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Autore: Francine    13/06/2017    1 recensioni
Spagna, Febbraio 1979.
In un paese che si sta risvegliando dalla dittatura franchista, un giovane Shura si rifugia alle pendici dei Pirenei - lì dove è diventato Santo di Athena e dove inizia il Cammino di Santiago - per ritrovare se stesso e placare la mente dagli incubi e dai dubbi che lo tormentano dalla Notte degli Inganni.
Ma esiste davvero un angolo di pace per colui che ospita Excalibur nel proprio braccio?
Pre Episode G
Prima pubblicazione: 12.01.2006
Versione riveduta e corretta.
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Capricorn Shura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scripta Manent'
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Il destino che soffia dal Mare
 

 
Coincidenza è il modo di Dio di restare anonimo.
(Albert Einstein)








Ha ricomposto la frattura grazie al suo Cosmo. Interessante…

Osserva la città fantasma da sopra i tetti delle case abbandonate, la cappa nera che danza pigra e molle nel vento della sera.
Un tempo, quelli come lui punivano gli umani per i peccati commessi con l'unico salario possibile: la morte. Bastava schioccare le dita, o anche solo pensare al supplizio scelto, e l'umanità assaporava sulla propria pelle cosa comportasse l'aver sfidato un dio.
L'acqua era il suo strumento. Quando la sua volontà decideva di mostrare quanto profondo, quanto micidiale fosse il suo potere, lui allargava le braccia e la morte giungeva attraverso il vortice azzurro che nasceva davanti a lui e univa le terre, sommergendole. Allora si godeva lo spettacolo dei flutti che ruotavano con forza e sradicavano qualsiasi oggetto incontrassero sulla loro strada.
Ha sempre trovato una certa vena di poesia nell'acqua che scorre tumultuosa, marosa quasi, quando, dopo aver rotto gli argini, è ansiosa di occupare tutto lo spazio possibile, e poi distendersi, placida, a riflettere il colore del cielo e parlare con lui in un muto gioco di sguardi.
Calma. Serenità. Quiete. Arresa.

«Io non ti capisco.»
Lei è appollaiata con grazia su un comignolo, accanto a un nido di cicogna.
«Non mi aspettavo altro, da te.»
«Grazie. Molto gentile. Molto educato.» Lei si finge offesa, mentre il vento, che adesso ha preso a spirare dai monti, resta impigliato nei suoi riccioli azzurri. «Sei sempre stato un misantropo, ma negli ultimi tempi sei peggiorato…»
«Dici?»
«Sì.»

Il vento gonfia il suo mantello nero e si permette di carezzargli gentile i capelli.
Lei dondola la gamba destra, accavallata sulla gemella, e descrive un cerchio in aria con la punta del piede. I calzari d'oro, intrecciati tra di loro, riposano appesi alla sua spalla nuda. 
Non è abituata a camminare per le strade degli uomini, e quelle calzature, dono di un vecchio amante rapito dalle nebbie del tempo, le piacciono solo come orpello che slanci le sue lunghe gambe e renda desiderabili i suoi piedi magri e affusolati.
Lui torna a guardare la formica d'oro sfrecciare per le calli deserte.
«Vuoi che ci pensi io?», gli chiede sussurrando con quel tono basso che gli piaceva tanto. Funziona sempre, e la sua natura capricciosa è stanca di aspettare su di un tetto, come i gatti.
Lui tace.
«Avanti… Per una come me, sarà un giochetto aver ragione di quel marmocchio», prosegue lei, affastellando i suoi capelli sopra la testa, mentre inarca sensuale la schiena. «Scommetto tutte le dracme che vuoi che quel ragazzo non ha mai sfiorato la pelle candida di una donna.»
Lui si volta, le regala un'occhiataccia delle sue, quindi le dice: «Hai già svolto il tuo compito, mia cara. Ora lasciami pensare.».
«Quindi, dovevo solo soffiare su di un rovo?», gli domanda sbattendo le palpebre.
«Sì», e lui sprofonda di nuovo nel silenzio.
Lei sembra delusa. I capelli ricadono morbidi sulla schiena e le mani bianche scendono sui mattoni sotto di lei.
«E va bene. Tu piombi sulla mia isola, mi costringi a seguirti fin quassù, lontana giorni e giorni dalla mia sabbia e dalla mia grotta, solo per giocare al giardiniere?», domanda lei mentre il cielo si oscura sopra le loro teste. «Dimmi che è uno scherzo.»
Lui tace. La tua isola?, pensa, tenendo per sé quella recriminazione.
«Adesso basta! Adesso tu…»
«Adesso io, cosa?», ringhia lui, mentre il suo Cosmo ribolle.
«Tu parli!», strilla lei. Poi inspira ed espira un paio di volte e prosegue: «Non credere di poter fare la voce grossa con me. Tu sarai anche più nobile per nascita, però…».
«Però, cosa?», domanda lui, gli occhi simili a due fessure.
«Però il tuo potere non è più lo stesso, mio caro. È diminuito, e anche di molto da quando la gente non ti onora più come una volta. O sbaglio?»
Lui freme. Ha la mascella che gli trema dalla rabbia, ma la tiene serrata, così come i pugni, abbandonati lungo il corpo.
Lei sa di averlo punto sul vivo.
«Bei tempi, quando organizzavano processioni e feste in nostro onore, vero?»

Lui non ha dimenticato quei momenti. I popoli che si affacciavano sul Mediterraneo mettevano un bue su di una zattera, o in tempi più antichi ancora una vergine, e l'affidavano al mare, che spingeva l'imbarcazione al largo, fin quando lui non faceva lo sforzo di allungare una mano e di nutrirsi di quel sangue e della loro devozione. Poi erano arrivati gli invasori dalle steppe fredde, e il suo nome era stato relegato a quello dello spauracchio, da temere e sedare con scongiuri, sputi e supertstizioni.
«Ricordi?»
«Ricordo…», replica lui. «Così come ricordo che un giorno trovai te, tremante e impaurita sulla zattera, e che decisi di renderti ciò che sei adesso.»
«È vero…», conferma lei guardandosi i palmi. «Sarei dovuta morire, eppure la mia volontà mi costringeva a tenermi alle corde con tutta la forza che avevo.»
Poi chiude gli occhi e resta in silenzio, lasciandosi cullare dal passato.
«Ammettilo. Hai avuto paura di me…»
«Presuntuosa…», le risponde tornando a guardare la formica extra-large. Corre. È veloce, quasi quanto la luce. Ma che cos'è la luce per un dio?
«Perdonami…», gli soffia la voce di lei all'orecchio, mentre le sue braccia gli cingono spalle e testa. Quando si è avvicinata tanto?, si domanda lui, stupito di non averla sentita muoversi. «Se non era perché morivi dalla voglia di rivedermi, e magari di rivangare i bei tempi andati, per quale motivo sei venuto a cercarmi? Cosa vuoi da me?»
«Farti assistere ad un mio esperimento.»
«Un esperimento?»
«Sì. Gli esseri umani ne fanno di continuo. Ho voluto vedere come avrebbero reagito gli dei ad un pericolo reale…»
«Gli dei? »

Lei gli ride contro il collo, con quel suono argentino d'acqua che zampilla da una fonte. Lui odia che lo si prenda in giro, ma era da molto, molto tempo che non la sentiva contro di sé.
«Gli dei?», ripete scompigliandogli la chioma. «Cosa avrebbero potuto fare se sono caduti in disgrazia anche loro, con l'avvento dell'Uno e Trino?»
«Tu dici?»
Lo guarda come se avesse pronunciato una bestemmia.
«Io dico?», scatta allontanandosi da lui. «Guardati intorno. Non vedi tutte quelle torri e tutti quei campanili che si stagliano contro il cielo? Per chi pensi siano stati eretti quei luoghi di potere?»
«Sono vuoti.»
«Come?»
«Non vorrai farmi credere che non te ne sei accorta, mia cara?» Adesso è il suo, di tono, ad essere canzonatorio. Non ridi più? «Non ti sei accorta che le chiese sono solo casse di risonanza di cetre dalle corde logore?»
Lei fa un paio di passi indietro, verso il comignolo, le gambe ben dritte sul tetto di ardesia ancora calda.
«Casse di risonanza… Appunto. L'Uno e Trino è stato molto astuto.»
«Ne convengo», risponde lui. «Una cassa di risonanza alta e ricurva, e sembrerà che la devozione di uno si decuplichi all'infinito. Tuttavia…»
«Tuttavia questo non è che un mezzuccio, per usare un'espressione dei mortali?»
«Non avrei saputo dirlo meglio. Tuttavia, questo mezzuccio, come lo chiami tu, non è rivolto ai suoi fedeli, quanto a noi. Ci ha mostrato di quanta devozione goda il suo culto. Io intendevo altro…»
«Ossia?»
«Il suo potere. È scisso in miriadi di altre entità, mia cara. E questo significa una cosa sola.»
«Maggiori possibilità di arricchire le entrate?», propone lei poco persuasa.
«Errore», risponde lui. «Ad un primo sguardo, l'idea che ne si ricava è senza dubbio che la scissione conferisca una maggiore forza. Tuttavia, questo principio sarebbe valido solo se le entità minori non avessero acquisito una propria personalità, e non si fossero ritagliate, nel cuore dei fedeli, uno spazio quasi superiore a quello dell'Uno e Trino. Lo pseudopodo s'è scisso dall'ameba, parafrasando qualcuno…»
«E tu pensi…»
«Lo penso», conferma lui, le braccia lungo il busto e i capelli che si lasciano accarezzare dal vento come la brezza del primo mattino che increspa la superficie del mare.

Quello era il loro segnale convenuto. Lei scendeva alla spiaggia di sabbia rosa dal suo palazzo di corallo e calcedonio, mentre lui emergeva dall'acqua e le veniva incontro. E si amavano così, sulla rena calda, il suono della risacca nelle orecchie e il cielo come spettatore.
Lui l'aveva incoronata a sua regina, padrona di un regno di eterna primavera, ma un brutto giorno la zattera con il sacrificio non era più arrivata.
Erano sorti loro, gli dei olimpici, e mentre lui cercava di comprendere perché mai la devozione degli uomini s'era rivolta a divinità che si azzuffavano tra loro come gatti di strada, un altro uomo, un mortale, era sbarcato sulla sua isola di fronte alle Colonne d'Ercole.
Bello. Astuto. Spalle forti abbronzate dal sole e naso fiero. Un aedo di nome Omero. 
E lei se n'era invaghita e ascoltava stretta al suo petto le storie che lui le cantava al ritmo della sua cetra. La dea fanciulla e guerriera, che odiava i maschi ma che amava il suo prediletto eroe scampato ad Ilio, bello, forte e astuto come il cantore greco che si univa a lei nelle notti di luna.
E lui, un dio vecchio quasi quanto il mondo, era stato rimpiazzato da un misero mortale. La rabbia per quel tradimento era stata ampiamente ricompensata quando un giorno il cantore era salito sulla sua barca ed aveva seguito gli occhi scintillanti della Fanciulla, lasciandola da sola.
E forse, l'antico rancore verso Parthenos avrebbe potuto unire i due ex-amanti contro un nemico comune.

No, Ponto. Non andrà come vuoi tu. E lo sai, starà pensando lei, tornando ad accoccolarsi sul comignolo. Può sentire la sua voce riempire l'aria immota della sera. Lo ha capito da come muove i fianchi, le spalle, dal dondolio delle sue caviglie.
«Il mondo ha bisogno del politeismo, mia cara», prosegue lui guardando le calli addormentate.  «Gli angeli e i santi sono oggetto di culto. La verità, mia adorata, è che gli uomini vogliono una rete di sottodivinità che li rassicuri. Dimmi: questa coesistenza di un Dio che definisce se stesso Uno e Trino, ma che tuttavia ammette la presenza di culti legati ai suoi servi e seguaci, non assomiglia forse alla nostra realtà, con Tyke arbitro supremo delle nostre fortune, e gli dei e i semidei a decidere dei destini degli uomini?»
Lei tace. Inutile negare l'evidenza. L'uomo non fa che riprodurre il noto nell'ignoto, anche quando sceglie, per stanchezza o curiosità, altre forme di devozione come quelle che profumano del caldo Vento del deserto. 
Quello che lui ha in mente è lampante, chiaro come il sole che si specchia sul mare della sua isola. La domanda, però, è un'altra: lei che cosa farà? Lo seguirà in quella che sembra una nostalgica impresa senza speranza, oppure se ne resterà in disparte, come fa da più di due millenni?
Lui la guarda. E aspetta una sua risposta. Manca solo la domanda.
«Cosa farai, Calypso? Verrai con me? Assisterai al trionfo dei Titani?»
«I… i Titani?», domanda lei a bocca aperta. Eppure avrebbe dovuto immaginarselo. Che senso ha sostituire il Dio Uno e Trino con il pantheon olimpico in cui lui non è che un ricordo lontano?
Annuisce. «Voglio liberarli dalle prigioni del Tartaro. Voglio che il Tempo sia sciolto dalle catene in cui lo imprigionò il Padre.»
«Ma perché? Perché? Vuoi armare una guerra tra il Tempo e la sua discendenza? È una guerra fratricida, scellerata…»
«Il Padre ha ancora le mani lorde del sangue che lo generò!»
«Così come il Tempo ha le mani lorde di quello del Cielo», replica lei incrociando braccia e gambe. «Coraggio, Ponto. A me puoi dirlo. Cos'altro c'è in ballo?»
«Sei sempre stata molto intuitiva, mia cara…», commenta lui sorridendo. «Voglio dare corpo alla Profezia.»
«Non intenderai?», domanda lei sgranando gli occhi.
Lui si volta, i capelli blu profondo increspati sulla fronte.
«Sì, lo voglio.»
«Tu devi essere impazzito», commenta lei fissandolo. Ha gli occhi spalancati, la bocca socchiusa dallo stupore. «Non comprendi che uccidere il Tempo porterà solo disgrazie?»
«Che altro potrebbe esserci di peggio?», domanda lui all'aria. «Il Cielo è quasi sparito nell'etere, la Terra, la Notte e il Sonno sopravvivono a stento nelle parole. Io stesso ho emesso quella profezia, all'alba dei tempi, e io stesso ho visto chiaramente che accadrà. Sarà un mortale a fermare per sempre il Tempo.»
Ma non capisci che eliminare lo scorrere del tempo allontanerà per sempre gli uomini dagli dei?, vorrebbe gridargli in faccia. «Un uomo?», chiede, invece.
«Sì. Un servo della Fanciulla.»
«Fammi indovinare: lo stesso che sta correndo come una formica operosa per le strade di pietra?»
«Non so. Ancora il futuro non mi è chiaro. Però… potrebbe essere, perché no?», osserva rivolgendole uno sguardo sicuro. Troppo. «Verrai con me, Calypso?»
Lei scuote i riccioli di mare.
«No, Ponto. Le guerre non mi attirano.»
«Giusto. Ti attirano i guerrieri...»
Touché, pensa lei. «Tuttavia, queste guerre non mi donerebbero più potere di quanto io ne ottenga attraverso il ricordo. Sono una ninfa, Ponto. Cosa cambierebbe per me? Nulla, e il prezzo da pagare, nel caso le cose non andassero come tu hai predetto, è troppo alto.»
«E se tu divenissi una dea?», propone lui.
Lei ride di cuore. «Ti ringrazio dell'offerta, ma non mi attira. Gli uomini stanno salendo a fatica la scala evolutiva, e il gradino che ci interessa è alle loro spalle da tempo. Il passato non ritorna, Ponto. Non ci saranno più fanciulle e buoi alla deriva su delle zattere che porterai nelle profondità marine. Devi avere pazienza. C'è chi pronostica un nuovo avvento della nostra realtà, ma non sarà come prima. L'Era dei Pesci è terminata, forse quella dell'Acquario ci darà qualcosa, forse no. Chi può dirlo?»
«Dunque non verrai?», ma la sua è più una constatazione che una domanda vera e propria.
«Non verrò. Fino a quando il mio nome sarà ricordato e letto da qualcuno, io avrò trovato quel tanto che basta per sopravvivere al tempo nel tempo.»
«Un palliativo», commenta lui. È una nota di compassione quella che gli sale a colorargli la voce?
«Forse hai ragione tu. Io, però, lo vedo un modo come un altro per ottenere nettare e ambrosia, come una volta. Essere dei personaggi letterari è stupefacente. Ti assicura una devozione costante. Dovresti chiedere ad una delle Muse che ispiri un qualche artista in tuo favore…»
«Il Sommo Ponto che mendica quanto gli è dovuto?»
Ha parlato con il solito tono di voce, ma lei sa che, in tempi ormai remoti, quella proposta le sarebbe costata assai cara.
«Sempre meglio che spendere energie in una guerra senza futuro », replica lei ravviandosi i boccoli oltre le spalle. «Ma d'altro canto, se sei contento tu…»
Restano in silenzio. Lei vorrebbe parlargli, dirgli che se solo fosse un po' meno altezzoso potrebbe ottenere molto più potere di quanto spera di ricavare da quest'impresa. Il Padre, la Madre, il Citaredo e gli altri dei non mantengono un livello costante di potere grazie allo studio dei classici? Se avessero dovuto contare esclusivamente sul culto dei fedeli, sarebbero stati spazzati via come foglie secche già nel secondo secolo dopo Cristo.
«Cosa pensi siano questi culti che stanno sorgendo come focolai per gli dei, se non dei palliativi? Potenti, ne convengo, ma inutili, a lungo termine…»
Ponto tace. Si è chiuso nel suo mutismo e scruta l'orizzonte, preso dalle sue macchinazioni. Non c'è più spazio per lei ora che gli ha detto che non lo seguirà, ora che non è interessata al suo giocattolo.
Il passato non ritorna, e lui si è allontanato da lei molto, molto tempo prima dello sbarco di Omero sulla sabbia rosa, quando il mondo era giovane e inesperto.
«S'è fatto tardi, e Ogigia è lontana…», dice lei prendendo commiato. Raccoglie i sandali e si avvia verso il bordo del tetto in punta dei piedi.
Silenzio.
«Che Tyke ti sia propizia», gli augura prima di saltare nella sua bolla e allontanarsi verso Sud. Buona fortuna, Ponto. Ne avrai bisogno.

Calypso sparisce, portata via da un soffio di vento. Anche a lei basta e avanza la forza necessaria a sopravvivere sui propri possedimenti, relegata in un angolo di pace.
Anche lei, come le altre.
Circe abita tra le colonne del tempio di Giove Anxur, e l'amore sprigionato dai ragazzi che la sera divengono una cosa sola nei dintorni delle bianche colonne, è un ottimo modo per ottenere ancora una volta il potere. Lei non si muoverà. Non è interessata al mondo.
«Che vada pure tutto in malora», gli ha risposto sgranando un grappolo d'uva ed offrendogli un acino d'oro. «Il mondo è impazzito, e adesso come adesso sarebbe solo un lavoro abnorme rimetterlo in piedi. No, grazie. Ma grazie del pensiero.»
La sognante Nausicaä dalle bianche braccia se ne sta confinata sul mare attorno alla Grecia in attesa del ritorno dell’uomo che attraversò quello stagno, trasformata nel dolce meltèmi che accarezza le onde sulla battigia. Parlare con lei, è come pretendere di rinchiudere il vento in un orcio forato.
Se Calypso l'ha seguito è stato solo per curiosità, ma poi, quando ha intravisto la reale portata del suo piano, i suoi piedini deliziosi hanno fatto marcia indietro.
Nessuna di loro vuole condividere il suo sogno. Vogliono che resti solo suo.
Risvegliare i Titani. Risvegliare Chronos. E poi permettere che il Tempo sia annientato. Uccidere il suo corpo mortale e la sua anima divina con la Dunamis che lui stesso fornirà all'Uomo della Disgrazia.
Resterà da solo? E sia. È pronto ad affrontarne le conseguenze. E a vincere. Da solo.

Come primo tentativo non c'è male. Può resuscitare i morti e dar loro una vita autonoma.
Il rimorso farà il resto.
Questi ultimi due sono i migliori creati sinora. Hanno un paio di difetti da eliminare, ma nel complesso, e in attesa di risvegliare i Titani, vanno più che bene. Occorre sviare le attenzioni dalle sue mosse. La Fanciulla e i suoi seguaci sono ancora occupati a non fidarsi l'uno dell'altro. Saga ha sbaragliato anche le sue più rosee previsioni. È bastato soffiare su quel piccolo nucleo che dormiva all'interno del suo cuore e far sì che esplodesse quando più faceva comodo a lui, e stare a guardare.
Bisogna, tuttavia, tenere impegnati i guerrieri della Fanciulla. Dare loro qualche attività da monitorare, possibilmente ai quattro angoli del mondo. Raccontargli mezze verità e sviare i loro cervellini adolescenti dal filo della realtà.
E se anche dovessero subodorare che c'è qualcosa di grosso che bolle in pentola, poco male. Nessuno di loro, forse neppure lo stesso Saga, riuscirà a scoprire quali siano le carte in suo possesso. E quando calerà gli assi, sarà troppo tardi.

«Mio signore, avete forse intenzione di eliminare quell'uomo?» domanda l'uomo ammantato che se ne sta in ginocchio ai suoi piedi.
«Uomo? Quello? È solo un ragazzino. Uno stupido, sentimentale ragazzino che sta correndo per strada…» Sorride, e lo squarcio bianco si fa più allungato. «Lasciamolo stare. Se lo colpissi potrei annientarlo, e questo metterebbe in allarme il Santuario. È eccessivo, non trovi anche tu, per quella che doveva essere una prova?»
«Una prova, mio signore?», domanda l'uomo.
«Esattamente», risponde Ponto, deliziato dal fatto che il suo servitore finga di non aver ascoltato la conversazione appena avuta con Calypso. «Se quel ragazzo ha battuto i miei fantocci non è certo stato per merito suo, quanto perché essi erano troppo deboli. Tutto qui. Ora posso apportare tutte le modifiche del caso.»
Apre e chiude le mani, inguainate dalla pelle nera.
«Non lo credevo possibile, pur tuttavia è stato… interessante, assistere a questo scontro. Istruttivo.»
Ponto posa nuovamente lo sguardo sul Viadotto, dove la gente ha ripreso ad ammassarsi, felice dell'avvenuta liberazione della loro città, e poi torna ad osservare la formica d'oro correre su e giù per le strade.
«Tuttavia, quell'uomo ha osato ostacolare il volere di un dio. Forse, sarebbe equo che io lo punissi, dopotutto…» dice Ponto stringendo in un crac di pelle la mano destra.
La formica attraversa di nuovo le strade deserte con un fagotto tra le braccia. È stanca. Povera, povera formichina. 
Ha lottato tanto. Ha corso tanto.
Ha utilizzato tutto il suo potere; troppo, considerato che tiene insieme la frattura alla gamba sinistra tramite il suo Cosmo.
È giusto che si riposi. E lui, magnanimo, provvede.
Gli basta sorridere.


Ha rassicurato Cristobal che i soccorsi sarebbero arrivati in un'ora al massimo. Lo ha aiutato a preparare una borsa di biancheria per Montserrat, per la nonna e qualcosa anche per lui.
«Non si sa mai», gli ha detto, aggiungendo che la zona dovrà essere bonificata da squadre specializzate.
«Evviva!», ha strillato il ragazzino saltellando per la cucina. «Per un po' niente scuola!», ed è corso a prendere tutto quello che gli chiedeva quello straniero vestito con un'armatura d'oro.
Lui ha sorriso, ha ordinato a Cristobal di attendere l'ambulanza e di non uscire prima del tempo, e ha imbacuccato Montserrat in un paio di coperte pesanti.
L'ha issata tra le braccia stanche e via, verso il posto di blocco, pregando che l'ambulanza fosse già arrivata.
Montserrat scotta. Tanto. Spera che non sia troppo tardi. Il Viadotto è vicino, vede già le luci dell'ambulanza, quando sente un Cosmo, ampio, potente, straordinario, profondo come gli abissi oceanici sovrastarlo.
Esplode alle sue spalle, lontano, in alto, ma non fa in tempo a percepire chiaramente il punto d'origine.
È solo un attimo. Poi qualcosa lo colpisce alle spalle con una forza tale che il suo piccolo cuore umano si ferma per un istante.
   


 
 

 









Note:  Ci si ferma per riprendere fiato, per schiacchiare un pisolino, o solo per bere un bicchiere d'acqua fresca. Un attimino, che vuoi che sia. Il tempo d'un caffè, di una sigaretta, o di un ghiacciolo - io prendo quelli al tamarindo. Così, per dire.
Ma poi, dopo che ti sei guardata attorno - quando hai raccolto lo zucchero dal fondo della tazzina, hai schiacciato il mozzicone nel posacenere o ti sei inzaccherata per benino le dita col ghiacciolo semisciolto - scopri che tu sei rimasta ferma, ma il tempo no. Il tempo col cazzo che è rimasto ad aspettarti. E tu, scorata e seccata, sbuffando, ti tiri su le maniche, inforchi gli occhiali da sole, e ti rimetti in moto. Ché a star fermi c'è solo da prendere fregature.

In questo capitolo ci sono un po' di note sparse. A dirla tutta, occorrerebbe un capitolo solo per le note.
Proviamoci lo stesso, nella speranza di non ammorbare troppo i Quattro Gatti che hanno avuto il coraggio di arrivare fin qui.

La colpa dell'intero capitolo è del verbo latino cŏlĕre, di Cesare Pavese e dei suoi Dialoghi con Leucò (L'Isola) in cui Calypso dice ad Odisseo che si diventa eterni solo quando ci si ferma e si sprofonda nell'eternità.

Iniziamo dal principio.
Cŏlo (cŏlis, colui, cultum, cŏlĕre) è un verbo latino che indicava, allo stesso tempo, la cura dei campi e il culto degli dei. Da questo verbo deriva la parola culto, oggi forse un po' desueta, ma che spiega benissimo come i latini intendessero l'occuparsi dei sacri offici: gli dei si curano giorno per giorno esattamente come si fa con i campi e gli orticelli. Perché, altrimenti, gli dei potrebbero non prenderla benissimo. E, in questa visione agreste delle cose del mondo, terreno e divino, serpeggiava l'intima convinzione che gli dei, se non ascoltati, potessero seccarsi, come piantine di rucola a cui non abbiamo dato l'acqua necessaria.
Un po' quello che è successo con Ponto.

Ponto è uno dei vecchi dei di cui parla Pavese per bocca di Calipso. Pontos (Il Passaggio) è la personificazione maschile del Mare, prima che Poseidone entrasse a far parte del pantheon olimpico come fratello di Zeus, e reclamasse il dominio sulla distesa scintillante.
Poseidone arriva in Grecia assieme a Demetra, in un momento successivo, sopravanzando i vecchi dei, personificazioni della natura circostante. In Episode G è proprio Ponto a tramare contro gli dei "invasori", potremmo dire.

Per il resto, si tratta di mie personalissime visioni, senza alcuna pretesa. Ma vien da sé che il culto del dio Uno e Trino ha subito diversi adattamenti, nel corso dei secoli. Perché l'uomo continua a ripercorrere, sempre e comunque, la strada che conosce.
   
 
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