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Autore: Koa__    15/06/2017    7 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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Un uomo piccolo piccolo
 



Il piano era spaventosamente rischioso. Fin dal principio era parso a John come una vera e propria pazzia e anche senza conoscerne tutti i dettagli, una parte di lui si stava convincendo che il capitano si era letteralmente bevuto il cervello. Stando alle reazioni dell’equipaggio, poi, non fu nemmeno il solo a meravigliarsi e a mostrare una certa preoccupazione. Quando uscì sul ponte principale non erano trascorsi che una manciata di minuti e Sherlock non aveva ancora comunicato le proprie prossime mosse. Di questo ne era più che sicuro perché gli uomini erano al lavoro, intenti ad ammainare le vele e non prestavano attenzione a nessuno. Si era aspettato di vederlo già perso in un accorato monologo, quando invece se ne stava con Victor, forse in un tentativo di placare la tensione sorta di recente fra loro. Ancora imbronciato e pesantemente adombrato, il prete rimaneva stoicamente fermo, voltato com’era a guardare l’oceano da babordo non dava segno di starlo nemmeno a sentire. Aveva una postura tristemente incurvata in avanti e sembrava che nulla potesse realmente smuoverlo dalle proprie tormentate angosce, neanche l’unica persona da lui amata che, appena dietro di lui, lo stringeva per la vita e gli parlava a un orecchio. In un’immagine tutto sommato carica di tenerezza e dolcemente malinconica. John non aveva idea di che cosa si stessero dicendo, i cori dei marinai e il rumoreggiare del mare contro lo scafo era troppo forte per poter percepire dei sussurri così lontani, sperava solo che quei due idioti si riappacificassero in una maniera o in un’altra. Ecco, forse soltanto un minuscolo moto di gelosia gli salì alla bocca dello stomaco, ma non era niente di che. Oltretutto si trattava di una gelosia completamente irrazionale e priva di alcun fondamento, che ricacciò prontamente indietro senza darle troppo credito. Per fortuna, a bordo de la Norbury non ci si annoiava mai. Le sue successive attenzioni vennero infatti rivolte altrove. Un’occhiata nella direzione di Lestrade, il cui sguardo si era di molto adombrato rispetto al solito, e la sua mente fece ritorno a più consone riflessioni. A quanto pareva non era l’unico a temere il peggio. Certo che non poteva sapere in quanti conoscessero le reali intenzioni del capitano, ma Greg doveva essere tra i pochi sfortunati ad aver capito in quale direzione si stessero muovendo e che cosa stesse realmente accedendo. Avrebbe voluto rincuorarlo in una qualche maniera o dirgli che sarebbe andato tutto per il meglio, che ci avrebbe pensato lui. Perché John amava Sherlock e avrebbe fatto sì che sopravvivesse, e ci sarebbe riuscito in un modo o in un altro. Tuttavia e per quanto nobili fossero le sue intenzioni, non proferì parola. Accadde a quel punto, infatti e fu tanto improvviso che si ritrovò ammutolito quasi senza rendersene conto, completamente colto alla sprovvista. Scatenando un dilagante stupore generale e dopo esser saltato con un balzo sopra alla balaustra di tribordo, il pirata bianco aveva annunciato che quindici uomini sarebbero salpati con lui in direzione dell’isola del tesoro. Uomini che aveva scelto personalmente e le cui abilità nel combattimento erano giudicate come le migliori fra quelle di tutti. Gli altri sarebbero invece rimasti a bordo de la Norbury ad affrontare quella che sarebbe stata sicuramente una dura e rovinosa battaglia.

«Miei nobili pirati, siamo giunti alla meta del nostro viaggio e che io sia dannato se non vi renderò ricchi» disse, a voce ben alta e richiamando su di sé l’attenzione mentre grida di festa s’innalzavano tra vele e cordacce e i pirati ridiscendevano sul ponte oppure fermavano i propri lavori, pur restando appesi qua e là. «Comprendo la rabbia che nutrite in questo momento e non è per cattiveria che vi chiedo di restare qui, ma per la salvezza di tutti noi. Affinché sappiate ciò che sta accadendo, vi dirò la verità perché è quello che più conta per me. Amici miei, ci sono ombre all’orizzonte. Ombre oscure e malvagie che rendono il nostro cammino tortuoso e pieno d’insidie. Ciò che dovete sapere è che non siamo soli su quest’isola, Moran e Moriarty sono certamente nei paraggi e si nascondo, approfittando della nebbia bassa.»
«Come faceva quel bastardo a sapere che saremmo venuti qui? Sono settimane che ha smesso di inseguirci» chiese una voce, levandosi dall’albero di mezzana. Quella domanda diede poi il via a un'altra schiera di affermazioni non dissimili, mescolate a confuse mezze frasi. I marinai erano nervosi, notò guardando per aria. La possibile minaccia di James Moriarty o quella di Sebastian Moran, caricava di ansia gli sguardi d’ognuno di loro. Più di tutto, però, antichi dubbi stavano nuovamente sorgendo e l’idea che in mezzo ad amici e fratelli ci fosse un traditore, diventava sempre più concreta. Agitati, gli uomini si chiedevano che cosa sarebbe successo di lì a poco mentre gli occhi di più d’uno si andavano a posare proprio su John, il nuovo venuto del quale così poco ancora si fidavano. C’era quindi lui al centro della faccenda? Era il capro espiatorio? Lui che aveva curato gran parte di quei pirati da ferite e malanni e che aveva giurato di non avere alcuna cattiva intenzione, ancora si trovava al centro di sguardi torvi e malfidati? Un moto di rabbia lo pervase appena e avrebbe voluto urlare e far valere le proprie ragioni, ma stoicamente riuscì a trattenersi dal dare in escandescenza. In un momento come quello sarebbe stato controproducente mettersi a inveire, pur tentando di difendersi, pertanto respirò a fondo e, chiudendo gli occhi, fece finta di non essersene accorto.
«Vogliamo sapere che succede» gridò uno dei marinai, sollevando urla d’incitamento a proprio sostegno mentre capitan Holmes annuiva con vigore. Avendoci vissuto a stretto contatto per la gran parte del viaggio compiuto fin lì, John sapeva quanto poco restio fosse a discutere del tradimento. Il fatto che sapesse chi fosse la spia di Moriarty non significava che Sherlock gliene avesse parlato. Al contrario non lo aveva mai fatto, mancando di scendere in molti dei dettagli. Aveva semplicemente mostrato chi fosse, senza badare ad aggiungere come avesse fatto a scoprirlo o se avesse dei complici. Ora, al contrario, il pirata bianco sembrava più deciso a parlare. Probabilmente aveva atteso il momento per dei mesi e adesso fremeva d’impazienza. Pertanto, dopo averlo visto tentennare per un istante, Sherlock si levò meglio, più diritto su stesso e sollevato il mento verso l’alto, riprese a parlare.
«Ebbene sì, è giusto che sappiate che a bordo di questo galeone c’è un traditore» se ne uscì con determinazione e durezza nella voce, mentre un sibilare di sussurri e voci aumentavano d’intensità. Pur notando tutta quell’agitazione, il capitano non diede loro modo di chiacchierare o di avanzare ulteriori questioni. «Qualcuno da mesi gioca contro di noi. Qualcuno che si è venduto a James Moriarty e ha ceduto alla paura, al sottile fascino del terrore. Costui siede alla vostra tavola. Ve ne fidate, lo chiamate “fratello” e magari gli avete persino raccontato i vostri segreti. È un pirata come voi e come me e per il quale avreste dato generosamente la vita, fino a oggi ovviamente. Un pirata a cui qualcuno, qui a bordo, ha concesso ben altro che l’onore della propria amicizia. L’integrità, per esempio. Dico bene, mia cara?» concluse, saltando giù dalla balaustra con un balzello e porgendo la mano alla sola donna presente su la Norbury. E mentre una figura femminile si faceva largo tra la gente che affollava il ponte, il mormorio fino ad allora pacato dei marinai, assunse toni e modi molto meno gentili.

Sì, Sally Donovan era una piratessa. Una donna dall’eccezionale rigore morale e dalla tempra dura come il ferro. Come un uomo si vestiva? E come tale veniva trattata. Beveva persino del rum e non disdegnava di ascoltare storielle sconce di tanto in tanto, stupidaggini alle quali rispondeva con un’alzata di spalle, apparentemente incurante della volgarità maschile. Il solo privilegio che le era concesso, dato che non erano dei barbari ma nobiluomini, era quello di avere una camera privata. Era considerata da tutti i pirati del galeone come l’attendente di Lestrade, di cui era la principale aiutante e del quale faceva le veci sul ponte quando questi era impegnato altrove oppure se si trovava in missione. Pareva che Greg non si fidasse nient’altri che di lei, ne ammirava il giudizio oculato e distaccato e delle volte John si era convinto che, forse, a Greg piacesse anche come donna. Spesso lei e Lestrade litigavano tra loro, e con molta passionalità. Ma d’altra parte, non era proprio possibile non infervorarsi di fronte a certe uscite infelici di Sally Donovan. Lei era… Beh, decisamente testarda e ottusa, la sua religiosità molto spiccata la portava ad avere idee ristrette e bigotte, oltre che un’arretrata visione dell’esistenza. La sua concezione dell’essere umano si distingueva nettamente in due categorie ovvero il bene e il male, e tutto ciò che era ambiguamente a metà tra l’una e l’altra cosa era automaticamente sbagliato o mostruoso. Per l’appunto, fra tutti mal tollerava Victor Trevor. Il suo animo libertino e impunito, il fatto che fosse un prete dalla tonaca facilmente sollevabile, la scandalizzava oltre ogni dire e delle volte faticava persino a comprendere capitan Holmes, con il quale battibeccava spesso e volentieri. Ma era, fondamentalmente, una persona di buoni principi. Pur con gli immensi e tanti difetti che mostrava, John aveva quasi imparato ad apprezzarla. Salvo le volte in cui cominciava a dare del “mostro” a Victor, a quel punto la sua stoica pazienza di dottore si assottigliava pericolosamente e un vago istinto di protezione si faceva largo dentro di lui. In simili occasioni dimenticava persino di aver di fronte una donna, la sola cosa a cui pensava era a difendere l’onore. Al pari di un cavaliere d’altri tempi, sentiva la necessità di saltare a cavallo e correre a salvare la propria bella imprigionata da un drago cattivo. La cosa meravigliosamente straordinaria, però, era che Sally mai cedeva alla brutalità degli uomini. Al contrario guardava sempre il proprio interlocutore fissamente negli occhi, al punto da incutere in maschi grandi e forti, un rispettoso timore. Poi la lite finiva quasi sempre col diventare niente e le cose si risolvevano da sé. Nessuno mai, però, avrebbe potuto dubitare della sua fedeltà. Lei impartiva ordini con una tale severità, che anima viva avrebbe osato contestarle alcunché. La sua lealtà nei confronti della causa, e di capitan Holmes, non era stata messa in discussione una singola volta. Per questo motivo, quando il suo nome venne accostato a quello del traditore, gli occhi indignati di tutti si posarono sulla sua figura minuta. Lei, dalla mascella appena contratta e con i pugni stretti, ora sostava ai piedi degli scalini che conducevano al cassero di poppa e guardava diritto davanti a sé, incurante degli insulti della ciurma e come se le minacce di morte non la preoccupassero affatto.
«Donovan venne da me nove mesi fa» riprese Sherlock «quando già i miei sospetti di una spia erano nati e anticipando di poco l’ovvio ragionamento a cui già stavo lavorando. Questo traditore aveva una sola maniera di comunicare col nostro nemico, perché esiste un unico modo per recapitare messaggi da una nave senza porto o fissa destinazione. Piccioni viaggiatori. Ovvero degli uccelli appositamente addomesticati a far sì che volino da un luogo a un altro. Piccioni che da mesi vengono tenuti in una gabbia nella cabina di Sally Donovan.»
«Gettiamola in pasto ai pesci» gridò qualcuno da babordo, senza dar modo a Sherlock stesso di replicare o a Donovan di difendersi. Già in più d’uno brandiva spada e coltello, altri invece stiravano un sorriso malvagio e si leccavano le labbra, come se non vedessero l’ora di reclamare vendetta.
«Traditrice come tutte le donne» la additò qualcuno «infida serpe malvagia. Coltiva in seno il demonio. Uccidiamola!»
«No, sarebbe un errore» intervenne invece un altro, venendo giù in tutta fretta dalle sartie. Era evidentemente spaventato dalla prospettiva e lo si comprese da come si mise a fianco di Donovan, stendendo le braccia ai fianchi quasi desiderasse proteggerla. «Se è Calipso a possederla, scateneremmo l’ira della Dea. Arrendiamoci al suo volere e saremo salvi» * enunciò con fare saggio mentre un gruppetto alle sue spalle si ritraeva, spaventato dalla possibile “furia della Dea”. John stirò un sorriso quando vide Sherlock roteare gli occhi e sbuffare, detestava quei discorsi e chiunque lo sapeva lì a bordo. Certo, che i marinai fossero superstiziosi e che temessero sul serio delle sciocchezze come l’ira degli dei, a Watson, saggio dottore, era cosa nota. Ciò che, al contrario, mai era riuscito a capire era come facesse capitan Holmes a tenerli a bada e a non esplodere di rabbia di fronte ad alcune tra quelle esternazioni. In quel momento e con la paura a serpeggiargli nelle viscere, sarebbero stati in grado di fare qualsiasi cosa, avrebbero potuto anche gettare Sally Donovan tra le acque dell’oceano. Eppure niente di tragico accadde. Così come John aveva già avuto modo di notare in passato, bastava che Sherlock drizzasse la schiena o che accennasse a un movimento della mano perché tutti tacessero e rimanessero in paziente attesa. Questo era l’amore che i pirati de la Norbury nutrivano per il loro capitano, quello che da settimane aveva modo di saggiare e toccare con viva mano, ma che ancora aveva il potere di sorprenderlo. Lo stesso che in quei frangenti concitati e mentre il clamore di alcuni tra la folla ancora gridava all’impiccagione, riuscì a salvare la signorina Donovan.

«Sally ha ricevuto il mio perdono» riprese il pirata bianco, mettendo ben in chiaro che avrebbe sfidato a duello chiunque pur di far valere la propria parola. E poco c’entrava con la stima che Holmes aveva per Donovan, era più una questione di dominio e potere. Sherlock era il migliore fra tutti e sarebbe stato capace di uccidere con incredibile facilità, cosa che chiunque a bordo di quel galeone ben sapeva. «Lei è stata semplicemente ingannata da un patetico omuncolo, ma la sua fiducia in me non ha mai tentennato. Su questo garantisco personalmente. Non aveva idea del fatto che fosse il nostro nemico a ricevere quei messaggi, le era stata raccontata una storia fantasiosa a cui ha commesso l’errore di credere; la prima cosa che ha fatto dopo aver scoperto la verità, è stata proprio quella di venire da me. È per merito suo se per tutti questi mesi, Moriarty ha fatto la mia volontà. Ogni parola che ho pronunciato, ogni cosa che ho detto in vostra presenza era atta unicamente a portare a uno scontro con quell’infido bastardo o a deriderlo come ho fatto ad Antigua. La resa dei conti è giunta, miei prodi pirati e non ho intenzione di lasciarmi scappare questa occasione.»
«Che cosa hai in mente, capitano?» intervenne Lestrade «perché credi che il corsaro ci attaccherà?»
«Dopo lo scherzetto che gli abbiamo fatto l’ultima volta, Moriarty è certamente venuto senza la Queen Elisabeth. Non ha perso tempo a rimetterla in piedi o a riparare i danni che ha certamente riportato dopo che si è capovolta. Per raggiungerci in tempo e prendersi il tesoro di cui lui certamente sa, ha usato la nave del corsaro e sarà proprio lui a tentare un attacco. Voglio essere sincero: Sebastian Moran è spietato, colpirà per uccidere e sebbene possieda un vascello con meno armamenti rispetto al nostro, tenterà l’impossibile pur di arrembarci. Vorrei essere qui con voi e lottare al vostro fianco, ma ben altri scontri mi attendono. Combatte per me, combattete per voi stessi e per la nostra libertà. Siete con me?»
«Sì, capitano» urlarono tutti in coro. «Per la Norbury» aggiunsero mentre anche John si univa all’incitamento e agitava un pugno verso l’alto. Per la Norbury, disse prima che si scatenasse l’inferno.

Fece a malapena in tempo a capire che cosa stesse realmente accadendo, che si ritrovò schiacciato da una folla di persone, le quali lo spinsero senza volerlo contro alla balaustra di babordo. In un attimo era finito indietro, avanti di un passo rispetto all’albero di bompresso. Delle grida concitate gli giunsero alle orecchie, oltre che a un vociare di cui non riusciva a distinguere l’origine, ma che non lasciava presagire nulla di buono. I marinai erano arrabbiati e spaventati, coloro che stavano su sul velaccio guardavano verso il basso con un sincero terrore in viso, altri invece erano scesi dalle sartie e ora affollavano la zona attorno all’albero di trinchetto. Per quanto cercasse di capirci qualcosa o allungasse il collo, non aveva idea di che cosa stesse accadendo e dato che non sapeva arrampicarsi, era completamente tagliato fuori. Fu soltanto quando catturò l’espressione di Sherlock, il quale stava ridiscendendo con passo lento e studiato gli scalini del cassero, che capì che quel “qualcosa” che agitava la ciurma era di certo grave importanza. Sebbene si trovasse a una discreta distanza, John riuscì a cogliere lo sguardo del capitano sgranato e persino le labbra strette in un ghigno rabbioso. Tutti gli uomini che aveva davanti, raggruppati tra un albero e l’altro, fissavano quello che era uno spazio vuoto non molto lontano dall’albero di trinchetto, accanto al quale, per un breve istante, gli era sembrato di intravvedere la figura terrorizzata di Victor Trevor. Spaventato da quello che già la sua mente stava cominciando a comprendere, John si fece largo attraverso la folla. Non gli importò di tirar delle gomitate o di essere rude di tanto in tanto, sapeva unicamente che più procedeva e più il cuore galoppava, agitato dalla paura. Sino a quando, a un certo punto, uno spiraglio gli si aprì davanti. Victor era immobile, inginocchiato a terra, con le mani legate dietro la schiena e la lunga lama di un coltello a premergli sulla giugulare mentre la mano di Philip Anderson lo stringeva con vigore. Eccolo, quel traditore bastardo, pensò digrignando i denti. L’uomo che aveva consegnato una povera ragazza tra le mani di un diavolo e che non aveva esitato un solo istante a tradire il proprio capitano e tutti i suoi leali compagni. No, John non si era mai sentito parte di quella ciurma. Per quanto col passare dei giorni avesse incrementato la propria amicizia con molti di loro e nonostante si fosse sinceramente legato a gran parte di quelle persone, non era mai stato ottenebrato dalla brutta sensazione d’esser stato anch’egli tradito. Non come ne pativano Sherlock e Victor, per i quali il tradimento di Anderson era stato quasi come un ferimento dell’anima. Eppure, in quei frangenti di drammatica tensione, ebbe il forte sentore che uno schiaffo avesse colpito lui per primo. Come se un coltello gli avesse trapassato il petto. Gli pareva che Anderson lo avesse tradito, che avesse messo anche la sua di testa su un piatto d’argento. Gli sembrava di trovarsi anch’egli vittima del giogo di una lama, magari al posto di Victor Trevor, impunito libertino ma dal sentimento sensibile. Fu allora che un moto di rabbia gli divampò nelle viscere. Senza pensare prese il coltello, lo stesso che Angelo gli aveva regalato e che teneva agganciato alla cintola dei pantaloni. Lo afferrò d’istinto e mentre Lestrade (con pacatezza) iniziava a trattare, John mise in atto il proprio piano. Lo avrebbe salvato, e questo era quanto.
«Philip, sei ancora in tempo per redimerti» pronunciò Greg, con fare paziente e fin troppo scevro di risentimento. La diplomazia era un'arte che John non possedeva affatto, ma che Lestrade pareva abile nel destreggiare. «Se lo uccidi, la tua morte sarà lenta e dolorosa e nessuno avrà pietà per te. Lascialo andare.»
«Non ci penso nemmeno» urlò Anderson con rabbia mentre stringeva la presa sulla gola di Victor, la quale si rigò appena di un rivolo di sangue che prese a colare giù lungo il collo sino a sporcare la camicia bianca. «Fammi andar via, capitano» disse, velenoso «o il tuo bello muore.» L’equipaggio che sino a quel momento aveva preso a gridare, trattenendosi appena dallo sparargli in fronte, si zittì d’improvviso. Ognuno tacque, spostando lo sguardo su Sherlock Holmes. Il pirata bianco era ancora lì, a metà della scalinata. Immobile e fermo, freddo in apparenza, ma con quello sguardo che bruciava del ghiaccio più gelido possibile. Nulla di buono ne sarebbe uscito, rifletté John pur senza smettere di spostarsi e cercando il punto ideale dal quale attaccare.
«Tu non hai idea di che mostro io possa diventare» sibilò capitan Holmes, con voce che faceva spavento da quanto era bassa e arrochita «uccidilo e quello che Moriarty potrebbe farti sarebbe una carezza gentile a confronto di quello che ti farei io. Tu non sai, Philip, di che cosa sono capace e se lui muore la mia furia non avrà mai fine. Giuro che a costo di scendere a patti col diavolo in persona, io ti ucciderò e ti riporterò in vita, per poi ucciderti ancora, e ancora. Sarà una tortura eterna, la nostra.»
«Una scialuppa, Sherlock» insistette Anderson mentre stringeva la presa su Victor e avvicinava pericolosamente il coltello alla gola, facendo sgorgare altro sangue. Fu a quel punto che John perse il controllo di se stesso. Si era avvicinato a Philip e a Victor a sufficienza e tanto da poterlo raggiungere, pensò mentre un moto di rabbiosa violenza gli saliva al cervello, facendogli battere il cuore forsennatamente e ottenebrandogli ogni pensiero razionale. La sensatezza gli suggeriva che Sherlock sapeva come salvare Victor, la passionalità e i sentimenti gli impedivano però di pensare adeguatamente a una soluzione civile. E quindi lo fece, da un momento all’altro e prendendo tutti quanti alla sprovvista. John strinse tra le dita il manico della grossa lama che teneva, e senza preavviso balzò fuori dalla folla accalcata, come una belva inferocita. In un attimo, John gli fu addosso, azzardando quello che nessuno aveva avuto il coraggio di fare. Sentì qualcuno gridare il suo nome, forse uno Sherlock spaventato e poi la folla incitarlo a uccidere Anderson. “A morte!” gridavano. “Dacci la sua testa”. Percepì Victor mugolare e poi tossire, prima di lasciarsi cadere a terra, anche lui aveva sussurrato il suo nome a un certo momento. Ma per davvero, John Watson non sentì niente di tutto quello. Spinto dall’adrenalina e dalla violenza, tutto ciò che fece fu afferrare Anderson per il collo e schiacciarlo contro la balaustra di tribordo. Dopo, gli premette la lama al cuore e prese a spingere tanto da bucargli la pelle.
«La prossima volta che toccherai lui o Sherlock, io ti ucciderò così in fretta che non avrai neanche il tempo di provare dolore» sussurrò con sguardo accecato dall’ira mentre questi lo fissava con stupore e occhi sgranati. Doveva ucciderlo. Non aveva tempo di analizzare le sue emozioni. Doveva avere la sua vita e doveva farlo subito prima che Victor o Sherlock venissero feriti di nuovo. Proteggerli, era imperativo. Tuttavia quella semplice minaccia fu tutto ciò che riuscì a mettere in atto, poco dopo, due braccia forti lo trascinarono via e Anderson gli fu tolto dalle mani.

Non seppe mai dire che cosa accadde nei minuti a venire, ma per certo si rese conto che quel bastardo venne gettato in mare. Gli venne data una scialuppa e un messaggio da consegnare alla nave di Moran il corsaro. Avrebbe fatto da portavoce e se mai fosse sopravvissuto, un giorno, i pirati de la Norbury avrebbero deciso di che cosa farlo morire. Di quei momenti di agitazione, in tutta onestà, John ricordò ben poco. Seduto a terra, appena sotto le scalinata del cassero, con Victor a fianco che gli si avvinghiava addosso senza pudore, tentò per minuti e minuti di riportare la calma e sedare rabbia e paura. Quando vi riuscì, quando finalmente la serenità tornò pacifica a dimorargli nello sguardo, dovevano essere trascorse delle ore.



 
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Una volta che Sherlock ebbe ordinato di calare una delle scialuppe, John decise che quello era il momento migliore per destarsi dal torpore. Gli si avvicinò, sorridendo appena, mentre faceva la stessa cosa con Victor. Nessuno si era più azzardato a parlare di Anderson o a chiedere come diavolo facesse il capitano a sapere che cosa Jim avrebbe risposto, per quale ragione avrebbe dovuto accettare di raggiungerlo in quella che era un’ovvia trappola o come avesse fatto a capire che Moran avrebbe attaccato la Norbury prima dell’alba. Semplicemente, la ciurma si era limitata a obbedire senza batter ciglio, al solito fidandosi ciecamente delle sue decisioni e non preoccupandosi di quanto sarebbe potuto accadere. John si era convinto che in ben pochi, lì a bordo, conoscessero le reali intenzioni del pirata bianco e comprendessero la pericolosità di quella missione. Accecati dalla prospettiva di un tesoro, esaltati dalla ricchezza o anche solo preoccupati per la battaglia, nessuno aveva pensato alla possibilità che il loro capitano s’imbattesse in un tragico destino. Magari lo credevano immortale. Eppure avrebbe dovuto esser chiaro per tutti che un qualcosa stava per accedere, anche soltanto dalla maniera con cui si era preoccupato di salutare Greg o da come Lestrade lo aveva quindi abbracciato. Era evidente che stesse affidando loro più che il semplice comando durante una battaglia, Sherlock era sicuro di non tornare e che non avrebbe mai più visto quella nave. A lui stava dando le vide di tutti e il peso del comando. A convincerlo definitivamente ci fu l’abbraccio con Archie, il quale era corso come un fulmine su sul pronte principale e aveva preso a stingere la gamba del capitano, aggrappandosi come se non volesse lasciarlo andare via.
«Promettimi che ti nasconderai e che non imbraccerai mai un’arma.»
«Voglio venire con te» si lamentò il bambino con testardaggine, affondando il naso nell’incavo del collo del pirata bianco e prendendo a singhiozzare vistosamente.
«Troppo pericoloso e poi hai un compito, dovrai prenderti cura di Redbeard. Lo farai per il tuo capitano?» chiese, con dolcezza mentre il bambino annuiva. Prima che potesse replicare oltre o che lasciarlo diventasse per tutti doloroso, Mastro Stamford lo prese in braccio, riportandolo sotto coperta. John non poté non commuoversi di fronte alla rigidità che Sherlock mostrò negli attimi a venire. La maniera brutale con cui era saltato sulla scialuppa e aveva preso a guardare l’orizzonte, erano il chiaro e ovvio sintomo di quanto fosse turbato e di come soffrisse il distacco. Non aveva aggiunto una sola parola ai propri saluti e dopo una qualche ultima raccomandazione data a Greg, semplicemente aveva indurito le espressioni e stretto i pugni. John, dal canto proprio, non gli aveva tolto una sola volta lo sguardo di dosso. Probabilmente ancora sconvolto da quanto accaduto con Anderson, non se la sentiva di allontanarsene nemmeno una volta. Sì, si sentì patetico ma anche tremendamente innamorato.

Così come accadeva spesso, fu Victor a distrarlo. Avvenne poco prima che entrambi raggiungessero gli altri sulla barca. Successe che questi gli si avvicinò senza quasi farsi sentire e mentre stringeva la sua mano, intrecciando le loro dita insieme, gli posò la testa sulla spalla si lasciò andare a un lieve sospiro. Leggero, il suo fiato gli solleticò il collo.
«Ti amo» gli sussurrò a un orecchio e John si concesse una risata leggera e liberatoria, appena prima di rabbuiarsi, nascondendosi dietro a un’angoscia non trattenuta.
«Non dirlo» mormorò in risposta, distogliendo il viso e spostando gli occhi a terra «se me lo dici vuol dire che sai ciò che sta per succedere e sai anche che ho una paura del diavolo. Perché hai visto la collana, sai anche quello che c’è dentro e conosci quello che ha in mente. Se mi dici che mi ami significa che sai cosa vorrebbe che diventassimo dopo che… dopo…» E mentre gli occhi gli si velavano di lacrime e la presa di Victor aumentava, come se cercasse di aggrapparsi, John si sentì davvero un idiota.
«Voglio solo accertarmi che tu ci sia arrivato, dolcezza» si sentì rispondere «l’hai capito, vero? Che quello è il suo modo di sposarti? La sua maniera di dirti che ti ama più di quanto abbia mai amato chiunque altro, persino me o la sua adorata mammina.» C’era un velo di ironia tra quelle parole, appena percettibile ma per chi come John aveva imparato a conoscere padre Trevor, era facile notare l’ombra di drastica serietà che aveva intriso ogni respiro. No, a quello non rispose. Scelse di tacere e di liberare quel dolore lacerante che da giorni stava provando. Lo fece piangendo in silenzio mentre il terrore cresceva e gli mordeva lo stomaco. Stupidamente non voleva andare. Ciononostante, a farsi avanti non esitò un attimo. Sherlock avrebbe affrontato Moriarty con o senza di lui, questo era il guaio. Doveva essere lì al suo fianco, pronto a gettarsi nel fuoco al suo posto, a uccidere qualcuno per difenderlo o a prendersi un proiettile nella schiena. Tutto, avrebbe fatto qualsiasi cosa per l’uomo che amava. John sospirò pesantemente, asciugandosi le lacrime che già gli pizzicavano gli angoli degli occhi e, dopo aver annuito distrattamente, raggiunse la scialuppa e lì si lasciò cadere. Ciò di cui si rese conto in un secondo momento, era che per tutto il tempo le mani sue e di Victor erano rimaste intrecciate e che i loro sguardi non avevano mai abbandonato la figura di capitan Holmes. In futuro si rese conto che fu quello l’attimo in cui cambiò tutto. Fu allora che decise che sarebbe morto per il suo capitano.
 


 
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Ad ogni modo, si diceva, il piano era da pazzi e al punto che fu quasi tentato di afferrare Sherlock per i capelli e trascinarlo di sotto in cabina sino a chiuderlo dentro. Diavolo, lo avrebbe fatto davvero! Andando poi ad affrontare James Moriarty da solo o raggiungendo l’isola a nuoto. Tutto pur di non permettere al pirata bianco di mettere in moto una simile follia. Naturalmente non lo fece. Comunque, in quanto quartiermastro, a Stamford venne affidata la nave e il comando assoluto, al suo fianco Lestrade e Sally Donovan. Generosa fu l’occhiata che il capitano concesse loro un’ultima volta, prima di distogliere lo sguardo e portarlo a quel mare, piatto e calmo, baciato appena da un filo di nebbia. Uno sguardo criptico e misterioso e che John non riuscì a interpretare sino in fondo, nessuno avrebbe mai saputo realmente che cosa stesse rimuginando in quel momento e se veramente era convinto che non avrebbe mai più rivisto quegli amici o le tante persone che lo amavano e rispettavano. Sherlock voleva morire? No, John non lo poteva credere. Non poteva pensare che desiderasse dare un dolore al piccolo Archie o al gentile Mike. C’erano molte altre soluzioni per sconfiggere Moriarty, diavolo, erano pur sempre dei pirati! Cattivi e notoriamente spietati. Avrebbero potuto tendergli un’imboscata e tagliargli la gola. O magari no, sarebbe stato troppo brutale e affatto nello stile del nobile pirata bianco, colui il quale non aveva mai ucciso nessuno a sangue freddo. Doveva essergli capitato, certamente aveva già tolto una vita per difendersi, ma il più delle volte si limitava a ferite più o meno gravi. Nessuno, a questo proposito, era stato chiaro perché effettivamente, nessuno se n’era reso conto. Eppure, John ne era certo: Sherlock non doveva aver mai ucciso nessuno volontariamente. E ci stava ancora pensando, in effetti non aveva fatto altro che riflettere, quando un’onda provocata dallo scafo dalla barca, lo colpì in pieno viso e l’acqua salata gli ferì la vista. Si trovava a bordo di una lancia carica dei soli quindici uomini scelti per la missione. Con lui, a parte il capitano e Victor che gli sedeva accanto (e che no, non aveva smesso di stringergli la mano) c’erano Angelo e Fortebraccio. I due corpulenti uomini sedevano uno a fianco dell’altro, remando con vigore e dandosi il ritmo delle battute con un canto che intonavano a bassa voce. Subito dietro, un tale massiccio di origine cinese sostava a fianco di Roux, il giovane francese mentre appena dietro, Rathbone capeggiava un gruppetto di tre uomini. Per l’ennesima volta quel giorno, John riportò lo sguardo al capitano che, in piedi a prora, fissava niente altro se non l’orizzonte. Respirare, in quei frangenti, sembrava essere la sola cosa che era in grado di fare.
 
 


Continua
 
 
 

*Calipso. L’ho scelta perché viene associata al film Pirati dei Caraibi. Ora, non ho mai fatto mistero di detestare quei film, però ho voluto comunque citarla perché rispetto ad altre divinità è meglio associabile da un punto di vista visivo e quindi aiuta nella fluidità del racconto.
Nel testo sono presenti varie citazioni:
-Libertinismo (si vedano i paragrafi sul XVII secolo e sul libertinismo religioso nella Francia del ‘600). La giustificazione religiosa ad atti e pensieri impuri, la bestemmia e l’ateismo di Victor (volutamente ambiguo) era considerato libertinismo. Ho creduto che la sua formazione potesse esser stata influenzata dallo spirito molto forte tra nobili e filosofi francesi dell’epoca.
-I quindici uomini che Sherlock sceglie, non è un numero casuale. Si riferisce ai “15 uomini sulla cassa del morto” della canzone, nata proprio dalla penna di Stevenson.
-Rathbone è un rimando a Basil Rathbone, attore inglese di origine sudafricana, che nel 1939 recitò nel ruolo di Holmes nel film: “The Adventures of Sherlock Holmes”.
-Un uomo piccolo piccolo, che dà il titolo al capitolo, è una citazione al film di Monicelli del 1977 “Un borghese piccolo piccolo”

Una nota sul traditore. Un po’ rido, ecco. Non so perché abbiate pensato che era un mistero complicato da svelare. In realtà ne avevo già dato una descrizione qualche capitolo fa e mi pareva si adattasse a ben pochi sulla nave.
Grazie a tutti coloro che sono arrivati sin qui.
Koa
   
 
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