Libri > Guida galattica per gli autostoppisti
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Autore: GinChocoStoreAndCandy    06/07/2017    1 recensioni
Che cosa accadrebbe se invece dell'Umanità, ci pensasse Madre Natura a far fuori i Giganti?
(Si consiglia di aver letto o visto o conoscere almeno un'opera di Douglas Adams)
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: Cross-over, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Tra le vastità delle sue voci, la Guida Galattica riporta le usanze tipiche dei pianeti presenti all’interno della Galassia. Una di queste, tratta della pittura di parti del corpo.
Nel pianeta Neomey, ad esempio, la popolazione indigena, durante la festa che segna Il Probabile Avvento del Fazzoletto da Naso, usa pitturare il proprio corpo con sostanze fosforescenti per segnalare la propria presenza ed impedire quindi tale disastroso Avvento.
In culture più primitive, la pittura del corpo rappresenta una specie di status sociale: i Litorali del pianeta Lithios decidono chi sia il loro leader in base alla disposizione dei cerchi dipinti sulla testa dei candidati; nel pianeta Inua 4 gli Inuesi si colorano il viso con disegni di fiori collosi blu per diversificare il loro status sociale altolocato da coloro che si pitturano con i fiori mellosi gialli.
Sulla Terra invece, era da poco stata scoperta una certa vernice che, se applicata sulle unghie delle mani e dei piedi, rendeva più attraenti gli abitanti di sesso femminile.
 
 
 
 
 
 
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Annie Leonheart se ne stava tranquillamente ad ammirare il capolavoro di precisione sulle sue unghie. Nessuno sbaffo, nessun grumo, nessuna sbavatura, era perfetto, una cosa del genere avrebbe fatto invidia a chiunque. Iniziò ad avere qualche rimorso per non aver ringraziato chi le aveva fatto una cortesia del genere e di averlo lasciato ammanettato ad un tavolo; sospirò, aprendo la porta con sopra il cartello con scritto Attenti al Leopardo, pensando che l’occasione per ringraziarlo non sarebbe arrivata prima di martedì, sempre che ce ne sarebbe creata una; tuttavia, entrando, scoprì che tale occasione era più fattibile di quello che pensava dato che il soggetto in questione era in piedi all’interno della stanza del custode e le stava puntando un fucile addosso.
—Tu maledetta pazza sociopatica! È tutta colpa tua!
—Ma non mi dire, qualunque cosa accade è sempre colpa mia!
C’erano delle cose che Annie era curiosa di sapere: la prima era se Levi l’aveva aspettata nella stanza in piedi con il fucile in mano, oppure, appena sentiti i passi, si era messo in posizione. L’altra cosa era il perché del continuo scendere lento e del salire veloce delle canne del fucile; diede la colpa al fatto che forse il suo ex prigioniero fosse leggermente brillo, oppure che in quel particolare punto c’era una forza magnetica tale che anche un uomo forte come Levi aveva difficoltà a tenete il fucile ben dritto. Fatto sta, che la formulazione di tutte quelle perplessità portò alla formazione di una piccola colonia di microrganismi in una piccola grotta vicino ad un deposito di ossa fossili.
Cosa che apparentemente non importerà a nessuno fino ad un certo momento.
Ciò che però davvero importava in quel momento ad Annie, era trovare una soluzione che non implicasse la sua trasformazione in gigante, un po’ perché avrebbe creato situazioni spiacevoli, soprattutto con l’Umanità, e nel caso lei e l’Umanità avessero parlato, le sarebbe toccato spiegare che cosa ci faceva fuori dal cristallo, nel bel mezzo della tarda serata della domenica, nella stanza del custode insieme ad un Caporale Maggiore dell'Armata Ricognitiva.
Per quel che riguardava Levi, invece, le sue di domande non generarono alcun microorganismo, ma solo una serie di situazioni paradossali.
—Adesso stammi bene a sentire, ti sei divertita a farmi fare tutte quelle cose noiose ieri sera, ora sarò io a farti qualcosa!
—Finalmente un po’ di iniziativa, piccolo arcobaleno!
—Zitta! — c’era qualcosa nella parola piccolo e nella parola arcobaleno che faceva venire in mente a Levi il logo della Gendarmeria —Ora dimmi che cosa fanno, in genere, le ragazze quando sono depresse?
—Che cosa? — ad Annie, la domanda invece, fece venire in mente una torta.
—Scusa, hai ragione: che cosa fanno, in genere, le ragazze che non si trasformano in giganti, quando sono depresse? — disse Levi eloquente.
—Mangiano la cioccolata — disse Annie altrettanto eloquente.
—Ah! Certo quella che si vende a pacchetti, non mi è mai piaciuta! Dimmene un’altra.
—Il gelato?
—Dove lo trovo a quest’ora il gelato?
—Insomma mangiano roba dolce!
—Ok, lo zabaione, va a farne una tanica! Muoviti!
Paradossalmente, Zabaione era anche il nome del Potente Signore Indiscusso del Sistema Vordeer che stava muovendo la sua flotta imbattuta da secoli verso un pianeta grigiognolo ed insignificante abitato solo da batteri carnivori che paradossalmente si chiamava Tanica.
—E dove la trovo la roba per fare lo zabaione ad agosto?
—Nella dispensa, è proprio dietro di te!
—Te lo scordi che mi metto a fare roba da casalinga, piuttosto passo le ore a sentire quella scienziata che blatera di modi per farmi uscire dal cristallo!
—Io sono dovuto stare le ore a sentire te che farfugliavi sul perché le scarpe vanno abbinate agli accessori, quindi tu adesso vai a fare quello che ti ho detto, e zitta!
Sebbene la situazione si stesse facendo pericolosa, ciò che Levi disse nel pieno della sua crisi di nervi fu proprio quello che andava detto per far tornare la situazione tranquilla.
—Tu mi hai ascoltato mentre parlavo? — chiese Annie.
—Metti che dicevi qualcosa di importante — rispose Levi.
—Oh, allora vado a fare il tuo intruglio fuori stagione.
—Già che ci sei allungalo con la vodka.
Annie se ne andò a preparare lo zabaione, stranamente di buon umore; Levi invece si mise a sedere appoggiando il fucile al tavolo.
La stanzetta dove si era ritrovato per sbaglio, apparteneva al custode del sotterraneo, figura che rasentava la mitologia nell’Armata Ricognitiva. Del custode del sotterraneo se ne sentiva tanto parlare, ma nessuno lo aveva mai visto, né tantomeno si sapeva da dove venisse. Solamente un soldato, una volta, aveva raccontato di averlo incontrato ad una festa e il custode lo aveva salutato dicendo che se ne sarebbe andato a vedere l’astronave di una tizia appena conosciuta.
A quella storia non ci credeva mai nessuno, tanto che era divenuta una leggenda; ma in realtà, se quella sera il soldato fosse andato a controllare se fosse stato vero quello che il custode diceva, allora molte cose sarebbero cambiate, specialmente per la razza umana.
Anche Levi conosceva quella leggenda, ma, come molte cose che gli stavano attorno, non gli interessava, così come non gli interessava minimamente che quella stanza fosse incredibilmente sporca.
 
 
 
 
 
 
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Per certi versi, l’interazione tra specie di pari intelligenze porta ad un incremento dello sviluppo sociale per entrambe le razze; l’interazione tra la razza dei Grubbelusch e quella dei Finfurlin aveva portato al miglioramento della tecnologia spaziale grazie alla quale, ora, entrambi i pianeti erano i migliori costruttori di astronavi della Galassia. Tra giganti e umani invece le interazioni erano pressoché nulle, non che non ci avessero provato, ma le conseguenze erano state così disastrose che nessuna delle due razze ne aveva voluto sapere per più di mille anni.
Il problema degli umani era però che erano terribilmente insistenti e se non fosse stato per quest’insistenza di base ora, Levi, un umano e Annie, un gigante, non starebbero nella stanzetta del custode, seduti ad un tavolo e a bere zabaione; in altri luoghi della galassia avrebbero bevuto del Gotto Esplosivo Pangalattico, ma nessuno dei due sapeva come prepararlo.
In compenso Levi sapeva come correggere lo zabaione versandoci dell’invecchiata e poco salutare vodka, cosa che ad Annie proprio non importava; l’unico motivo per cui, secondo lei, valesse la pena continuare a restare, era la prima affermazione che Levi aveva fatto appena l’aveva vista.
—Allora, che cosa avrei combinato sta volta? — chiese Annie.
Levi emerse dalla tazza di zabaione, che oramai era diventata vodka con un po’ di rimasugli della bevanda tipicamente invernale; incrociò lo sguardo della ragazzina e al ricordo sentì il bisogno di altro zabaione.
—Che ti importa? Oramai il danno è fatto! — disse Levi.
—Quale danno, non ho distrutto niente, ancora… — disse Annie.
—Ieri sera dovevo dire delle cose a una certa persona, ma poi tu mi hai incastrato con quella cosa della cera e non ho fatto in tempo a dire nulla a nessuno — Levi iniziò ad accarezzare le canne del fucile —E quando sono tornato a casa ho scoperto che Erwin e Hansie hanno una relazione da tre mesi e non so perché questa cosa mi fa incazzare e mi rende anche triste.
Annie iniziò a provare una specie di pena per quell’essere umano, non la pena che in genere provava di solito per quelli che al campo d’addestramento picchiava e poi venivano derisi, ma la stessa pena che si prova a vedere un cerbiatto orfano in una foresta; c’era anche da dire che rimase sorpresa per i gusti del soldato in fatto di donne.
—Wow, una bella batosta, mi dispiace — disse Annie.
—Già — disse Levi.
—Chi se l’aspettava che al Comandante piacessero le donne intelligenti, se devo essere sincera ci rimango un po’ male.
—Già.
—Insomma parliamoci chiaro, quella è un tipo particolare, forse sarà per questo.
—Già.
La monosillabicità, per quanto in certi sistemi stellari abbia scatenato dibattiti e dato vita a ingenti quantità di manoscritti, tra cui L’essenza della Sillaba No e Poesie di Vocali nel Mentre si Parla, in certi frangenti portava a delle perplessità, come accadde ad Annie: se era vero che a Levi piaceva Hansie, perché ad ogni risposta monosillabica e monotona, rispondeva in modo tale da far trasparire un significato diverso?
Una delle maggiori risposte a queste domande sta nel fatto che l’animo delle persone é più complicato di quanto si immagini, così come è complicato il trasferimento di questa complicatezza in una singola parola; alcuni psicologi sostengono che se le persone prestassero più attenzione a questo fattore, il senso della vita non avrebbe poi così tanto mistero.
Fu quindi cogliendo queste note che Annie decise, a suo rischio, di continuare con il dialogo.
—Scusa, ma a te chi dei due piace? — chiese Annie.
—Erwin, perché non si capisce? — rispose Levi.
—Insomma, mica tanto!
—Ah, comunque io stavo parlando di lui.
—Quindi ti piacciono i maschi, questo spiega la storia dell’igiene.
—No, quella è una nevrosi clinicamente riconosciuta.
—Certo — Annie si grattò la testa —E lui lo sa?
—Per colpa tua no!
—È questo che gli volevi dire alla festa; averlo saputo mi sarei goduta la scena.
—Non l’avrei detto davanti a tutti.
—E da quant’è che ti sei accorto di questa tendenza?
—Ci tengo a precisare che mi piaccio le donne, ma mi piace anche lui, e non lo so da quanto è che va avanti.
In realtà Levi lo sapeva, ma non aveva voglia di dirlo visto che gli stava venendo sonno.
—D’accordo, ma trovo tutta questa storia estremamente divertente e credo che resterò nei paraggi per vedere come va a finire — disse Annie allegramente.
—Fa’ come ti pare, io vado a dormire sul divano — disse Levi avviandosi al divano in fondo alla stanza.
—Lo sai che quel divano è pieno di polvere?
—Non lo è più, l’ho pulito mentre ti aspettavo.
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
Alcuni considerano le strade delle metafore della vita, la strada che percorre un uomo è il percorso per far maturare dentro di sé delle consapevolezze; altri sostengono che le strade che un uomo può percorrere sono infinite o tendenti all’infinito; in realtà, per le persone più pratiche le strade servono a collegare il punto A al punto B e viceversa il punto B con il punto A, evitando di passare per il punto D.
Annie avrebbe tanto voluto essere nel punto C, magari vicino al punto E che si trovava nei pressi del punto F, piuttosto che stare alla guida di una carrozza nella strada che collegava il punto A al punto B in pieno traffico cittadino.
Dopo aver deciso di andare a dormire, Annie aveva creduto che Levi l’avesse detto solo per liberarsi di lei, invece la ragazzina aveva costatato che si era davvero messo a dormire; anche lei si era messa a dormire di conseguenza, in un letto lì vicino, sognando di persone che le raccontavano di come si sarebbe inimicata l’intera Umanità semplicemente presentandosi ad un ufficio di collocamento.
Si era quindi svegliata confusa e con un gran desiderio di compilare un modulo per trovare un lavoro, quando Levi si era svegliato e l’aveva obbligata a portarlo alla sede dell’Armata Ricognitiva perché nel sogno si era ricordato di avere una riunione orientativa a cui doveva presentarsi vestito da commercialista.
Tralasciando all’unanimità la parte del commercialista, avevano preso la prima carrozza che avevano trovato ed ora, mentre Levi smaltiva la sbornia nella cabina, Annie, che odiava guidare le carrozze, si destreggiava nel traffico della prima mattinata con indosso un cappuccio per non farsi riconoscere.
La strada era pressoché deserta, le poche persone che c’erano, erano indaffarate a pensare al come raggiungere i loro punti B, eppure bastavano per far sì che il cavallo che trainava la carrozza sfiorasse appena i cinque chilometri orari, facendo preoccupare Levi di arrivare in ritardo.
—Non è che potremmo aumentare la velocità? I cavalli adorano correre sai? — disse Levi sporgendosi dal finestrino.
—Siamo in un centro abitato, non posso andare troppo veloce — rispose Annie restando concentrata sulla strada.
—Tutti questi problemi non te li sei fatta quando eri un gigante e correvi per strada.
—Vuoi che mi trasformi in gigante e ti ci porti in quel modo al lavoro?
—Se mi servirà a non arrivare tardi sì.
—Non so nemmeno perché sto facendo questa cosa.
—Perché è colpa tua se sono ridotto in queste condizioni.
—Te l’ho detto io di ubriacarti per dimenticare, vero?
—Siamo arrivati, fermati.
Nella mente di Annie scoppiò il panico: cercò con tutte le sue forze di tirare le redini e far fermare il cavallo senza che la carrozza si catapultasse in avanti schiacciandolo e facendo schizzare fuori dal finestrino il passeggero. Sudò freddo e iniziò a pregare alcune divinità che tutto andasse per il meglio.
 
Di fronte alla porta che introduceva alla sede principale dell’Armata Ricognitiva, una carrozza si fermò in tutta tranquillità e, nel frattempo, l’armata invincibile del Generale Zabaione veniva sterminata dai virus carnivori di Tanica.
 
 
 
 
 
 
 
4
 
 
 
 
 
 
Se qualcuno avesse chiesto ad uno dei soldati che si stavano radunando vicino sala delle riunioni: Che cosa sta succedendo? Molto probabilmente gli avrebbe risposto: Niente.
In realtà, da lì a pochi minuti, sarebbe accaduto tutto.
La cosa peggiore era che quelli che avrebbero fatto accadere tutto erano così ignari della cosa che non se ne preoccuparono minimamente, continuando a svolgere le loro attività in coerenza alle loro emozioni.
Le emozioni che si stavano muovendo in Erwin Smith quella mattina erano il terrore e la preoccupazione; terrore perché dopo i fatti recenti sapeva che cosa lo aspettava; preoccupazione perché la cosa che gli generava terrore era appena entrata nell’edificio. Aveva quindi chiamato Hansie e si erano messi a discutere sulle possibili conseguenze in privato nello stanzino delle scope.
—Allora ci siamo? — disse Hansie.
—Sì, lo hanno visto salire le scale — disse Erwin.
—Ci ucciderà vero?
—Oh, certo; prima farà fuori te, poi a me.
—Perché prima io?
—Immagino che prima vorrà torturarmi o cose di questo tipo.
—Ah, sì, allora è meglio che uccida prima me.
I due, seppure non molto conviti, si abbracciarono per farsi forza l’un l’altra, finché qualcuno non aprì di scatto la porta dello stanzino facendo, per la paura, saltare Hansie addosso a Erwin.
—Capitano Pixis, che magnifica sorpresa! — esclamò Erwin cercando di essere sollevato di sapere che non era Levi ad aver aperto la porta.
—Capitano Erwin, sempre in giro a fare danni! — disse Pixis.
—Qual buon vento?
—Oh, sono venuto a riportare la roba di Levi, ieri pomeriggio ci siamo dati alla pazza gioia; eravamo io, lui e tre bottiglie di vino.
Gli altri due annuirono fingendo di essere sorpresi; lo erano davvero solo che non volevano darlo a vedere.
—Vi siete divertiti? — chiese Erwin.
—Altroché, ci siamo seduti sulle mura e bevuto amabilmente; ad un certo punto Levi si è buttato giù e ha fatto secchi circa una cinquantina di titani, è poi risalito e ha urlato beccatevi questa giganti!
—Tipico suo urlare queste cose! — disse Hansie.
—Ha anche aggiunto — proseguì Pixis —Alla faccia di quella persona dai dubbi natali di Erwin e quella donna dai facili costumi di Hansie. Ovviamente non ha usato queste parole, ho solamente addolcito la frase.
—Sì, bene, grazie Comandante Pixis, ora credo che andremo alla riunione.
—Un’ultima cosa Erwin: lo stanzino delle scope, sul serio? Non siete più due ragazzini.
—Non stavamo pomiciando di nascosto, le dovevo dire delle cose in privato.
—Se lo dici tu. Arrivederci ragazzi!
Pixis se ne andò spensierato, aveva cose più urgenti da fare, come ad esempio rimpiazzare le tre bottiglie di vino perdute il giorno prima.
Per quel che riguardava Erwin e Hansie, le cose da fare erano ben poche: lei filò nel laboratorio dove dettò al suo assistente il testamento, mentre Erwin si avvicinò al suo amico Mike, abbracciandolo e dicendogli che gli voleva bene. Il che generò due cose: lo sviluppo incessante ed esageratamente accelerato di processi genetici in un qualche punto sperduto della Terra, che portarono all’incremento e alla crescita di organismi estinti che si diedero subito da fare a far capire ai giganti chi è che comandava; da un terrazzo, cadde un vaso di petunie.
 
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
 
 
 
Appena qualche minuto prima, Mike e Levi si erano incrociati sul pianerottolo di una scala. Entrambi erano diretti nello stesso luogo, così avevano deciso di andarci assieme; per quanto Levi sperasse che il loro non comprendersi evitasse la pronuncia di qualsiasi parola che in quella precisa mattina sembrava avere dei decibel di troppo nelle sue orecchie, in quella precisa mattina accadde un fatto incredibile, che farà diventare senzienti degli organismi primitivi e far cadere un uomo da una scala.
—Allora com’è andata con quella vestita da estetista? — chiese Mike dando una sonora pacca sulle spalle di Levi —Sembri sfinito, ti ha sfiancato!
—Tu non ne hai idea — gracchiò Levi chiedendosi perché Mike urlasse invece di parlare.
—È stata lunga, dico non ti si è visto per due giorni!
—Sai com’è avevo un gran voglia scaricare lo stress.
—Poi la roba con la cera per lo stress è l’ideale; la prossima volta prova il ghiaccio.
—Sì, adesso vado a prenderne un po’.
—Non perdi tempo!
—Mai fatto; io vado dentro, ci si vede in giro e anche se non ci si vede, pazienza.
—Parole Sante!
Senza che se ne accorgessero, quella era una delle rare volte che i discorsi senza senso dei due ragazzi avevano trovato senso.
Ciò che affliggeva l’umanità e che la rendeva dipendente da soluzioni di vita semplici, era dare per scontato i comportamenti; ed è uno dei motivi per cui ciò che pensarono i giganti quando videro certe cose fu: Oh, dei nuovi inquilini, ma che bello, chissà che sapore hanno, magari hanno il sapore degli umani, quanto sono ruvidi, come gridano forte, adesso vengono incontro a noi, ah, miei cari nuovi inquilini sicuramente diventeremo grandissimi amici!
Sfortunatamente i nuovi inquilini erano passati da lì già qualche milione di anni prima, quindi quello che si limitarono a dire fu uno scortese: Toglietevi di torno perché c’eravamo prima noi.
Stranamente ciò che pensò il vaso di petunie mentre precipitava a terra fu: Oh, no, di nuovo!
   
La sala delle riunioni era piena di gente, compreso Eren e alcuni suoi amici, quando Levi entrò e vide il ragazzino decise di sedersi nel posto più lontano possibile da lui, soprattutto per il ricordo del suo maldestro tentativo di rimorchiarlo. Si sedette quindi vicino alla finestra, sotto un raggio di sole che, riscaldandolo, lo fece sentire stranamente a suo agio, finché Eren non lo raggiunse e si sedette al gradino sopra al suo, sporgendosi in avanti.
—Signore, io volevo scusarmi per quello che è accaduto alla festa, ero sotto gli effetti dell’alcol e non ero in grado di capire — farfugliò Eren.
—Lascia perdere, che cosa ci fai qui, è una riunione per gli ufficiali — disse Levi.
—Sì, lo so; siamo qui per vedere il Capitano dei Reparti Speciali, ha presente?
E Levi ce l’aveva fin troppo presente. La guerra civile che si combatteva tra i Reparti Speciali e l’Armata Ricognitiva rasentava i poemi epici meglio riusciti; nessuno sapeva da dove fossero saltati fuori quei Reparti Speciali, erano semplicemente apparsi; quando c’era da fare polemica loro erano i migliori, così come dal creare caos dal nulla con teorie strampalate sulla vita, l’universo e tutto il resto. Il soggetto più irritante di tutti era proprio il Capitano dei Reparti Speciali, Emma Summerstone, una tizia che non la faceva mai finita di parlare di sassi e che sia Levi che Erwin che Hansie detestavano a priori. La cosa interessante era che anche Emma Summerstone detestava quei tre, ma senza saperne il motivo.
Il fatto che quel giorno sarebbe stata presente alla riunione, quasi convinse Levi a tornare nella stanza del custode a riprendere il suo fucile.
—E comunque, sappia che sotto questo raggio di sole, lei è incredibilmente affascinate — proseguì Eren in tono suadente.
—Se provi ad aggiungere un’altra parola ti butto giù dalla finestra e sta volta lo faccio per davvero — disse Levi in tono minaccioso.
—Torno dai miei amici.
—Bravo.
Poco dopo che Eren fu seduto, entrò Erwin che, scrutando la sala, si chiese perché ci fossero anche le reclute e perché fossero tutti sudati; quando incrociò lo sguardo di Levi smise di farsi domande e pensò solo ed unicamente alla sua sopravvivenza.
Fortunatamente per lui e per la sua sopravvivenza, entrò nella stanza anche Emma Summerstone, dando modo al soldato di costatare che non era solo della sua sopravvivenza che si sarebbe dovuto preoccupare, ma anche di quella dell’intera Umanità, cosa che gli metteva un’ansia a dir poco esagerata.
Emma aveva il potenziale adatto perché nel pianeta Gratian fosse considerata la reincarnazione della dea della fertilità e dell’amore, mentre invece nel pianeta Vorvotan sarebbe stata considerata la reincarnazione della dea dell’Apocalisse, segnando l’avvento della sanguinosa fine di un intero sistema planetario. Tuttavia, l’istante della sua entrata in scena decretava l’inizio di una serie di spiacevoli battibecchi inconcludenti, dato che, nonostante fosse considerata dai più una donna bellissima e sensuale, nel campo lavorativo era considerata una svampita e tutto questo perché era una geologa. Le geologia è una scienza complessa che serve principalmente a sapere se è il caso o meno di costruire una casa su un terreno o su un altro. Se per esempio si è decisi di costruire una serie di villette a schiera su un litorale sabbioso piuttosto che su una pianura di solido granito, si chiede il consulto di un geologo che sarà bel lieto di dirvi che l’unica cosa che potete costruire sulla sabbia è un castello.
—Buongiorno a tutti! — trillò Emma — Buongiorno Erwin!
—No — rispose Erwin.
—Ma non ti ho ancora chiesto niente.
—Appunto.
—Così aspro già di primo mattino; comunque ero qui per chiederti se mi presti uno dei tuoi giganti. Sai l’altro ieri è caduto un meteorite nella foresta di sequoie e vorrei recuperarlo, ma è caduto in una grotta, quindi se magari Eren venisse a darmi una mano faremmo prima a recuperarlo.
—No — rispose nuovamente Erwin.
—Ma io sarei felice di essere sotto di lei — disse Eren alzandosi dalla sedia —Nel senso di entrare nei Reparti Speciali per un po’.
A quel punto Erwin iniziò a chiedersi come poteva essere che un tale soggetto privo di qualsiasi buonsenso potesse rappresentare la speranza dell’Umanità; si rispose che forse Dio lo stava punendo per la tresca nascosta alle spalle del suo coinquilino.
La risposta alla domanda, invece, l’avrebbe potuta facilmente trovare se l’Umanità avesse avuto la capacità di sentire i pensieri del vaso di petunie.
—Visto — disse Emma.
—No — rispose Erwin.
—Va bene, allora prestami l’altro.
—L’altra è stata giudicata mortalmente pericolosa, quindi no.
—Ma la tieni in cantina a prendere polvere, a meno che la tua fidanzata non vada là sotto a pulirla tutti i giorni — Emma ignorò l’orda di gelo proveniente dalla zona della finestra.
—La mia fidanzata è quella che ho portato al tuo matrimonio, comunque no è no — Erwin ignorò l’orda omicida proveniente dalla zona della finestra.
—Come vuoi, se cambi idea io sarò di ritorno il prossimo lunedì, perché vado in viaggio di nozze con mio marito, ovvero l’assistente della tua fidanzata. Arrivederci a tutti!
Detto ciò uscì dalla sala, lasciando gran parte delle persone con gli occhi sognati e l’altra metà perplessa.
Erwin prese i fogli del discorso in programma, lesse le prime tre righe e quasi non rimase perplesso anche lui.
—Mike, ma è davvero questo l’argomento della giornata?
—Sì — rispose Mike, seduto lì di fronte, alzando le spalle.
Il Comandante dell’Armata Ricognitiva fece un lungo respiro, poi iniziò il discorso:
—Bene, l’argomento che affronteremo oggi è: il tradimento.
 
 
 
 
 
 
6
 
 
 
 
 
 
 
Conclusa la riunione, aspettato che il flusso dei presenti fosse defluito, Erwin chiuse la porta prima che Levi potesse uscire.
—Levi aspetta, ti devo dire alcune cose — disse Erwin sedendosi.
Levi rimase in silenzio a braccia conserte e si sedette anche lui.
—Suppongo tu sia leggermente arrabbiato per quello che è successo, ne sono perfettamente consapevole, ma sappi che era mia intenzione dirtelo quanto prima, poi però abbiamo avuto da fare e… — qualcuno bussò alla porta.
—Chi è?
—Sono Eren, ho scordato il mio sistema per la manovra tridimensionale posso entrare a riprenderlo?
—Sì va bene.
Eren entrò camminando rumorosamente tra i sedili delle gradinate, prese le sue cose facendo un gran baccano tra fondine e carrucole e grilletti, poi se ne andò salutando. Erwin proseguì.
—Insomma succede che ad un certo punto nella vita senti il bisogno di avere qualcuno accanto, specialmente se sei al matrimonio di una con cui speravi di farti una vita e invece l’hai presentata a uno che nemmeno conosci… — qualcuno bussò di nuovo alla porta.
—Chi è adesso?
—Sono sempre Eren, ehm, quando ho preso la manovra tridimensionale ho scordato la giacca, posso entrare a riprenderla, faccio subito?!
—Va bene, entra.
Eren entrò facendo scricchiolare le assi del pavimento, facendo pigolare le sedie delle gradinate prima di districare la sua giacca dal bordo della sedia, poi se ne andò salutando. Erwin proseguì.
—Ecco posso capire come ti senti, voglio dire, era la tua camera e so quanto ci tieni che non si invadano i tuoi spazi puliti, però sai com’è, l’alcol e poi eravamo da soli, insomma poi avevo capito che a te piacesse un’altra…— qualcuno bussò alla porta.
—Eren se sei di nuovo tu giuro che vengo là e ti strangolo!
Ci fu un minuto di silenzio.
—No, ehm, non importa, magari la chiave della cantina la prendo dopo.
Eren se ne andò, lasciando Erwin e Levi a chiedersi se Eren fosse stato sempre così o fosse solo una delle fasi del periodo chiamato adolescenza. Il fatto era che entrambi ci erano passati già da un pezzo per l’adolescenza e, vuoi traumi infantili, vuoi amicizie sbagliate, se l’erano cavata abbastanza bene; ma per quel che si ricordavano così stupidi non erano mai stati.
La spiegazione era molto più semplice di quello che i due pensavano, ma l’avrebbero capita solo dopo molto tempo.
Intanto Erwin si era reso conto di averle provate tutte per convincere Levi che gli dispiaceva; aveva provato col discorso: sono cose della vita; aveva provato col ma lo sai che anche io una volta, o con il pensi di esserci solo tu qui?, ma l’amico restava immobile in silenzio a braccia conserte. Allora capì che gli era rimasta una sola cosa da fare, per quanto avrebbe fatto infuriare Levi ancora di più o al massimo fargli scoprire una cosa chiamata affetto.
 
 
 
 
 
 
7
 
 
 
 
 
 
 
Jean era reduce da un fine settimana passato a compilare scartoffie per giustificare la sua presenza fuori orario sulle mura e l’aver visto un meteorite cadere; aveva poi sentito che il Comandante dei Reparti Speciali era alla sede dell’Armata Ricognitiva e aveva cercato di raggiungerla disperatamente, ma era arrivato tardi, eppure giusto in tempo per vedere Eren che saliva le scale e si dirigeva verso la stessa porta vicino a dove era fermo lui.
—Ehi, ma che fai? — disse Jean.
—Ho dimenticato le chiavi di casa dentro la sala riunioni — disse Eren.
—Entra dalla finestra a casa.
—No, mi sbaglio sempre e finisco con l’entrare nella stanza di Mikasa e nemmeno che indossasse biancheria sexy, solo roba sportiva.
—Che schifo Eren siete parenti!
—Non esattamente, ma tanto sto con un’altra.
—E con chi?
La risposta a quella domanda dovette aspettare, perché l’attenzione dei due ragazzi fu catturata da delle urla che provenivano dalla sala delle riunioni, urla molto forti, quasi animalesche.
—Dovrai passare sul mio cadavere prima che mi faccia toccare da te!
—Sta zitto e fatti abbracciare, maledetto!
Eren e Jean videro il Comandante Erwin Smith e il Caporale Maggiore Levi uscire dalla sala con aria alquanto minacciosa e dirigersi verso di loro.
—Eren potresti gentilmente dire a Levi che se un uomo prova ad abbracciarlo non ci sta provando con lui! — disse Erwin.
—Jean potresti dire a Erwin che se un uomo gli salta addosso senza preavviso è logico che qualche sospetto gli viene! — urlò Levi.
—Eren potresti gentilmente dire a Levi che si sbaglia e che deve smetterla con questo atteggiamento infantile!
—Jean potresti dire a Erwin che col cavolo che la smetto e che quella è anche casa mia!
—Eren potresti gentilmente dire a Levi che la sua vecchia stanza da ufficiale è stata accuratamente pulita perché questo fine settimana voglio stare da solo con la mia fidanzata!
—Jean potresti dire a Erwin che nella mia stanza da ufficiale ci va lui visto che non ha problemi ad infilarsi nelle stanze degli altri!
—Ora basta Levi è ridicolo! Questo fine settimana stai qui, è un ordine!
—Va a farti fottere Erwin!
—Ci puoi giurare!
Detto ciò i due rimasero a fissarsi furenti per qualche minuto, ansimando come animali in gabbia. Poi Erwin se ne andò per le scale e poco dopo Levi fece lo stesso.
Eren e Jean, rimasti attoniti, decisero che tutte quelle cose che dovevano dire ai loro superiori non c’era davvero bisogno di dirle, perciò andarono a finire di fare quello che dovevano fare.
 
 
 
   
 
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