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Autore: Roberto_Yoda    12/06/2009    1 recensioni
Un ultimo addio tra vittima e carnefice. Nei capitoli successivi a quelli della vicenda di Hitomiko, Naraku riceve una visita da un fantasma del passato, rivive eventi da tempo trascorsi ...
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kikyo, Naraku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Glossario:

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Aiki: armonia. E’ un concetto giapponese che attiene sia alla filosofia, che alla religione, che alle arti marziali. Armonia tra mente, corpo e cuore, nonché armonia con le circostanze esterne, sia esse di quiete o di combattimento, ecc.

 

Kyujutsu: la via dell’arco. Molto più che la tecnica per tirare con l’arco. L’arco fu, prima della katana, l’arma che davvero contraddistingueva la casta dei samurai.

 

 

E’ in arrivo la tempesta.

 

Kikyou ne sente l’odore, nell’aria. E’ pomeriggio, tardi, e il buio è già fitto. Rabbrividisce.

E’ inquieta, e stanca, e sente che sta andando alla deriva. E va benissimo così.

 

Sì, la stanchezza è dovuta all’aura del Monte Hakurei. Il cavallo trotta sicuro su per il sentiero sassoso, per nulla spaventato dallo strapiombo alla sua sinistra, e la sta portando sempre più addentro all’area sacra che affligge – strano come sia proprio questa la parola che le viene alla mente, affligge – i luoghi nei quali Naraku ha deciso di nascondersi. E il suo corpo forgiato da oscure stregonerie, ne viene appesantito, intirizzito.

 

Sì, l’inquietudine nasce al pensiero di quel che starà facendo Suikotsu in questo preciso momento. Il mercenario morto, con l’anima divisa in due; il guaritore e l’assassino.

Il tormento che lo rende pazzo, presto giungerà alla sua apoteosi. E lei dovrà esserci, quando succederà. Lui ne ha bisogno, e lei altrettanto.

 

Perché, sì, sta andando alla deriva, consumata, sfinita. Sparisce un po’ per volta, e che sollievo ne prova!

 

Rivede nella mente, per l’ennesima volta, gli scorci dello scontro tra i mercenari venuti a prelevare Suikotsu e il gruppetto di Inuyasha.

 

Inuyasha.

 

Pensare il suo nome non fa più tanto male. Persino la Furia si sta attenuando, assieme a tutto il resto. Non ha più molto di cui sfamarsi. I pochi avanzi di ciò che lei era sono ridotti a ben misera cosa, ormai.

 

C’è un gorgo che la risucchia, che la sta portando via, divorandola. Non dovrà attendere ancora molto. Presto, la donna che un tempo era conosciuta come Kikyou non esisterà più. Resterà solo la miko custode della Shikon no Tama. Quel che le serve a finire la sua ricerca, ultimare il suo dovere lasciato in sospeso. Tutto il resto – l’odioso fardello che serve solo a farla soffrire – sarà presto polvere dimenticata, buona solo per essere calpestata dagli uomini.

 

Perciò, non era stato poi così terribile, riprendere i sensi, dopo la battaglia, con addosso gli occhi di Inuyasha e degli altri.

 

Solo, non guardarlo.

 

Non era stato poi così terribile, rivolgergli la parola, ed essere soppesata, con un misto di pietà, diffidenza, sconcerto.

 

Solo, non parlarmi.

 

Non era stato poi così terribile, rimangiarsi il suo proposito e cercare il suo volto e quegli occhi dorati che non smettevano di fissarla, pieni di paura, paura per lei.

 

Solo, non guardarmi. Non ridotta in questo stato ricorda com’ero lasciami viva. Almeno nei tuoi ricordi.

 

Non era stato poi così terribile, neppure dover affrontare la gelosia malata che divorava la ragazza del futuro, la sua reincarnazione, e vedersi riflessa in uno specchio deforme.

 

Che scherzo, che scherzo crudele e contorto, ragazza del futuro, già te lo dissi e dopo tutto questo tempo ancora non lo capisci!

Non è fatto per te; questo amore non è il tuo, è mio. Ma tu non hai la forza, la disciplina e la costanza per badarvi. Ti sta rosicchiando, ragazza del futuro. Tu non sei fatta per contenere una simile cosa. Tu non hai idea. L’amore è crudele, l’amore è duro, non è quel di cui raccontano i cantastorie e …

 

Kikyou sospira. Non riuscirà a districare la tela di follia nella quale sono tutti invischiati. Per colpa sua. Tutto pesa sulle sue spalle perché, come sempre, è tutta colpa sua. Poi, una fiammata di fierezza le fa rizzare la schiena che non si era accorta di aver piegato.

 

Stai ridendo, Kami? Stai ridendo, Okuninushi? E tu, mio assassino? Lo trovate divertente? Ve ne farò pentire! Non pensiate che sia così facile sconfiggermi! Vi farò rimangiare tutte le vostre risate!

 

Ma la nebbia grigia che si sta infittendo dentro di lei stempera presto il suo sussulto.

 

Si riscuote, consapevole di una presenza potente alla quale si sta avvicinando con rapidità. D’istinto, si lascia scivolare l’arco in mano.

 

Non c’è tempo per comprendere appieno la scena che le si presenta voltata l’ultima curva. C’è solo il tempo di agire, prima che Suikotsu affondi le sue lame micidiali nella piccola gola della bambina.

 

Kikyou sfila una delle frecce dalla faretra, e incoccandola, lascia accadere quel che sempre accade. Il tempo si ferma. Nulla più esiste, se non il presente. Non più dolore, né trepidazione, né amore né smarrimento. Nulla, mentre vive all’interno di un attimo perfetto. E risente ancora una volta le parole del suo vecchio sensei, quando lei stessa altro non era se non una bambina, anche se non una bambina come le altre.

 

 

Aiki. Ricordi che ne abbiamo parlato, Kikyou?”

 

Lei annuiva. “Sì, sensei. L’armonia.”

 

Camminavano lenti, calpestando il sentiero ben curato del giardino che racchiudeva, come un anello, il tempio di cui il suo sensei si occupava.

 

“Esatto. Aiki. L’armonia della mente e del corpo con tutte le cose. Poiché tutte le cose sono misteriosamente intrecciate a tutte le altre. Lo comprendi, Kikyou?”

 

“Sì. Tutte le cose sono unite nella musica del Fato.

 

Il capo del sensei si era girato di scatto, il collo aveva scricchiolato, e l’aveva fissata con attenzione.

 

E chi te l’ha detto, questo, bambina?”

 

Kikyou aveva scosso le piccole spalle. “Nessuno. Ma è così. L’aveva detto con la spiccia sicurezza di un bambino che ripete un fatto assodato.

 

Erano dovuti passare anni, prima che Kikyou comprendesse la ragione dello spasmo di compassione che aveva deformato i lineamenti del suo sensei.

 

Dunque, l’hai capito da te sola, vedo.”

Per un po’ il sensei aveva taciuto, tanto che Kikyou si era chiesta se fosse stata inopportuna o scortese. Stava per scusarsi, pur senza saperne il motivo, quando il silenzio era stato rotto.

 

Quando sarai in grado di fare un perfetto silenzio dentro di te, e né paura, né desideri, né gioie, né turbamenti disturberanno il tuo orecchio, sarai perfetta. L’armonia, l’Aiki, ti permetterà di articolare appieno i tuoi poteri.

 

“Ho capito, sensei.”

 

“No, non hai capito, ancora. Non passeranno molti anni prima che sia tu a insegnare a me, Kikyou. Ma adesso è presto. Se vuoi comprendere, dovrai imparare la via dell’arco. Sì, il Kyujutsu è la strada che dovrai percorrere, quella per te più congeniale. Fino a quando non padroneggerai Kyujutsu, io non ti insegnerò nulla.”

 

La bambina che Kikyou era stata aveva provato un tuffo al cuore a quelle parole, tanto da permettersi di replicare. La voce le era tremata a un passo dal pianto; sicura di venire punita per aver detto qualcosa di brutto.

 

Sensei, la … la via dell’arco? Ma io non sono stata affidata a voi per questo! Perdonatemi se ho parlato a sproposito. Non succederà più, davvero! Starò più attenta! Non volevo mancarvi di rispetto! Io …”

 

Il sensei l’aveva zittita levando un dito severo, senza abbassare lo sguardo su di lei; ma aveva anche sorriso con divertita dolcezza, e questo l’aveva acquietata.

 

“Bene. Vedo che, nonostante tutto, sei pur sempre una bambina. Questo è consolante.” Kikyou era rimasta senza parole nel sentire il vecchio sensei ridere piano. Era arrossita e si era trattenuta per un soffio dal battere i piedi per terra – sarebbe sprofondata in un abisso piuttosto che confermare a quel modo le parole del suo sensei.

 

“Non temere, bambina. Capirai presto. Nessuno, più di un maestro arciere, può sapere come tutte le cose distinte siano intrecciate pur nella loro irriducibile unicità. Perché solo chi percorre Kyujutsu può conoscere appieno

 

 

… l’istante perfetto nel quale tutto svanisce ed esiste solo

 

… la mano che ferma tende la corda dell’arco

 

… che sta fermo ad accogliere la freccia

 

… che si lascia scagliare a fendere l’aria, leggiadra e fulminea verso il bersaglio

 

… che viene colpito.

 

Ed essere, in quel solo momento, il vigore della mano che tende, la saldezza dell’arco che sta fermo, la libertà della freccia che vola, e il dolore del bersaglio ch’è colpito.

 

Armonia.

                                                   

L’esultanza del divenire una cosa sola col tutto, mentre scocca la freccia – non con le mani ma con tutto ciò che sono – neppure la morte ha potuto togliergliela.

 

La freccia sacra si fa strada nella carne della gola di Suikotsu, la punta tocca la scheggia della Shikon no Tama che solo lei e la sua reincarnazione possono vedere, il mercenario cade all’indietro senza un suono, paralizzato, mentre i suoi poteri interferiscono con quelli della sfera.

 

Il tempo ricomincia a scorrere.

 

Con fatica, come un’inferma, Kikyou scende da cavallo. L’aura sacra le impaccia i movimenti.

Ma questo non è importante. Raggiungere Suikotsu lo è.

 

Ma per farlo, deve oltrepassare la creatura.

Lo youkai bianco che le volta le spalle e non si è più mosso da quando lei ha colpito il mercenario.

Riconosce il suo youki. E’ lui ad aver combattuto contro Naraku assieme a Inuyasha. Ed è venuto fin qui per abbattere colui che ha osato sfidarlo.

 

Kikyou si chiede per quale ragione Naraku abbia deciso di farsi un così poderoso nemico. Cosa ha visto in questa creatura, ad aver catturato il suo interesse? Decide che può servirle saperlo, e punta gli occhi sullo youkai, permettendo all’Aiki di impadronirsi di lei e guidare il suo sguardo.

 

I suoi sensi sono colpiti subito da una frustata incandescente. Il potere di lui la investe in pieno. Se fosse viva, il dolore la costringerebbe con tutta probabilità a interrompere il suo esame. Ma la morte l’ha resa, in questi misteri, ancora più forte di quanto era un tempo. Così, nei brevi secondi che le servono per coprire i pochi passi che la condurranno a lasciarsi la creatura alle spalle, ha il tempo di sondarla.

 

Lo youkai è impeccabile, nella forma, nelle proporzioni e nella maestà ma è …

Monco.

Non è monco solo perché la manica sinistra della sua veste bianca penzola vuota. No. E’ …

Impeccabile, nella sua imperfezione. Che tale sia la ragione per la quale Naraku ha deciso di sfidarlo?

 

L’intensità dell’ira dello youkai è pari solo alla ferocia con la quale la trattiene.

Lei lo ha umiliato in maniera intollerabile. Ha salvato la vita di quella che è la sua protetta. E’ come se lo avesse schiaffeggiato mostrandogli un suo limite, e lo ha reso suo debitore. Lo youkai bianco vorrebbe farla a pezzi per questo, lei lo capisce subito, ma il suo onore non glielo permette.

 

Tuttavia, questa ira è superficiale. Al di sotto ce ne sono altri strati, sovrapposti; fissandolo meglio, Kikyou se ne accorge. Proprio come deve avere fatto Naraku tempo addietro, oltrepassa le barriere che lo youkai crede inviolabili.

 

Prima, una conferma; proprio come immaginava. Inuyasha gliene accennò solo una volta.

Fratelli.

Il fratellastro di Inuyasha. Ma Kikyou aveva capito già allora che toccare quel tasto sprofondava l’hanyou in un umore tanto cupo che, a confronto, il suo solito atteggiamento pareva quasi allegro.

E lo stesso deve valere anche per … Sesshoumaru, così si chiama.

Tanto dissimili quanto simili.

Il magma incandescente dell’ira dello youkai è esplosiva. La sola idea che il suo youki, puro, immacolato, poderoso, sia lo stesso che scorre nel corpo di uno hanyou; che il suo youki sia mischiato con del sangue umano, del sangue mortale, deve farlo impazzire.

 

E ancora più a fondo. Ormai il potere della vista si è impadronito del tutto di Kikyou; non può più troncare questa indagine fino a quando non giungerà alla fine, neppure se lo volesse. E non vuole, non finché non avrà visto ciò che ha spinto Naraku a scegliersi un tale, temibile nemico.

Smisurato orgoglio ferito. Perché non solo il padre ha deciso di dissipare il suo lignaggio mischiandolo con quello di una insulsa creatura mortale: ha anche lasciato il vessillo della sua eredità al frutto di questa unione blasfema.

 

Kikyou leva un sopracciglio. Più vicina alla risposta.

La spada …

L’ira e l’umiliazione dello youkai sono cresciute a dismisura fino a quando sono diventate mature, e Naraku ne ha raccolto i frutti.

 

Imprigionandolo.

 

La spada dello youkai. Kikyou ha riconosciuto l’aura della lama, anche se questa è stata sottomessa.

 

E lo youkai non capisce. Fino a quando l’ira sepolta nei confronti del padre lo spingerà a tradire in tal modo la sua discendenza, a umiliarla, a voltarle le spalle; fin quando si abbasserà a portare al fianco una spada forgiata dalle zanne di colui che disprezza con ogni fibra del suo essere, non potrà mai essere completo. Mai integro.

Impeccabile, nella sua imperfezione. Imprigionato nel suo unico bisogno.

Astuto come sempre, Naraku.

 

Ma, proprio mentre Kikyou fissa quell’unica macchia che, ora ne è certa, ha subito conquistato l’attenzione del suo assassino, spingendolo a giocare con lo youkai … capisce fino in fondo e deve trattenere con decisione una risatina. Ridere non sarebbe una decisione saggia, oh no.

 

Sì, Naraku, gelosia e rancore. Tu li conosci molto bene, non è vero? C’è colui che ti ammaestra di gelosia e rancore, ogni giorno, e ti tormenta senza posa, senza che tu neppure te ne accorga. Oh Naraku, nonostante tutta la tua astuzia e la tua saggezza, a volte sei ridicolo quasi quanto la mia reincarnazione!

 

Sorridendo segretamente tra sé, Kikyou oltrepassa Sesshoumaru senza degnarlo di una seconda occhiata.

 

 

E’ il fetore a essere intollerabile. Può sopportare tutto il resto. La presenza degli umani – morti, eppure innaturalmente vivi. L’aura spirituale che osa insidiare il suo potere, appannandolo. Forse persino il fatto che debba la vita di Rin a questa aberrazione. Ma la puzza. La puzza è intollerabile.

 

Non la puzza della morte che è abituato a distribuire. La puzza delle anime, di queste mutilate anime umane. Gli fanno rimpiangere per un secondo di essere ciò che è e ciò che è sempre stato.

 

 

 

Era accaduto alcuni giorni dopo che la bambina era stata resuscitata da Tenseiga.

 

Si chiama Rin. La bambina si chiama Rin.

 

Il pensiero era sorto con semplicità repentina, così come molti dei suoi pensieri. Come una bolla d’aria imprigionata nell’acqua, che sale veloce, inarrestabile, verso la superficie di un lago, per esplodere in un attimo e svanire subito.

 

Aveva accettato la precisazione impostagli dalla sua mente, lasciandosela scorrere addosso con indifferenza. La bambina si chiama – deve essere chiamataRin.

 

L’odore pungente dello sconcerto di Jaken. Le occhiate di sottecchi che gli lanciava. In quei giorni, era arrivato addirittura ad aprire la bocca per rivolgergli delle domande – ma poi aveva preferito rinunciare.

 

Sesshoumaru avrebbe voluto ordinargli di smettere: smettere di infastidirlo con l’odore del suo stupore, smettere di porsi domande; ma questo sarebbe stato un segno di considerazione che il servitore assegnatogli da suo padre non meritava.

 

La palude si stendeva vasta sotto il suo sguardo, a un paio di chilometri dalla cima della collina che avevano appena scalato.

 

Le lingue di terra solida si alternavano e si intrecciavano a canali d’acqua brunastra, alberi bassi e storti cedevano il passo a laghetti colmi di ninfee e giunchi. I colori sgargianti di molti fiori punteggiavano il plumbeo verde e marrone della vegetazione morta e delle sabbie mobili.

 

Jaken aveva sibilato di esasperazione. “Ora dovremo tornare indietro e cercare un passaggio più …”

 

“Andiamo.” Lo aveva interrotto Sesshoumaru, riprendendo il cammino.

 

Jaken aveva osato mormorare un Sesshoumaru-sama, ma il cucciolo umano …

 

Sesshoumaru aveva voltato il viso liscio e impassibile per sfiorarlo con la coda dell’occhio.

 

Jaken aveva serrato la bocca così in fretta da fargli udire lo schiocco del suo becco.

 

Mentre l’umidità nell’aria di quella giornata uggiosa aumentava, via via che i loro passi li avvicinavano al bordo della palude, aveva sentito crescere dentro di sé una sensazione di attesa quale lo coglieva assai di rado.

Come sempre faceva in quei frangenti, aveva lasciato che le cose si limitassero ad accadere.

 

La strada si srotolava davanti a loro, diventando via via un sentiero contorto e appena accennato. Una nebbia alta solo poche dita indugiava alla base degli alberi dalle cortecce lucide e umide. L’odore di fango, putrefazione, acqua stagnante gli aveva solleticato le nari.

 

La bambina chiamata Rin aveva rabbrividito, stringendosi un po’ nel chimono, precedendoli nel cammino di un metro o due, voltandosi a ogni suono, gli occhi sgranati.

 

Gli alberi si erano fatti più radi, e la vegetazione del sottobosco più folta e più ricca.

Cespugli di azalee, edera, e fiori, enormi, di una moltitudine di colori, gialli, violetti.

Ronzio continuo di insetti, richiami di uccelli, gridi di piccoli animali. Qualcosa che si dibatteva in un acquitrino. Un lamento strozzato subito svanito.

 

I profumi delle cose vive e morte si intrecciavano saldi quanto più i tre si addentravano nella palude senza nome.

 

Dapprima, Rin si girava ogni poco verso di lui, sorridendo titubante. Dopo un’ora di cammino, aveva smesso quasi del tutto di farlo, rapita dallo spettacolo della vegetazione lussureggiante, esplosiva, che li circondava.

 

Una grossa libellula era sbucata volando dalle ombre, le ali che frullavano pazzamente, per poi sfrecciare via.

 

Rin aveva lanciato un gridolino sorpreso e, senza attendere un momento, si era messa a correre appresso alla libellula, infilandosi tra un ontano e un cespuglio di orchidee e svanendo dalla vista.

 

Il semplice movimento del polso col quale Sesshoumaru aveva zittito Jaken una seconda volta era stato un mero movimento istintivo, mentre lasciava che i suoi sensi si dilatassero.

 

Solo nel momento in cui Rin aveva iniziato a correre, sottraendosi al suo sguardo, si era reso conto che, da quando erano entrati nella palude, aveva seguito ogni singolo gesto del cucciolo – della bambina.

 

I movimenti del capo, l’elasticità del passo, come i capelli si stessero pian piano appiccicando a causa dell’aria palustre che non poteva certo sfiorare lui; il battito del cuore che accelerava o rallentava a seconda di quel che Rin sentiva e vedeva. E, più di tutto, l’odore.

 

Nel momento in cui la bambina chiamata Rin era corsa appresso alla libellula che aveva catturato la sua attenzione, i sensi di Sesshoumaru l’avevano seguita, e un mondo nuovo gli si era schiuso.

 

Coglieva il rumore lieve dei passi di Rin, che lo informava di cosa la bambina stesse calpestando e della lunghezza della sua falcata.

L’aria mossa dai movimenti di lei creava invisibili correnti che rimbalzavano e si torcevano, sfiorando le sue vesti e la pelliccia della coda.

Non c’era alcuna paura nell’odore di Rin, ma solo curiosità e stupore …

 

e ora è in una radura. Tra i rami degli alberi che la circoscrivono, nidi di uccelli. La libellula volata via. Altri insetti. Cammina a passo svelto. Odore di erba schiacciata dai suoi piedi minuscoli. Non corre. Il terreno vibra in un certo modo, quando si inginocchia. Cosa sta fissando? L’aroma di alcuni funghi. L’odore di questi funghi, è un veleno per gli esseri umani. La conoscenza gli si presenta spontanea, senza che lui sappia da quale angolo della sua mente sia venuta, e lui la accoglie come tutto il resto di quel che gli si sta spalancando davanti. Il corpo di Rin si tende. Emana un odore, non di paura, ma di tensione e cautela. Dunque, sa che il fungo è un pericolo. Dunque, lui non ha bisogno di intervenire. Rilassa le dita eleganti che aveva contratto d’istinto. Altre misteriose correnti nel vento lo sfiorano, più lievi del tocco di ali di farfalle, mentre la bambina chiamata Rin si rialza, l’attenzione catturata da un altro mistero, e si allontana di corsa di qualche altro metro. Qualcosa si è mosso tra i cespugli al di là della radura. Un piccolo roditore che fugge; puzza di paura addosso

 

Mentre raccoglieva queste impressioni, nuovi suoni prima inuditi si erano presentati al suo orecchio, nuovi odori sconosciuti si erano fatti conoscere …

 

… ecco una goccia. Si stacca dal petalo di un fiore giallo – lo avverte dall’odore. La vibrazione della goccia che cade si propaga a sfiorare la sua pelle. Si schianta a terra. Sesshoumaru riesce quasi ad avvertire i singoli frammenti nei quali si disintegra prima di svanire.

Un rospo, a circa un centinaio di metri, fa guizzare la lunga lingua ruvida e in un attimo ingoia la libellula che era stata inseguita da Rin. Con un balzo si tuffa in acqua.

Gli animali e gli youkai che popolano la palude si sono nascosti avvertendo il pericolo della sua presenza. Lui lo sa e non se ne cura. Ma adesso non solo conosce ogni singolo nascondiglio nel quale hanno deciso di rintanarsi. Adesso, le correnti che lo accarezzano lo tengono informato di ogni loro singolo movimento, compreso quello lento del respiro che cercano di soffocare per non farsi trovare.

Adesso, lui sa, mentre prima non sapeva, che anche i colori hanno un odore. La forza intensa del rosso, la pazzia del giallo, il ciclico mutare del verde.

Non sa nulla degli esseri umani, se non che è semplice ucciderli, ma adesso conosce tutto quel che può nuocere alla bambina chiamata Rin – e come sventarlo.

 

Nello spazio di tre passi, il mondo nuovo che gli si apre davanti diventa il mondo che conosce da sempre.

Lascia che anche questo accada, secondo le parole di suo padre.

 

Sesshoumaru, tu sai che il tempo ci trascina con noi, come fa con tutte le altre creature che popolano questo mondo. E sai però che non ha potere su di noi, poiché noi esistiamo dentro e fuori del tempo.

 

Sesshoumaru lo aveva sempre saputo, così come sa da sempre tutto ciò che conosce. Il mondo nel quale lui esiste soggiace al tempo e al suo movimento. Le creature inferiori chiamano questo fenomeno, passato, presente, futuro. Parole prive di senso, per quanto lo riguardano.

 

Lui esiste all’interno di ciò che è chiamato presente, ma al tempo stesso all’interno di ognuno dei momenti conosciuti come passato. Hanno per lui la stessa qualità e il medesimo significato, sono ugualmente reali e tutti stesi davanti a lui, un’infinita teoria di istanti all’interno dei quali lui vive.

 

Sì, il tempo non ha alcun potere su di noi, Sesshoumaru, ma sappi che questo è vero solo per noi inuyoukai. Sugli altri youkai, al contrario, così come sugli esseri umani, il tempo esercita la sua potestà.

 

Sesshoumaru se ne era stupito. Era convinto che questo valesse solo per le creature mortali, che solo loro fossero assoggettate alla tirannia del tempo. Poi, aveva accettato le parole di suo padre, ricavandone ancor più la convinzione della propria ineguagliabile superiorità.

 

Sappi anche, Sesshoumaru, che esiste un luogo nel quale il tempo ha potere persino su di noi.

 

Questo aveva turbato Sesshoumaru. E poi, l’impensabile era accaduto. Suo padre era stato …

(contaminato dal tempo)

…congelato in un attimo del tempo dal quale non si sarebbe potuto sottrarre. Mai più.

 

Un ringhio dal fondo della gola.

 

E prima che questo accadesse

(a causa di questo)

… si era mischiato; aveva mischiato il suo sangue, la sua schiatta, con quello di una creatura schiava dello scorrere del tempo.

Sesshoumaru era certo che fosse questa la ragione per la quale il tempo lo aveva … infettato.

 

Poiché il tempo non ha alcun potere su di lui, ciò che non era fino a un attimo prima, è ciò che è da sempre e ciò che sarà per sempre.

 

E poiché lui esiste in ogni istante che forma la sua esistenza, da quando sua madre lo ha collocato nel mondo, conosce ciascuno degli odori dei colori che ha annusato durante tutti i secoli della sua esistenza. E ode tutti i suoni che il suo udito più affilato è stato capace di cogliere. E avverte ogni bisbiglio e respiro che mai lo abbia lambito.

 

Poiché noi, Sesshoumaru, siamo coloro che cambiano senza cambiare mai.

 

 

Nelle ore seguenti, Sesshoumaru non aveva trovato affatto strano che la bambina chiamata Rin si allontanasse sempre più spesso da lui, lasciandosi raggiungere di tanto in tanto per poi andare a esplorare ora un laghetto intravisto tra gli alberi ammantati di muschio, ora a scoprire la provenienza di un suono ignoto.

Eppure, Sesshoumaru sapeva che il comportamento della bambina era inusuale. Un cucciolo umano, in un ambiente del genere, sarebbe dovuto essere più timoroso.

Ma da dove nasceva questa sapienza? Da quando conosceva queste cose sugli esseri umani?

Da sempre. E per sempre.

Per un attimo, uno degli infiniti attimi che formano la catena della sua esistenza, aveva sperato che la bambina chiamata Rin mettesse un piede in fallo, cascasse in un pozzo di sabbie mobili, precipitasse in un fosso profondo, affogasse in una pozza d’acqua putrida. In quell’unico attimo, avrebbe permesso che succedesse. Per la prima volta si era di ritrovato incerto se lasciare venire o meno alla luce una parte di sé.

 

Ma la sensazione del ferro che lacera. Carne, muscoli e ossa – la zanna di suo padre, impugnata da Inuyasha, che gli stacca il braccio. Perduto. Non ha importanza. Vive allo stesso modo gli istanti  nei quali possiede due braccia, e quelli nei quali ne possiede uno solo. Ma non potrà tollerare di conoscerne altri …

(futuri e già passati)

… nei quali dovesse ripetersi un simile evento. Affinché questi istanti che le creature inferiori chiamano futuro non debbano mai concretarsi, la bambina è, in un qualche misterioso modo, necessaria.

E dunque, accada ciò che deve.

 

 

La bambina chiamata Rin era ora sul bordo di un pozzo nero. Liquido scuro, oleoso, surriscaldato da misteriose correnti sotterranee; frutto di cose morte decine di millenni prima, pronto a catturare le creature viventi, spogliandole del loro guscio di fragile carne e lasciando imprigionate le ossa, intatte in immutabile attesa.

 

Rin, cauta, era sporta a osservare questa inimmaginata novità, la pelle sudata per la curiosità e la soggezione non meno che per il calore, quando il liquame nero e bollente era parso scoppiare, il corpo dello youkai ivi immerso si era proiettato fuori, un gigantesco lombrico, molle, cieco, affamato, bocca sdentata ma letale. La bambina era cascata a sedere urlando, le mani schiacciate sulla faccia, schizzi bollenti a ricaderle attorno, incolume per mero caso.

 

E lui era troppo lontano. Aveva lasciato che la distanza con la bambina chiamata Rin si facesse troppo grande, e ora neppure lui sarebbe stato capace di colmarla in tempo.

Le sue gambe erano scattate, trasportandolo quasi di loro propria volontà in direzione del pozzo nero. E fasce di muscoli di cui neppure sospettava l’esistenza avevano fatto forza, scagliandolo come una folgore bianca … e l’esaltante sensazione di squarciare la stessa aria, come se questa fosse troppo lenta per scostarsi al suo passaggio, e il ringhio di frenesia e ferocia che gli aveva teso le labbra … e una cosa che aveva detto una volta a Inuyasha …

(quanto sei veloce, quando devi proteggere quella femmina umana)

 

… e non c’è tempo a sufficienza … ma questo non importa … perché il suo eterno nemico non ha né mai avrà potere, no, non su di lui, su chiunque altro forse, ma mai su di lui, mentre il suo youki si dilata e la mangrovia che sta sul tragitto che sta divorando si disintegra in una manciata di pagliuzze prima che lui anche solo la sfiori, e ora lo youkai emerso dal pozzo nero si immobilizza nello sconvolgente terrore di percepire la furia della folgore bianca che sta trapassando il cuore della palude per annientarlo.

Sesshoumaru legge nella tensione del corpo vermiforme l’intenzione di ritirarsi e fuggire da dove è venuto ma non c’è tempo. Non per una creatura che del tempo è schiava, una cosa inferiore, fatta solo per strisciare. E. Non. Per. Questo!

 

Lo youkai si sbriciola, mentre la sua mano gli trapassa le carni molli e con una torsione del braccio lo manda in frantumi.

 

I suoi piedi posati sul bordo del pozzo, vicino alla bambina che ancora grida di paura, il suo corpo tornato nella quiete dell’immobilità prima che gli ultimi brandelli dello youkai ricadano nel liquame dal quale è uscito.

 

E aveva poggiato appena le punte degli artigli sporchi di sangue alle labbra.

“Avevate ragione, padre. E’ un sapore diverso.

 

E poi.

 

“Basta così, Rin! E’ tutto a posto.”

 

La bambina chiamata Rin aveva scostato le manine dal viso, gli occhi bagnati di pianto.

Ma appena lo aveva guardato e si era resa conto che non c’era più alcun pericolo, aveva sorriso, le lacrime avevano smesso di scorrere, si era alzata da terra e gli aveva carezzato gli hakama.

 

Il primo istinto di Sesshoumaru sarebbe dovuto essere quello di por fine alla vita della bambina per avere osato una cosa del genere; sarebbe dovuto, ma non era stato. C’era solo un vago disagio, come se mancasse qualcosa.

Non si era chiesto la ragione per la quale la bambina fosse diversa dagli altri esseri umani; si era limitato a sollevare con lentezza il braccio, puntando l’indice nella direzione del pozzo.

La bambina aveva seguito con attenzione il suo movimento e quando lui aveva detto quell’unica parola “Salta. non aveva esitato.

 

Si era girata, si era rannicchiata e aveva spiccato un balzo in direzione del pozzo colmo di liquame, e solo quando la spinta si era esaurita e aveva cominciato a precipitare, Sesshoumaru l’aveva afferrata per la collottola con un pigro movimento del braccio, per posarla a terra al suo fianco.

 

Scrutando gli occhi di Rin, vi aveva letto solo una fiducia e un’adorazione cieche e assolute.

Nulla di meno di quanto gli spettasse.

E la tranquilla certezza che niente le potesse nuocere.

Come era giusto che fosse. Poiché nulla, nulla avrebbe mai più potuto toccare Rin, salvo che lui e lui solo decidesse altrimenti.

 

Non c’era stato più nessun fastidio, quando Rin gli aveva accarezzato gli hakama una seconda volta. Ora era permesso.

 

E un altro odore nuovo si era fatto scoprire, ancor più misterioso di quello dei colori. Il suo naso era stato colpito dal profumo.

Stupito, si era scoperto capace di carpire l’odore dell’anima degli esseri umani, la misteriosa sostanza di cui gli youkai sono privi.

Orgoglio e un vago timore gli si erano attorcigliati dentro, per poi scemare, poiché …

… lui conosce l’odore delle anime di tutti gli esseri umani che hanno incrociato il suo cammino, da sempre, quelli che lui ha ucciso, coloro che ha ignorato, quei pochi tanto folli da averlo sfidato; il profumo (mughetti gettati in un falò) dell’anima della donna mortale con la quale il padre si è congiunto, perfino quella del suo fratellastro.

 

E questa è la prima volta, in tutti i suoi secoli, in cui fiuta una tamashii che non conosce timore per la propria mortalità.

 

Aveva annuito in silenzio davanti a quel dovuto omaggio.

 

 

 

Ma in questo ora ciò che è lo condanna a un imprevedibile supplizio. Poiché il tanfo raccapricciante  delle anime dei due morti viventi è più di quanto persino lui possa sopportare.

 

Colui che ha quasi ucciso Rin ed è steso a terra con una freccia piantata nella gola, è simile a un albero colpito da un fulmine, spaccato in due; vivo nonostante la morte, a contorcersi di pazzia.

 

Eppure è ben poca cosa, rispetto al coro folle di anime chiuse nel corpo di terra che gli è inginocchiato accanto. Il puzzo combinato di queste anime irrancidite gli fa quasi girare la testa.

E al centro del caos: una scheggia, un brandello. Non credeva che le anime umane potessero lacerarsi, venire strappate, ma si sbagliava.

Può resistere alla puzza solo perché l’odore sta svanendo. Non sa perché, ma si rende conto che il frammento d’anima che ha dato vita alla cosa sta scomparendo, risucchiata poco a poco in una voragine che lui non comprende.

 

Vorrebbe cancellare l’onta che la creatura rappresenta per il mondo al quale lui stesso appartiene, ma non può farlo, così come non può allontanarsi. Onore e vendetta glielo impediscono.

 

I due morti stanno decidendo se continuare la loro esistenza dannata ancora un altro po’ e lui attende che l’aberrazione coi vestiti da miko scelga cosa fare di se stessa.

 

Se dovesse decidere di perire, lui stesso la farà a brandelli, vendicandosi così per l’affronto che lei gli ha inflitto salvando la vita di Rin. E ripagherà il suo debito di riconoscenza, liberandola della sua miseria.

 

Se dovesse decidere di sopravvivere, lui la lascerà andare dimenticando l’insulto e cancellando così il suo debito d’onore; e la punirà prolungando la sua vita maledetta.

Potrà tollerare di lasciarla andare via, sapendo che in tal caso la sua punizione sarà la più spietata.

 

Per lui il tempo non ha significato. Solo, spera che i due morti decidano in fretta.

  
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