sperando che domani sia un giorno migliore di quello che abbiamo appena trascorso.
   
 
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