Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le
massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare
milioni di vite elettroniche.
Mmm domani devo andare
in fiera, ma era qualche giorno che mi girava di sistemare questa cosina che ho
scritto così, per esorcizzare la depressione di Blu e Verde…
Poi insomma mancava un po' di paitasu nel fandom. ♥ alàè♥
~ Verde più Indaco ~
C'era
un silenzio totale in casa e dopo una settimana Pai aveva iniziato a trovarlo
fastidioso. L'assenza dei fratelli si avvertiva chiaramente e lui – non che si
sentisse solo, fosse chiaro – stava cominciando ad accorgersene un po' troppo
di frequente per i propri gusti.
Entrò
in camera esausto dalla giornata e, con tempismo millimetrico, non riuscì
nemmeno a pensare di rilassarsi che il trasmettitore sulla sua scrivania
intercettò una comunicazione. Si sedette sospirando, preparando le orecchie
stanche al fracasso della voce che, sapeva, le avrebbe perforate.
«
Kisshu? »
«
Ohilà, signor vampiro! – ghignò il
verde con un faccione deformato dall'ologramma – Noto con piacere che il tuo pallore persiste, la bara deve essere
proprio comoda. »
«
Non sei spiritoso. – lo gelò incolore – Che dovevi dirmi? »
«
Non sai stare agli scherzi proprio. –
bofonchiò stancamente – Tu hai detto che
avremmo dovuto farti "rapporto" ogni giorno, capo. »
«
Non sono il tuo capo, ma il tuo superiore in grado. – lo corresse puntiglioso,
troppo stanco per fingere che i giochetti del verde non lo irritassero – E
sarebbe procedura standar dell'Armata, e io non ho la minima intenzione di
sorbirmi rogne extra per causa tua. »
Kisshu
borbottò qualcosa di poco chiaro facendogli il verso, ma Pai lo ignorò stilando
rapidamente alcune note sul suo rapporto e preparandosi a dover risistemare il
tutto in un linguaggio adatto a presentarlo ai suoi superiori.
«
E Taruto…? »
Il
come sta cadde senza che Pai lo
pronunciasse, ma Kisshu intuì ugualmente e il suo ghigno divenne un sorriso più
convinto:
«
Sta bene. »
Buttò
lì. Sapeva come Pai fosse diventato protettivo nei confronti del minore in
quegli anni, forse come ammenda per il suo comportamento, e farglielo pesare
sembrava troppo sadico perfino a lui – per usare termini aulici – ma gli
occorreva comunque qualche secondo per somatizzare la questione e non
punzecchiarlo.
«
Praticamente passa il tempo appiccicato a
quella scimmietta bionda. »
Pai
scosse la testa come a disapprovare, ma gli sfuggì uno sbuffo divertito:
«
Incommentabile. »
«
Furbo semmai – ridacchiò il verde
malizioso – è cresciuta benissimo la
pidocchia! Ha buon gusto il mocciosetto. »
Pai
roteò gli occhi evitando perfino di rispondergli.
«
Anche la sirenetta è venuta su mica male.
»
Pai
interruppe un nanosecondo il suo digitare contraendo in modo impercettibile la
mascella:
«
Saranno cresciute tutte. – puntualizzò atono – Sai, sarebbe anche normale dopo
cinque anni; è una cosa chiamata adolescenza.
»
«
Non sono ancora scemo. »
«
Ma quando si tratti di femmine rincretinisci. – aggiunse il viola appena più
acido – Sciocchezze a parte, hai altro? »
Kisshu
sbuffò posando il viso sul palmo:
«
Sei il solito ghiacciolo. »
«
E tu vivi in uno stato di pubertà perenne. »
«
Constatavo soltanto. – precisò e
vedendo che Pai non ribatteva, insisté fissando un punto indefinito fuori
dall'ologramma – Ogni tanto farebbe bene
anche a te togliere gli occhi da li dentro e guardarti attorno. Vedere di trovare qualche bella ragazza (o
visto che si tratta di te, quantomeno con tanta, tanta pazienza) e vedere di
svagarti un po'… »
«
Quello che faccio io in certi ambiti è completamente fuori dalla tua
giurisdizione – lo freddò – ed evita di farmi la paternale, non sei nostra
madre. Oltre che trovo tu sia sufficiente per tutti e due. »
Kisshu
sbuffò di nuovo e per qualche minuto si sentì solo il silenzio interrotto dallo
scrivere del moro.
Qualche
bella ragazza… Il Cielo solo sapeva cosa non avrebbe dato per potersi togliere
dalla testa quella che ora popolava i suoi sogni al pari degli incubi,
figurarsi cercarne un'altra di sua spontanea volontà.
«
Comunque mica posso pensare io a tutte.
»
«
Mi pare che Momomiya non sia oltre nelle tue competenze. »
Per
un momento l'espressione scanzonata di Kisshu divenne furente:
«
Sei uno stronzo. »
«
Constatavo soltanto. »
Ripetè
Pai a pappagallo.
Kisshu
non ci aveva impiegato molto a tentare di conquistare per l'ennesima volta
l'affetto della mewneko, ma a quanto Pai aveva capito gli era andata
decisamente male; il verde non aveva specificato e l'altro non aveva voluto
dettagli, ma sperò che la frecciatina fosse sufficiente a convincere il
fratello a mandarlo a quel paese e a defilarsi, facendo chiudere qualunque
discorso coinvolgesse la Terra, Retasu, avere a che fare con Retasu o la Terra,
dove si trovava Retasu, e praticamente ogni singola persona che potesse
conoscerla. Eccetto lui.
Ma
Kisshu non pareva intenzionato a mollare l'osso, qualunque esso fosse e
qualunque fosse la ragione, e inspirato a fondo per rilassare le spalle
riprese:
«
In ogni caso la sirenetta non è il mio
tipo. »
«
Fortunella. »
Voleva
ben sperare. Era sufficiente pensare all'umano biondo abbarbicato alla
mewfocena, l'idea del fratello era una cosa che rasentava il grottesco.
Diede
due colpi più forti sulla tastiera, Kisshu non era d'aiuto, ma lui doveva
smetterla. Era masochista rimuginare ancora sopra di lei.
Era
troppo frustrante.
Troppo
crudele verso il suo autocontrollo e il proprio cuore.
Ci
fu altro silenzio e Pai fece per chiudere la trasmissione, stufo dello sguardo
dorato che avvertì sulla fronte chinata nonostante il trasmettitore di mezzo.
Fece appena in tempo ad aprire le labbra senza darvi fiato.
«
Mi ha chiesto come stai. »
L'indice
sinistro di Pai, già allungato verso il pulsante di termine comunicazione,
rimase teso a mezz'aria. Alzò lentamente gli occhi dalla tastiera sforzando
tutto il proprio autocontrollo per rimanere impassibile mentre osservava
interrogativo Kisshu, un sorriso sornione e tranquillo.
«
… Chi? »
«
Eh, l'imperatore del Giappone. »
Ghignò
sarcastico e Pai contrasse la mandibola consapevolissimo di quanto fosse stata
idiota la domanda.
«
La pesciolina. Mi ha chiesto di te. »
«
… Quella dovrebbe smetterla di preoccuparsi per l'universo. »
Rispose
soltanto tornando a guardare in basso. Il rumore delle dita che si muovevano
rapide si confuse con il rombo che aveva nelle orecchie intanto che tentò di
deglutire e fingere che quella frase non gli avesse fatto né caldo né freddo.
«
Era curiosa di sapere perché noi ci
fossimo e tu no. »
Aggiunse
il verde scrollando le spalle. Pai rimase in silenzio, smettendo il suo lavoro
pochi istanti e riprendendo lento e rumoroso.
Non
voleva dire niente.
Non
voleva dire niente.
Non
voleva dire niente.
Non
voleva dire niente.
Era
solo cortesia. Solo premura. Solo la sindrome da crocerossina che quella
benedetta ragazza pareva avere congenita.
Non
voleva dire niente.
«
Le ho detto che volevi venire, ma sei
troppo testa di cazzo per alzare il culo dalla scrivania. »
Pai
smise del tutto di lavorare:
«
Chi voleva fare cosa, scusami? »
Lo
guardò come se volesse vederlo morto stecchito sul posto. Kisshu non fece una
piega e inclinò la testa studiandolo:
«
Perché, non avresti voluto? »
«
Il cambio di clima ti ha dato alla testa. »
«
Come ti pare. – tagliò corto il verde
sbuffando ironico – Comunque mi sono
permesso di dirle che se voleva parlarti un modo c'era. »
Pai
se possibile divenne ancor più pallido del normale.
Non
le aveva certo detto…?!
Non
poteva, pur se in licenza c'erano regole ferree dal loro esercito circa far
salire estranei sulle loro astronavi, quello scriteriato non poteva averle
detto…?! Averle dato il permesso…?!
Cos'era,
voleva ucciderlo?!
Se
l'avesse vista, pur se solo attraverso uno schermo, lui...
Ci
fu un suono argentino e un pallino luminoso brillò in un angolo del monitor
sferico del suo computer; Pai osservò confuso il puntino mentre Kisshu sogghignò
divertito della sua espressione, che poco o niente era cambiata, ma in cui lui vide
la confusione negli occhi meno aggrottati del normale e nella bocca socchiusa a
stento.
«
Tranquillo, sono stato bravo e non l'ho
letta. – precisò allegro – Non è carina?
Una letterina come i bambini! »
«
Ti chiederei di non usarmi come diversivo perché sei frustrato o ti annoi. –
gli sibilò il viola squadrandolo furioso – Né di coinvolgere quella ragazza. »
Ammazzato.
Lo
avrebbe ammazzato appena avesse rimesso piede a casa, lo giurava.
«
Lei me l'ha chiesto. »
Falso.
Falso, falso come la pirite.
Era
una bugia. Sicuramente una bugia.
O
un gesto fatto per troppa cortesia. Che decisamente Retasu a lui non doveva.
«
Ci vediamo, Kisshu. »
Pai
spense il comunicatore e si alzò spingendo brusco indietro la sedia.
Nemmeno
più tra quattro mura aveva pace.
Il
pallino luminoso sul suo monitor, grande nemmeno un'unghia, perforò la penombra
della stanza centrandogli la coda dell'occhio anche se diede le spalle alla
scrivania.
Non
voleva leggere. Non voleva vedere.
Non
voleva seguire quelle righe e sentire di nuovo la sua voce, ricordarsela più
chiaramente di quanto già non facesse, non voleva scorrendo le sue parole
riascoltare Retasu con la limpidezza che, grazie al cielo, un poco la sua
memoria aveva ottenebrato.
Non
voleva sentirla risuonargli nella testa mentre gli domandava come stesse, cosa
ne fosse nella sua vita, mentre magari si lasciava scappare accenni della
propria quotidianità e felicità, magari facendo sfuggire il nome di qualcun
altro tra le righe, trapanando il petto di Pai con la straziante immagine del
suo sorriso.
Sarebbe
stato troppo.
Non
ne era in grado.
Non
era così forte.
Non
tanto da reggere a lei che gli scriveva come ad un amico di vecchia data,
chiacchierando innocente come, lui già sapeva, stava facendo con quegli altri
due debosciati suoi consanguinei.
Uscì
di casa sbattendo la porta e camminò. Camminò fino a farsi venire male alle
gambe, ringraziando ogni divinità a lui nota per il buio che aveva inglobato il
mondo e i suoi colori, dandogli almeno la pace degli occhi, e continuò a
camminare finché un brivido non gli gelò il sudore sul collo.
Rientrò
stanco e per nulla rilassato, i muscoli tesi per lo sforzo prolungato e
l'adrenalina che non era calata un attimo, minacciando di farlo esplodere. Aprì
la porta della sua stanza lentamente, quasi che all'interno dormisse una bestia
feroce da non far svegliare; il messaggio era ancora sul monitor, pulsante
allegro come un insettino colorato.
Pai
si sedette alla scrivania crollando sulla sedia esausto. Incrociò le braccia
sul ripiano, avrebbe potuto cestinarlo e far finta di non averlo visto.
Forse
così avrebbe tenuto la sua memoria come doveva stare in alcuni punti, confusa e
distante. Per quanto possibile.
Poteva
fare finta che non gli importasse niente e, semplicemente, buttarlo via.
Ravvivare
la sua immaginazione non sarebbe stato sano. Ne aveva prova ogni santissimo
giorno.
Poteva
fingere che quel puntino non ci fosse e cancellarlo.
Le
sue dita si mossero da sole.
Mi
ha chiesto come stai.
Quando
il quadrato bianco del testo si aprì di fronte ai suoi occhi avvertì una morsa
allo stomaco, perché farsi tanto male da solo?
Mi
ha chiesto come stai.
Tentennò
altri dieci minuti prima di iniziare a leggere, il tempo sufficiente per
soffocare qualsiasi onda emotiva e qualsiasi volo pindarico, scorrendo le
parole con tutto il distacco concessogli.
Arrivò
in fondo con lo stomaco ripiegato su se stesso. Si rialzò una seconda volta
avvertendo il corpo tremare, non seppe se per rabbia o per frustrazione:
«
Quella stupida… Ragazzina…! »
Retasu
finì di spazzare il vialetto d'ingresso e sospirò grattandosi la guancia
nervosa, forse non avrebbe dovuto farlo.
Si
era detta che non c'era ragione, che probabilmente lo avrebbe visto come un
fastidio, che in fondo non sapeva bene come fare; e anche sapendolo, avrebbe
dato fastidio anche a Kisshu, che si sarebbe ritrovato coinvolto nei suoi
sciocchi giri mentali.
Che
poi ancora si chiedeva perché domandare al verde.
Non
che le stesse antipatico, anzi aveva iniziato a sentire una certa empatia nei
suoi riguardi da quando, pochi giorni dopo il loro arrivo, era stato scaricato
per l'ennesima volta da Ichigo; inoltre avevano familiarizzato un po' e lo
trovava simpatico in generale, pur se un po' invadente. E malizioso.
E
decisamente incline a prenderla in giro.
No,
non riusciva a capire come avesse potuto pensare di chiederlo a lui, nemmeno
dopo averlo fatto.
Taruto
di certo sarebbe stato più tranquillo, era diventato un ragazzo assennato,
anche se ogni tanto si intravedeva ancora il Taruto che lei ricordava, specie
quando Purin si lasciava andare ad esternazioni pubbliche di affetto troppo
evidenti cavando fuori al brunetto, senza troppa fatica, strepiti e improperi
degni di un camionista e fantastiche sfumature facciali dal rosso al viola.
Decisamente
sarebbe stato meglio Taruto.
Ma
lei aveva chiesto a Kisshu.
Forse
perché, per quanti buoni propositi si fosse posta, non si era più riuscita a
trattenere, e quand'era esplosa era stato il verde a capitarle nel campo visivo.
E lei era troppo esasperata per tergiversare un minuto di più.
«
Kisshu-san? »
«
Ohi, pesciolina. »
Il
ragazzo, appollaiato su un ramo basso di uno degli alberi attorno al Cafè, si era
tirato prontamente a sedere nonostante fino a cinque secondi prima fosse
sembrato profondamente addormentato e le aveva sorriso monello. Retasu aveva
sospirato rassegnata a che non trovasse mai altro modo di chiamarla se non con
nomignoli riconducibili al suo DNA modificato – in fondo lo faceva con tutte,
solo Zakuro aveva seccato ogni replica trucidandolo gelida al primo tentativo –
e gli aveva sorriso a sua volta:
«
Ecco… Potrei… Farti una domanda? Se non ti scoccia… »
«
Tutt'orecchi. »
Aveva
replicato incuriosito voltandosi sul fianco come su un divano. Retasu si era aggiustata
nervosa il bordo del grembiule:
«
Mi chiedevo di… Riguardo a… »
Prese
un bel respiro e disse in un mormorio:
«
Mi domandavo… Chissà come mai Pai-san non è… Venuto con voi, ecco. »
Il
verde l'aveva fissata sorpreso e in silenzio mentre lei si era morsa il labbro
appena finito di parlare.
Non
lo aveva chiesto.
Non
lo aveva fatto.
No. No. No. No. No.
«
Perché Pai non è venuto con noi? »
Aveva
ripetuto piano. Retasu aveva annuito, goffa, e Kisshu aveva steso uno strano
sorriso:
«
E come mai questa curiosità? »
Retasu
aveva incassato la testa nelle spalle supplicando, per una volta, il proprio
corpo di darle retta e di non arrossire; le aveva dato ascolto,
miracolosamente, ed era riuscita a limitarsi ad un impacciato scrollare le
spalle:
«
Niente… Così… »
Il
sorriso di Kisshu si era allargato mentre il ragazzo aveva mormorato divertito
un ah sì? e quindi era saltato giù
con un unico balzo – niente male da tre metri atterrando in piedi come da
quindici centimetri, e con una sospettosa lentezza grazie alla levitazione – e
Retasu aveva pregato che nessun curioso lo avesse visto.
«
Non ne ho idea. – le aveva detto ancora Kisshu appoggiandosi con l'avambraccio
al tronco – Ma di certo sarà stato un motivo fin troppo stupido. »
Retasu
aveva annuito palesemente delusa e aveva sorriso ringraziandolo, rassegnata ad
andarsene, ma Kisshu l'aveva afferrata per una delle trecce facendola voltare e
sorridendo furbo:
«
Volevo dirgli qualcosa di particolare? »
A
quella domanda Retasu non aveva potuto trattenersi dall'arrossire appena
colpevole:
«
Niente di che… Niente – aveva mentito spudoratamente in un borbottio – solo
ero… Curiosa. Di sapere come stesse. Non c'era una ragione particolare. »
Si
era affrettata ad aggiungere agitata. Kisshu aveva annuito prendendosi il mento
tra le dita e allargando il ghignetto.
Niente
da fare, suo fratello era un idiota totale.
E
non capiva veramente un accidenti.
«
Se è solo questo lo puoi fare anche tu. »
La
mewfocena lo aveva ascoltato confusa e aveva sperato di non sembrare troppo
entusiasta alla proposta.
Ci
era voluto un po' di macchinazione per farle realizzare il messaggio e farlo
passare sul computer centrale dell'astronave aliena – Kisshu avrebbe fatto uno
strappo alla regola facendola salire sulla loro navetta, ma Taruto si era
rifiutato temendo gli potessero negare future licenze se li avessero scoperti –
e quasi il doppio del tempo era servito a lei per mettere assieme i pensieri in
parole. Alla fine era rimasta non sapeva per quanto a fissare le lettere sullo
schermo troppo terrorizzata per dare conferma e salvarle indelebilmente, c'era
voluto un intervento di Purin che le aveva spinto a viva forza il dito sul
pulsante giusto.
Nel
ripensarci arrossì e strinse la scopa al petto, alla fine aveva coinvolto un
sacco di gente per una cosa stupida e senza alcun senso, che probabilmente
sarebbe stata ignorata:
«
Ma che diavolo mi è saltato in mente… »
Cosa
diavolo gli era venuto in mente.
Perché
era lì?
Già
solo scendere dall'astronave era stato terribile. La Terra era ancora più calda
e sporca di quanto ricordasse, l'erba e gli alberi erano molti di più che nella
sua memoria e il cielo era così azzurro da fargli male agli occhi.
Ma
mai quanto rivedere dal vero Retasu a meno di venti metri da sé.
Gli
stava dando le spalle e pareva concentrata nel suo lavoro, troppo per
accorgersi di lui nascosto perfettamente dietro ad alcuni alberi, eppure Pai
rimase così tanto a lungo a fissarla che gli sembrò impossibile non le fosse
venuto il desiderio di voltarsi con la sensazione di essere osservata.
Era
rimasta così uguale, eppure era cambiata così tanto.
Aveva
sempre quel taglio curioso, i capelli corti da cui spuntavano due lunghe trecce
smeraldine, e sempre gli occhiali tondi sul naso, dietro a cui vi era un viso
ormai di donna, rotondo e delicato, con la stessa espressione appena trasognata
e un po' timida; la buffa divisa tutta pizzi e fiocchetti – non credeva di aver
mai visto abito più lezioso e sciocco, ma addosso a lei gli pareva quasi fosse
carino – poggiava su un corpo più adulto, morbido e armonioso, facendo fare
capolino a due gambe non grasse, ma neppure da persona atletica, con cui lei
dondolava sul posto come in preda a pensieri ansiosi e su cui, al massimo della
goffaggine, distrattamente rischiò di inciampare facendo qualche balzello in
avanti reggendosi in piedi per miracolo.
Pai
non riuscì a staccarle gli occhi di dosso.
Il
verde e il blu che tanto detestava risuonarono contro il suo sguardo crudeli e
letali come lame, mozzandogli l'aria dai polmoni, ma non poteva smettere di
guardarla perché nel contempo l'affetto, se tale poteva minimizzarlo, verso di
lei lievitava in modo esponenziale, inondandogli la gola, il cuore e la testa
fino ad ubriacarlo.
Un
istinto feroce che credette di non conoscere gli gridò di uscire e raggiungerla,
fomentato dalle parole che Retasu aveva scritto come da un mantra.
Si
trattenne aggrappandosi al tronco più vicino.
Come
poteva pensare simili stupidaggini? E ricamare sopra le cose come un ragazzino
idiota?
Retasu
non gli doveva niente. Retasu non provava niente.
Era
solo dolce. Dolce e ingenua nella sua bontà intrinseca e spontanea, nulla più.
Eppure
qualcosa dentro di lui ruggì ancora supplicandolo di uscire e di raggiungerla.
Le dita sul tronco di contrassero.
Poi,
di colpo, Retasu si girò dalla sua parte. Pai si irrigidì, ma si diede dello
stupido, era troppo distante e troppo ben nascosto perché lei, con i suoi occhi
umani, lo vedesse mimetizzato lì in mezzo. Rimase immobile in attesa che
distogliesse lo sguardo, però non accadde. Lui si perse in quegli spicchi
d'oceano, profondi, gentili, insondabili fino in fondo perfino ad una mente
come la sua, impiegando un po' di tempo a domandarsi preoccupato se in effetti
non fosse stato scoperto.
Che
Retasu lo avesse visto per davvero?
No,
era fisicamente impossibile.
Così
come si era girata la mewfocena si voltò dalla parte opposta attirata da
qualcosa. Pai quasi conficcò le unghie nella corteccia vedendo spuntare dal
nulla l'umano biondo e sentendo Retasu pronunciare il suo nome – Shirogane-san, perfino da laggiù le sue
acute orecchie lo tradirono, risuonando dell'affetto con cui uscirono quelle
lettere – non riuscendo a resistere oltre nello scorgere il modo in cui gli
sorrideva.
Ma
cosa diavolo era andato a fare laggiù?
Circumnavigò
a distanza di sicurezza lo spiazzo alberato e il perimetro del Cafè andando sul
retro e cercando Kisshu e Taruto. Era certissimo fossero da quelle parti e
sapeva, come protocollo imponeva, che la loro navicella avesse intercettato e
registrato l'arrivo della sua; sarebbe stato meglio avvisarli prima che
facessero strane congetture sul connazionale visitatore sconosciuto, e poi
sarebbe ripartito esattamente com'era arrivato.
Strizzò
gli occhi puntando una scaletta che vide salire al primo piano del locale, il
Sole era davvero troppo luminoso. Quel parco era troppo colorato, il cielo
troppo splendente.
Quei
colori assieme gli diedero la nausea.
Verde,
blu, oro.
Assieme
erano perfetti.
Come
quell'umano e Retasu.
Gli
si rovesciò lo stomaco.
Voleva
andarsene, sparire, fuggire. Non era in grado di tollerare.
Svoltò
l'angolo e per una manciata di secondi i suoi pensieri furono interrotti
bruscamente.
Come
aveva immaginato Taruto e Kisshu erano lì a zonzo. Ma non avrebbe mai
immaginato di beccare il fratellino minore tanto impegnato a sbaciucchiarsi con
l'umana ibridata con una scimmia da non sentire nemmeno qualcuno arrivargli
alle spalle.
Fece
immediatamente dietrofront, ma un po' troppo rumorosamente anche per i due
coinvolti adolescenti che sobbalzarono voltandosi all'unisono.
«
Oh…?! »
«
C…Pai?! »
Taruto
divenne scarlatto e digrignò i denti, la faccia del viola fu eloquente per
capire quanto effettivamente avesse visto della scena:
«
Cosa accidenti ci fai qui?! »
L'altro,
inspiegabilmente, non riuscì a dire una parola, troppo frastornato dai
precedenti cinque minuti e rimase a muovere la bocca senza emettere suono:
«
… Non ha importanza. – tagliò corto sforzandosi di ricomporsi – Volevo solo
dire a te a Kisshu di non p- »
Il
fracasso del bidone dell'immondizia che fu travolto e un respiro affannato. I
tre guardarono oltre le spalle di Pai e il moro provò il fortissimo desiderio
di morire all'istante.
Perché
Retasu era lì?
Perché
sembrava aver appena corso come una disperata?
E
perché lo stava fissando come se temesse di vederlo sparire da un momento
all'altro?
«
Sei tu. »
Disse
solo lei senza fiato.
Aveva
creduto di essersi sognata quel rapido lampo ametista tra gli alberi e aveva
continuato a scrutare per essere certa di sbagliarsi, ma dopo che Ryou le aveva
parlato non c'era stato più niente.
Si
era detta l'ennesima illusione.
Invece
non se l'era immaginato.
«
Sei tu. »
Ripetè
con più vigore. Pai non le rispose, il bianco nella testa e l'assoluta assenza
di una strategia decente con cui fuggire, mentre sentì distrattamente i
passetti veloci di Taruto e Purin che se la davano letteralmente a gambe.
Aveva
esaurito anche l'ultima scappatoia.
Lui
e Retasu si guardarono per non seppe quanto. L'impressione fu di avere un
movimento sismico in corso tra la gola e la base dell'addome, non c'era un
singolo organo che volesse rimanere al suo posto, pur se da fuori si fosse
limitato a serrare le nocche e a stringere la mascella.
Era
lì. Retasu era lì, a forse tre metri da lui, e lo guardava fissa, guardava lui
consapevole che fosse lui e che si trovasse lì.
Quando
mai gli era passato per l'anticamera del cervello di partire?
E
solo perché era uno stupido senza alcuna… Speranza!
Solo
perché…
Pai-san,
scommetto che ti starai chiedendo come mi sia venuto
in mente di disturbarti. Ti domando scusa in anticipo.
È solo che mi sono sorpresa di sapere che tu non
saresti stato qui con Kisshu-san e Taruto-san.
Sai… Mi chiedevo come stessi.
Là da voi va tutto bene? La MewAqua è servita?
Taruto-san e Kisshu-san sembrano davvero contenti.
Immagino che ti starai domandando perché annoiarti con queste domande se potevo
chiederlo a loro.
… A dire il vero non lo so.
Solo… Avrei voluto chiederlo anche a te.
Sai, pensavo che non sono mai riuscita a
ringraziarti. Io ti devo la mia vita.
Non sono mai riuscita nemmeno a chiederti la
ragione, o a scusarmi con te.
Mi sarebbe piaciuto vederti.
Ti auguro ogni bene.
Retasu.
Idiota.
Idiota.
Idiota. Idiota. Idiota. Idiota.
Idiota!
Per
quale ragione aveva pensato…!
L'aveva
vista sorridere a Shirogane, contenta e beata, se l'era detto ancor prima di
mettere piede sulla navicella che non c'erano significati profondi in quelle
righe.
Eppure
eccolo lì, in piedi come un idiota ammutolito di fronte a Retasu che invece,
dopo qualche momento in cui lo aveva fissato ad occhi sgranati e con le gote
amabilmente rosse, si era portata le dita contro la bocca e aveva mormorato
quasi stesse per piangere:
«
Sei qui… »
Pai
tacque, impedendosi di domandarsi il perché la mewfocena gli sembrasse come
commossa:
«
Hai… Letto il mio messaggio? – chiese a scatti e si sentì subito sciocca per la
domanda priva di senso in quel momento, fregandosi gli occhi e tirando su con
il naso – Scusami… »
«
Hai davvero il vizio di scusarti troppo. »
Disse
secco e subito si morse la lingua per il tono. Retasu non parve nemmeno farci
caso e accennò un passetto verso di lui che ebbe l'impulso incomprensibile di
scappare. Rimase rigido come una statua.
«
Allora l'hai letto. »
Constatò
solo. Pai strinse ancora i denti e si sentì morire quando la vide diventare
rossa in viso:
«
Non ha importanza. – si trovò irritante da solo per la propria ripetitività, in
quanto ad eludere le questioni aveva una dote straordinaria – Devo andare. E tu
faresti bene a sparire, che io sappia il tuo ragazzo non ci ha molto in
simpatia. »
La
mewfocena lì per lì perse colore in volto e abbassò lo sguardo colma di
delusione – fu troppo evidente perfino per lui per negare di aver visto – poi
rialzò la testa confusa:
«
Il mio ragazzo? »
«
L'umano coi capelli biondi e gli occhi azzurri. »
Esprimere
il concetto a chiare lettere fu come prendersi a mazzate nei denti. Retasu lo
guardò talmente basita da risultare buffa, tanto da farlo ridere, poi fu lei ad
esplodere in uno sbuffo divertito:
«
Dubito seriamente che Shirogane-san tradirebbe Ichigo-san con la sottoscritta.
»
Pai
processò la frase un minuto intero prima di fissare a sua volta la verde
stranito.
Come,
come, come?
Lo
prendeva in giro per caso?
Era
una sorta di vendetta subdola progettata in qualche modo contorto per fargli
scontare tutte le sue colpe?
Si
diede dell'imbecille da solo, stava iniziando a sragionare.
Retasu
e quell'umano non…?
La
ragazza fece un altro passo verso di lui. Ormai c'era a stento la distanza di
una persona tra di loro e Pai avvertì l'autocontrollo scivolare via
rapidamente. Lo raccolse quasi con disperazione.
«
Perché sei qui? »
Domandò
lei e non ci fu critica, o sprezzo, solo una curiosità agitata:
«
Credevo non volessi venire. »
«
Non volevo infatti. »
Ammise,
così piano che Retasu inclinò la testa per capire la ragione che, intuì, ci
fosse dietro:
«
Perché? »
«
Tu fai sempre troppe domande. »
«
E tu hai il vizio di rispondere per frasi criptiche o per non rispondere
affatto. – gli puntualizzò lei appena piccata – Non l'hai mai fatto, nemmeno
cinque anni fa. »
«
… Vorresti dirmi che ti ricordi tutte le domande che mi hai fatto? »
Chiese
con un pizzico di ironia e gli si spezzò un respiro vedendo la verde chinare la
testa e arrossire ancora bisbigliando:
«
Certo che me le ricordo. »
Le
parve di soffocare. Non riuscì a leggere sul viso di Pai niente di ciò che lo
stava sconquassando dentro, ma gli occhi ametista erano esattamente come se li
ricordava e tanto bastò per renderle difficile pensare.
Era
diventato più robusto, grazie al cielo non più alto – non ne avrebbe avuto
bisogno, comunque – e il viso si era indurito nei tratti, ma in modo piacevole
tanto che lei ebbe seri problemi a non fissarlo imbambolata; aveva lo stesso
taglio di capelli, corto e ordinato, appena più lungo sul collo, e il codino
che portava sull'orecchio si era rimpicciolito. E ancora, di nuovo, lo stesso
sguardo di temporale che la scrutava insondabile.
«
Non mi risponderai? »
Pai
rimase in silenzio.
«
Tu non te le ricordi, invece? »
«
… Certo che mi ricordo. »
Ammise
in un sussurro e Retasu fu sicura di morire d'infarto:
«
E non mi risponderai. »
«
Ti ho sempre risposto, mi pare. »
La
corresse e Retasu annuì appena. Poi corrugò la fronte:
«
Ad una no. »
Pai
sentì il sangue defluirgli dal volto e Retasu si mordicchiò il labbro:
«
Perché quel giorno ti sei voltato verso di me? »
Il
viola si azzannò la lingua e tacque.
Il
suo corpo era di sale. Non riusciva a muoversi. Retasu continuò a guardarlo,
come aveva sempre fatto, desiderosa unicamente di capire e con una strana luce
in fondo agli occhi color del mare – quel colore! Maledizione! – una luce che
per qualche ragione misteriosa gli dava un senso di speranza, di possibilità.
Forse
era solo Retasu che gli aveva sempre donato quelle sensazioni.
Forse
era solo lui che si illudeva come un cretino.
Ma
ormai era lì. Retasu era in piedi di fronte a lui e gli stava chiedendo solo,
anche se inconsapevolmente, di ricevere la dichiarazione e i chiarimenti che
meritava.
Insomma,
suo fratello di quindici anni era stato in grado di prendere armi e bagagli per
correre tra le braccia della persona che amava, e lui non era nemmeno capace
almeno di essere onesto? Dopo essere morto per lei, davvero non ne era in
grado?
«
Prima una domanda voglio fartela io. »
Retasu
sbattè le palpebre confusa, ma annuì. Pai inspirò a fondo sforzando tutta la
propria capacità cerebrale per trovare le parole e scovò il grammo di forza
rimastogli dentro; lo prese e diede il via:
«
Se ti dicessi che ero sicuro di morire e avrei voluto vedere solo un'ultima
cosa prima di quel momento… Tu cosa mi diresti? »
Retasu
sgranò gli occhioni blu senza replicare. Pai inclinò la testa studiandola, non
avrebbe mai pensato che potesse visualizzarsela più bella di come la ricordava,
ma quella doveva essere la giornata delle smentite:
«
Se ti dicessi che eri tu? »
La
mewfocena assunse una delicata sfumatura porpora. D'accordo, poteva diventare
ancora più graziosa, però così si giocava sporco.
«
Se ti dicessi che non volevo vederti per nessuna ragione svanire, che diresti?
»
Retasu
aprì la bocca e non emise suono, solo un sottilissimo pio. Pareva diventata
muta. Contrariamente a lui che invece sembrò aver di colpo preso capacità di
parola:
«
Se ti… Confessassi – dire una cosa simile costò molto al suo orgoglio, ma
fortunatamente le frasi gli scorrevano quasi da sole – che non volevo
rivederti? »
«
C-come? – farfugliò lei – P-perché? »
«
Mi sembrava di stare facendo io le domande. »
Retasu
si convinse che volesse ucciderla, non era psicologicamente pronta per vederlo
piegare un lato della bocca a quel modo, come se la prendesse bonariamente in
giro:
«
Perché l'idea di vederti tra le braccia di quell'umano… Era insopportabile. »
Doveva
star consumando tutta la scorta a vita di fiato e lettere, oppure il cambio di
clima aveva dato alla testa per davvero a qualcuno e per la precisione a lui.
Retasu si premette l'indice piegato sul labbro:
«
Ti… Avrebbe infastidito? – mormorò scioccamente e le si appannarono quasi gli
occhiali – No tu… Ci hai pensato fin'adesso…? Fino ad oggi? »
«
Avrei preferito non ricordarmi così bene di te. »
Ammise
più grave. Retasu non fu capace di scostare gli occhi dai suoi ed ebbe la
sensazione di avere le vertigini intanto che Pai, come ipnotizzato, o
impossibilitato a fare diversamente, proseguì:
«
Se ti dicessi che era perché ti… »
No,
quello non era in grado di dirlo ad alta voce. Non così. Non di fronte a lei.
Non
fu sicuro se Retasu avesse capito o solo intuito, ma la vide trattenere il
fiato e spalancare se possibile ancor di più gli occhi sempre più lucidi.
«
Non importa cosa mi rispondi. – mentì stoico – Se pensi di non voler sentire
altro sei libera di girarti e andartene, non ti fermerò. Però… »
«
Certo che sei proprio uno stupido. »
Il
viola rimase con la bocca semiaperta per lo stupore.
Se
l'era sognato o Retasu aveva appena dato a qualcuno – nello specifico, a lui –
dello stupido?
La
studiò confuso e le vide piccole lacrime argentee scivolare lungo le guance
mentre lei sorrise in un assurdo misto di arrabbiatura e felicità:
«
Invece dovresti fermarmi, se scappassi. – mormorò con voce rotta – Dovresti
afferrarmi e dirmi di non andare via…! Almeno avrei chiare le cose! »
«
… Se tu scappassi – replicò sottovoce e a fatica – che diritto avrei di
fermarti? »
«
Lo faresti perché lo vuoi. – ribattè con un singhiozzo – Come hai voluto
sacrificarti per noi. Come non sei voluto venire qui. Come io avrei voluto
vederti assieme agli altri tornate qui. Come ho voluto scriverti quella
stupidissima lettera, senza che tu abbia capito un accidenti del perché! »
Pai
non si mosse, le braccia inermi lungo i fianchi.
Era
un po' troppo da processare tutto assieme.
Ma
Retasu stava davvero dicendo… Sul serio…
«
Oh, insomma. »
Nel
suo immaginario lei era abbastanza più bassa di lui da doverla tirare in su per
raggiungere il suo viso. Invece gli bastò chinarsi appena, le mani sulle sue
gote fradice, per poterla baciare.
Retasu
mandò un sospiro misto ad un singhiozzo e lanciò la scopa, che non aveva
mollato un momento, dalla parte opposta al Cafè gettandogli le braccia al collo
e protendendosi sulle punte per arrivargli ancora più vicina, terrorizzata di
aver preso un colpo di sole e di starsi immaginando tutto.
Come
primo bacio fu un vero disastro. Gli occhiali di Retasu si spiaccicarono odiosi
contro la guancia di Pai, lei lo tirò per la maglia per avvicinarlo e passò
allo stesso tempo le mani nervose sulla sua nuca e sulle sue spalle, con un
fastidioso movimento tarantolato, lui l'afferrò per l'incavo della schiena così
smanioso da alzarla un paio di millimetri da terra e caracollando un po' avanti
e indietro sul posto per mantenere l'equilibrio, sgraziato come un ippopotamo.
Ma
era un bacio. Un bacio vero, e nessuno dei due pareva intenzionato a lasciar
andare l'altro perché smettesse di farlo.
~ ☼ ~
Mmmmmmm >3< non soooo ♥ sono patatosi! Punto ♥
E io ho distrutto
tutta l'accurata depressione che avevo creato con l'altra fanfic :P dai lo
sapete che sono buona :3
Mata ne ~♥!
Ria