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Autore: gattina04    11/06/2017    1 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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21. Vero Amore significa essere sinceri
 
POV Emma
Quando tornammo in città dopo quel particolare momento di commozione, il mio istinto mi guidò direttamente verso la biblioteca. Lasciai che Charlie e Lizzy andassero al locale della Strega Cieca, dandogli appuntamento davanti alla torre dell’orologio, visto che ero certa che il portale sia sarebbe aperto là, e decisi così di seguire il mio istinto. Ora che avevo aiutato il mio amico, dovevo assolutamente trovare Killian e restare con lui; non potevo più lasciarlo solo e avevo la netta sensazione che non l’avrei trovato in un locale affollato pieno di anime.
E infatti il mio istinto aveva avuto ragione; fu così che entrando nella biblioteca dell’Oltrebrooke lo scorsi seduto ad un tavolo tutto solo. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, teneva il braccio con l’uncino appoggiato stancamente sul piano, mentre la sua mano giocherellava inconsciamente con una delle catene che portava appese al collo.
Decisi di coglierlo di sorpresa; senza far rumore scivolai accanto a lui e lo abbracciai da dietro, strusciando il naso sul suo collo e lasciando un bacio sulla sua spalla.
«Ciao», mormorai contro la sua pelle.
«Ciao». Lo sentii rilassarsi sotto il mio abbraccio, come se fosse rimasto in tensione per tutto il tempo in cui eravamo stati separati. «Sapevo che mi avresti trovato».
«Io ti troverò sempre», sussurrai nel suo orecchio. Si scostò leggermente dal tavolo, in modo tale da riuscire a farmi sedere a cavalcioni su di lui. Mi persi nei suoi occhi, riuscendo a leggervi tutto quello che non era capace di dirmi a parole; ormai era come un libro aperto per me.
Purtroppo, però, non c’era molto che potessi fare per riuscire a far sparire quell’espressione triste dal suo viso; l’unica cosa che mi era concessa era quella di distrarlo e di consolarlo nell’unico modo che ero certa sarebbe risultato efficace. E così feci: avvicinai le mie labbra alle sue e lo baciai concedendogli tutta me stessa. Lasciai che la sua lingua si intrecciasse alla mia, che la sua mano vagasse sul mio corpo mentre il suo uncino mi premeva contro il suo petto; affondai le dita nei suoi capelli, perdendomi totalmente in lui, permettendo al suo disperato bisogno di me di prendere il sopravvento.
Quando ci staccammo per riprendere fiato, restai comunque a pochi centimetri di distanza, sentendo il suo respiro sulla mia pelle. Killian aveva gli occhi chiusi, ma quando gli sfiorai le ciglia con il pollice si aprirono, rivelandomi il più meraviglioso oceano.
«Grazie», mormorò sulla mia bocca.
«Per cosa?». Gli accarezzai la guancia, non capendo cosa avessi fatto di tanto speciale.
«Per essere te», rispose semplicemente. «La mia Emma, la mia dolce Salvatrice». Sorrisi e sfiorai di nuovo le sue labbra con le mie, non trovando le parole adatte per il tumulto di emozioni che le sue parole mi provocavano ogni volta.
«Com’è andata col tuo amico?», mi domandò poi, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio con l’uncino.
«Bene, più che bene». Era andata in un modo del tutto inaspettato ed era stata un successo. «Grazie per avermi lasciato andare. Era importante».
«Lo so, l’avevo capito». Già lui capiva sempre tutto, anche ciò che non gli dicevo.
«Ti amo», mormorai sentendo le farfalle nello stomaco e il cuore accelerare.
«Ti amo anch’io», rispose riconquistando nuovamente le mie labbra. Lasciammo che il silenzio cadesse intorno a noi, interrotto soltanto dal flebile rumore dei nostri baci e dei nostri corpi che strusciavano l’uno sull’altro. Non c’era niente di meglio che baciare Killian Jones ed inoltre era anche l’unica cosa di cui lui aveva bisogno in quel momento. Potevamo benissimo passare in quella maniera il tempo che ci restava da trascorrere nell’Oltrebrooke; io non avrei avuto niente da ridire.
Purtroppo però il mio pirata mi riportò alla realtà fin troppo presto, ricordandomi che avremo potuto renderci utili in ben altri modi. Perché quando eravamo insieme era lui quello razionale?
«Per quanto adori baciarti in questo modo», sospirò, «ho pensato che dovremo fare un’altra cosa prima di lasciare questo posto, questa volta si spera per sempre».
«Cosa?». Passai le dita tra i suoi capelli cercando di intuire quale fosse la sua particolare idea.
«È avanzata un po’ di ambrosia», annunciò lanciando uno sguardo ad una borsa appoggiata ad un lato del tavolo. Non avevo minimamente notato quel particolare, la mia mente era stata decisamente concentrata su ben altro.
«Dovremo piantarla», continuò, «là dove avremmo dovuto trovarla in passato, là dove solo chi ha trovato il Vero Amore potrà coglierla».
«Intendi dire che dovremo tornare laggiù solo per ridare vita ad una stupida pianta?». Feci una smorfia a quel pensiero; non è che non mi piacesse il suo progetto, ma quello era stato il luogo dove gli avevo detto addio, credendo che sarebbe stato per sempre e non smaniavo dalla voglia di tornarci.
«Lo so che non ti piace tornare là sotto», disse leggendomi come un libro aperto, «non piace neanche a me, ma è la cosa giusta da fare. In futuro potrebbe esserci un’altra coppia di innamorati che avrà bisogno dell’ambrosia. Ricordi la delusione quando non abbiamo trovato altro che un albero tagliato e rinsecchito?».
Sospirai capendo cosa voleva dire ed ammettendo che, in effetti, aveva ragione su tutta la linea. «È un’idea piuttosto romantica», gli feci notare rivolgendogli un sorriso.
«Forse un po’ sì. Ma che ne dici?». Emisi un altro sospiro e, anche se con riluttanza, mi alzai, rimettendomi in piedi davanti a lui.
Senza aggiungere una parola ed in risposta alla sua domanda, mi portai una mano al petto ed estrassi il mio cuore consegnandoglielo.
«Che fai?», proruppe Killian alzandosi in piedi di scatto.
«Non posso togliermelo là sotto, ricordi?». Gli rivolsi un sorriso e continuai a tenere il braccio teso in modo tale che lui lo prendesse.
«Me lo stai dando?», domandò dubbioso. «Vuoi che lo tenga io?».
Che domanda stupida! Non era ovvio? «Certo. Killian non lo sai che il mio cuore è tuo? A chi altro potrei affidarlo?».
L’espressione che gli si dipinse sul viso avrebbe fatto impazzire il mio cuore se lo avessi avuto ancora nel petto. «Grazie», mormorò prendendolo e infilandolo nella borsa insieme all’ambrosia. Dopo averlo riposto con estrema cura, si mise la borsa a tracolla e mi guardò aspettando che mi dirigessi verso l’ascensore.
«Dobbiamo avvertire gli altri?», domandai cercando di perdere tempo. In fondo andare laggiù non era esattamente nelle mie priorità.
«No, glielo diremo poi». Mi prese per mano, dandomi con quel gesto il coraggio necessario per scendere di nuovo nel luogo dove ci eravamo detti addio. Quando entrammo nell’ascensore non potei fare a meno di ricordare il bacio che ci eravamo scambiati là sopra, il dolore lancinante che avevo provato tornando in superficie senza di lui e tutte l’emozioni che avevo provato nel vederlo scomparire lentamente mentre quel dannato arnese mi portava sempre più su.
«Stavolta torneremo insieme», dichiarò, leggendomi di nuovo nel pensiero. «Diamo a questo luogo un’altra chance; in fondo è qua che abbiamo scoperto che il nostro è Vero Amore».
Aveva ragione come al solito e ancora una volta lui continuava a rassicurarmi, nonostante quello che era  appena accaduto. L’addio di Milah era ancora nell’aria e lui tentava comunque di rassicurare me in tutti i modi.
«D’accordo», mi feci coraggio. «Andiamo a piantare quest’ambrosia». Era il momento di mettere i suoi desideri al primo posto, lasciando perdere tutto il resto.
 
Camminammo, mano nella mano, in quei corridoi che avevamo già percorso una volta, senza dire una parola. Osservai Killian con la coda dell’occhio e notai che la sua espressione si era fatta di colpo seria e pensierosa; tuttavia non volevo chiedergli cosa avesse, sapevo che me l’avrebbe detto quando si sarebbe sentito pronto ed io potevo benissimo aspettare per placare la mia curiosità.
Quando arrivammo alla bilancia dove già una volta avevo pesato il mio cuore, vidi la sua espressione farsi più concentrata, come se stesse riflettendo su qualcosa di ineluttabile. Scossi la testa cercando di scacciare l’immenso desiderio di chiedergli cosa lo turbasse e mi avvicinai di più al suo fianco per estrarre il mio cuore dalla borsa.
«Aspetta», mi fermò posando l’uncino sulla mia mano.
Alzai la testa e incrociai il suo sguardo, talmente chiaro da riuscire a riflettermici dentro.  «Che c’è amore?». Non usavo mai quel genere di appellativi, ma dalla sua espressione avevo intuito che la sua testa stava elaborando qualcosa di preoccupante. Era teso e non ne capivo il motivo.
«Devo dirti una cosa», ammise. «Prima che tu possa pesare il tuo cuore, ho bisogno di farti una confessione».
«Cosa devi dirmi?», domandai circospetta. Non avevo nessuna idea di cosa potesse essere, ma intuivo che non era niente di positivo, non se la sua espressione era così seria e preoccupata.
«Ho baciato Milah», disse tutto di un fiato. «L’ho baciata quando tu, Charlie e Crudelia eravate a cercare lo specchio». Sospirai sentendo le sue parole e, nonostante la fitta al cuore che quella verità mi aveva dato, mi sentii sollevata. Mi ero aspettata qualcosa di peggiore ed in fin dei conti avevo intuito che con Milah fosse potuto accadere qualcosa del genere. Ero gelosa, avrei voluto che non l’avesse fatto, ma l’accettavo perché sapevo che Killian aveva attribuito un significato diverso al bacio con Milah rispetto a quelli che solitamente scambiava con me.
«Non è stato niente di che», continuò studiando la mia espressione. «Non ha significato niente, è stato solo un bacio di addio. So che non avrei dovuto farlo, ma in quel momento mi è sembrato giusto». Si interruppe guardandomi preoccupato, per poi riprendere portandosi la mano alla testa. «Dio! Probabilmente non avrei dovuto farlo… sarai furiosa e non posso criticarti…».
«Killian», lo fermai prima che potesse cominciare a colpevolizzarsi. Lo guardai dritto negli occhi e strinsi più forte la sua mano. «Va bene così, ho capito».
«Cosa?». Vidi la confusione e la sorpresa affacciarsi sul suo volto. Davvero non si era aspettato la mia comprensione?
«Ho capito», ripetei. «Non è che la cosa mi faccia piacere, avrei preferito che tu non l’avessi fatto, ma comprendo le tue ragioni. So che è stato un bacio d’addio, che si è trattato di un qualcosa che ha sancito la fine della vostra storia. Non sono arrabbiata per questo, immaginavo che sarebbe potuto succedere. Ti ringrazio di avermelo detto e di essere stato sincero».
«Non voglio che ci siano segreti tra di noi», ammise, «nemmeno il più piccolo segreto su un bacio che ovviamente non si ripeterà». Le sue parole mi colpirono profondamente e mi ricordarono che, in effetti, anch’io gli stavo nascondendo un bacio che anche in quel caso non si sarebbe ripetuto.
«Killian», mormorai, sentendo la tensione crescere. «Anch’io devo confessarti una cosa». Lui mi studiò sorpreso ma rimase in silenzio in modo tale che potessi continuare.
Lo osservai da sotto le ciglia prima di continuare. «Quando eravamo nel fiume Charlie mi ha baciata». Lo dissi tutto di un fiato buttandolo fuori come se fosse stato un segreto inconfessabile.
La reazione di Killian fu immediata. «Cosa?». La sua espressione passò dallo stupore alla rabbia.
«Non è successo nulla», intervenni subito, trattenendo la sua mano con entrambe le mie. «Non l’ho ricambiato e gli ho fatto capire che non avrebbe dovuto farlo e che non provo e non proverò mai assolutamente nulla per lui. Gli ho detto che il mio cuore appartiene a te e che non può avere speranze in quel senso».
Sentii la sua mano tremare tra le mie, nel tentativo di liberarsi della mia presa. Quando capì che non l’avrei lasciato andare si portò l’uncino alla fronte, chiudendo gli occhi e facendo un profondo respiro. «Io giuro che lo ammazzo», mormorò tra i denti.
«Killian». Lo costrinsi ad aprire gli occhi e a guardarmi. «Ci ho pensato io. Sono capace di difendermi da sola e anche di rimettere al proprio posto ammiratori indesiderati».
«Oh Swan l’ho notato subito come ti guardava, non ci voleva un genio per capirlo! Ma pensavo che non si fosse spinto tanto in là. Altro che marcare il territorio, se l’avessi saputo prima io…».
«Tu non avresti fatto proprio niente», ribattei. «Lo so che sei geloso, ma non ne hai motivo».
«Il motivo ce l’ho eccome. Ma che diavolo! Ti ha baciata».
«Sì ma io non l’ho ricambiato e l’ho rimesso al suo posto. Non lo farà più te lo garantisco».
«Ma…».
«Niente ma», conclusi. «Io ho accettato il tuo bacio con Milah, adesso tu sii abbastanza maturo da fare altrettanto, soprattutto dopo tutto ciò che ti ho detto».
Vidi la battaglia interiore che infervorava dentro di lui disegnarsi chiara sul suo volto; tuttavia alla fine sospirò e mi rivolse un sorriso tirato. «D’accordo, grazie di avermelo detto».
«Beh come hai detto tu, non ci devono essere segreti tra noi», conclusi. «E adesso che il tempo delle confessioni è finito, direi che possiamo anche pesare il mio cuore». Non c’erano più segreti e il Vero Amore significava anche questo: condividere anche le verità più dolorose e accettarle per quelle che erano.
 
Superare la prova della bilancia fu facile stavolta; sapevamo già cosa ci attendeva e non avevamo dubbi sul fatto che avremo superato quell’ostacolo. Ed infatti come la volta precedente, la porta si aprì con uno scatto, consentendoci di proseguire.  Del resto avevamo appena portato alla luce le uniche due cose che ci stavamo nascondendo a vicenda, e dopo quelle confessioni era ovvio che fossimo più vicini che mai.
Raggiungemmo l’albero seccato dell’ambrosia in poco tempo e la mia testa fece inevitabilmente il confronto con quello rigoglioso che avevamo invece visto io e Charlie: tanta bellezza era stata sciupata solo per la cattiveria di Ade. L’unica consolazione sarebbe stata che presto anche quel posto sarebbe tornato a rifiorire dando speranza a nuove coppie di innamorati.
«Credi che basterà piantarla nel terreno?», mi domandò Killian tirando fuori l’ambrosia rimasta, facendo molta attenzione al contenuto ben più prezioso della borsa: il mio cuore.
«Penso di sì», riflettei. «Se potessi userei la magia per farla crescere, ma ovviamente il tempo dovrà fare il suo corso». Così dicendo ne afferrai una dalla mano di Killian e mi accucciai per terra, iniziando a scavare.
Erano rimasti in totale tre frutti, quindi non impiegammo molto nel svolgere la nostra missione. Ci mettemmo ancora meno a tornare indietro verso l’ascensore, ansiosi di lasciarci alle spalle quel posto e il ricordo del nostro precedente addio. Per quanto questa volta fosse filato tutto liscio, quel luogo continuava a non piacermi e desideravo ardentemente tornare in superficie, anche se si trattava pur sempre dell’Oltretomba.
Il sollievo quando entrambi iniziammo a salire grazie a quello strano montacarichi fu immediato. Stavolta Killian era con me e presto saremo passati attraverso il portale. Stavolta avremo lasciato l’Oltretomba insieme ed era davvero l’unica cosa che desideravo. Volevo solo tornare a casa con il mio pirata e rimanerci almeno per un po’.
Durante tutta la salita strinsi forte la mano di Killian, beandomi anche del più piccolo contatto tra le nostre dita. Avevo completamente ragione quando dicevo che quel gesto era molto di più di una semplice stretta di mano: per noi era tutto. Era un modo per comunicare non usando le parole, era un modo per sentirci vicini con un solo semplice contatto.
All’improvviso quando eravamo quasi ritornati al piano della biblioteca, Killian tirò la mia mano verso la sua bocca e vi depositò un dolce bacio.
«Siamo insieme Swan», mormorò sulle mie nocche.
«E lo saremo per sempre, non è vero?».
«Per sempre». Era tutto ciò che volevo sapere: mi bastava credere che nonostante le infinite difficoltà che avremo dovuto affrontare in futuro, noi saremo sempre rimasti l’uno al fianco dell’altra, o comunque che ci saremo sempre ritrovati. Dopo aver passato del tempo nel Fiume delle anime perse avevo capito come per noi esistesse solo un futuro possibile e quello prevedeva assolutamente che noi restassimo insieme. Killian l’aveva compreso molto prima di me, aveva capito che non c’era altra soluzione per noi se non quella di sposarci e di legarci indissolubilmente. Io ci avevo messo un po’, ma finalmente ci ero arrivata.
Quando alla fine rientrammo nella sala deserta della libreria, notai che avevamo trascorso là sotto più tempo di quanto avessi pensato. Non doveva mancare molto all’apertura del portale e tanto valeva avviarci di fronte alla torre dell’orologio in attesa che la strada di casa si palesasse davanti ai nostri occhi. Ero certa che si sarebbe aperto lì, così come ero sicura che avrei trovato là tutti i nostri amici in trepidante attesa.
«Questo è tuo tesoro». Killian richiamò la mia attenzione porgendomi il cuore che aveva fino a quel momento tenuto al sicuro nella borsa. Gli sorrisi ed invece di prenderlo guidai la sua mano sopra il mio petto, aiutandolo a rimetterlo al suo posto. Lasciai che appoggiasse il palmo sul mio seno e che sentisse il battito del mio cuore: entrambi sapevamo che era solo per lui.
«Ti amo», mimò con le labbra.
«Lo so», sussurrai in risposta. Mi amava così tanto da essere sceso là sotto, ci amavamo così tanto da sacrificare noi stessi pur di salvare l’altro.
«Che ne dici di andare?», domandai dopo qualche secondo di silenzio. «Non vedo l’ora di essere a casa».
«Certo amore». Levò la mano dal mio petto e intrecciò di nuovo le dita alle mie, guidandomi fuori dalla biblioteca.
«Swan qual è la prima cosa che farai una volta a casa?», mi chiese una volta usciti all’aria rossiccia dell’Oltrebrooke.
«Riabbracciare mio figlio e i miei genitori, ma soprattutto Henry». Non avevo dubbi su quello.
«Sì lo so, ma intendevo dopo le cose ovvie?».
Ci pensai su prima di rispondere. «Una doccia e dormire… credo. Sono giorni che non riposo bene». In realtà non avevo dormito affatto, ma era meglio che lui non lo sapesse; si preoccupava sempre troppo per la mia salute.
«Potrei aggregarmi ad entrambe le tue idee?». C’era un che di malizioso nel suo tono, anche se era più che evidente che stesse facendo un enorme sforzo per riuscire a scherzare così con me.
«Beh potresti, ma credo che sarebbe difficile realizzare la mia ipotesi di dormire con te accanto».
«Per quello c’è la doccia Swan», rispose sorridendo. «Dopo lo giuro: mi assicurerò personalmente che tu possa dormire sonni tranquilli e che tu possa recuperare tutto il sonno arretrato».
«D’accordo». Non aggiunsi altro, ma il sorriso da ebete che avevo stampato in faccia parlava per me.
Camminammo in silenzio per il resto del tragitto; come avevo previsto gli altri erano in trepidante attesa di fronte alla torre caduta. Era evidente che stessero aspettando là da un bel po’ e che fossero tutti impazienti quanto me di tornare a casa.
Da una parte c’erano Robin e Joe che stavano parlando con Artù, che doveva essere venuto ad assistere alla nostra partenza. Crudelia stava fumando una delle tante sigarette seduta qualche metro più in là, non trovando interesse nella conversazione dei suoi compagni. Più vicini all’orologio c’erano invece Charlie e Lizzy che stavano parlottando e ridendo tra loro; era davvero un sollievo vederli così. Dopo tutto quello che avevo saputo, tutto quello che avevano passato finalmente avrebbero avuto un po’ di pace e felicità. Era davvero un bell’inizio per la loro vita a Storybrooke.
«Siete qua», esultò Robin vedendoci. «Pensavamo di venirvi a cercare».
«Abbiamo deciso di piantare l’ambrosia rimanente là dove si trovava il precedente albero», spiegai avvicinandomi a loro. «Non sappiamo se sotterrare un frutto basterà a far rinascere l’albero, ma considerando tutta la magia in esso racchiusa ci sono ottime probabilità».
«Beh mi sembra giusto», commentò Artù. «Avete avuto una buona idea».
«Sì in realtà è stata di Killian, vero?». Aspettai che confermasse, ma invece rimase in silenzio. Mi voltai verso di lui e solo allora notai che non stava ascoltando il nostro scambio di battute, ma che aveva lo sguardo puntato su Charlie e Lizzy. Aveva la testa completamente voltata e dalla mia posizione purtroppo non riuscivo a scorgere la sua espressione.
«Killian? Hook?», tentai di attirare la sua attenzione. Ma invece di degnarmi di una risposta lasciò andare la mia mano e si diresse con passo spedito verso l’altro gruppetto. La scena avvenne in maniera talmente rapida che a me non restò altro che assistere al susseguirsi degli eventi.
Killian si avvicinò a Charlie che era voltato di spalle e stava chiacchierando animatamente con Lizzy. Gli batté sulla spalla con l’uncino per attirare la sua attenzione e quando si fu voltato gli sferrò il suo gancio destro migliore, colpendolo dritto in faccia.
«Killian!», gridai raggiungendolo di corsa. Purtroppo sapevo il motivo di quel comportamento, anche se avevo sperato che la nostra conversazione avuta in precedenza l’avrebbe evitato. Invece come al solito Hook aveva deciso di comportarsi da maschio alfa, lasciandomi il ruolo della damigella da difendere; purtroppo per lui quel ruolo mi stava ben stretto.
«Sei impazzito?», esclamai, accucciandomi al fianco di Charlie, che si era accasciato a terra con le mani a coprirsi il naso.
«Se l’è meritato», rispose stirandosi le dita della mano. «Adesso non si azzarderà più a baciare la mia donna».
Sbuffai e faticai per non mettermi a litigare con lui. Prima avrei controllato la gravità della ferità di Charlie, poi ne avremo parlato e Hook gli avrebbe chiesto scusa o con le buone o con le cattive.
«Fa vedere». Cercai di scostare le mani di Charlie dal suo naso per poter capire quanto fosse grave, tuttavia lui non rendeva facile il compito, visto che continuava a lamentarsi senza spostare le dita di un centimetro.
«Che diavolo sta succedendo?», sentii Robin chiedere, dato che quella scena doveva essergli sembrata alquanto assurda.
«Charlie stai bene?». Anche Lizzy si era accucciata al suo fianco e stava cercando come me di accertarsi sulla salute del suo amico.
Quando finalmente riuscii a spostare le sue dannate mani, vidi un rivolo di sangue scendergli dal naso che con molta probabilità avrebbe potuto essere rotto. Killian ci aveva davvero messo tutta la sua potenza. Per fortuna la magia era d’aiuto in questi casi.
«Ci penso io», affermai, «non ti preoccupare». Passai la mano sul suo volto ed in meno di un secondo il suo naso tornò come nuovo.
«Grazie», sussurrò, tastandosi con cautela le parti che poco prima erano doloranti.
«Mi dispiace», mormorai costernata.
«Beh dovevi proprio dirglielo?». Era logico che lui avesse capito subito il motivo del pugno; comunque la risposta era sì, ma forse avrei dovuto prevedere meglio la reazione di Killian.
«Dirgli cosa?», intervenne Lizzy.
«Lasciamo perdere». Mi alzai di scatto, furiosa per quel gesto avventato. Appena mi fui rimessa in piedi mi voltai a guardare Hook, che stava parlottando con Artù e Robin come se nulla fosse. Probabilmente dovette percepire il mio sguardo su di sé perché i suoi occhi si spostarono per incontrare i miei; lo vidi trasalire per una frazione di secondo percependo la mia espressione. Sapeva che mi aveva fatto arrabbiare con quella sua scenata di gelosia e che non avrei lasciato passare quel suo comportamento.
Tuttavia non volevo dare ulteriore spettacolo, perciò feci un respiro profondo e mi diressi a grandi passi verso di lui. Una volta davanti, gli afferrai la mano e lo tirai in malo modo verso un angolo più appartato. Quando mi fermai gli rivolsi la mia peggiore espressione inferocita.
«Sei impazzito?», sbottai. «Ti rendi conto di ciò che hai appena fatto?».
«Beh dovevo mettere in chiaro le cose», si giustificò, puntando lo sguardo oltre la mia spalla. Bene: non aveva neanche il coraggio di guardarmi negli occhi, quindi sapeva di averla fatta grossa.
«No invece», replicai infervorandomi. «Ti avevo detto che ci avevo già pensato io».
«Aveva bisogno di essere ulteriormente convinto». Ma davvero? Se voleva farmi infuriare ancora di più, ci stava riuscendo.
«Hook». Il mio tono di voce lo fece sobbalzare. «So difendermi da sola, non sono una damigella in difficoltà».
«Certo questo lo so», replicò, spostando finalmente lo sguardo sul mio viso.
«No, non lo sai. Perché altrimenti ti saresti fidato di me e avresti lasciato perdere». Sapevo che tirare in ballo la fiducia era un’arma vincente.
«Io mi fido di te. È di lui che non mi fido».
«Invece no, perché se così fosse avresti creduto alle mie parole». Non avevo più il tono accusatorio, avevo invece optato per quello deluso e ferito. Sapevo giocare bene le mie carte.
«Mi dispiace», mormorò abbassando lo sguardo sui suoi piedi.
«Adesso tu andrai da Charlie e gli chiederai scusa». Era ovvio che non fosse una domanda. Era un ordine e lui avrebbe dovuto obbedire, che fosse d’accordo o meno.
«Io non gli chiederò scusa». Alzò di nuovo la testa, incrociando i miei occhi con fare deciso. Tuttavia la mia espressione dovette in qualche modo contribuire a farlo tornare sui suoi passi. «Io non voglio scusarmi».
«Lo so, ma lo farai lo stesso», conclusi. «Per me». Lo vidi sospirare pesantemente, senza però aggiungere altro, arrendendosi evidentemente al mio volere. Sapeva che ribattere avrebbe solo compromesso la sua situazione; era abbastanza testarda da riuscire ad avere la meglio quando litigavamo, soprattutto quando io avevo completamente ragione e lui torto.
Quando ritornammo dagli altri, trovammo Charlie intento a parlare con Artù e Joe. Probabilmente stava cercando di spiegare loro la situazione e sperai che non avesse dato tutta la colpa ad Hook; lui ci aveva messo del suo ed era colpevole quanto il mio pirata.
Appena Charlie ci vide dirigerci nella sua direzione si ammutolì di colpo e ci osservò con fare circospetto. Non sapeva cosa aspettarsi: di sicuro non si aspettava nessun gesto di cordialità da parte di Killian.
«Mi dispiace», mormorò Hook fermandosi di fronte a lui, in un tono appena udibile.
«Okay…». Charlie non seppe come interpretare quel cambiamento e perciò puntò lo sguardo su di me, capendo che ero io l’artefice di quella metamorfosi.
«Non avrei dovuto colpirti», continuò Killian ancora più piano. Non lo stava guardando, fissava un punto indefinito dietro la spalla di Charlie, ma ovviamente non potevo pretendere troppo.
«Va beh non fa nulla amico». L’altro gli rivolse un sorriso benevolo che sparì immediatamente sentendo le parole pronunciate da Killian.
«Io non sono tuo amico», sibilò tra i denti. Gli lanciai un’occhiataccia, ma non feci a tempo a continuare perché fummo brutalmente interrotti; solo che per una volta non si trattava di mostri o pericoli, per una volta si trattava della nostra salvezza.
 Alle nostre spalle, nella torre diroccata al suolo, l’orologio iniziò a girare in modo anomalo, sempre più velocemente, fino a quando il nostro tanto desiderato portale non comparve nel bel mezzo di essa.
«Oh mio Dio! Il portale…», mormorai non potendo credere ai miei occhi. Anche gli altri si avvicinarono ed assunsero un’espressione euforica e incredula allo stesso tempo; ero certa di aver stampata in faccia le stesse identiche emozioni. Vidi anche Crudelia, che fino ad allora era rimasta in disparte e stranamente tranquilla, avvicinarsi e fissare meravigliata il passaggio di fronte ai nostri occhi.
«È il momento», sussurrò Artù per tutti noi, scadendo così gli ultimi nostri istanti là nell’Oltretomba.
«Grazie di tutto», gli disse Killian stringendo la sua mano.
«Non ce l’avremo fatta senza di te», aggiunsi. Ed era vero: anche se non l’avevo mai stimato, dovevo riconoscere quanto in quella occasione ci fosse stato utile.
«Spero che continuerai a governare questo regno, con la saggezza e la grandezza che ci hai dimostrato fino ad adesso», continuò Hook.
«Beh ora basta convenevoli», concluse Artù dandogli una pacca sulla spalla. «Andate prima che si richiuda». Annuii e, dopo averlo definitivamente salutato, afferrai Killian per la mano. Noi saremo stati i primi a passare, visto che sarebbe stato alquanto strano far comparire subito dei perfetti estranei davanti alla mia famiglia. Ero io quella attesa, era me che si aspettavano di vedere.
«Sei pronto?», gli domandai osservandolo con la coda dell’occhio.
«Andiamocene da questo posto», concluse Killian. Ed erano davvero le uniche cose che ci restavano da dire.
Mano nella mano saltammo dentro il portale, seguiti a ruota da tutti gli altri. Affrontare quel viaggio fu facile: ormai sapevamo bene come funzionava. Mi bastò pensare intensamente alla mia casa e alla mia famiglia, per ritrovarmi l’attimo dopo nel bel mezzo del parco di Storybrooke, lo stesso dove tanto tempo prima ero partita per l’Oltretomba alla ricerca di Killian.
E fu esattamente quando atterrai sana e salva nella mia adorata cittadina che li vidi: schierati tutti in fila, tutti in trepidante attesa del mio ritorno. Henry, i miei genitori, Regina, persino Zelena.
«Emma!». Un coro si alzò all’unisono vedendomi, ma io avevo solo occhi per il mio adorato ragazzino. Mi era mancato così tanto che stentavo a credere che fosse davvero davanti ai miei occhi.
«Mamma!». Mi slanciai verso di lui nello stesso istante in cui lui iniziò a correre verso di me e ci scontrammo a metà strada, travolgendoci in uno stretto abbraccio.
«Henry», sussurrai, stringendolo più forte e passando le dita nei suoi capelli.
«Ero sicuro che ce l’avresti fatta», sussurrò contro la mia spalla, dandomi poi un bacio sulla guancia.
Mentre ero ancora intenta a bearmi della presenza di mio figlio, vidi i miei genitori avvicinarsi. «Mamma! Papà!». Mi sbracciai per riuscire a stringere anche loro, formando così una specie di abbraccio di gruppo. Finalmente ero stretta tra le braccia della mia famiglia, e sapevo che anche Killian stava guardando la scena con un accenno di un sorriso sulle labbra.
«Stai bene», sussurrò mia madre, lasciandomi un bacio sulla testa.
«Grazie di avercela riportata», disse mio padre, dopo avermi baciato sulla fronte. Non stava parlando con me, ma stava osservando un punto dietro la mia spalla.
«L’avevo detto che avrei fatto di tutto per salvarla», mormorò Killian in risposta.
«Chi diavolo sono quelli?», sentii Zelena domandare.
Solo allora mi ricordai di lei e di Regina, e di tutti i miei compagni di viaggio, che ormai dovevano aver oltrepassato il portale. Probabilmente erano spiazzati almeno quanto i miei amici di Storybrooke.
«Regina», intervenni staccandomi a malincuore dalla mia famiglia. «Ho portato degli amici con me». Tuttavia lei non mi stava più ascoltando, il suo sguardo era fisso su un punto alle mie spalle, o forse avrei fatto meglio a dire su una persona. Sapevo per certo chi avesse visto ed era facilmente decifrabile dalla sua espressione; aveva le mani abbandonate lungo i fianchi, la bocca aperta per la sorpresa e, nonostante fosse buio, riuscii ad intravedere delle lacrime comparire dai suoi occhi.
Mi voltai solo per vedere la stessa identica espressione sul volto di Robin. Le loro emozioni erano così facilmente intuibili che istintivamente sentii anche io gli occhi lucidi.
«Robin…», sussurrò Regina, stentando a crederci. Un attimo dopo lui annullò la distanza che c’era tra loro, baciandola appassionatamente. Ci sarebbe stato tutto il tempo per le spiegazioni, in quel momento contava solo il fatto che lui fosse lì, sano e salvo.
Decisi di distogliere lo sguardo da loro per concederli un po’ di meritata privacy, sentendo il cuore scoppiarmi di orgoglio. Ce l’avevo fatta: avevo dato un lieto fine a Regina, ero riuscita in quello che tentavo di fare da anni. Non che un uomo potesse essere considerato semplicemente il suo lieto fine, ma sapevo che un mondo senza Robin era un mondo dove lei non sarebbe potuta essere completamente felice.  Ero riuscita a redimermi prima con Crudelia, riportandola in vita, e adesso espiando la colpa per ciò che il mio primo viaggio nell’Oltretomba aveva causato.
«È Robin?», domandò mia madre. «Come è possibile?».
«È una lunga storia», tagliai corto. Era davvero troppo lunga.
«E chi sono queste persone?», intervenne mio padre. «E quella è Crudelia?».
«Sono amici, anche Crudelia lo è», confermai.
«Come…?». Lo fermai prima che potesse continuare.
«Vi racconterò tutto ve lo prometto, ma non ora». Abbracciai di nuovo i miei genitori per poi tornare da Killian ed Henry che erano fermi uno accanto all’altro. Li abbracciai, appoggiando la testa sulla spalla del mio pirata e stringendo il fianco del mio ragazzino.
«Abbiamo tempo», sussurrai. «Sono a casa adesso». Sicuramente c’era molto di cui discutere, c’erano ancora questioni da risolvere, persone da presentare, storie ed avvenimenti da raccontare ma eravamo a  Storybrooke ed era questo l’importante. Finalmente eravamo a casa.


 
Angolo dell’autrice:
Buona sera a tutti e come sempre ecco un capitolo.
Questa volta mi sono voluta concentrare solo su Emma. Avevo pensato di narrare una parte della storia anche dal POV di Killian, ma non tornava bene con i sentimenti che volevo mettere in evidenza. Insomma mi ero sempre immaginata questi avvenimenti dal punto di vista di Emma e raccontarla in un altro modo non mi piaceva per niente.
Comunque, alla fine ho portato i nostri eroi a casa e tutto è andato bene.
Voglio un attimo soffermarmi su Robin e Regina: ho iniziato a scrivere questa storia prima che si sapesse del legame tra lui e la Regina Cattiva e della diversità del Robin del mondo dei desideri rispetto a quello reale. Per questo ho voluto far rinascere questa coppia che a me piaceva molto.
Come sempre grazie a chiunque legga la mia storia. Vi anticipò che probabilmente ci saranno solo altri due capitoli (compreso l’epilogo) e che quindi questa storia sta giungendo al termine.
Un bacione e alla prossima!
Sara
 
  
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