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Autore: xjnicodiangelo    05/06/2017    3 recensioni
[Solangelo - AU]
Will era decisamente un piagnucolone, lo era sempre stato.
Con la maturità che aveva ormai raggiunto alla sua età, era arrivato a smettere di vergognarsene, perché il pianto non era certo un segno di debolezza, ma un segno di umanità –forse un po’ troppo accentuato, ma non era questo il punto–.
–☼–
[...] Era arrivato alla conclusione che il pianto fosse la risposta fisiologia del suo corpo a qualsiasi tipo di situazione od emozione: piangeva di gioia, di tristezza, per il dolore, per la rabbia e probabilmente per un’altra sfilza di sentimenti che sarebbe inutile elencare.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Nico/Will, Will Solace
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cry baby
 
Will era decisamente un piagnucolone, lo era sempre stato.
Con la maturità che aveva ormai raggiunto alla sua età, era arrivato a smettere di vergognarsene, perché il pianto non era certo un segno di debolezza, ma un segno di umanità –forse un po’ troppo accentuato, ma non era questo il punto–.
Nella maggior parte dei ricordi che aveva della sua infanzia, stava infatti piangendo o aveva appena pianto o comunque c’erano delle lacrime coinvolte per un motivo od un altro, a volte senza. Will da piccolo era sempre stato un bambino iperattivo, entusiasta e logorroico ma anche incredibilmente sensibile.
Già a quei tempi aveva capito di esserlo leggermente di più rispetto a tutti gli altri. Perché sì, tutti i bambini piangevano tanto, ma non come lui. E gli altri avevano un motivo a giustificare le lacrime che bagnavano loro le guance, mentre lui si ritrovava il più delle volte a rispondere ai “perché piangi Will?” con dei “non lo so”  con tanto di singhiozzi. A volte era la verità: non sapeva davvero perché piangeva, altre volte si vergognava semplicemente di rivelarne il vero motivo.
Come quella volta che una delle sue maestre aveva detto scherzosamente a sua madre: «Will sembra una scimmia: si arrampica ovunque!» E non era riuscito a non offendersi e non scoppiare in lacrime. Fatto restava, che non riusciva ancora a capire per quale motivo si fosse offeso. 
Era arrivato alla conclusione che il pianto fosse la risposta fisiologia del suo corpo a qualsiasi tipo di situazione od emozione: piangeva di gioia, di tristezza, per il dolore, per la rabbia e probabilmente per un’altra sfilza di sentimenti che sarebbe inutile elencare. Probabilmente sarebbe il caso di prenotare una seduta da uno psicologo, ma era convinto che finché la cosa non fosse un problema per lui, non c’era bisogno di intervenirvi.
 
Will aveva una soglia del dolore estremamente bassa, l’aveva sempre avuta.
Probabilmente uno dei motivi principali per il quale si ritrovava a versare lacrime fin da quando era bambino, era legato ad essa. Era sempre stato un tipo abbastanza maldestro e piuttosto impulsivo; poi se alla combinazione di entrambi si aggiungeva la facilità con il quale scoppiava a piangere, il risultato poteva essere seriamente distruttivo. Doveva dire, però, che a volte quell’equazione aveva portato a cose positive, tipo il primo incontro con l’amore della sua vita.
Quel giorno Will e i suoi amici erano al parco e stavano giocando a calcio. Un momento si trovava lì a passare la palla ai suoi compagni cercando di non fare così schifo, l’altro il gioco era in pausa perché Cecil si era messo a discutere con Damien. Il biondo teneva il pallone fermo sotto il piede e aspettava un cenno per riprendere il gioco. Quando questo era arrivato, aveva fatto per tirare ma non sapeva cosa fosse successo per cui si trovò steso a terra e paralizzato. Ma paralizzato sul serio: non riusciva a muovere un muscolo, quindi piangere gli sembrò quasi naturale. Soprattutto quando sentiva echeggiare intorno a lui le risate di quelli che sarebbero dovuti essere i suoi amici.
Poi sentì un’ombra calare su di sé ed una voce con un accento strano chiese: «Ehi! Ti sei fatto male?» Il biondo aveva aperto gli occhi e aveva osservato la figura che troneggiava su di lui. Un bambino della sua età –forse più piccolo– con capelli scompigliati neri ed occhi dello stesso colore. Il tempo di pensare che il bambino fosse carino e si rese conto che sarebbe stato il caso di tentare di alzarsi e magari rispondere all’altro, quindi provò a tirarsi su. Sorpreso di se stesso, ci riuscì e si voltò verso il moro accovacciato accanto a lui: «No.»
In risposta, il bambino aveva inclinato la testa di lato: «Allora perché stavi piangendo?» Gli asciugò una lacrima col pollice come per dare prova alle sue parole. Will sbuffò borbottando: «Mi sono spaventato, credo.»
Si era aspettato di essere preso in giro, di certo non che l’altro gli sorridesse alzandosi e porgendogli la mano: «Sei carino. Sono Nico.» Il biondo, una volta in piedi, si era sentito per un secondo spiazzato, poi ripreso il controllo: «Will. Vuoi giocare con noi?»
 
Will era tra gli studenti migliori della sua classe, lo era sempre stato.
Non aveva mai preso un’insufficienza, la sola idea di prendere un sei –il minimo della sufficienza– gli faceva accapponare la pelle. Si riteneva una persona intelligente eppure non sapeva spiegarsi il timore reverenziale che aveva nei confronti della professoressa di storia: Mrs. Prudence, fin da quando il primo giorno era entrata in classe –anticipata dal rumore dei tacchi che riecheggiava nel corridoio– chiedendo con voce gelida: «Avete sentito parlare di me?» Certo che se ne sentiva parlare: tutti i ragazzi più grandi li avevano avvertiti di quanto fosse tremenda. «Bene, perché tutto quello che avete sentito è vero.»
Era severa, come il biondo non aveva mai visto altri professori essere. Non urlava, ti fulminava con lo sguardo. Era spaventosa, tanto che avevano instaurato la tradizione della preghiera collettiva prima delle sue ore. Appena il professore dell’ora precedente metteva piedi fuori dall’aula, Will sfilava la penna nella mano sinistra di Nico –ignorando i brividi che lo percorrevano al contatto–, seduto accanto a lui, e gliela stringeva mentre con l’altra mano stringeva la mano di Lou Ellen e una volta che tutta la classe aveva le mani congiunte in qualche modo, si iniziava la preghiera.
Ricordava ancora come lo stomaco gli andasse in subbuglio non appena si sentiva l’eco dei tacchi in lontananza. Ricordava di voltare lo sguardo verso Nico, che lo guardava a sua volta deglutendo, con lo stesso spavento negli occhi.
Non volava mai una mosca durante le sue ore. Soprattutto quando scorreva lo sguardo sull’elenco per scegliere le sue vittime. Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui si sentì chiamare: «Solace.» Si era alzato, insieme agli altri tre. E se li aveste guardati in faccia, avreste pensato che stessero andando al patibolo. Will ricordava di essere stato lasciato per ultimo. Ricordava che una volta i suoi occhi gelidi si posarono su di lui, si sentì mancare il fiato. E ovviamente ricordava come non era riuscito ad aprire bocca, come tutte le ore che aveva passato sui libri si fossero azzerate e nella testa gli fosse restato assolutamente nulla.
Will aveva preso un tre, con tanto di: «Non sei questo granché come dicono gli altri professori.» Si sentiva demoralizzato, umiliato. Era tornato a posto e non aveva potuto far altro che piangere in silenzio mentre Nico gli carezzava le braccia cercando di consolarlo, invano.
 
Will era senza dubbio una persona simpatica1, lo era sempre stato.
Forse questo aspetto era strettamente legato all’essere sensibile, o semplicemente il suo corpo –e la sua mente– cercavano scuse per gettare lacrime. Erano innumerevoli le volte in cui si era ritrovato con gli occhi lucidi o direttamente in lacrime perché qualcuno lo era a sua volta, davanti a lui. E non avrebbe mai dimenticato quando fu proprio il moro a suscitargli quella reazione.
Il biondo non l’aveva mai visto piangere. Quindi, quando quel giorno lo vide alzarsi di scatto dal suo posto, chiedendo al professore di uscire con voce rotta, restò più che sorpreso. Tutta la classe si girò verso di lui, perché erano compagni di banco e migliori amici, ma nemmeno Will sapeva cosa fosse successo, quindi mormorò un flebile: «Vado con lui.» prima di alzarsi ed uscire dalla classe. Poggiato al muro di fronte l’aula, il riccio notò il moro in lacrime. Quella sola vista, aggiunta alla preoccupazione per l’italiano, gli fece spezzare il cuore e venire gli occhi lucidi. Raggiunse il ragazzo, poggiandosi al muro accanto lui esordendo con un timido: «Ehi.» L’altro aveva alzato di scatto la testa, colto di sorpresa, e con voce roca aveva risposto: «Oh, ehm … ehi. » cercando invano di ricomporsi asciugandosi le lacrime con il braccio e tirando su con il naso. Il biondo l’aveva guardato dolcemente e ignorando la voce che gli si arrochiva aveva mormorato: «Tutto okay?» L’italiano aveva accennato un sorriso amaro: «Chiaramente no.» Will aveva annuito, dandosi mentalmente dello stupido, e tirando a sua volta su con il naso propose: «Vuoi parlarne?»
Il più basso aveva storto il naso accettando il tovagliolo che nel frattempo il biondo gli aveva offerto: «Non esattamente. Cioè –si fermò tirando su col naso– Non è successo nulla, è solo che» Aveva fatto un’altra pausa, tanto che Will si sentì quasi obbligato a sorridergli come incoraggiamento nonostante gli occhi ancora lucidi –non sapeva quale divinità ringraziare per il non aver ancora aperto i rubinetti–. Ma non potette trattenersi oltre quando l’altro puntò lo sguardo nel suo, con occhi gonfi e guance bagnate: «Oggi è l’anniversario della morte di mia madre.»
Ed a quel punto abbracciarlo gli era sembrato naturale, nonostante le guance bagnate di entrambi e le persone che passavano nel corridoio. Prima di rientrare si asciugarono le lacrime a vicenda.
 
Will piangeva anche quando rideva, lo aveva sempre fatto.
Okay, che le persone che ridono fino a piangere sono tante, ma la differenza stava nel fatto che il biondo rideva con poco. Una delle volte che aveva riso di più nella sua vita, ricordava fosse ad una festa degli Stoll.  Se ne stava seduto su un divanetto, spiaccicato in mezzo ai suoi amici. Troppi per quello spazio ristretto, tant’è vero che Nico era stato costretto a sedersi sulle sue gambe e Will cercava con tutto se stesso di contenere la felicità. Erano così vicini che sentiva il profumo del moro inebriarlo, così vicini che gli era impossibile concentrarsi su quello che Leo stava raccontando. Fu però riscosso dal suo stato di trance dalla voce dell’ispanico che quasi urlava: «Devo assolutamente raccontarvi questa cosa! 2Nell’appartamento accanto al mio, si è trasferita questa ragazza che è bellissima ed intelligente e divertente e mi sono innamorato.»
Il biondo rise quando Nico lo interruppe: «Come se fosse una novità.» Leo lo ignorò, continuando la storia: «Appena è arrivata, l’ho aiutata con gli scatoloni e fatto qualsiasi cosa mi chiedesse, perché insomma, non potevo perdere l’occasione!» Anche solo l’entusiasmo del riccio faceva venir da ridere a Will, che cercò di trattenersi mordendosi il labbro: «Poi quando abbiamo finito, mi dice “Ci vediamo nell’ascensore”, e se questo non è flirtare, non so cosa sia!» Il biondo scoppiò a ridere seguito da Damien, che ribatté: «Vai convinto, amico.» L’ispanico aveva ancora una volta ignorato le risate dei suoi amici a favore del suo racconto: «Per un paio di giorni, siamo andati insieme a fare la spesa e cose così. E ho scoperto che non è fidanzata! –si schiarisce la gola– Quindi le ho chiesto di uscire. Volete sapere cos’ha risposto?»
«Che porti la disperazione ad un nuovo livello?3» Will fu il primo a scoppiare a ridere, seguito dagli altri, con gli occhi già lucidi per il divertimento. Leo aveva guardato male Cecil, autore del commento, prima di concludere: «Ha detto: “Hai frainteso, non mi piacciono i ragazzi, ma possiamo restare amici, se vuoi”.  Capite?»
E a quel punto nessuno potette trattenersi oltre. Will aveva gli occhi umidi, e la vista offuscata e rideva così tanto che non diede peso a come il moro ora avesse la schiena adagiata al suo petto e la testa sulla sua spalla, ridendo anche lui.
 
Will si era ritrovato a piangere anche per ansia, più spesso di quanto sia propenso ad ammettere.
Capitava che quando si sentiva particolarmente sotto pressione, non  poteva far altro che lasciarsi andare. Il picco d’ansia l’aveva raggiunto probabilmente il giorno in cui aveva deciso di dichiararsi a Nico.
Ricordava di stare aspettando il moro fuori casa sua, in preda all’ansia, con la prospettiva di essere friendzonato che gli faceva serrare la gola. L’idea non era venuta dal nulla: maturava quei sentimenti da tempo, anche se ne aveva preso atto solo recentemente, quando costretti a giocare al gioco della bottiglia avevano dovuto baciarsi –quale modo migliore per essere folgorati dall’illuminazione?–.
Ormai passavano praticamente qualsiasi momento insieme. Ogni volta che lo scorgeva da lontano, sentiva le farfalle nello stomaco e il sorriso comparire spontaneamente, anche se lo scoraggiava non riuscire a cogliere una reazione dall’altro. La cosa più angosciante, però, era che dichiararsi avrebbe potuto cambiare il loro rapporto, magari portarlo a termine, e Will sentiva la vista offuscarsi solo al pensiero.
Si asciugò le mani sudate sui pantaloni quando notò la porta aprirsi, e il suo migliore amico raggiungerlo salutandolo con un bacio sulla guancia. Il biondo aveva risposto con un timido “ehi”, mentre s’incamminavano. Con la coda dell’occhio, notò che la postura dell’altro era tesa e si chiese a cosa fosse dovuto. Il panico lo assalì mentre il pensiero che il moro avesse notato qualcosa si faceva spazio nella sua mente. Ed aumentò quando realizzò che dopo essersi dichiarato, la loro amicizia sarebbe potuta ridursi a quello: tensione ed imbarazzo. Non poteva-: «Will, ci sei?» Tornato alla realtà, vide l’italiano qualche passo indietro, quindi con la gola secca rispose: «Sì … scusa, ero sovrappensiero.» L’altro annuì ma lo raggiunse ribattendo sospettoso: «A cosa pensavi?» E gli occhi gli diventarono lucidi alla prospettiva di non avere più quegli occhioni a guardarlo così sinceramente preoccupati e si chiese con quale coraggio avrebbe potuto dichiararsi.
 «Will, stai piangendo?» L’altro gli si avvicinò ulteriormente preoccupato e gli poggiò una mano sull’avambraccio per confortarlo. Il biondo però si sentiva angosciato, e non riuscì a trattenere la lacrima che gli scese lungo la guancia. Nico, ormai allarmato, gli aveva preso le guance tra le mani: «Mi dici cosa diamine succede?» E Will era stanco di preoccuparsi tanto, di pensare tanto, quindi sputò: «Succede che mi piaci! Non so se provi lo stesso, e se no va bene, ma non voglio rovinare la nostra amicizia! Se ci allontanassimo potrei morire perché sei forse l’unica costante della mia vita e-» Sentì ghiacciare il sangue nelle vene –e un’altra lacrima fare il suo corso– quando il moro gli lasciò andare le guance, lasciando cadere le braccia sulle sue spalle scuotendo la testa: «Diamine Will, sei dannatamente stupido!» E poi le labbra dell’italiano si posarono brevemente sulle sue in un bacio a stampo utile a calmarlo: «Non ci credo che hai davvero potuto pensare che non provassi lo stesso, idiota!» Nico gli sorrise e gli asciugò le lacrime prima di ricongiungere nuovamente le loro labbra.
 
Will piangeva dalla rabbia, non poteva farci nulla.
Lui e Nico non litigavano spesso, ma quando lo facevano era una pugnalata al cuore. Ricordava la prima volta che erano andati a fare compere per rifornire l’appartamento: tutto tranquillo finché non si erano ritrovati a discutere al bancone dei surgelati. Will stava per ripetere a Nico quanto fosse poco salutare fare scorta di gelato, quando una commessa li aveva raggiunti: «Bisogno d’aiuto?» E che la ragazza fosse riferita principalmente a lui, il biondo non lo notò: «Non esattamente, ma cosa pensi del gelato?» le aveva chiesto sorridente per provare la sua convinzione. Dopo un momento di perplessità, la bionda rispose dedicandogli un occhiolino: «Buono. Soprattutto se mangiato in bella compagnia.» Prima di poter replicare, il riccio fu anticipato da Nico che lo raggiunse cingendogli la vita: «Soprattutto se si tratta del tuo fidanzato. Vero, tesoro?» A quel punto, la ragazza si era eclissata mentre l’italiano aveva posato il gelato nel carrello continuando le compere in silenzio.
Lo sciopero della parola era continuato fino a casa, quando accortosi del comportamento dell’altro, Will esordì: «Cosa c’è?» L’altro aveva sbattuto il pacco di pasta che aveva in mano sul tavolo: «C’è che non mi fanno piacere tutte le attenzioni che ricevi!» Il biondo l’aveva guardato incredulo: «Ma non è colpa mia! Cosa posso farci?» L’italiano l’aveva raggiunto: «Mettere in chiaro le cose! Sai, non è facile avere un fidanzato così fenomenale da avere paura che chiunque possa portartelo via!»
Il biondo sentì gli occhi inumidirsi mentre la realizzazione del nocciolo della discussione lo travolgeva: «Scherzi? –iniziava ad alzare la voce a sua volta– È questo che pensi? Che chiunque possa sostituirti?  Che non ti ami?» Ormai urlava e piangeva mentre il suo fidanzato restava paralizzato con le lacrime agli occhi: «Non intendevo questo. –la voce rotta– A volte sembri così perfetto e mi chiedo cosa ci trovi in me e-» Il biondo l’aveva interrotto: «Perché non capsici che sei tutto ciò che voglio?» Con la disperazione chiara nel tono e l’ennesima lacrima che colava lungo la guancia, si avvicinò all’altro, che annullò la distanza fiondandosi tra le sue braccia mormorando scuse. Will si chiese se vederlo piangere faceva soffrire il moro quanto stava soffrendo lui in quel momento. Tirò su col naso e lo strinse forte a sé, affondando la testa nell’incavo del suo collo, inalando il profumo che ormai associava a casa.
 
Will è un piagnucolone, lo è sempre stato.
Ha ventitré anni, è uno studente di medicina e convive con il suo fidanzato secolare, il quale ormai si è rassegnato a passare buona parte della loro vita di coppia ad asciugargli le lacrime. Non si vergogna né lo infastidisce essere emotivo e Nico sembra amare persino quella caratteristica di lui –anche se il biondo non riesce a capire come–.
Quel giorno, se ne sta sul divano in salotto a recuperare le ultime puntate di Skam, che si è perso per studiare per l’esame che aveva dovuto dare quello stesso giorno. Non giudicatelo: aveva un debole per i teen drama e la Norvegia –più alcuni suoi abitanti belli da mozzare il fiato–.
Sta piangendo quando sente dei passi riecheggiare nell’appartamento silenzioso se non per i suoni emessi dal televisore: «È norvegese quello che sento?» esordisce il suo fidanzato sedendosi sul divano accanto a lui, ma in modo da avere le gambe poggiate su quelle del biondo, che preferisce non proferire parola per non essere tradito dalla voce rotta. Ma il moro lo conosce bene –e ha già visto la puntata–, quindi gli basta uno sguardo alla tv e i suoi occhi sono su di lui: «Stai piangendo, tesoro?» Il biondo tira su col naso, senza nemmeno provare a nasconderlo: «Gli Evak che cantano Imagine: come faccio a non piangere4
A Will non passa inosservato il verso intenerito che abbandona le labbra del moro, mentre quello si avvicina fino a sederglisi sulle gambe. Gli prende le guance tra i palmi e gli sorride dolcemente, asciugandogli le lacrime con i pollici e mormorando: «Ti amo.» Ma prima che il biondo possa provare a rispondere, continua: «Ma questo non è ancora niente.» E se lo studente di medicina emette un lamento infantile e petulante, che non manca di far ridere Nico, nessuno deve saperlo.
 
Cry baby, cry baby, we need to cry
And if we do, I know that will be alright
 


 
[1] Nel caso non si fosse capito, per simpatia –in questo caso–, s’intende: “il processo psicologico per cui una persona si identifica con un’altra condividendone le situazioni emozionali”;
[2] Questa storia raccontata da Leo è una copia chiara e tonda dalla lyrics di “I Found a Girl” dei “The Vamps”, sul quale volevo scrivere da tanto tempo, quindi eccoci qui;
[3] Sì, ho citato Even Bech Næsheim, and I don’t regret anything. No okay, non riesco più a scrivere storie senza citare o fare riferimenti a Skam, quindi deal with me;
[4] Per chi non guardasse Skam, gli Evak sono una ship che rise nella terza stagione e la puntata che Will guarda è la 5.10, perché ho un soft spot per la prima parte dell’ultima clip.

 

 
Ehilà! 
Eccomi tornata con un'altra storia! Okay, parto con il dire che sono molto legata a questa storia perché è in un certo senso biografica, in quanto diciamocelo, Will here è una mia incarnazione e poi diciamocelo che maggior parte degli episodi sono infelici disavventure della mia insignificante vita. La canzone che ho citato alla fine, che lately è diventata una sorta di motto per me quindi ci tenevo ad inserirla, è presa da "Cry baby" dei The Neighbourhood. In qualunque caso, chiedo venia per tutti i riferimenti a Skam, ma quella serie tv possiede la mia anima, quindi deal with that poi sta per finire quindi I'm so emotional.
Vi ringrazio tanto se siete arrivati fin qui sani e salvi e mi farebbe davvero tanto piacere ricevere pareri sulla storia anche perché nonostante il legame emotivo con questa storia, non mi convince completamente. Mi scuso ancora per non aver risposto a nessuno recensione, ma hold on fino al nove giugno [più qualche giorno di rest], giorno in cui sarò ufficialmente libera.
E niente, ho finito le cose da dire quindi lots of love for yall e alla prossima!
  
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