Capitolo 3: Racconti della buonanotte
«Non
sono stanco,»
mormora Steve in risposta e sottolinea la protesta con un ulteriore sbadiglio,
ignorando il fatto che stia letteralmente ondeggiando per il sonno.
Testardo
fino al midollo.
«No,
infatti. Non sei per niente stanco,» replica James mentre lo
solleva
dal
pavimento con l'aiuto del braccio di metallo. I pastelli che Steve
stava usando
per colorare rimangono sparsi in giro e James prende un appunto
mentale: raccoglierli più tardi, per evitare che finiscano
sbriciolati nel tappeto.
Molto più pratici dei colori a dita ma comunque difficili da
far
venire via
dalle fibre sintetiche.
«Saresti più convincente se almeno riuscissi a tenere gli occhi aperti,» dice ancora James e si incammina verso la stanza in fondo al corridoio. Steve ha l'aria di voler mettere il broncio, eppure riesce solo a sbadigliare di nuovo.
James ridacchia tra sé. «Appunto...»
Il
letto è
enorme in confronto al piccolo Steve e il materasso sembra volerlo
inghiottire
intero. A questo James non aveva pensato, così passa una
discreta quantità di tempo a
sistemare cuscini e coperte per creare una specie di barricata a
proteggere i
bordi, in modo da evitare che Steve rotoli a terra nel bel mezzo della
notte.
Una volta soddisfatto del risultato ci deposita all'interno il bambino
e
aggiunge altri cuscini.
«Ho
fatto un disegno,» dice Steve intanto che il muro di cuscini
diventa più alto.
«Ah
sì?»
domanda James, senza prestargli troppa attenzione. «Di
cosa?»
«Te,»
risponde Steve e gli fa vedere il preziosissimo disegno che tiene in
mano. È poco più di uno scarabocchio colorato ma c'è una
figura
umanoide al centro, con i capelli lunghi e un braccio grigio. Quel che
è peggio, ha in
faccia un gran sorriso ebete. James non riesce a trattenere una smorfia
alla vista del capolavoro.
«Ti
piace?»
chiede Steve con un sorriso quasi simile a quello che ha disegnato.
«Uhm...
sì,
ragazzino,» tentenna James. « È...
fantastico?!»
Steve
sorride
di nuovo e si accoccola felice nel castello di cuscini che James gli ha
preparato. James, da parte sua, si chiede se dovrebbe sentirsi
lusingato o inorridito. È un regalo amorevole, sebbene la
qualità lasci parecchio a desiderare, e non
solo Steve ci ha perso un bel po' di tempo - è anche molto
contento del
risultato. Alla fine si arrende alla tenerezza di quel gesto e ripiega
il
foglio per infilarlo in una delle proprie tasche.
Steve
non si
accorge di nulla, perché ormai non riesce a tenere gli occhi
aperti. «Mi
racconti un storia?» domanda qualche istante dopo e James
viene assalito da un
brivido di terrore.
«Una
storia?»
«Mhmm,»
conferma Steve, annuendo come un piccolo pupazzo con la testa che
dondola.
«Ehm...»
tentenna l'altro mentre cerca di inventarsi una scusa plausibile.
Quando si
trova a corto di idee si limita a stringersi nelle spalle.
«Senti, non
sono proprio il tipo. E tutte quelle che conosco non vanno a finire
bene.»
«Per
favore...?»
incalza Steve e lo guarda con la solita espressione da cucciolo
abbandonato.
Quel che è peggio è che di sicuro non si rende
neanche conto di farlo. Stronzetto.
«D'accordo,
ok, ti
racconto una storia!» sospira
James, agitando le mani davanti al viso come se potesse servire ad
annullare l'effetto dello sguardo implorante di Steve. «Basta
con quegli occhi! Seriamente, quei cosi dovrebbero
essere dichiarati fuori legge dalla Convenzione di Ginevra, sono uno
strumento di
tortura.»
Si
mette a
sedere sul bordo del letto. «Che tipo di storia ti
piacerebbe?»
Steve
ci pensa
serio e si rigira nella pila di cuscini. «Una
bella.»
«Una
bella, eh?» dice James prima di rimboccargli le coperte. Il
corpo di Steve
sembra comunque così piccolo nel mare di lenzuola, come se
dovesse affondarci
dentro.
«Sì.»
«Mi
sembra ragionevole,» gli concede James. Sta ancora cercando
di prendere
tempo perché sul serio non conosce alcuna storia. Sia
maledetta la criostasi. Non
ricorda neanche una sola favola della buonanotte che potrebbe aver
sentito da
bambino; sua madre non gliene ha mai raccontate e i pochi nomi che gli
vengono
in mente (Riccioli d'Oro, Cappuccetto Rosso, qualcosa che c'entrava con
delle
mele e una tizia morta) sono solo frammenti confusi che non ha alcuna
idea di
come fare a rimettere insieme. Così inizia dalla prima cosa
che gli passa per
la testa.
«C'era
una volta un mostro oscuro e spaventoso. Era cattivo e arrabbiato e
tutti
avevano paura di lui, ma in fondo gli andava bene così
perché non gli piaceva
molto stare intorno ad altre persone.» E all'improvviso
diventa un
aneddoto personale... sul serio, è questa la sua vita,
adesso?!
Sistema
il
piumino un po' meglio intorno alle spalle di Steve e riprende a
raccontare. «Il
mostro se ne stava sempre nascosto in una fortezza di neve e ghiaccio.
Usciva
soltanto quando un cazzone degenerato decideva di usarlo per i propri
interessi.»
«Un
ca...?» prova a dire Steve e James lo
interrompe prima che possa finire. Sentire Capitan America usare la
parola "cazzone" sarebbe
abbastanza
da far rivoltare lo Zio Sam nella tomba, figuriamoci sentir usare la
stessa
parola dalla sua versione in miniatura.
«Non
importa,» taglia corto. «Un giorno il mostro si
trovava davanti un
cavaliere. Questo cavaliere era forte, coraggioso e un tantino stupido,
ammettiamolo,» borbotta James e Steve ridacchia divertito.
«Non
c'è proprio niente da ridere! Il cavaliere era un
idiota.»
Steve
però
continua a sorridere e James rovescia gli occhi al cielo.
«Questo
coraggioso, stupido cavaliere andava a parlare con il mostro e gli
diceva che
non doveva essere così arrabbiato. Diceva al mostro che
voleva essere suo
amico, che il mostro non era costretto a continuare a vivere nella
fortezza di
neve e ghiaccio. E il mostro come risposta cercava di
mangiarselo.»
Invece
di essere
spaventato dalla direzione che sta prendendo la storia, Steve sembra
aspettare
il seguito con incurabile ottimismo. James sente qualcosa mordergli la
bocca
dello stomaco ma prosegue il racconto. «Il mostro cercava di
mangiarsi il
cavaliere tante volte, però il cavaliere era testardo. Non
era capace di capire
quando fosse il momento di lasciar perdere e continuava a stargli
intorno come
un cretino.»
James
si
interrompe per un attimo e scosta un ciuffo ribelle tra i capelli di
Steve. Il
piccolo Capitano è quasi del tutto addormentato, le palpebre
pesanti anche se
cerca di restare sveglio.
«Allora
il mostro, che non aveva mai conosciuto qualcuno che non avesse paura
di lui,
rimaneva abbastanza impressionato dal coraggio del cavaliere. A dirla
tutta
rimaneva più che altro perplesso nel vedere quanto fosse
stupido il cavaliere,
ma facciamo che il coraggio suona meglio. Comunque... il mostro
decideva che non
voleva più mangiarsi il cavaliere. Decideva che invece
voleva proteggerlo e
tenerlo al sicuro.»
«E
poi?»
chiede Steve con voce impastata dal sonno.
«Poi
il
mostro manteneva la promessa. Siccome aveva trovato un amico, voleva
essere
sicuro che niente potesse far del male al cavaliere.» James
sospira
sollevato al pensiero che la favola stia finalmente finendo.
«E vissero
per sempre felici e contenti. Almeno fino a quando il cavaliere non si
andava a
infilare in uno dei suoi soliti casini e il mostro cominciava a pensare
che
sarebbe stato meglio chiuderlo a chiave da qualche parte.»
Steve
sorride. «Mi piace il mostro.»
James
gli
sistema i capelli un'ultima volta. «Lo so che ti
piace.» Si china sul
pavimento per raccogliere quell'intollerabile Bucky Bear che Clint ha
dato a
Steve da portare via con sé.
Infila
anche
l'orso di peluche tra i cuscini e le coperte. «Adesso cerca
di dormire,»
sussurra mentre aggiusta il paralume per lasciare la lampada accesa
senza dare
fastidio al piccolo. «Io rimango nell'altra stanza, se hai
bisogno.»
Steve
non ha
nemmeno l'energia per replicare e abbraccia l'orsetto, il viso nascosto
nel suo
pelo morbido. Chiude gli occhi quasi all'istante e si addormenta.
James
si
assicura che stia davvero dormendo e poi si alza con cautela. Rimbocca
le
coperte ancora più strette intorno a Steve in modo da
tenerlo bene al caldo; dopo
un ultimo controllo si allontana e socchiude la porta, incamminandosi
nel
corridoio mentre Steve dorme beato.
OOOOO
James
si
sveglia di soprassalto. Col tempo si è abituato a entrare in
uno stato
d'allerta al minimo segnale di pericolo, anche se non vuol dire che gli
piaccia.
In pochi istanti è del tutto lucido e fissa il soffitto buio
sopra di sé. C'è
qualcuno nella stanza con lui. Gira la testa e vede Steve ai piedi del
letto.
«Gesù,
ragazzino... la prossima volta avvertimi!!» sibila prima di
passarsi la
mano di metallo sulla fronte. Siccome Steve non si muove torna a
guardarlo. «Cosa c'è che non va, Stevie? Stai
bene?»
«Ho
fatto un brutto sogno...»
spiega Steve, la vocina sottile e tremante nell'oscurità.
James ha
un tuffo al cuore e accende subito la luce.
Steve
tiene
l'orsacchiotto con una mano e con l'altra stringe le coperte di James;
ha i
capelli arruffati, dritti in testa, e negli occhioni azzurri brilla un
vago
accenno di lacrime. Sembra così fragile e sperduto che James
si sente
immediatamente in colpa per avergli risposto male.
«Un
brutto sogno, eh? Che tipo di brutto sogno?»
«C'era
un uomo sotto il letto.» risponde Steve.
James
si alza di scatto: c'è la remota possibilità che
non si trattasse affatto di un
incubo. Se qualcuno fosse venuto a conoscenza della particolare
condizione di
Steve, cercare di entrargli in casa e portarlo via durante la notte
potrebbe
essere il passo successivo.
Si
mette fra
Steve e la porta, tenendolo dietro di sé. Non vuole
spaventarlo più di quanto
non sia già e allo stesso tempo non vuole neanche che
rimanga troppo vicino
alla porta aperta. Non ci sono armi nell'appartamento (grazie tante,
misure di
sicurezza per mocciosi) ma quando si tratta di neutralizzare un intruso
può
farne anche a meno. Specialmente se si tratta di difendere Steve.
«Com'era
fatto, Stevie?» chiede al bambino e intanto cerca di
sporgersi
nel corridoio per controllare. Non c'è alcun segno di
movimento, nessun suono,
però aspetta prima di abbassare la guardia.
«Aveva
la faccia rossa,»
mormora Steve, ancora stretto all'orso di peluche come se possa servire
a far
sparire il ricordo del brutto sogno.
Faccia
rossa...? James
rimane perplesso e gli servono diversi secondi per mettere insieme le
idee. Ha
dei flash di un uomo dal viso rosso, la carne viva del colore del
sangue,
lingue di fuoco tutto intorno a lui. Nella documentazione relativa
all'ultima
missione di Capitan America durante la guerra ha letto del Teschio
Rosso, di
come Steve aveva mandato all'aria i suoi piani a costo della vita.
Sembra
che anche adesso, a settant'anni di distanza, sia una figura che torna
a
perseguitarlo nel sonno.
James
tira un sospiro di sollievo. «Vuoi dire il Teschio Rosso? Hai
visto il Teschio Rosso?»
Steve
annuisce in risposta e James deve trattenere una risata. «Non
preoccuparti, campione. Non credo che il Teschio Rosso
tornerà mai a darti
fastidio.»
Quando
Steve
rimane immobile dietro di lui si stringe nelle spalle, accomodante.
«Vuoi
che venga a controllare che non ci siano Nazisti maniaci nella tua
camera?»
Ottiene
in
risposta un altro cenno d'assenso, più il solito sguardo da
cucciolo che ormai
Steve ha imparato a padroneggiare alla perfezione. «Ok,
andiamo a
controllare,» dice mentre allunga la mano destra verso Steve,
che la
afferra con le sue piccole dita.
Il
letto è
pressoché intatto, fatta eccezione per l'angolo in cui il
mini-Capitano è
sgusciato fuori dalle coperte, e il fortino di cuscini regge ancora;
Steve
rimane fermo sulla porta quando James entra nella stanza per un'attenta
ricognizione, in cerca di qualsiasi traccia del Teschio Rosso.
Nonostante sia
quasi del tutto certo che fosse un incubo, James non vuole correre
rischi. Al
primo segno di pericolo è pronto a caricarsi Steve in spalla
e lanciarsi di
corsa fuori dall'appartamento.
Controlla
sotto il letto, nell'armadio, dietro la porta e in qualsiasi altro
angolo
oscuro pensa che possa trovarsi uno psicopatico omicida. Alla fine
stabilisce
che non c'è nessuno e si gira verso Steve, sempre fermo in
piedi sulla porta e
abbracciato all'orso di peluche. «Ecco,» sentenzia
indicando la
stanza con un largo movimento del braccio metallico. «Vedi?
Non c'è
niente. Era solo un incubo, Stevie.»
Si
avvicina
al letto e rimette a posto le coperte. «Torna a dormire, non
dovresti
essere sveglio.» Anche se non ha idea di che ora sia sa che
è comunque
troppo tardi (o troppo presto, questione di punti di vista) per
lasciare che un
bambino di tre anni se ne vada in giro per casa.
Steve
rimane
dove si trova. Da come osserva la stanza si direbbe che lì
dentro ci sono tutte
le sue peggiori paure. «Stevie... è tutto a posto,
te lo giuro. Ci siamo
solo tu ed io.»
Gli
occhi
azzurri di Steve si spostano per un attimo in fondo al corridoio, verso
la
camera da letto di James - che capisce al volo la richiesta non verbale
e
scuote la testa con determinazione. «Oh no. No, no, no, non
esiste! Sei molto più al sicuro
qui.»
Steve
torna
a guardare nel corridoio, imperterrito. A quanto pare dividere il letto
con un ex assassino
per lui è più sicuro che rischiare di restare da
solo con i ricordi di un babau
dalla faccia completamente rossa.
James
scuote
ancora la testa, deciso a non cedere e a dimostrarsi altrettanto
tenace. «Steve,
no. Non c'è niente che non va nella tua stanza o in questo
letto... non posso dire
lo stesso della mia
stanza, credimi.»
C'è
un breve
attimo di silenzio, sul campo di battaglia si scontrano due
volontà di ferro. Steve
non si muove e James ha intenzione di fare altrettanto. Poi succede.
Per la
miseria, succede: le lacrime spuntano agli angoli degli occhi di Steve
e il
labbro inferiore tremola un poco. È spaventato, addirittura
terrorizzato al
pensiero di dormire da solo, e James è costretto a cedere.
«E
va
bene! Hai vinto!» esclama sconfitto, la frustrazione e la
stanchezza nella
sua voce esplodono in tono più aggressivo di quanto avrebbe
voluto. «Solo
questa notte, però. Ci siamo capiti?»
Steve
annuisce
e in un istante è già in fondo al corridoio,
Bucky Bear al seguito. James è
costretto a inspirare a fondo prima di incamminarsi dietro a lui, senza
smettere di chiedersi come tutto
questo possa essere reale.
Steve
lo sta
aspettando in camera. James lo raggiunge poco dopo e chiude la porta,
facendo
scattare la serratura. «D'accordo, pulce, ti avverto subito:
comincia a
fregarti le coperte come facevi quando eravamo piccoli e ti butto
fuori.»
Il
piccolo
Capitano fa un cenno in assenso e si arrampica sul letto, l'orso di
peluche sempre
stretto sotto il braccio. Arriva fino al centro del materasso, aspetta
che
James si sistemi accanto a lui e spenga la luce, poi gli si appiccica
addosso rannicchiandosi contro il suo fianco.
James
ride
sommessamente, il braccio destro posato sulle spalle minute di Steve.
Quello
stupido orso gli si è conficcato nelle costole e nel letto
c'è la metà dello
spazio che c'era prima, ma Steve è tranquillo e non passa
molto prima che
scivoli in un sonno profondo e ristoratore.
Capitolo originale dell'autrice
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