La città silente
La
sensazione corroborante donatagli dal beveraggio durò solo per qualche istante.
Una volta che si fu adagiato all’interno del suo corpo, lo stomaco gli si
strinse in una morsa dolorosa, come se non potesse sopportare oltre i pochi
sorsi di zuppa che era riuscito a mandare giù. Serrò le labbra, cercando di non
mugugnare dal dolore provato e si costrinse a ingurgitarne ancora un po’, quel
tanto che bastava per rimettersi in forze e non offendere il suo ospite.
Era
stato fortunato e, nonostante la sua incoscienza, addirittura premiato.
Il
giovane strinse tra le mani la rudimentale tazza di legno fino a sbiancarsi le
nocche, tentando di calmarsi. Il suo corpo era contuso e dolorante, ma era sopravvissuto.
Un dettaglio che avrebbe dovuto rallegrarlo se non fosse per il motivo del suo
viaggio. Andare nell’antica foresta si era rivelata una pessima mossa, ma
l’avrebbe rifatto ancora e ancora, indipendentemente dall’esito. Doveva
raggiungere la sua destinazione a qualsiasi costo.
Osservò
di sottecchi il suo salvatore. L’uomo gli dava le spalle, intento a ravvivare
il fuoco che ardeva nel focolare. Essendo l’unica fonte di luce della casupola,
i contorni apparivano sbiaditi, confusi con le tenebre della notte a causa
della sua presenza ingombrante. Nonostante ciò, l’abituro in cui viveva
appariva accogliente. Formato da una singola stanza, rispecchiava il modo di
vivere rustico dell’eremita. I mobili erano grezzi, intagliati nei tronchi o
composti da arbusti intrecciati. Sopra il focolare pendevano vari mazzetti di
erbe aromatiche e medicinali e sul tavolo lì affianco giaceva ciò che rimaneva
del coniglio che aveva macellato per la zuppa. Il letto dal quale lo stava
scrutando era composto da un telaio in legno e un materasso composto
principalmente da muschio e sterpaglie ricoperte da pellicce. Non vi era una
latrina interna, ma immaginò che in un ambiente selvaggio come quello le
innovazioni apportate nel diciannovesimo secolo fossero superflue.
«La
ringrazio per il suo aiuto… e la zuppa» sentenziò. Era la prima volta che
parlava da quando l’uomo l’aveva condotto nella sua dimora e l’udire il suono
graffiante della sua voce lo colse di sorpresa.
Il
suo ospite si voltò a scrutarlo con la criptica espressione che non l’aveva mai
abbandonato durante il viaggio. Dapprima troppo sconvolto per rendersene conto,
in quel momento il giovane rimase sconcertato dal fisico possente del suo
salvatore. L’assomiglianza tra lui e un orso era alterata dalle sue fattezze
umane, eppure i suoi piccoli occhi scuri risultavano gentili nonostante
l’apparenza selvatica.
«Lasciatemi
dare un’occhiata» gli disse con voce profonda, riferendosi al rudimentale
bendaggio che gli fasciava il collo e la spalla.
Il
giovane annuì docile, esponendo la parte lesa in modo che potesse eseguire la
sua indagine. L’uomo s’inchinò verso di lui, scostandogli il bendaggio sporco
di sangue rappreso. Quell’atto gli provocò una fitta di dolore dove la benda
era aderita alla ferita, ma si rasserenò nel notare lo sguardo calmo del suo
salvatore.
«Siete
fortunato. È solo un graffio. Nel giro di un paio di giorni sarete come nuovo»
sentenziò. Poi si diresse verso la credenza, rovistando tra le ciotole esposte.
Ritornò da lui con quello che sembrava un unguento, sebbene il suo odore
pungente lo costrinse ad arricciare il naso.
Accorgendosi
di tale smorfia, l’uomo emise una risata vibrante. «Fidatevi, nonostante
l’odore vi farà bene e impedirà che il taglio s’infetti. Inoltre, impedirà ai
predatori che si aggirano nei dintorni di avvertire la sinfonia del vostro
sangue. Ma vi riguardo dal chiedere da cosa è composto. Voi uomini di città
risultate delicati persino per quanto riguarda i medicamenti.»
«Ne
prenderò nota» commentò il giovane, gemendo quando la pomata entrò a contatto
con la ferita. Il bruciore a poco a poco divenne sopportabile, permettendogli
di rilassarsi.
Una
volta terminata la medicazione, l’uomo si pulì la mano sullo straccio che aveva
usato come grembiule, incurante del fatto che fosse lercio e pieno del sangue
raggrumato appartenuto alla bestiola macellata in precedenza. Afferrò la sedia
accanto al tavolo e la trascinò davanti al letto, sedendovi in modo da essere
di fronte al giovane. Si chinò in avanti, unendo le mani. «Dunque, forestiero.
Che cosa vi ha spinto a viaggiare fin qui? In pochi si avventurano in queste
terre e se non vi avessi sentito urlare a quest’ora sareste morto o peggio. Ma
badate, mi aspetto una risposta sincera. Non mi ci vorrà molto a riportarvi
dove vi ho raccolto e lasciare che le bestie continuino ciò che ho interrotto.»
Il
giovane d’irrigidì. Dentro di lui incominciò una battaglia su cosa era giusto e
cosa gli conveniva fare. La gente del luogo l’aveva avvertito di non
avventurarsi nella foresta, di non tentare di raggiungere la città nascosta ai
piedi della montagna, ma i loro moniti non l’avevano fatto desistere. Incrociò
lo sguardo dell’uomo, in attesa, e si rese conto che gli doveva la verità. Fece
un profondo respiro e chiuse gli occhi, raccogliendo in sé la forza per descrivere
i tristi fatti che l’avevano coinvolto. Poi tornò a osservare il suo ospite e
incominciò a narrare.
«Il
mio nome è Robert Schubert e sono originario di Monaco di Baviera. Io e mia
moglie Gretchen abbiamo convolato a nozze un paio di settimane fa e come luna
di miele ho voluto assecondare il suo desiderio di rivedere la famiglia che non
riabbracciava da diversi anni. Siamo così giunti nella piccola città di
Waldstill, situata nella valle ai margini della foresta. Sono sicuro che
concorderete con me che si tratta di un posto delizioso. I primi giorni sono
stati magnifici, sebbene molti paesani dimostrassero del silente riserbo nei
nostri confronti. O, per meglio dire, nei miei. Posso capire; in fondo si
tratta di una comunità chiusa che segue ancora le vecchie tradizioni e non
riceve molti stranieri. Tutto andava per il meglio fino a quella sera… Stavamo
ritornando alla locanda dove alloggiavamo quando…»
La
voce del giovane si spezzò in un ansito, come se il ricordo di ciò che era
accaduto fosse troppo da sopportare. Strinse le mani a pugno, indugiando prima
di continuare il racconto. Il suo ospite non lo incalzò, gli diede il tempo
necessario di calmarsi e per questo gliene fu grato. Quanto ricominciò a
parlare, il suo tono fermo si era trasformato in un sussurro tremante.
«Era
da poco passato il crepuscolo. Stavamo tornando alla taverna in cui
alloggiavamo quando dei briganti ci colsero alla sprovvista. Era buio e non sono
riuscito a osservarli in volto, ma non dimenticherò mai i versi gutturali che
emisero dalle loro labbra. Rassomigliavano più a delle bestie che a uomini. Provai
a farli ragionare, affermando che con noi non avevamo né soldi né oggetti di
gran valore, ma loro non accennarono ad ascoltarmi. Accadde tutto in un attimo.
Uno di loro mi saltò addosso con una velocità che… Non mentivo quando affermavo
che possedevano più similarità con gli animali che con noi cristiani. Provai
inutilmente a divincolarmi dalla sua presa, ma la creatura mi tenne a terra con
una forza sovraumana. Non sembrava intenzionata a nuocermi, almeno non ancora,
e solo allora mi resi conto a chi puntavano. Tentai di difendere Gretchen, lo
giuro. È da allora che maledico me stesso e la mia debolezza per ciò che è
accaduto, per quello che mi hanno obbligato a vedere...»
Di
nuovo, il giovane si bloccò, la sua voce si estinse in un singulto sommesso.
Chiuse gli occhi, mentre una singola lacrima gli scivolava lungo il volto,
scomparendo nella barbetta ispida di qualche giorno che gli velava la mascella.
Non si prese la briga di asciugare la prova della sua vergogna, tant’era preso
nei suoi ricordi. Aveva ancora gli occhi chiusi quando ricominciò a parlare.
Ormai non riusciva a trattenere i singhiozzi; marcavano le frasi che gli
uscivano dalle labbra come un fiume in piena, scandendone il ritmo.
«Mi
obbligarono a guardare ciò che le fecero. Gretchen piangeva e si dimenava, implorava
aiuto mentre quei demoni dalle sembianze umane le strappavano le vesti e le
ferivano il corpo. Ridevano, o almeno credo che quei versi blasfemi fossero
delle risate. Godevano del suo dolore e della mia disperazione, si cibavano di
esse. A mia volta gridai e gridai, finché dalla bocca non mi uscì più un fiato.
Malgrado ciò, ogni imposta rimase chiusa, ogni porta sbarrata, ogni strada
deserta. Eravamo soli, in balia dei nostri aggressori. Giocarono a turno con il
corpo di Gretchen finché non si stancarono e di lei non rimase altro che una
bambola di carne profanata. Ma non si fermarono. No, il loro scempio non era
ancora finito. Affondarono le loro zanne nella sua carne cerea e si nutrirono
di lei. Avvertendo che il mio aggressore aveva allentato la presa, preso dalla
frenesia della sua sete insaziabile, mi feci avanti, pronto a salvarla anche a
costo della mia vita. Inutile dire che mi sopraffecero, purtroppo con
mostruosa facilità. Mi colpirono con violenza e svenni. Quando mi risvegliai,
non vi era più alcuna traccia di Gretchen o di quegli animali. Fui medicato
prontamente, ma nulla poteva lenire il dolore provato dal mio cuore e dalla mia
anima. Spiegai al vicario che cosa era accaduto, pregandolo di farmi
partecipare alle ricerche per ritrovare mia moglie, ma fu irremovibile. Scoprì
solo in seguito che non era stata allestita nessuna squadra. M’infuriai con gli
abitanti della città e provai a far ragionare le autorità, continuando a
sguazzare nell’insuccesso. Mi dissero che dovevo dimenticarla, che ormai era
perduta. Non li ascoltai. Come potevo? Lei è mia moglie; la mia luce, la mia
anima, tutto ciò che mi permette di considerarmi vivo. Tornai dai suoi parenti
e li spronai a dirmi la verità. Solo dopo una furiosa lite cedettero per amore
della figlia perduta. Mi raccontarono che quegli esseri erano anime smarrite
plagiate da Lucifero e marchiate dai suoi servi notturni. Avevano donato la
loro mortalità al Principe delle Tenebre in cambio della vita eterna, nutrita
dal sangue delle vittime innocenti. Alcuni vagano ancora per queste terre, ma
la maggior parte di loro è stata rinchiusa in quella che i locali chiamano la “Città
Silente”. Costruita molti anni orsono ai piedi della montagna, si narra che sia
circondata da un invalicabile muro in cui è incastonato un cancello benedetto in
grado di tenervi imprigionati i mostri e gli incubi della notte. All’inizio
pensai che avessero perso il senno, ma man mano che continuarono il racconto
non potei far altro che ammutolire. Era lì che la gente del luogo rinchiudeva i
dannati, gli scomodi, gli immondi; chiunque non poteva essere salvato dalla
bontà di Dio. Non potevo credere che avessero osato coinvolgere Gretchen.»
Fece
una pausa, accettando di buon cuore il bicchiere che il suo ospite gli porse. Ne
bevve il contenuto senza alcuna titubanza, tossendo appena quando dell’alcool
gli bruciò la gola. Nonostante il primo intoppo, ne prese un altro sorso prima
di continuare.
«Decisi
di non perdere altro tempo. Radunai i miei pochi averi e noleggiai un cavallo.
Gli abitanti del posto non vollero contribuire di più alla mia impresa. Mi
indicarono la direzione da prendere e poi mi diedero le spalle, come se la
questione non li riguardasse, come se Gretchen non fosse mai stata una di loro.
Procedetti spedito fino all’imbrunire, ma poi smarrii la via e fu allora che quegli
esseri mi sorpresero e mi attaccarono. Il resto lo sapete.»
L’uomo
era rimasto in silenzio per tutto il suo racconto. L’aveva ascoltato con attenzione,
annuendo ogni tanto come se capisse davvero che cosa provava, l’ingiustizia
subita. Non diede l’impressione di prenderlo per pazzo o un ingenuo; il suo
sguardo oscuro rimase imperscrutabile fino alla fine. Ci fu un attimo di
quiete. La gravità di quelle parole aleggiò su di loro come un tetro manto,
finché l’uomo si ritrovò a sospirare. E rivolse a Robert una domanda inattesa.
«Da
quanto tempo è scomparsa?»
Il
giovane sussultò nell’udire la sua voce baritonale dopo così tanto tempo. Si
riscosse, come se si fosse appena ridestato da un sogno e cercò di ricomporsi
con una nota d’imbarazzo. Rispose guardando le sue mani congiunte. «Questa è la
terza notte.»
«Allora
è perduta per sempre.»
Robert
si alzò in piedi in un moto d’ira e disperazione. «Per l’amor di Dio, non dite
così, ve ne supplico.»
«Dio
non c’entra nulla con quello che è capitato a voi e a vostra moglie» sentenziò
paziente l’uomo. Gli fece cenno di sedersi con una mano e Robert obbedì
remissivo. Una volta tornato composto, il suo ospite riprese.
«Il
mio nome è Uralt Wächter e
sono il guardiano della Città Silente. Non è stato un caso che vi abbia trovato
per tempo; mi avevano avvisato che uno sventurato individuo si aggirava per
queste terre. Ascoltatemi bene e fate attenzione. Nessun umano può sopravvivere
così tanto all’interno della Città, ma se siete intenzionato a proseguire la
vostra ricerca vi restano solo due soluzioni. Nessuna delle quali sarà
gradevole.»
«Ditemi
tutto. Sono pronto a qualsiasi cosa pur di riavere Gretchen con me» ribatté Robert
con ardore.
Uralt
lo scrutò per un lungo momento e alla fine appagò la sua richiesta. «La prima
opzione è che vi rechiate alla Città con lo scopo di restarvici per l’eternità.
Dovrete rinnegare Dio e la vostra anima, accettando di divenire uno schiavo del
Diavolo fino alla fine dei tempi. In questo modo voi e la vostra Gretchen
starete insieme, accomunati dallo stesso fardello.»
Robert
ricambiò l’uomo con un’occhiata scioccata, come se non potesse credere a quello
che aveva appena udito. Era del tutto inammissibile! Sul punto di replicare, si
fermò in tempo, conscio di voler sapere in che cosa consisteva la rimanente
alternativa nonostante il suo sconcerto. Lo stomaco gli si contorse di nuovo,
questa volta per un altro tipo di malessere. «E la seconda?»
«La
seconda, e credo lo dobbiate alla vostra amata, si tratta di raggiungere la
Città con lo scopo di porre fine al suo tormento» concluse Uralt.
«Ed
è quello che intendo compiere una volta arrivato lì!»
«Anche
se per farlo dovrete ucciderla?» chiese allora il guardiano.
Robert
si bloccò. Per un attimo la vista gli si offuscò, ma riuscì a sedersi sul
povero materasso prima di accasciarsi al suolo. Il respiro gli uscì dalla gola
a fatica, raschiandone le pareti come se avesse ingerito un mazzetto di
ortiche. Uccidere Gretchen? Non avrebbe mai potuto compiere una simile onta. In
nome di Dio, non ci sarebbe mai riuscito.
Si
prese la testa tra le mani, cercando di trattenere la nausea che montò in lui. Chiuse
gli occhi, rivedendo il viso di Gretchen. Ricordava ancora il loro primo
incontro. A quel tempo era solo un comune commesso con molti sogni e pochi
marchi; nessuno su cui valesse la pena riporre la propria attenzione. Stava
sistemando gli scaffali con la nuova merce quando una giovane donna fece la sua
comparsa nel negozio. Il freddo invernale le aveva arrossato il naso e le
guance, ma i suoi occhi avevano lo stesso colore del cielo estivo. Gli bastò
uno sguardo per dimenticare tutta la stanchezza della giornata. Tuttavia,
quando dovette risponderle a causa di un’informazione, si ritrovò a balbettare
come un ragazzino. Gretchen aveva riso della sua timidezza, ma ritornò il
giorno dopo. E quello dopo ancora. Questo finché lui non trovò finalmente il
coraggio di chiederle un appuntamento. Gretchen gli rivolse uno dei più
luminosi sorrisi, giocherellando con una ciocca dei suoi biondi capelli. Gli
disse che non vedeva l’ora, perché aveva finito le scuse per recarsi al negozio
e la sua padrona di casa incominciava a insospettirsi. Quella stessa sera, dopo
il lavoro, fu la volta del loro primo bacio. Fu semplice e frettoloso. L’aveva
fermata prendendole la mano e le aveva dato un bacio sulla guancia. Non era da
lui essere così intraprendente, specialmente in pubblico, ma non aveva potuto
trattenersi. Il suo respiro si era riempito del profumo di viole che era solita
indossare.
Una
mano sulla sua spalla lo riportò alla realtà. Uralt si era proteso verso di
lui, osservandolo con un’espressione colma di rammarico. «So che il vostro
fardello è pesante, ma cercate di capire: l’anima di vostra moglie merita di
essere salvata.» Fece una pausa, per poi sospirare afflitto. «Se non vi sentite
pronto per un simile compito, esiste comunque una terza opzione.»
«Una
terza? E quale? Perché non l’avete citata in precedenza?» sbottò allora Robert.
L’uomo
alzò una mano per bloccarlo. «Perché il vostro affetto per quella donna sembra
troppo sincero per prenderla in considerazione. La terza opzione consiste nel
dimenticare ciò che è avvenuto, vostra moglie e le vostre promesse, e
continuare per la vostra vita.»
Un
silenzio opprimente cadde nella casupola. Robert rimase in silenzio, ponderando
attentamente le parole dell’uomo. Un conflitto devastante turbinò nella sua
mente. Sapeva quello che doveva fare; il suo cuore lo guidava, gli stava
sussurrando la giusta scelta, ma avrebbe trovato la forza di metterla in atto?
Si
concesse un momento prima di annunciare la sua decisione. Raddrizzò la schiena
e osservò negli occhi Uralt. «Lo farò. Salverò Gretchen dalla dannazione.»
L’uomo
annuì con fermezza nell’udire quelle parole. «Molto bene. Domani mattina vi
accompagnerò verso il cancello, ma non potrò assistervi in questa impresa. Qualora
avete accettato di compiere la vostra missione, io mi impegno a compiere la
mia, ma a una condizione. Dovrete porre un solenne giuramento. Qualsiasi cosa
accada nella Città Silente, voi dovrete chiudere il cancello. Per nulla al
mondo dovrà rimanere aperto, se non per il tempo in cui dovrete passare. Giuratelo.
Giuratelo su Dio e sulla vostra anima.»
«Giuro
sul Padre Nostro, Dio del Cielo e della Terra, che chiuderò il cancello e che
porterò a termine ciò che ho iniziato.»
Uralt
annuì nuovamente e si alzò. «Molto bene. Rammentate le vostre parole. Ora, cercate
di riposare. Il cammino che ci attende sarà lungo.»
†††
E
così fu.
Quando
la notte cedette il posto all’alba, i due uomini si prepararono ad affrontare
il viaggio che li avrebbe condotti alla Città. Nel mentre dei preparativi,
Uralt istruì il giovane riguardo il suo ruolo di guardiano. Da decadi
provvedeva a tenere lontani gli umani dalla Città Silente per la loro
incolumità, sebbene il caso di Robert non fosse isolato. A causa delle creature
erranti ancora libere, molti uomini erano giunti a lui con il desiderio di
essere condotti alla Città; per essere riuniti ai loro cari o per liberarli,
era difficile a dirlo, ma tutti avevano adempito al loro giuramento. Uralt li
aveva accompagnati fino ai piedi della montagna, per poi lasciarli al giudizio
di Dio.
Nonostante
l’uomo ne fosse il guardiano, non poteva recarsi alla Città se non per imprigionarvi
i dannati catturati. Quel luogo era così saturo d’oscurità da poter irretire il
credente più fedele. Ragion per cui i guardiani che si erano succeduti nei
secoli avevano sempre evitato di esporsi più del dovuto all’influenza diabolica
che incombeva nei dintorni. Se il male avesse avuto presa su di loro, sarebbe
stata la fine.
Robert
ascoltò assorto i racconti dell’uomo, sebbene il peso del suo compito diveniva
sempre più insopportabile a ogni passo. La consapevolezza di ciò che lo
attendeva era ormai reale e con essa la possibilità del suo fallimento.
Camminarono spediti per buona parte del mattino e, solo quando si fermarono nei
pressi di un torrente per un pasto fugace, il giovane espose il suo dubbio al
guardiano.
«Com’è
stata costruita la Città e perché i dannati vengono imprigionati lì piuttosto
che essere epurati da questo mondo?»
Uralt
masticò il boccone di carne secca che aveva in bocca, annaffiandolo con un
sorso d’acqua preso direttamente dal ruscello. Una volta dissetato, iniziò il
suo racconto.
«Accadde
quasi quattro secoli orsono. In quei tempi oscuri, un santone fece la sua
comparsa in queste terre. Si proclamò come un emissario dell’Imperatore
Massimiliano e aveva ricevuto il compito di liberare il Sacro Romano Impero
dall’onta del male per renderlo di nuovo puro agli occhi di Dio. Ed era stato
proprio l’Altissimo a inviare dal cielo l’arma con la quale l’uomo avrebbe
svolto il suo compito. Nei pressi di Ensisheim era caduta una roccia composta
da uno strano materiale. L’Imperatore aveva commentato l’accaduto come una
prova dell’ira di Dio verso i francesi, ma il santone vi aveva scorto una
possibilità. Chiese il permesso all’Imperatore di usare il metallo ritrovato in
quel messaggio dai Cieli per poter combattere gli erranti. Grazie a ciò, l’uomo
cercò la giusta posizione per costruire una città dove rinchiudere l’onta che
seminava sofferenza tra la sua gente. Una volta trovata, usò il metallo
contenuto nella roccia e lo mischiò a quello comune per erigere un alto cancello
che non poteva essere oltrepassato dai dannati. Fu così che in pochi anni la
Città fu eretta all’ombra della montagna. Il santone usò ogni sua conoscenza
per trovare un modo di liberare quelle povere anime dal male, ma purtroppo perì
prima di riuscire a trovare una cura. Ecco il motivo per cui gli erranti non
sono stati uccisi. Con la sua dipartita, la Città ha continuato a essere un
punto cardine per la battaglia contro le Forze Oscure, ma ciò portò una
situazione di stallo. Infatti, negli antri più oscuri, vi sono antiche creature
che mai dovranno essere liberate dalla loro prigione. Le povere vittime, di cui
voi fate parte, hanno solo una possibilità per redimere i loro cari, per cui vi
consiglio di pensarci bene. Siete ancora in tempo per cambiare idea.»
Robert
strinse le labbra. Era arrivato fin lì con la speranza nel cuore e, nonostante
fosse stata minata dalla orrida realtà e dai racconti dell’uomo, ve ne era
rimasta ancora una scintilla. Per Gretchen. Per loro. Per il loro amore.
«No,
non rinuncerò. Ma ditemi, quanti hanno abbandonato l’impresa a questo punto?
Quanti hanno perso il coraggio di andare fino in fondo?»
«Alcuni,
ma troppo pochi nel contare il numero di chi non ha più fatto ritorno. Quante
anime potevano salvarsi?» Uralt sospirò affranto. «Dopo tutti questi anni, dopo
tutti questi sacrifici, ho compreso il motivo di tale incoscienza. Da sempre
l’uomo è affascinato dal vuoto. Più è fondo, più è buio, più esso l’attrae:
come un misterioso richiamo d’amore. Eppure, dopo averne goduto della lussuria
da esso scaturita, s’inizia a comprendere la maledizione che porta con sé. Una
maledizione senza cura, macchiata della perdizione. E non dubitatene. La Città
non vi metterà di fronte ai vostri incubi peggiori. No, vi tenterà come il
Serpente ha fatto con Eva. Vi succhierà il sangue, l’anima e la vostra vita,
mentre voi vi perderete nel suo freddo abbraccio. Preparatevi, perché non sarà
facile come pensate. Neppure con l’aiuto della luce del giorno e il verbo di
Dio.»
Robert
annuì, cercando di assimilare al meglio l’avvertimento dell’uomo. Dopo un
ultimo momento di pace, proseguirono il viaggio.
Uralt
lo lasciò poco lontano dalla montagna. Prima di congedarsi, gli ricordò il suo
giuramento con una veemenza tale che Robert lo ripeté senza indugio.
Soddisfatto, l’uomo gli consegnò il suo fucile da caccia, caricato con
munizione create appositamente per ferire i dannati. Gli chiese se sapesse
usarlo e, timidamente, Robert annuì. Poi Uralt gli donò qualcosa di più curioso:
una fiasca colma d’acqua benedetta. Insicuro su come usarla Robert l’accettò
comunque, infilandola nella tasca interna della giacca. Infine, gli ultimi
consigli.
«Ricordate:
rimanete alla luce del sole. È la vostra difesa più importante, dato che loro
saranno incapaci di raggiungervi. Non incrociate mai il loro sguardo e, se
malauguratamente vi capitasse, ricordate di non credere a ciò che vedrete.
Useranno ciò che amate di più per tentarvi, per farvi tentennare. In caso di
attacco, evitate uno scontro diretto; scappate, rimanete alla luce e sparate
solo se necessario, mirando al cuore. Se dovessero mordervi, purificate la
ferita con l’acqua che vi ho dato al più presto. Brucerà come l’Inferno, ma vi
eviterà spiacevoli effetti. E poi…» Dalla sua cintura estrasse un paletto di
legno intagliato. «Questo è per vostra moglie. Sapete che fare.»
Con
la mano tremante, Robert accettò quell’ultimo dono. «Lo farò. Grazie di tutto,
amico mio.»
«Possa
Dio guidare la tua mano e il tuo cuore verso la salvezza» esclamò Uralt,
posandogli una delle sue grandi mani sulle spalle. Robert ricambiò la stretta
con un cenno di capo e si apprestò ad affrontare la prova che l’infausto
destino gli aveva messo davanti.
†††
Nonostante
i racconti di Uralt, nulla avrebbe potuto preparare Robert alla vista di ciò
che lo attendeva. Una volta arrivato nei pressi della Città Silente, si ritrovò
a fermarsi, incapace di avanzare a causa dalla grottesca bellezza che emanava. Mai
i suoi occhi si erano posati su una simile costruzione. Incastonata ai piedi
della montagna, tale opera architettonica era celata da una maestosa recinzione
il cui metallo ultraterreno riluceva alla luce del sole. L’alto cancello
incombeva su di lui possente e acuminato; sulla sommità, una serie di punte
aguzze e irregolari si alternavano ai ferini gargoyle messi di guardia,
logorati dal tempo e dalle intemperie. L’intera superficie di quella oscura opera
era ricoperta d’incisioni blasfeme rappresentanti l’Inferno e ciò che lo
popolava. I demoni e le bestie scalfiti nel metallo ossidato sembravano
deriderlo con i loro ghigni aguzzi e i loro sguardi deleteri, trasmettendo un
chiaro messaggio: non procedete oltre, perché qui dimora il Male. Robert cercò
d’ignorarli e allungò una mano fino a sfiorare il gelido ostacolo, ma si
bloccò, colto da un’amara consapevolezza.
Quello
era il punto di non ritorno; se avesse messo piede nella Città Silente avrebbe
potuto non uscirne vivo. A quel pensiero, un freddo brivido gli scese lungo la
spina dorsale, facendolo tentennare. No, non doveva temere alcun male. Era
protetto dalla flebile luce del giorno e da Dio. Avrebbe trovato Gretchen e
l’avrebbe riportata a casa, il posto in cui apparteneva.
Con
rinnovata fiducia, imbracciò meglio il fucile che teneva sulla spalla e spinse
con tutte le sue forze. Il cancello emise un grottesco sibilo mentre graffiava
contro il suolo, sollevando sedimenti tutt’intorno. Sembrava che non fosse mai
stato oliato o addirittura usato da quanta fatica fece per spalancarlo. Dovette
compiere più di qualche tentativo per aprirlo a sufficienza da passare. Una
volta strisciato all’interno, Robert dovette fermarsi un momento per riprendere
fiato e sgranchirsi le braccia indolenzite da quella prova fisica. E fu allora
che il dubbio lo assalì. Uralt era stato chiaro in proposito: non doveva
lasciare varchi o tutte le creature che dimoravano in quella città avrebbero
potuto manifestarsi al mondo. Tuttavia, quel misero passaggio risultava essere
la sua unica via di fuga e solo i battezzati nel nome di Dio potevano toccare
il cancello senza danni. Difficilmente le anime dannate che vi erano rinchiuse
all’interno avrebbero potuto oltrepassarlo senza ferirsi, dato che l’apertura
era stata appena sufficiente per permettergli di entrare. Decise dunque di
lasciarlo aperto, almeno per il momento. Non era uno sciocco, avrebbe
rispettato il suo giuramento. Una volta salvata Gretchen e dopo essere usciti
entrambi da quel posto dimenticato da Dio, avrebbe richiuso il cancello come
promesso. Fino ad allora, la luce del sole sarebbe stata un ottimo deterrente.
Deciso
a continuare, imbracciò il fucile e s’inoltrò nella Città. A stento riuscì a
trattenere la propria meraviglia e orrore. Procedette alla cieca, dato che non
vi erano strade segnate o ciottoli che potessero guidarlo, ma solo fanghiglia e
ossa di varia provenienza. Erano ammassate contro i muri o sparpagliate sul
terreno irregolare al punto che Robert inciampò diverse volte nel corso della
sua marcia. Tuttavia, non emise un gemito di protesta. La sua attenzione era catturata
dalle costruzioni che spiccavano senza alcun ordine preciso all’interno della
recinzione. Erano alte e bitorzolute, formate interamente da pietra annerita
coperta da muschio e licheni. Alcune erano sprovviste di porte, altre di
finestre, ma immaginò che le creature ospitate al loro interno non
necessitavano di tali comodità. I tetti erano spioventi, ornati da banderuole e
travi putride. Ogni tanto, sulle pareti rocciose erano presenti profonde
scalfitture, come se un animale le avesse graffiate più e più volte. Fu solo
grazie a quella visione che si ricordò dei pericoli insiti in quel luogo.
Robert
si guardò nervosamente in giro, notando solo in quel momento un dettaglio che
lo lasciò esterrefatto. Attorno a lui vi era solo silenzio. Non un ansito, un
sussurro, un ringhio. Il nulla. Non udiva nemmeno i versi degli animali della
foresta circostante. Quel luogo era impregnato di morte, sebbene Uralt avesse
messo in chiaro quanto fosse vivo in realtà. Il suo respiro affannato gli sembrò
improvvisamente troppo vigoroso, così come il battito forsennato del suo cuore.
Perché non aveva ancora incontrato nessuno? Perché non l’avevano ancora
attaccato?
Fu
troppo.
La
sensazione di essere solo, il silenzio… si rese conto di essere un agnello al
macello.
Fece
ciò che l’istinto gli gridò a gran voce. Incominciò a correre, saettando tra le
case e le torri, scrutando i dintorni alla ricerca di un segno, un indizio, il
benché minimo dettaglio che gli indicasse la presenza della sua amata. Fu solo
quando arrivò in quella che sembrava una piazza che Dio lo accontentò. Un
nastro di velluto rosso, semisepolto dal fango, catturò la sua attenzione.
Robert
si avvicinò a quel segno, inginocchiandosi a terra per poterlo estrarre. Non
c’erano dubbi. Quello che stringeva tra le mani era uno dei nastri che
indossava Gretchen la sera dell’attacco. Se lo portò al viso, percependo ancora
una lieve essenza di viole. Per poco i suoi occhi non si riempirono di lacrime.
«Gretchen!»
urlò al cielo. Non ottenne risposta.
S’infilò
il nastro nella tasca dei calzoni e si guardò attorno come un forsennato,
gridando più e più volte il nome della moglie. A rispondergli ci fu solo il
silenzio. Il vuoto dell’abisso che incombeva in quel luogo incominciò a
insinuarsi nella sua anima. Stette per perdere la speranza, quando con la coda
dell’occhio percepì un movimento. Colto da un attimo di panico, Robert afferrò
il fucile in posizione d’attacco, pronto per rispondere a un’eventuale
aggressione. Ma com’era possibile? Era ancora giorno! Non potevano…
Dovette
alzare lo sguardo al cielo per accorgersi della verità. Non era stato l’unico a
compiere un viaggio fino a quel momento, perché il sole aveva accompagnato ogni
suo passo. L’ora ormai si stava facendo tarda e, dallo zenit, l’astro si apprestava
a scomparire dalla volta celeste. Ciò sarebbe dovuto avvenire tra diverse ore
se non fosse stato per il profilo della montagna che, come una belva, stava
ingoiando la fonte di luce del creato. Le ombre iniziavano ad allungarsi, il
luogo farsi oscuro. Non aveva più tempo.
Robert
corse. Corse a perdifiato, chiamando, urlando, pregando. E alla fine si ritrovò
smarrito, perso in quella città silenziosa dove l’ordine era il caos e il caos
era l’ordine. Quando rimise piede nella piazza, si rese conto di non avere più
speranza. Il suo cuore si era colmato di un oscuro terrore.
«Amore
mio! Gretchen!» sbraitò, la voce rotta.
«Sì,
marito?»
Il
respiro gli si bloccò in gola. Il battito del suo cuore, dapprima accelerato a
causa dello sforzo fisico e dall’adrenalina che gl’incendiava le vene, sembrò
bloccarsi per un attimo che parve infinito. Credette di morire e ritornò alla
vita quando il suo sguardo si posò sull’eterea figura comparsa sul limitare
dell’ombra. Gretchen.
La
donna apparve da dietro un’abitazione, camminando leggiadra come se non
sfiorasse il suolo. Si fermò a pochi metri da lui, lasciandolo spiazzato. Era persino
più bella di quel che ricordava, come un angelo inviato sulla Terra per
allietare i mortali. Non gli importò se il suo corpo fosse celato da una candida
vestaglia, contravvenendo così alle leggi morali a causa della sua impudica
veste. Per lui era perfetta. I suoi lunghi capelli biondi, di solito raccolti,
le ricadevano sulle spalle e la schiena in boccoli selvaggi, scossi da
un’ultraterrena brezza. Il suo viso era sereno, così come il suo sguardo.
Sembrava illesa e in pace.
Ma
come poteva esserlo in quel luogo di perdizione?
Istintivamente,
Robert estrasse la fiaschetta donatagli da Uralt. Tuttavia non ebbe il coraggio
di usarla. Tremava incerto, incapace di prendere una decisione. Una parte di
lui gli urlava di agire, di prestare fede ai consigli del guardiano, ma
l’altra, la più profonda e oscura, agognava quella visione; voleva gustare le
promesse insite nelle sue labbra.
«Vieni
con me» mormorò Gretchen, spalancando le esili braccia per accoglierlo in esse.
«Stai con me. Rinnega la triste vita che ostenti a vivere per una fatta solo di
certezze e piaceri.»
La
fiaschetta di acqua santa gli scivolò dalle dita, cadendo a terra con un tonfo
metallico. Il liquido incominciò a uscire dal tappo svitato, creando una
piccola pozza tutt’intorno. Nel contrasto con il pavimento nero e sudicio,
quello che voleva essere l’elemento più puro sembrò trasfigurare nell’onta.
«Oh,
Gretchen, mia amata. Ti ho cercato per così tanto tempo. Per te farei qualsiasi
cosa. Anche andare all’Inferno.» Ormai le lacrime gli bagnavano il viso,
offuscando la sua visuale. Persino la sua anima stava soffrendo a causa
dell’amore smisurato che sembrava spingerlo verso di lei, passo dopo passo. La
tentazione di adempiere al suo volere era irrefrenabile.
Gretchen
sorrise, un sorriso all’apparenza dolce, ma in qualche modo freddo e distante. Ora
che l’ombra si era estesa, gli venne incontro. «Lo so, amore mio. Vieni, vieni
da me. Stringimi. Abbracciami. Riscaldami con il tuo amore. Ho bisogno di te.»
«Sì,
mia amata» gemette Robert.
Le
si avvicinò. Poi, senza darle il tempo di anticipare la sua mossa, inforcò il
fucile e fece fuoco, centrandola al petto a bruciapelo. Per un istante Gretchen
vacillò, sorpresa dall’accaduto e dalla macchia vermiglia che si stava
espandendo sulla sua veste; poi il suo volto si trasfigurò, mostrando le sue
vere fattezze. La sua pelle candida divenne cerea e sottile come carta,
lasciando trasparire al di sotto il reticolo di vene bluastre che la percorreva
e l’ossatura aguzza. I morbidi lineamenti che la contraddistinguevano erano infatti
divenuti affilati e ferini, distruggendo l’armoniosità del suo viso. Persino i
suoi occhi persero la loro naturale innocenza, iniziando a brillare selvaggi.
Infine, arricciò le labbra cianotiche in un ringhio animalesco, che pose in
evidenza la sua dentatura distorta, simile a quella di una belva. I canini,
allungati in modo grottesco, le sfioravano il labbro inferiore.
Gretchen
non esisteva più.
Robert
si pietrificò nel scorgere quella visione. Dentro di lui, qualcosa si spezzò.
Il vuoto incominciò a espandersi, lacerando la sua anima e trascinandolo
sull’orlo della follia. Eppure, non doveva vanificare i suoi sforzi. Non poteva
permettere che Gretchen fosse allontanata dalla misericordia di Dio. Serrò i
denti e ricacciò indietro il dolore. Sua moglie aveva bisogno di lui e dunque
l’avrebbe liberata dal mostro che era diventata.
Approfittando
di quell’attimo di distrazione, Robert sfilò il paletto che teneva appeso alla
cinta e, con la forza della disperazione che fuoriuscì da lui sotto forma di
grido, lo impiantò nel petto della sua amata. Gretchen cadde tra le sue braccia
senza forze. Incurante delle ombre che lo circondavano, incurante della luce
sempre più flebile, si perse a osservare il volto che tanto amava. Gretchen per
un momento sembrò ritornare in sé. I suoi occhi riapparvero azzurri come il
cielo e lo scrutarono calmi e placidi, un lieve sorriso le increspò le labbra
rosee. Poi svanì, tramutandosi in cenere.
Robert
rimase spiazzato. Crollò in ginocchio osservando il modo in cui la cenere gli
scivolava via dalle dita. Singhiozzò per poi urlare al cielo il suo dolore, lasciandosi
sopraffare dalla disperazione finché un sibilo acuto fendette l’aria. Solo
allora si ricordò dov’era. Si rimise in piedi e corse a recuperare la
fiaschetta, piena solo per metà. Incominciò a spargere l’acqua attorno a lui,
recitando salmi e preghiere. Ormai li vedeva, li scorgeva attraverso le
tenebre, i vicoli, le fessure delle case. Esseri repellenti l’osservavano con
gli occhi funesti carichi di rabbia. Le loro bocche digrignavano, sibilavano,
alcuni emisero addirittura soffi animaleschi. Le loro bianche presenze
spiccavano sempre più attraverso la buia città. Il silenzio che l’aveva accolto
ormai era solo un lontano ricordo.
Robert
corse e corse fino a non avere più fiato. Saettò nuovamente in quel caos di
costruzioni, trattenendo appena la tentazione di guardarsi indietro. Li
avvertiva alle sue spalle, al suo fianco e persino sopra di lui. I suoi vestiti
erano sporchi del sangue di Gretchen e ciò non fece che attirare nuove creature
nella sua caccia. Con mosse frettolose e senza perdere il ritmo della corsa, si
tolse la giacca, lanciandola in aria. Quando uno di quegli esseri fece un balzo
per agguantarlo, finì per cadere in quella trappola di stoffa. Ruzzolò a terra,
portando con sé un suo simile.
Robert
stette per sorridere di vittoria, quando dall’ombra di un vicolo uno di loro lo
attaccò. Il giovane riuscì a togliersi per tempo dalla sua traiettoria, ma il
mostro riuscì ad artigliarlo alla schiena. Il sangue incominciò a sgorgare
dagli squarci creati, facendo ululare di piacere l’intera Città. Dolorante,
stanco e colmo di panico, Robert ignorò il sangue che gli gocciolava lungo le
gambe e si concentrò su un’unica idea: la fuga.
E
poi, come un miracolo divino, riuscì a vederlo: il cancello. Con rinnovato
vigore, Robert raggiunse i pochi sprazzi di sole che ancora illuminavano la Città.
Finalmente al sicuro, costeggiò la muraglia fino a raggiungere la fessura che
aveva precedentemente aperto. La sua testa era colma di orrore, delle urla di
quelle anime dannate che lo chiamavano a gran voce. Sopravvissuto a
quell’Inferno, non sarebbe uscito come lo stesso uomo che vi aveva messo piede.
Cercando di non pensare al sangue che ancora gli macchiava le mani, fece per
infilarsi nell’apertura.
Poi
le tenebre oscurarono la sua visuale. Infine, la montagna aveva terminato il
suo bacchetto. Chiuso nella morsa del cancello, Robert si costrinse a
strisciare, sentendosi come un topo in trappola. Quando la sua mano riuscì a
toccare l’aria pura del mondo al di fuori, un artiglio lo ghermì strattonandolo
all’indietro. Robert urlò e urlò, mentre
nuove mani lo afferrarono, impedendogli di continuare la sua fuga. Lo
strattonarono, lo strinsero e, infine, riuscirono a strapparlo alla sua
libertà.
Gli
occhi del giovane scorsero sprazzi di foresta, in lontananza uno spiraglio di
cielo azzurro attraverso le nubi, ma gli risultarono insipidi. Ormai perduto,
Robert infilò una mano nella tasca e ne estrasse il nastro della moglie
perduta. Se lo portò al viso ormai distorto dal dolore e ne annusò il
nostalgico profumo.
«Mi
dispiace, amore mio.»
Poi
una moltitudine di zanne affondarono nella sua carne con diabolica
soddisfazione.
†††
Gli
echi bestiali durarono per pochi momenti o un’eternità, acquietando la foresta
circostante. Non si udì più un uccello cantare o un insetto ronzare. Il mondo
si era fatto silenzioso e incerto.
Il
cancello della Città Silente era stato socchiuso e dimenticato. Dallo spiraglio
vi era solo ombra e nient’altro. Finché un braccio pallido non comparve dalle
tenebre, posandosi sul lato esterno. Al contatto con il metallo, la pelle
dell’essere iniziò a sfrigolare, poi a fumare e infine prese fuoco. Ma non si
spostò, non allentò la presa. Molte altre mani e artigli lo seguirono,
sollevando volate di fumo e cenere mentre quelle che scomparivano venivano
sostituite repentinamente.
E
incominciarono a spingere.