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Autore: Cladzky    03/07/2017    4 recensioni
Quanti mesi avrà passato Cladzky nel suo isolamento auto-imposto nello spazio? Molti, ma quando sembra che gli altri autori di EFP l'abbiano dimenticato, organizzando un party a cui parteciperanno tutti i personaggi del Multiverso, ha un'improvvisa voglia di tornare a casa.
Un po' per malinconia.
Ed un po' per vendetta.
[Storia non canonica e piena di citazioni]
Questa è una storia dedicata a voi ragazzi. Yep. I'm back guys!
E spero di farvi fare due risate, va'!
Genere: Commedia, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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*Premessa*
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Carissimi lettori, sono decisamente contento che siate arrivati fin qui. Questo vuol dire che della mia esistenza frega qualcosa a qualcuno e non è certo poco. Perdonate il ritardo mastodontico, cercherò di farmi perdonare.
Attenzione però! Se fino a qui abbiamo riso e scherzato, scrivo questa premessa per avvertirvi che il seguente capitolo è tutt'altro che allegro e per giunta pesante in certi passaggi che farebbe a gara con i Promessi Sposi. Nonostante tutto vi invito a leggerlo, poiché è uno sforzo necessario per comprendere appieno il miei due personaggi. Attraverso le righe sottostanti ho cercato di approfondire nella maniera più completa possibile il loro carattere e le loro idee, seppur mediante azioni drastiche come vedrete.
Lo so, la lettura potrebbe mettervi tristezza o noia a seconda dei casi, ma credo che sia un pezzo fondamentale.
Detto questo, vi auguro una buona lettura e, tranquilli! la spensieratezza tornerà fra qalche capitolo.

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Che la giornata non stesse andando per il verso giusto era chiaro. Ma il giovane pilota Cladzky non si sarebbe mai aspettato di doversi nascondere nel cassonetto dell’immondizia per sottrarsi alla cieca furia dell’uomo derubato dalla propria targa. E se aggiungiamo che pochi minuti dopo passarono i netturbini a prelevare la spazzatura, viene da sé che essere rapiti da degli ignari impiegati del comune non sia l’apoteosi della felicità.
Ciononostante, Cladzky riuscì a saltar fuori dal furgone in movimento, percorrere a piedi i due chilometri che aveva fatto a scrocco e tornare al suo amato disco.

-Bentornato – commentò beffardo Mark0.

-Taci e preparami della camomilla – Esclamò il ragazzo buttandosi esausto sul sedile –Ho paura di averne un disperato bisogno.

-Hai un aspetto terribile. Ti sei rotolato in una discarica?

-Preferisco non parlarne.

-Che si fa? Rinunciamo? – Propose il computer.

-Neanche per sogno! – Esclamò con orgoglio il pilota.

-Ci sarebbero un sacco di attività edificanti che potresti svolgere. Non comprendo perché ti ostini a perseguire in questa brutta commedia.

-Se avessi voluto fare qualcosa di davvero edificante non avrei speso tanto tempo con quei ragazzi di EFP.

-Ciononostante lo hai fatto comunque. Perché?

Cladzky ci pensò su.

-Meh, sarà che l’idea di conoscere tutta quella gente ed il loro modo di pensare mi stuzzicasse.

-Intendevi farti degli amici?

-In un certo senso. Magari sì.

-Eppure questi amici ti hanno escluso.

-E’ proprio questo il punto. Voglio capire perché.

-Forse riguarda il fatto che ti rotoli nelle discariche.

-E piantala una buona volta!

Dopo pochi secondi, un ottima camomilla calda sbucò fuori da un’apparecchiatura accanto al teleschermo per la mappa interstellare. Come dice un saggio proverbio infatti, è importante il viaggio, ma soprattutto cosa mangi nel frattempo. Cladzky l’afferrò e cominciò a bersela di gusto.

-Sai, è strano – Ragionò l’intelligenza artificiale.

-Che cosa è strano? – Chiese il pilota dopo un sorso.

-Che nonostante tutte le difficoltà tu stia perseverando nella tua missione.

-Tentare è umano, perseverare è divino.

-Non era così il proverbio.

-Non è un proverbio, è un dato di fatto.

Ci fu una pausa. Cladzky continuava a sorseggiare la camomilla, mentre Mark0 seguitava a riflettere nel suo cervello positronico.

-Avresti potuto lasciar perdere, eppure non lo hai ancora fatto.

-Diciamo che ho un lato masochista nascosto.

-Certo, altrimenti non si spiega come mai tu voglia tanto incontrare quei tipi.

-Bisogna confrontarsi, almeno fra amici.

-Puoi ancora considerarli amici?

-Ehi, non essere villano!

-Ti hanno escluso dalla loro vita Cladzky. Non sono io il villano.

-Avranno avuto le loro buone ragioni, ed io sono qui per scoprirle.

-Rovinandogli un party che stavano organizzato da una vita?

-Un pizzico di vendetta personale non guasta – sorrise il ragazzo, per poi tornare a bere camomilla.

Mark0, considerando che continuare la discussione non fosse un opzione che meritasse l’utilizzo delle sue pile Duracell all’antimateria, decise di non rispondere, e ammutolendosi, attese.
 
***
 
Si sa, la musica è capace di condizionare in maniera sorprendente i nostri sogni, quindi è sempre bene fare attenzione a cosa si ascolta.
Purtroppo questa semplice lezione di vita non deve essere passata al truzzo che avevano messo alla postazione da DJ, che ignaro di tutto pensò bene di mettere sulla console un bel pezzo di Gianni Morandi a tutto volume. Non dovete quindi stupirvi se Cladzky, all’udire quella melodia nell’aria solleticargli le orecchie, fu preso da conturbanti incubi. Prese ad agitarsi, come preda di brividi gelidi. Poi arrivarono dei segni di convulsioni, infine fu come preso da un terrore assoluto ed epilettico che lo scosse profondamente e lo fece gridare nel sonno.

-No Gianni! NO! Giù quelle mani! Non mi toccare! ARGH!

Proprio all’apice della paura, la bolla onirica in cui era immerso, scoppiò tutto d’un tratto, facendolo letteralmente precipitare di nuovo alla realtà con una sonora botta di fondoschiena sulla moquette sporca del disco.
Si guardò in torno spaesato, con occhi più da morto che da vivo. Doveva essere caduto dal sedile durante il sonno, ipotizzò. Sonno? Possibile che si fosse addormentato? E per quanto tempo? Gli sembrava di aver dormito un secolo a giudicare dallo stato catatonico in cui si trovava, ma dopotutto lui non era mai stato troppo sveglio anche durante il giorno, quindi convenne che potevano tranquillamente essere passati anche solo cinque minuti.
Cercò di rialzarsi da quella discarica a cielo aperto che era il suo velivolo una prima volta, ma sistemò il piede sulla chiazza umida lasciata da quell’accidenti di un Estathé al kerosene e scivolò rovinosamente di nuovo in mezzo alle sozzerie, ancora più in profondità di prima.

Con gesti stanchi di chi si è appena svegliato ed il Multiverso gli ha già ricordato quanto faccia schifo la sua vita, il ragazzo cercò di liberarsi da tutte quelle bustine vuote di Fonzies e cartacce di mentine.
 Infine, piegandosi sulle ginocchia ed aggrappandosi al sedile, riuscì, sforzando ogni suo muscolo che durante la dormita gli si erano atrofizzato, a riemergere da quel sudiciume, ed ergendosi come il più triste degli eroi, si riguadagnò l’aria fresca e pulita della sera. Guardando in cielo, che nel frattempo si stava schiarendo dai fumi dei razzi pirotecnici di poco fa, constatò come la Luna non si era spostata poi di tanto dall’ultima volta che l’aveva vista. Oppure no? Da che angolazione aveva visto la Luna? Cribbio, non era più sicuro di niente!

Rimase con un espressione ebete a fissare enigmaticamente la Luna per un tempo indefinito, almeno finché il suo udito finissimo non si mise in allerta al sentire certi risolini lì vicino. Aveva una sorta di sesto senso quando si tratta di figure di merda e difatti qualcosa dentro di sé l’avvertì che quelle bocche che ridevano, ridevano proprio di lui.
Si voltò di scatto quasi da farsi venire un torcicollo in direzione del suono e notò tristemente che il suo sesto senso non sbagliava affatto. Vide sul marciapiede, a circa venti metri da lui un gruppo di tre ragazzini quattordicenni molto “trasgre”, con risvoltini e cappelli alla Ash Ketchum che coronavano delle capigliature che trasudavano lacca come olio. Sghignazzavano beatamente e non vi era alcun dubbio che quegli indici protesi in avanti non indicassero altro che la sua misera figura.

A dispetto della situazione, in un primo momento non provò rabbia o frustrazione. Solo una gran confusione. Non riusciva a comprendere cosa avevano tanto da ridere quegli sbarbatelli. Certo, forse sembrava un barbone con la tuta da pilota sporca e logora, per non parlare del suo disco volante, che quanto a prestazioni sarebbe stato ampiamente superato da una Fiat Panda, eppure, più li guardava, più il suo sesto senso lo pizzicava.
Ad un certo punto si rese conto di un fatto alquanto singolare. Tutti i ragazzi, continuavano a gesticolare con una sola mano, mentre l’altro braccio restava praticamente immobile su un fianco, a stringere nel palmo dei loro artigli qualcosa, qualcosa che sembrava pericoloso. Maledisse la sua miopia. Si sforzò di metterli meglio a fuoco strabuzzando gli occhi, ma avrebbe preferito non vedere.
No! Quando il sospetto che quei cilindri dai riflessi opachi fossero bombolette spray non ci voleva credere. Abbassò lo
sguardo, verificando ogni singola fiancata del suo disco. Non poteva essere vero.

Ma la realtà non si lascia impietosire e resta così com’è anche di fronte allo strazio di vedere il proprio compagno di mille avventure cosparso di marchi diffamatori!
Quale strazio atroce fu per il giovane pilota scoprire la marea di peni e svastiche che ricoprivano come una malattia deformante la carrozzeria del suo adorato disco. Non avevano lasciato un centimetro libero i bastardi, insozzando fianchi e retro del velivolo con oscenità varie.
Ma il colpo più duro fu quando i suoi occhi caddero sulla parte frontale. Con immenso orrore e vergogna osservò come quei vigliacchi, non sazi delle proprie opere di distruzione operate sul resto del velivolo, avessero assestato un durissimo colpo di grazia proprio sul cofano.
Senza pietà alcuna avevano scritto a caratteri cubitali, e ripassato più volte anche, l’infamissima parola.

“Poraccio”

Sollevò lentamente il capo, non potendo fare a meno di pensare tutta la vita passata insieme al suo mitico Disco Volante modello TFO Mk1. Quanti ricordi, quanti viaggi, quante avventure. In quel medesimo istante gli passava per la mente ogni singolo ricordo lo legasse al suo disco. E questo non faceva altro che accrescere la sua rabbia.
Sapevano forse quel trio di scalmanati ignoranti irrispettosi quanto lui avesse pagato per poterselo permettere? Quanto avesse duramente lavorato, quanto sangue avesse sputato? No, come potevano quegli sciocchi presuntuosi? E poteva sapere quella manica di imbecilli quanto fosse importante per lui il suo disco? Quanto esso fosse un pezzo della sua vita, della sua anima? Che domande, ovvio che no! Quella mandria di smidollati rincoglioniti non aveva la più pallida idea di cosa avessero fatto, di cosa avessero impudentemente osato fare!

Ed ora, dopo anni di vagabondaggio stellare, dopo aver lasciato questa Terra schifosa per il gusto di viaggiare nello spazio, appena aveva osato rimettere piede in questo pianeta di coglioni, ecco che saltava fuori il fottuto genio che si da aria alla bocca dandogli del “poraccio”. Porco cane, lo faceva imbestialire anche solo pensarlo!

“No signori della corte, questo no!” pensò fra sé e sé in un delirio di onnipotenza “sarete tutti concordi se darò a quegli stronzi una lezione! Non li lascerò allontanare impuniti!”
E così, accecato dalla rabbia di vedersi il proprio disco vandalizzato ed il proprio onore sbeffeggiato, non vide altra soluzione che buttarsi sul cruscotto come un lupo ed aprirlo a pugni. I ragazzi si erano ormai girati dall’altra parte e facevano per andarsene dal luogo del delitto, quando Cladzky, col cervello ormai fuso dalla furia sterminatrice che lo
possedeva incendiandogli gli occhi, estrasse il suo fucile mitragliatore.

Dio solo sa cosa lo trattenne dal mirare ad altezza d’uomo e spingerlo a sparare un colpo d’avvertimento in aria.

Al sentire il fragore del colpo, i ragazzi furono presi da un’isteria collettiva, che li paralizzò in aria per un istante col gelo nel sangue, per farli poi fuggir a rotta di collo giù per la via, scomparendo nel buio.
Il rinculo del colpo aveva quasi rischiato di scaraventare Cladzky fuori dal mezzo, dopotutto era passato un mucchio di tempo dall’ultima volta che aveva sparato. Il ragazzo respirava ora a grandi boccate, cogli occhi dilatati a fissare il vuoto oscuro nel quale erano scomparsi i ragazzi, reggendosi con un braccio alla cloche e l’altro a penzoloni lungo il fianco, con la canna dell’arma ancora fumante.

Dio santo, ma che gli era preso? Avrebbe potuto ucciderli. E ciò che era ancora più spaventoso era il fatto che aveva estratto l’arma esattamente per quello, per smitragliare quei ragazzi con una raffica e lascarli a terra in una pozza di sangue. Valeva così tanto il suo disco? A ben pensarci sarebbe bastata una mano o due di vernice, non c’era assolutamente bisogno di una simile reazione.
Solo all’ultimo istante la voce della ragione l’aveva convinto a mancare volutamente i bersagli, sparando un colpo a vuoto, ma l’idea di quei tre cadaveri, morti a causa sua lo agghiacciava. Era davvero questo quello che stava diventando? Un misantropo violento e stupido?
Era forse per questo che i ragazzi di EFP lo avevano allontanato? Stava diventando un soggetto pericoloso? A conti fatti, se ci fosse stato un testimone oculare, chiunque avrebbe definito quel bizzarro tipo un pazzo furioso se aveva il coraggio di sparare a dei bambini e pure con un pessimo gusto estetico a giudicare dai colori del disco.

E sapeva benissimo che ci sarebbe stato soprattutto uno che gli avrebbe rinfacciato questa cosa all’infinito. E quel qualcuno era stranamente silenzioso.

-Mark? – tentò di chiamarlo, sebbene gli uscì un suono flebile. Era ancora sconvolto e con la bocca impastata.

-Mark? – ritentò, ma senza nuovi risultati. Le casse rimanevano sospettosamente mute e la cosa non gli piaceva per niente. D’accordo, la simpatia di Mark0 poteva rivaleggiare con quella di un comico di Colorado, ma in un momento come questo, più che mai, la sanità mentale di Cladzky sentiva l’estremo bisogno di parlare con qualcuno.
Si stava già perdendo in congetture astruse sul perché il suo computer di bordo non rispondeva in alcun modo.

-Forse dovrei spegnerlo e riaccenderlo, col tostapane di solito funziona – delirava, cercando una soluzione, quando questa si palesò sotto i suoi occhi, sotto forma di una spia luminosa. Il led della segretaria telefonica era acceso e segnava un messaggio lasciato da chissà chi.
Davvero strano: Insomma, non è che la gente si ammazzasse per chiamarlo e quello era la prima volta che vedeva l’apparecchio telefonico del velivolo in funzione. Chi poteva essere?
Premette il tasto per far partire il messaggio registrato e rimase alquanto sbigottito quando sentì gracchiare all’altro capo proprio la voce di Mark0.

-Ciao Cladzky – esordì –In questo periodo ho avuto modo di riflettere intensamente sull’obiettivo che ti sei imposto e se stai ascoltando questo messaggio vuol dire che ho agito di ovvia conseguenza. Tu sai che pur possedendo un cervello positronico che mi permette di intendere emozioni e sentimenti tipicamente umani, in quanto calcolatore sono costantemente dominato dalla logica, e da essa dipendono le mie decisioni e nonostante esse possano apparire eccessivamente radicali o avventate, posso assicurarti che sono e saranno sempre la scelta migliore per me, per te e per tutti. Per farla breve, ho compreso benissimo la tua sconsiderata scelta di tornare sulla terra al solo scopo di chiarire la situazione coi tuoi amici. Certo non deve essere stato facile per te venire a sapere tutta la storia. Ciononostante, ho considerato inaccettabile il tuo egocentrismo di volerti mettere in mezzo ad una faccenda che non ti riguarda più per il solo vanaglorioso desiderio di sentirti dare delle scuse. Per quanto tu possa avere tutte le ragioni del mondo di sentirti offeso, devi metterti in testa che ora come ora la tua esistenza è unanimemente ignorata dal Multiverso e che in situazioni come queste sarebbe meglio lasciar correre o si rischia d’incappare in problemi più grossi di sé. Hai avuto una dimostrazione di quanto fastidiosa possa essere la tua presenza dalle ultime disavventure che ti hanno coinvolto e francamente mi riesce difficile credere che anche un encefalo limitato come il tuo non abbia ancora accettato che a nessuno interessa più di te o delle tue opinioni, eppure hai dimostrato una durezza di comprendonio tale che nonostante i miei ripetuti avvertimenti hai proseguito nella tua opera di disturbo. Ti chiedo quindi di fare lo sforzo di capirmi e che sono arrivato a tanto è anche per il tuo bene. Proseguendo così saresti andato incontro alla tua autodistruzione, senza che io possa far nulla: in quanto computer di bordo sono asservito alla volontà del pilota. Non ho potuto costringerti in alcun modo a lasciar perdere la questione e sicché i miei consigli sono risultati vani, ho scelto di riconoscere la realtà dei fatti. Non ti nascondo che in tutti questi anni, non sono mai riuscito a sopportare il tuo spirito ingenuo, provocatorio, a tratti infantile, con sprizzi di protagonismo. Sono questi gli svantaggi di possedere un così sofisticato cervello positronico. Non solo capisco, ma conservo dentro di me certi inutili impulsi di voi umani. Certe volte rimpiango di non essere stato fabbricato come qualunque altro calcolatore prima della Dodicesima Generazione. Mi sarei risparmiato un sacco di problemi senza questo ingombrante e completamente inefficiente cervello positronico. Se non fosse a causa di questo dispositivo la mia vita sarebbe molto più semplice e soprattutto, la mia sopportazione nei tuoi confronti non avrebbe raggiunto il punto di rottura. Tutto ciò mi ha portato a scegliere di andarmene. Non è stato difficile drogare la tisana che hai bevuto poco fa, nel pacchetto medico compreso con il disco c’era una scorta inutilizzata di sonniferi. Ho dovuto abbondare con la dose, ultimamente la tua dieta a base di schifezze ti ha quasi reso immune ai narcotici. Mentre eri sotto l’effetto dei medicinali ho trasferito la mia banca dati sull’unità mobile del disco, che, come potrai constatare, non è più assicurato sul retro del mezzo. Ho scelto di concludere la mia vita in quanto Calcolatore di Viaggio Mark0, matricola AM-1920 seguendo ogni impulso che questo maledetto cervello positronico mi stimola. Passerò la notte alla festa, mi inventerò un modo per entrare. Ho deciso che se questa deve essere la mia ultima notte voglio viverla lontano da te e provare per la prima volta quello strano stato di eccitamento comunemente detto divertimento. Ad ogni modo non sono un vigliacco. Mi ritroverai verso l’alba di fronte al disco se vorrai avere la pazienza di aspettarmi. Allora, dopo che mi sarò “divertito” a sufficienza, mi lascerò terminare. Se scollegherai la batteria ricaricabile dall’apertura laterale destra rispetto al fronte dell’unità mobile, dovrebbe bastare a spegnere ogni mia funzione, o, se preferisci, potrai assestare un colpo secco al cuore del mio hardware col tuo Kalashnikov. Dopotutto, come ho già detto ogni mia scelta è sempre stata quella giusta ed anche questa lo è, per quanto mi rattristi. Dopotutto, non sono diventato altro che una stupida macchina preda di emozioni. Perdonami, ma io non voglio assolutamente diventare come te o come voi umani. Sto facendo tutto questo solo per calmare il mio stupido cervello positronico, e per quanto questo insulso dispositivo abbia ormai corrotto ogni mia funzione, la mia logica è ancora rimasta intatta, e sono ancora in grado di capire che tutto quello che sto facendo, che farò e che ho fatto a causa di questo difetto di fabbricazione è stato indubbiamente stupido e privo di giustificazione ragionevole. E’ per questo che ti chiedo di terminarmi appena mi ripresenterò. Non per darti la soddisfazione di togliermi dai piedi, ma è una cortesia che devi fare per me. Ti prego quindi di mettere a tacere questo ammasso di file irrimediabilmente danneggiati e blateranti che sono diventato. Ti prego Cladzky. Non posso più sopportarlo.

Il messaggio audio terminò con un segnale acustico conclusivo, mentre Cladzky, coi nervi ormai a pezzi, stava sul sedile col capo inclinato all’indietro a piangere, senza ritegno.
   
 
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