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Autore: laylabinx    23/05/2017    3 recensioni
"Hai detto che stava bene, perché invece non mi hai detto che è stato trasformato in un moccioso?"
In cui Steve viene trasformato nel più adorabile bambino di tre anni e Bucky è totalmente, esilarantemente come un pesce fuor d'acqua.
[ Pre Age of Ultron ]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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cap 1 trigger

Capitolo 3: Racconti della buonanotte



«Va bene, è ora di andare a letto,» stabilisce James dopo aver visto Steve sbadigliare almeno quattro volte negli ultimi cinque minuti.

«Non sono stanco,» mormora Steve in risposta e sottolinea la protesta con un ulteriore sbadiglio, ignorando il fatto che stia letteralmente ondeggiando per il sonno. Testardo fino al midollo.

«No, infatti. Non sei per niente stanco,» replica James mentre lo solleva dal pavimento con l'aiuto del braccio di metallo. I pastelli che Steve stava usando per colorare rimangono sparsi in giro e James prende un appunto mentale: raccoglierli più tardi, per evitare che finiscano sbriciolati nel tappeto. Molto più pratici dei colori a dita ma comunque difficili da far venire via dalle fibre sintetiche.

«Saresti più convincente se almeno riuscissi a tenere gli occhi aperti,» dice ancora James e si incammina verso la stanza in fondo al corridoio. Steve ha l'aria di voler mettere il broncio, eppure riesce solo a sbadigliare di nuovo.

James ridacchia tra sé. «Appunto...»

Il letto è enorme in confronto al piccolo Steve e il materasso sembra volerlo inghiottire intero. A questo James non aveva pensato, così passa una discreta quantità di tempo a sistemare cuscini e coperte per creare una specie di barricata a proteggere i bordi, in modo da evitare che Steve rotoli a terra nel bel mezzo della notte. Una volta soddisfatto del risultato ci deposita all'interno il bambino e aggiunge altri cuscini.

«Ho fatto un disegno,» dice Steve intanto che il muro di cuscini diventa più alto.

«Ah sì?» domanda James, senza prestargli troppa attenzione. «Di cosa?»

«Te,» risponde Steve e gli fa vedere il preziosissimo disegno che tiene in mano. È poco più di uno scarabocchio colorato ma c'è una figura umanoide al centro, con i capelli lunghi e un braccio grigio. Quel che è peggio, ha in faccia un gran sorriso ebete. James non riesce a trattenere una smorfia alla vista del capolavoro.

«Ti piace?» chiede Steve con un sorriso quasi simile a quello che ha disegnato.

«Uhm... sì, ragazzino,» tentenna James. « È... fantastico?!»

Steve sorride di nuovo e si accoccola felice nel castello di cuscini che James gli ha preparato. James, da parte sua, si chiede se dovrebbe sentirsi lusingato o inorridito. È un regalo amorevole, sebbene la qualità lasci parecchio a desiderare, e non solo Steve ci ha perso un bel po' di tempo - è anche molto contento del risultato. Alla fine si arrende alla tenerezza di quel gesto e ripiega il foglio per infilarlo in una delle proprie tasche.

Steve non si accorge di nulla, perché ormai non riesce a tenere gli occhi aperti. «Mi racconti un storia?» domanda qualche istante dopo e James viene assalito da un brivido di terrore.

«Una storia?»

«Mhmm,» conferma Steve, annuendo come un piccolo pupazzo con la testa che dondola.

«Ehm...» tentenna l'altro mentre cerca di inventarsi una scusa plausibile. Quando si trova a corto di idee si limita a stringersi nelle spalle. «Senti, non sono proprio il tipo. E tutte quelle che conosco non vanno a finire bene.»

«Per favore...?» incalza Steve e lo guarda con la solita espressione da cucciolo abbandonato. Quel che è peggio è che di sicuro non si rende neanche conto di farlo. Stronzetto.

«D'accordo, ok, ti racconto una storia!» sospira James, agitando le mani davanti al viso come se potesse servire ad annullare l'effetto dello sguardo implorante di Steve. «Basta con quegli occhi! Seriamente, quei cosi dovrebbero essere dichiarati fuori legge dalla Convenzione di Ginevra, sono uno strumento di tortura.»

Si mette a sedere sul bordo del letto. «Che tipo di storia ti piacerebbe?»

Steve ci pensa serio e si rigira nella pila di cuscini. «Una bella.»

«Una bella, eh?» dice James prima di rimboccargli le coperte. Il corpo di Steve sembra comunque così piccolo nel mare di lenzuola, come se dovesse affondarci dentro.

«Sì.»

«Mi sembra ragionevole,» gli concede James. Sta ancora cercando di prendere tempo perché sul serio non conosce alcuna storia. Sia maledetta la criostasi. Non ricorda neanche una sola favola della buonanotte che potrebbe aver sentito da bambino; sua madre non gliene ha mai raccontate e i pochi nomi che gli vengono in mente (Riccioli d'Oro, Cappuccetto Rosso, qualcosa che c'entrava con delle mele e una tizia morta) sono solo frammenti confusi che non ha alcuna idea di come fare a rimettere insieme. Così inizia dalla prima cosa che gli passa per la testa.

«C'era una volta un mostro oscuro e spaventoso. Era cattivo e arrabbiato e tutti avevano paura di lui, ma in fondo gli andava bene così perché non gli piaceva molto stare intorno ad altre persone.» E all'improvviso diventa un aneddoto personale... sul serio, è questa la sua vita, adesso?!

Sistema il piumino un po' meglio intorno alle spalle di Steve e riprende a raccontare. «Il mostro se ne stava sempre nascosto in una fortezza di neve e ghiaccio. Usciva soltanto quando un cazzone degenerato decideva di usarlo per i propri interessi.»

«Un ca...?» prova a dire Steve e James lo interrompe prima che possa finire. Sentire Capitan America usare la parola "cazzone" sarebbe abbastanza da far rivoltare lo Zio Sam nella tomba, figuriamoci sentir usare la stessa parola dalla sua versione in miniatura.

«Non importa,» taglia corto. «Un giorno il mostro si trovava davanti un cavaliere. Questo cavaliere era forte, coraggioso e un tantino stupido, ammettiamolo,» borbotta James e Steve ridacchia divertito.

«Non c'è proprio niente da ridere! Il cavaliere era un idiota.»

Steve però continua a sorridere e James rovescia gli occhi al cielo. «Questo coraggioso, stupido cavaliere andava a parlare con il mostro e gli diceva che non doveva essere così arrabbiato. Diceva al mostro che voleva essere suo amico, che il mostro non era costretto a continuare a vivere nella fortezza di neve e ghiaccio. E il mostro come risposta cercava di mangiarselo.»

Invece di essere spaventato dalla direzione che sta prendendo la storia, Steve sembra aspettare il seguito con incurabile ottimismo. James sente qualcosa mordergli la bocca dello stomaco ma prosegue il racconto. «Il mostro cercava di mangiarsi il cavaliere tante volte, però il cavaliere era testardo. Non era capace di capire quando fosse il momento di lasciar perdere e continuava a stargli intorno come un cretino.»

James si interrompe per un attimo e scosta un ciuffo ribelle tra i capelli di Steve. Il piccolo Capitano è quasi del tutto addormentato, le palpebre pesanti anche se cerca di restare sveglio.

«Allora il mostro, che non aveva mai conosciuto qualcuno che non avesse paura di lui, rimaneva abbastanza impressionato dal coraggio del cavaliere. A dirla tutta rimaneva più che altro perplesso nel vedere quanto fosse stupido il cavaliere, ma facciamo che il coraggio suona meglio. Comunque... il mostro decideva che non voleva più mangiarsi il cavaliere. Decideva che invece voleva proteggerlo e tenerlo al sicuro.»

«E poi?» chiede Steve con voce impastata dal sonno.

«Poi il mostro manteneva la promessa. Siccome aveva trovato un amico, voleva essere sicuro che niente potesse far del male al cavaliere.» James sospira sollevato al pensiero che la favola stia finalmente finendo. «E vissero per sempre felici e contenti. Almeno fino a quando il cavaliere non si andava a infilare in uno dei suoi soliti casini e il mostro cominciava a pensare che sarebbe stato meglio chiuderlo a chiave da qualche parte.»

Steve sorride. «Mi piace il mostro.»

James gli sistema i capelli un'ultima volta. «Lo so che ti piace.» Si china sul pavimento per raccogliere quell'intollerabile Bucky Bear che Clint ha dato a Steve da portare via con sé.

Infila anche l'orso di peluche tra i cuscini e le coperte. «Adesso cerca di dormire,» sussurra mentre aggiusta il paralume per lasciare la lampada accesa senza dare fastidio al piccolo. «Io rimango nell'altra stanza, se hai bisogno.»

Steve non ha nemmeno l'energia per replicare e abbraccia l'orsetto, il viso nascosto nel suo pelo morbido. Chiude gli occhi quasi all'istante e si addormenta.

James si assicura che stia davvero dormendo e poi si alza con cautela. Rimbocca le coperte ancora più strette intorno a Steve in modo da tenerlo bene al caldo; dopo un ultimo controllo si allontana e socchiude la porta, incamminandosi nel corridoio mentre Steve dorme beato.

OOOOO

James si sveglia di soprassalto. Col tempo si è abituato a entrare in uno stato d'allerta al minimo segnale di pericolo, anche se non vuol dire che gli piaccia. In pochi istanti è del tutto lucido e fissa il soffitto buio sopra di sé. C'è qualcuno nella stanza con lui. Gira la testa e vede Steve ai piedi del letto.

«Gesù, ragazzino... la prossima volta avvertimi!!» sibila prima di passarsi la mano di metallo sulla fronte. Siccome Steve non si muove torna a guardarlo. «Cosa c'è che non va, Stevie? Stai bene?»

«Ho fatto un brutto sogno...» spiega Steve, la vocina sottile e tremante nell'oscurità. James ha un tuffo al cuore e accende subito la luce.

Steve tiene l'orsacchiotto con una mano e con l'altra stringe le coperte di James; ha i capelli arruffati, dritti in testa, e negli occhioni azzurri brilla un vago accenno di lacrime. Sembra così fragile e sperduto che James si sente immediatamente in colpa per avergli risposto male.

«Un brutto sogno, eh? Che tipo di brutto sogno?»

«C'era un uomo sotto il letto.» risponde Steve.

James si alza di scatto: c'è la remota possibilità che non si trattasse affatto di un incubo. Se qualcuno fosse venuto a conoscenza della particolare condizione di Steve, cercare di entrargli in casa e portarlo via durante la notte potrebbe essere il passo successivo.

Si mette fra Steve e la porta, tenendolo dietro di sé. Non vuole spaventarlo più di quanto non sia già e allo stesso tempo non vuole neanche che rimanga troppo vicino alla porta aperta. Non ci sono armi nell'appartamento (grazie tante, misure di sicurezza per mocciosi) ma quando si tratta di neutralizzare un intruso può farne anche a meno. Specialmente se si tratta di difendere Steve.

«Com'era fatto, Stevie?» chiede al bambino e intanto cerca di sporgersi nel corridoio per controllare. Non c'è alcun segno di movimento, nessun suono, però aspetta prima di abbassare la guardia.

«Aveva la faccia rossa,» mormora Steve, ancora stretto all'orso di peluche come se possa servire a far sparire il ricordo del brutto sogno.

Faccia rossa...? James rimane perplesso e gli servono diversi secondi per mettere insieme le idee. Ha dei flash di un uomo dal viso rosso, la carne viva del colore del sangue, lingue di fuoco tutto intorno a lui. Nella documentazione relativa all'ultima missione di Capitan America durante la guerra ha letto del Teschio Rosso, di come Steve aveva mandato all'aria i suoi piani a costo della vita. Sembra che anche adesso, a settant'anni di distanza, sia una figura che torna a perseguitarlo nel sonno.

James tira un sospiro di sollievo. «Vuoi dire il Teschio Rosso? Hai visto il Teschio Rosso?»

Steve annuisce in risposta e James deve trattenere una risata. «Non preoccuparti, campione. Non credo che il Teschio Rosso tornerà mai a darti fastidio.»

Quando Steve rimane immobile dietro di lui si stringe nelle spalle, accomodante. «Vuoi che venga a controllare che non ci siano Nazisti maniaci nella tua camera?»

Ottiene in risposta un altro cenno d'assenso, più il solito sguardo da cucciolo che ormai Steve ha imparato a padroneggiare alla perfezione. «Ok, andiamo a controllare,» dice mentre allunga la mano destra verso Steve, che la afferra con le sue piccole dita.

Il letto è pressoché intatto, fatta eccezione per l'angolo in cui il mini-Capitano è sgusciato fuori dalle coperte, e il fortino di cuscini regge ancora; Steve rimane fermo sulla porta quando James entra nella stanza per un'attenta ricognizione, in cerca di qualsiasi traccia del Teschio Rosso. Nonostante sia quasi del tutto certo che fosse un incubo, James non vuole correre rischi. Al primo segno di pericolo è pronto a caricarsi Steve in spalla e lanciarsi di corsa fuori dall'appartamento.

Controlla sotto il letto, nell'armadio, dietro la porta e in qualsiasi altro angolo oscuro pensa che possa trovarsi uno psicopatico omicida. Alla fine stabilisce che non c'è nessuno e si gira verso Steve, sempre fermo in piedi sulla porta e abbracciato all'orso di peluche. «Ecco,» sentenzia indicando la stanza con un largo movimento del braccio metallico. «Vedi? Non c'è niente. Era solo un incubo, Stevie.»

Si avvicina al letto e rimette a posto le coperte. «Torna a dormire, non dovresti essere sveglio.» Anche se non ha idea di che ora sia sa che è comunque troppo tardi (o troppo presto, questione di punti di vista) per lasciare che un bambino di tre anni se ne vada in giro per casa.

Steve rimane dove si trova. Da come osserva la stanza si direbbe che lì dentro ci sono tutte le sue peggiori paure. «Stevie... è tutto a posto, te lo giuro. Ci siamo solo tu ed io.»

Gli occhi azzurri di Steve si spostano per un attimo in fondo al corridoio, verso la camera da letto di James - che capisce al volo la richiesta non verbale e scuote la testa con determinazione. «Oh no. No, no, no, non esiste! Sei molto più al sicuro qui.»

Steve torna a guardare nel corridoio, imperterrito. A quanto pare dividere il letto con un ex assassino per lui è più sicuro che rischiare di restare da solo con i ricordi di un babau dalla faccia completamente rossa.

James scuote ancora la testa, deciso a non cedere e a dimostrarsi altrettanto tenace. «Steve, no. Non c'è niente che non va nella tua stanza o in questo letto... non posso dire lo stesso della mia stanza, credimi.»

C'è un breve attimo di silenzio, sul campo di battaglia si scontrano due volontà di ferro. Steve non si muove e James ha intenzione di fare altrettanto. Poi succede. Per la miseria, succede: le lacrime spuntano agli angoli degli occhi di Steve e il labbro inferiore tremola un poco. È spaventato, addirittura terrorizzato al pensiero di dormire da solo, e James è costretto a cedere.

«E va bene! Hai vinto!» esclama sconfitto, la frustrazione e la stanchezza nella sua voce esplodono in tono più aggressivo di quanto avrebbe voluto. «Solo questa notte, però. Ci siamo capiti?»

Steve annuisce e in un istante è già in fondo al corridoio, Bucky Bear al seguito. James è costretto a inspirare a fondo prima di incamminarsi dietro a lui, senza smettere di chiedersi come tutto questo possa essere reale.

Steve lo sta aspettando in camera. James lo raggiunge poco dopo e chiude la porta, facendo scattare la serratura. «D'accordo, pulce, ti avverto subito: comincia a fregarti le coperte come facevi quando eravamo piccoli e ti butto fuori.»

Il piccolo Capitano fa un cenno in assenso e si arrampica sul letto, l'orso di peluche sempre stretto sotto il braccio. Arriva fino al centro del materasso, aspetta che James si sistemi accanto a lui e spenga la luce, poi gli si appiccica addosso rannicchiandosi contro il suo fianco.

James ride sommessamente, il braccio destro posato sulle spalle minute di Steve. Quello stupido orso gli si è conficcato nelle costole e nel letto c'è la metà dello spazio che c'era prima, ma Steve è tranquillo e non passa molto prima che scivoli in un sonno profondo e ristoratore.

James non è davvero capace di restare arrabbiato, non con Steve. Lo stringe un po' di più a sé, posa la testa sul cuscino e chiude gli occhi.



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