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Autore: taisa    29/07/2017    7 recensioni
Ad appena vent’anni, Gohan ha già tutto quello che si può desiderare. Ma è davvero così?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gohan, Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LE ORME DEL PADRE



Nell’angolo dello studio un orologio segnava i secondi con un regolare ticchettio. Nel silenzio della stanza era l’unico rumore udibile, mentre il solo occupante era immerso nella lettura di un libro, uno dei tanti.

Gli scaffali erano ricolmi di volumi appena riposti, sulla quale la polvere non aveva fatto ancora in tempo a posarsi. Le librerie erano nuove, i libri erano nuovi, la scrivania era nuova. Inspirando profondamente si poteva ancora sentire l’odore del legno e della pittura con la quale erano stati verniciati i mobili.

Gohan si sistemò gli occhiali sul naso, prestando la completa attenzione al testo che stava leggendo, sul tavolo altri cinque o sei tomi erano aperti su pagine all’apparenza casuali. Alle sue spalle la luce filtrava dalla grande finestra.

Il giovane si mosse solo quando sentì l’esigenza di scrivere un appunto sul foglio di un taccuino poggiato accanto al libro che stava leggendo. Di nuovo si scostò gli occhiali e senza distrarsi restò immerso nel suo studio.

Se non fosse stato per il leggero movimento delle carte e il fruscio dell’aria, Gohan non si sarebbe nemmeno accorto che la sua non era più la sola presenza nella stanza. Per istinto sollevò lo sguardo, giusto in tempo per vedere suo padre abbassare la mano che fino ad un istante prima aveva tenuto premuta sulla fronte. “Ciao” lo salutò con cordialità, “Ehilà” rispose il genitore. Goku sorrise, con quell’immancabile espressione serena che sembrava non abbandonarlo mai.

Gohan osservò suo padre da capo a piedi. Indossava gli abiti da lavoro, quelli che metteva la mattina per andare ad arare e prendersi cura dei suoi campi. In mano una sottile cartelletta nella quale erano stati riposti dei fogli con relativa cura. “La mamma ti ha chiesto di portarmi i conti dell’ultimo mese?” gli domandò in riferimento alle carte. Goku abbassò lo sguardo su di esse, si grattò la nuca “Già” ammise ridendo, porgendo al figlio maggiore l’oggetto del discorso.

Una volta nelle sue mani, il giovane ricercatore cominciò ad osservare le tabelle. Erano semplicistiche e strutturate con schemi elementari che chiunque, persino un uomo di bassa istruzione come suo padre, era in grado di capire. La mano che le aveva compilate però non era quella di Son Goku, né della moglie Chichi. Gohan riconobbe all’istante la calligrafia del fratellino Goten che nel suo piccolo dava il contributo all’attività agraria del padre.

Goten aveva diligentemente segnato sulla tabella i conteggi dell’ultimo raccolto e del guadagno che Goku aveva ottenuto rivendendo i suoi prodotti. A Gohan sarebbe spettato il compito di articolare con migliore precisione e complessità tutti i conti restituendoli poi  alla madre che si prendeva cura dell’economia in casa Son.

Goku si soffermò ad osservare il figlio per diversi minuti, studiando i suoi gesti con estrema cura. Lui e la matematica non erano mai andati d’accordo e oltre alle lezioni elementari ottenute dal Maestro Muten aveva imparato poco altro a riguardo. Per lui i numeri erano solo un’incombenza, così come lo era leggere o scrivere. Sebbene fosse in grado di farlo aveva sempre bisogno di un aiuto in più.

Era cresciuto tra le montagne, dove il nonno adottivo gli aveva insegnato a sopravvivere, prima della notte che lo aveva portato via. L’avventura era sempre stata la sua maestra di vita e non aveva mai avuto bisogno di contare o di leggere. Muten lo aveva obbligato, insieme all’amico Crilin, ad esercitare la mente oltre al corpo. Tuttavia, dopo aver lasciato la Kame House, Goku non aveva più ripreso i suoi studi. All’epoca aveva dodici anni, circa l’età che oggi aveva il figlio minore.

Dopo un’attenta contemplazione del primogenito, ancora immerso nella lettura, Goku si guardò attorno, osservando tutti i libri che lo circondavano, senza vederne l’attrattiva o il beneficio. Poi i suoi occhi si scostarono verso la parete sulla quale la laurea era già stata diligentemente incorniciata ed appesa.

Non era passato molto tempo da quando il figlio l’aveva ottenuta, Goku ricordava ancora con quanta insistenza Chichi lo aveva obbligato ad indossare l’abito buono per l’occasione. A meno di un mese di distanza da quel giorno, il saiyan aveva addosso ancora la sensazione di disagio per essere stato costretto in un abbigliamento per lui così poco consono.

“È stato un buon raccolto questo mese” commentò Gohan, alzando lo sguardo verso il padre ancora concentrato nella sua contemplazione. “Cosa? Ah… immagino di sì” concordò il contadino, tornando con la mente al presente. In un gesto consueto si grattò la nuca accompagnato da una vaga risata.

Il figlio maggiore lo fissò per un breve istante, aggrappandosi ad un pensiero che per un attimo vagò nella propria testa, ma che si dissolse prima che lui potesse prenderne piena consapevolezza. Tuttavia una leggera amarezza sembrò perseverare come uno sgradevole ricordo mai del tutto svanito. “Ehm…” disse, cercando di scacciare la sensazione “Darò alla mamma i conti appena avrò finito” lo rassicurò, istintivamente scostando lo sguardo sui fogli per evitare quello del padre.

Il sorriso di Goku si affievolì nel momento in cui vide il figlio chinare il capo.

“Gohan, il pranz… oh! Ciao Goku” esordì Videl, entrando nello studio e notando il suocero in piedi al centro della stanza. Su di lei due paia di occhi pressoché identici si fissarono in perfetta sincronia. “Ehilà” la salutò Goku, accompagnando l’ossequio con un gesto amichevole della mano che fino a quel momento era rimasta sul capo.

“Non sapevo fossi qui” aggiunse lei, per nulla sorpresa dell’improvvisata. Ci pensò per un secondo, “Ho appena messo il pranzo in tavola, vuoi unirti a noi?” gli domandò cortese. Goku valutò l’alternativa per un attimo. Chichi stava indubbiamente cucinando in quel momento, a casa tra i Monti Paoz, ma l’idea di un secondo pranzo non parve dispiacergli. D’altra parte non poteva mai dire di no ad un pasto completo, “Sicuro” rispose con ritrovato entusiasmo, sorridendo alla nuora.

Videl, che fino a quel momento era rimasta in piedi davanti alla porta d’ingresso dello studio, si scostò per lasciarlo passare. Fu solo quando Goku le passò accanto, anticipandola nel salotto, che la giovane donna si voltò per guardare negli occhi del neo-marito, scoprendo nel suo sguardo una punta di rammarico riflessa dietro le lenti degli occhiali.


***


Goku unì i polsi delle proprie mani torcendo il busto verso il fianco destro, in un gesto che aveva ripetuto un milione di volte. “Ka…” iniziò osservando lo spazio davanti a sé, “... me…”piegò le ginocchia in cerca di stabilità, “... ha…” il suo piede destro si spostò di appena un millimetro, “... me”era tutto pronto, esitò un solo secondo, “HA!” urlò muovendo le braccia davanti a sé.

Sebbene avesse eseguito il movimento come da manuale, nessuna sfera di energia scaturì dalle sue mani, a scuotere l’aria ci fu solo il vento prodotto dalla velocità dei suoi gesti. Per un breve momento nessuno si mosse, fino a quando Goku non stabilì che la sua esibizione era stata sufficiente per imprimerla nella mente dell’unico spettatore.

Aspettandosi un commento, uno qualsiasi, si voltò ad osservare il bambino seduto sul prato. Lo colse una strana sensazione quando si accorse che il figlio era tutt’altro che interessato a quello che gli stava mostrando.

“Ehi, Gohan…” lo richiamò un po' timidamente, nella speranza di riottenere la sua attenzione. Il piccolo non si voltò nemmeno, “Guarda papà, una farfalla” gli disse, indicando quello che era diventato per lui motivo di maggior interesse.

Seguendo con gli occhi ciò che gli era stato indicato, Goku osservò l’insetto riposarsi sul tronco di un albero a pochi passi dal ragazzino. “Oh” farfugliò in risposta, con vago interesse. I suoi occhi neri tornarono sul figlio di quattro anni, che continuava a dargli le spalle.

Goku non era ancora abituato alla paternità. L’idea che questo bambinetto dipendesse così tanto da lui era un concetto che faticava ancora del tutto ad afferrare. Era sempre stato solo con sé stesso, senza particolari legami o obbligazioni verso nessuno, ma da quando aveva accettato e sposato Chichi molte cose erano cambiate. L’idea di avere un figlio era stata della moglie, Goku le aveva solo frettolosamente risposto ok, senza conoscerne le conseguenze.

Gohan gli piaceva però, c’era qualcosa in lui che gli suscitava un’innata simpatia. Forse, pensò nella sua ingenuità, era perché gli ricordava sé stesso. Tuttavia le somiglianze sembravano fermarsi al livello fisico, dagli occhi neri ai capelli ribelli dello stesso colore, fino alla coda che ai vecchi tempi era stata anche una sua caratteristica.

“No! È volata via” si lamentò il bambino osservando la compagna di pochi istanti alzarsi in cielo in cerca di un nuovo luogo sulla quale riposarsi.

La porta della casetta alle loro spalle si aprì, consentendo a Chichi di osservare la scena per un breve momento, il figlio con lo sguardo ancora rivolto verso il cielo, il marito che in silenzio lo stava osservando restando in piedi ad alcuni passi di distanza. “Come vanno gli allenamenti?” chiese a lui dopo essersi avvicinata, “Mh” mormorò Goku sovrappensiero, senza distogliere lo sguardo dal bambino.

Riconoscendo la voce di sua madre, Gohan si voltò additando un punto imprecisato della volta celeste. “C’era una farfalla, mamma” le spiegò il piccolo, agitando la coda alle sue spalle come un cucciolo.

Chichi gli sorrise, “Davvero? Che tipo era?” gli chiese comprensiva e Gohan aggrottò le sopracciglia lasciandosi sopraffare da un vago pensiero, “Mh… non lo so” commentò amareggiato. La giovane madre parve riflettere, “Se le farfalle ti piacciono tanto posso comprarti un libro la prossima volta che vado in città a fare la spesa” gli promise, leggendo negli occhi del figlio un ritrovato entusiasmo.

Goku si voltò ad osservare la moglie. Era una cosa che faceva spesso, di conseguenza la cameretta del bambino era ricolma di libri che il padre stesso faceva fatica a leggere. Non aveva nulla da obbiettare, d’altra parte Chichi lo aveva avvisato più volte, “Arrendi, Goku…” gli ripeteva sempre “Nostro figlio diventerà uno studioso”.

Lui si era arreso, in parte. Sapeva che Gohan preferiva leggere e scrivere anziché combattere, ma in cuor suo continuava a sperare. Almeno una Kamehameha doveva imparare a lanciarla.


***


Goku svanì nel nulla, accompagnato solo da un fruscio leggero e da un impercettibile movimento dell’aria. Di lui restò solo un’immagine residua negli occhi di chi lo aveva visto volatilizzarsi appena le sue dita si erano posate sulla fronte.

Videl abbassò la mano che aveva usato per salutare il suocero, prima che questi si dissolvesse. Fissò il punto esatto in cui egli si era trovato un istante prima, infine si voltò verso il giovane marito in piedi accanto a lei. “È stato bello avere tuo padre a pranzo con noi, non trovi?” gli domandò.

Contrariamente alle sue aspettative, Gohan non le sorrise. Gli occhi scuri del giovane ricercatore si abbassarono sul terreno sottostante i propri calzari, “Mh” rispose vago, troppo impegnato a lottare con i suoi pensieri.

La moglie lo studiò con particolare attenzione ancora per un attimo. C’era qualcosa che non andava in lui, si accorse subito. Non era il ragazzo gentile e sempre sorridente che aveva conosciuto, qualcosa sembrava disturbare le sue emozioni. “Gohan, va tutto bene?” gli chiese preoccupata, “Sì” mormorò lui e Videl comprese nell’attimo stesso in cui pronunciò quella singola parola che stava mentendo.

La giovane donna si poggiò le mani ai fianchi e fissò il marito con severità, “Gohan…” lo rimproverò costringendolo ad alzare lo sguardo, “... siamo sposati da meno di un mese e tu stai iniziando a nascondermi le cose. Sono tua moglie adesso, se c’è qualcosa che non va devi dirmelo” ammonì.

Gohan le sorrise, rivedendo la ragazzina conosciuta tra i banchi di scuola che con caparbietà correva fuori dall’aula per combattere i criminali. “Hai ragione” concordò con un sospiro, lasciandosi cadere sul divano alle proprie spalle. Valutò la situazione per un paio di secondi ancora, cercando le parole per esprimere un concetto che il suo subconscio non aveva ancora del tutto afferrato. “Si tratta di mio padre” ammise infine, lottando con sé stesso. Videl aveva ragione, doveva esternare i propri pensieri, ma sentire la propria voce dar sfogo ad una confessione sembrò inizialmente metterlo a disagio.

“Tuo padre?” lo rimbeccò lei, quando notò l’esitazione. Con calma si accomodò al suo fianco, osservando le mani del marito stringere la stoffa dei pantaloni sulle proprie ginocchia.

Gohan annuì “Ho come l’impressione… di…” restò in silenzio per un secondo “... di averlo… deluso” esternò infine dando libero sfogo a quella scomoda riflessione. “Deluso?” ripeté sorpresa Videl, che non si aspettava nulla del genere, “Cosa te lo fa pensare? Perché mai Goku dovrebbe essere deluso di te?” chiese genuinamente sorpresa.

A dire il vero, Gohan non sarebbe stato in grado di dire da dove nascesse con esattezza questo suo dubbio, era rimasto sorpreso lui stesso quando per la prima volta aveva elucubrato una tale probabilità. Era davvero possibile che Son Goku fosse deluso del primogenito? Dopo tutti i risultati che Gohan aveva già ottenuto nonostante la giovane età e una laurea che emanava ancora odore d’inchiostro fresco?

“Non lo so” confessò “Però…” storse la bocca in una smorfia, “Però, ecco… lui… è l’unico che non mi ha ancora detto di essere orgoglioso”. Si voltò ad osservare gli occhi azzurri di sua moglie “Tu, la mamma, Piccolo… persino Goten, mi avete tutti fatto i complimenti, ma papà non si è ancora espresso e ho come la sensazione che questo non è ciò che che voleva da me” se una parte di lui fu felice di togliersi un peso dallo stomaco, un altro lato del suo subconscio si rimproverò per averlo fatto. Aver esternato i propri sentimenti, persino a Videl, gli diede la sensazione di essere un figlio ingrato.

Videl lo abbracciò, nel tentativo di dargli il suo sostegno morale. “Gohan, sono sicura che tuo padre è tanto orgoglioso di te come tutti quanti noi. Forse ha solo bisogno di più tempo” gli disse poggiandogli la testa sulla spalla.

Sebbene la sensazione d’inettitudine non si dissipò completamente, Gohan si sentì grato alla moglie, avendo l’ennesima prova che al mondo non esisteva compagna di vita migliore di lei.


***


Fu solo grazie alla sua prontezza di riflessi che riuscì ad evitare la Kamehameha mirata al suo indirizzo. Goku schivò il colpo giusto in tempo e con immensa soddisfazione comprese, nel momento stesso in cui l’energia lo sfiorò, che se lo avesse preso in pieno avrebbe subito una notevole quantità di danni.

Con un sorriso osservò le mani di Gohan abbassarsi nell’istante in cui la scia lasciò i suoi palmi. Era stata un’esecuzione maestrale, considerato che il bambino aveva solo sette anni. Alla stessa età Goku nemmeno sapeva cosa fosse una Kamehameha e scoprire giorno dopo giorno il talento di suo figlio gli diede un’enorme soddisfazione.

Distratto, non si accorse che l’onda di energia non era altro che un semplice diversivo. Il pugno che lo centrò in pieno viso, arrivando dalla sua sinistra, lo colse alla sprovvista facendo precipitare il saiyan al suolo.

All’impatto i suoi capelli persero l’alone dorato che fino ad un istante prima lo circondava. Seppur dolorante, il suo viso non perse il sorriso che al contrario della sua trasformazione non si era dissipato.

“Ahia” si lamentò massaggiandosi lo zigomo contuso. “Sei sempre il solito sbadato, se ti fossi impegnato saresti riuscito a schivarlo. Si può sapere a cosa stavi pensando?” lo sgridò una voce al di fuori della sua visuale. Goku fu costretto a sollevare il capo per osservare, al contrario, Piccolo atterrare con grazia pochi passi di distanza da lui.

Goku rise, “Eheh, niente di particolare” rispose all’amico namecciano che in risposta incrociò le braccia. “Ti sei fatto male papà?” si assicurò Gohan, poggiando a sua volta i piedi al suolo. Per osservare lui, il padre fu invece costretto a sedersi tra i detriti che si erano formati dopo la sua rovinosa caduta. “Non preoccuparti, non è nulla” lo rassicurò scostando la mano dal viso, consapevole che non gli sarebbe rimasto nemmeno il livido.

Sul volto del piccolo saiyan, fino ad un secondo prima contratto in un’espressione preoccupata, si fece largo un sorriso. “Ah, menomale” sospirò il bambino.

Piccolo osservò il volto del suo giovane amico per un breve istante. Contrariamente ai due guerrieri adulti, il piccolo saiyan apparve sudato e senza fiato. “Forse è bene fare una pausa, Gohan mi sembra stanco” suggerì il nativo di Namecc, “N… no! Io posso ancora continuare!” esclamò il giovane, stringendo entrambi i pugni a dimostrazione della sua determinazione.

Per un lungo momento Goku e Piccolo si scrutarono. Il dialogo che avvenne in silenzio non aveva bisogno di essere accompagnato da inutili parole. Goku si voltò verso il figlio “No, anch’io sono stanco” mentì “Piccolo ha ragione, dovremmo fare una pausa” disse in accordo con l’amico.

Tradendo una certa gratitudine, Gohan sembrò rilassarsi, osservando il padre alzarsi dal terreno sulla quale era seduto. Passando lo sguardo dal genitore al mentore, il piccolo saiyan comprese che erano ufficialmente autorizzati a tirare un sospiro di sollievo.

Esitò per alcuni secondi, prima di cercare una capsula che fece comparire dall’interno della propria cintura. Alzò gli occhi all’indirizzo dell’altro saiyan “Papà, ti dispiace se leggo un libro durante la pausa? Ho promesso alla mamma che non avrei trascurato gli studi” domandò speranzoso. Goku gli sorrise, “Beh, se l’hai promesso alla mamma” concordò.

Il sorriso di Gohan illuminò il suo giovane viso e senza farselo ripetere pigiò il tasto della capsula dalla quale comparve uno dei suoi libri. Dopo un educato saluto si allontanò dai suoi compagni d’allenamento per trovare un angolo all’ombra. Alle sue spalle due paia di occhi lo seguirono in ogni gesto, mentre il bambino si accomodò sull’erba.

Dopo aver contemplato la scena, Piccolo si voltò verso l’amico, “A proposito dei cyborg di cui parlava Trunks…” cominciò a dire, ma quando i suoi occhi si posarono sul viso del saiyan, si accorse che stava guardando un padre orgoglioso.


***


Seduto a gambe incrociate sul tettuccio del proprio trattore, Goku stava osservando i suoi campi senza realmente guardarli. I suoi pensieri erano lontani quanto l’orizzonte e su di esso aveva posato lo sguardo.

Tra le mani la scatola ormai vuota di un bento che gli era stato preparato e confezionato con cura dalla moglie. Si era concesso una pausa dopo ore di lavoro e sebbene avesse concluso le incombenze odierne ben più tardi del solito, il saiyan non parve dell’idea di voler rientrare a casa, nonostante il sole avesse già cominciato la sua lenta discesa dietro le montagne sulla quale era cresciuto.

Goku seppe di non essere più solo svariati minuti prima che l’altro poggiasse i piedi al suolo. Lo aveva percepito da quando aveva lasciato la piccola casetta nascosta tra le vallate, nella quale era spesso ospite, e ne aveva seguito i movimenti in direzione del santuario di Dio, sapendo che lì era diretto.

All’atterraggio, Piccolo incrociò le braccia in un gesto a lui consono, osservando le spalle dell’amico saiyan per contemplarne l’umore. Non poté fare a meno di notare l’inusuale compostezza, pur sapendo che l’altro aveva senza dubbio avvertito il suo arrivo.

“Di solito non hai già terminato di lavorare a quest’ora? Cosa ci fai ancora qui?” gli domandò il namecciano dopo alcuni istanti. L’altro parve riflettere per un istante, “Stavo facendo una pausa” rispose senza voltarsi, lo sguardo ancora fisso sui semi di lattuga che aveva sotterrato giusto qualche ora prima.

Piccolo lo contemplò, cercando di ricordarsi che stava parlando con Son Goku, non con quell’altro saiyan.

Come se potesse servire a leggergli la mente scostò anch’egli lo sguardo sulle piantagioni e il terreno coltivato che si estendeva per chilometri. Qualsiasi altro contadino avrebbe avuto bisogno di aiuto per prendersi cura di tanti campi, ma non un alieno dalla forza sovrumana che era in grado di farlo con una mano legata dietro la schiena.

“Vedo che l’hai allargato” commentò notando le nuove piantagioni visibili all’orizzonte, “Già” rispose Goku, indicando nella direzione in cui era posato il suo sguardo, “Gohan mi ha detto che potevo coltivare anche in quella zona” spiegò. Il namecciano si fermò a riflettere per un attimo, “A proposito di Gohan, come si trova con il suo nuovo lavoro?” chiese al padre del suo amico e discepolo.

Il contadino riportò la mano sul bento ancora poggiato sulle sue gambe, alzò le spalle “Bene… credo” “Credo?” sottolineò Piccolo. Per la prima volta Goku rise, rendendolo peraltro più riconoscibile quando si grattò la nuca in un gesto a lui abitudinario, “Mi sono dimenticato di chiederglielo” spiegò.

Alle sue spalle l’alieno dalla carnagione verde aggrottò le sopracciglia, assottigliando lo sguardo per poter studiare meglio il suo interlocutore, “Ti sei dimenticato di chiedere a tuo figlio se gli piace il suo nuovo lavoro?” rilevò con immancabile sagacia. “Eheh… già” gli rispose l’altro che nella sua sbadata e genuina natura tornò ad essere l’amico che per un attimo Piccolo aveva faticato a riconoscere, “Non ne parliamo mai” aggiunse poi il saiyan.

L’ultima volta che il namecciano aveva parlato con il giovane era stato alcuni giorni prima che questi cominciasse il nuovo impiego, quello era stato il solo e unico argomento di conversazione. Piccolo aveva passato la maggior parte del tempo ad ascoltare Gohan illustrare con l'entusiasmo di un bambino i compiti che gli sarebbero stati assegnati con la sua nuova carica all’università. Non lo aveva mai visto così emozionato come in quella occasione. Incluso il giorno del suo matrimonio.

“Toglimi una curiosità Goku…” riprese a dire all’improvviso, “Cosa provi per Gohan in questo momento?” gli domandò perspicace. Il contadino guerriero si voltò a guardarlo per la prima volta da quando l’altro era atterrato alle sue spalle, “Eh?” mormorò colto alla sprovvista. “Ti ho chiesto cosa pensi di tuo figlio” gli ripeté con pazienza il namecciano. Goku parve rifletterci, poi alzò le spalle “Beh, sono felice per lui” ammise accompagnato da un mezzo sorriso, ma l’affermazione sembrò non bastare. Piccolo continuò ad osservarlo con intensità, come se potesse leggergli la mente. “Sei felice per lui o sei orgoglioso di lui?” lo punzecchiò, notando una certa esitazione da parte del saiyan che parve in difficoltà per trovare una risposta alla domanda.


***


In qualche modo il rientro a casa riservava sempre strane sorprese. Gohan aveva compreso quanto particolare fosse la sua famiglia stando a stretto contatto con comuni terrestre durante le ore scolastiche.

Quando gli capitava di far visita alle case dei suoi amici si scopriva ad osservare scene di vita quotidiana che aveva visto solo in scenari televisivi. Persino Mr. Satan, quando andava a trovare Videl, si era fatto trovare in atteggiamenti più naturali per gli standard del pianeta Terra.

Sapeva che la sua era una famiglia straordinaria che di ordinario aveva ben poco; pertanto quando si scoprì ad osservare suo padre seduto al tavolo della cucina davanti ad un quotidiano, temette per un istante di aver sbagliato casa. Se non fosse che l’abitazione si trovava immersa nella natura a chilometri di distanza da altra forma di vita umana.

“P… papà…?” farfugliò strabuzzando gli occhi, cercando di capacitarsi della scena tanto inusuale. Goku sollevò lo sguardo verso l’ingresso della cucina, osservando la figura del primogenito che sembrava essersi materializzato all'improvviso, sulla spalla portava ancora la tracolla nella quale riponeva i testi scolastici. “Ehilà” lo salutò gioviale.

Gohan passò lo sguardo dal genitore al giornale, “Cosa stai facendo?” gli chiese incerto, tornando a guardarlo. Seguito il movimento dei suoi occhi, il padre comprese il motivo della domanda. A sua volta riportò la propria attenzione al quotidiano “Tua madre dice che devo trovarmi un lavoro” spiegò seguito da una smorfia che rese palese il suo malcontento. “Ah” commentò il ragazzo, ora consapevole della soluzione dietro al mistero.

Si sentì empatico nei riguardi di suo padre. Sapeva perché la mamma insisteva nel volere che suo marito trovasse una stabile occupazione, ma Gohan comprendeva le ragioni che rendevano papà così restio.

Durante le varie radunate con gli amici di famiglia riaffioravano di sovente ricordi dei tempi andati, quando erano tutti ragazzini senza obblighi familiari. Aveva sentito spesso racconti che riguardavano suo padre e lo spirito d’avventura che lo aveva portato a scoprire il mondo trascinando con sé i suoi amici. Era dunque consapevole che Son Goku non aveva mai avuto un vero lavoro in vita sua.

Gohan regalò al padre un sorriso comprensivo, lasciandosi passare il laccio dello zaino scolastico sopra la testa. “Se vuoi posso aiutarti” si offrì avvicinandosi al tavolo attorno alla quale trovò un posto, abbandonando la propria borsa sulla sedia accanto. Goku sollevò nuovamente lo sguardo con gratitudine, “Davvero?” chiese con ritrovata speranza, come se suo figlio fosse la soluzione ai suoi problemi.

Dopo un breve cenno affermativo del capo, Gohan cominciò a leggere le inserzioni di lavoro nel giornale aperto sul tavolo. Per una persona qualsiasi, anche senza eccessiva istruzione, sembravano esserci sufficienti opportunità. Tuttavia bastò poco meno di un minuto al sedicenne per comprendere che nessuna di esse era adatta per suo padre.

Ogni tipo d’impiego che scorreva sotto il suo sguardo sembrava avere qualche sorta d’incompatibilità con lo spirito e il carattere del saiyan. In breve tempo Gohan si accorse che qualsiasi lavoro pagato e retribuito sarebbe stata una condanna per il vivace genitore e il suo entusiasmo per nuove sfide quotidiane. Non riusciva ad immaginare suo padre svegliarsi alla mattina per recarsi in un luogo che lo avrebbe visto costretto a fare e rifare sempre le stesse cose giorno dopo giorno. Con la tristezza nel cuore ipotizzò che questo avrebbe, al lungo andare, distrutto il carattere brioso e sempre sorridente del padre che tanto amava anche e soprattutto per il modo gioviale che aveva di vivere la vita.

All'improvviso richiuse il quotidiano, Goku lo guardò con sorpresa. “Papà…” esordì il liceale, “Hai mai pensato di iniziare un’attività tutta tua, invece di lavorare per qualcun altro?” “Eh?” mormorò Goku, “Ma io non sono bravo con queste cose” disse ridendo, grattandosi la folta chioma nera perennemente in disordine.

Gohan parve riflettere, riservando al genitore uno sguardo serio. “Mmm…” farfugliò “Crilin mi ha raccontato che quando vi allenavate con il vecchio Muten vi faceva arare la terra, dico bene?” Goku annuì “Beh, potresti trovarti un campo tutto tuo da coltivare e poi vendere i tuoi prodotti. Il resto puoi darlo alla mamma che potrebbe usarlo in cucina e non avrebbe bisogno di comprarli al mercato” per un secondo il genitore sembrò riflettere, ma Gohan non aveva ancora finito, “Inoltre con la tua forza impiegheresti solo mezza giornata per prenderti cura delle piantagioni e avresti il resto del pomeriggio per fare tutto quello che vuoi. Infondo le piante cresceranno da sole, non c’è bisogno che tu stia lì per tutto il tempo” “Avrei comunque tempo per allenarmi?” si assicurò il guerriero. Gohan annuì, “Penso di sì. E poi anche coltivare la terra sarebbe un allenamento come lo era con il vecchio Muten” concluse.

Nello sguardo di Goku si accese la speranza, l’idea cominciò ad entusiasmarlo. Sarebbe stato in grado di far contenta Chichi e sé stesso allo stesso tempo. “Io potrei aiutarti a far quadrare i conti se hai bisogno” rincarò la dose il giovane.

“Come sta andando la ricerca, Goku?” domandò la moglie raggiungendo padre e figlio in cucina. Il saiyan scattò in piedi e circondò il figlio con un braccio, “Chichi, il nostro Gohan ha appena avuto un’idea fantastica!” esclamò stringendo la presa. “Dici davvero?” domandò lei osservando il primogenito che stretto nell’abbraccio di suo padre parve quasi soffocare. Tuttavia quando incrociò lo sguardo con la madre le diede un sorriso rassicurante che servì a riempirla d’orgoglio.


***


Era raro che si vedesse costretto a passare tutta la giornata tra i campi. In genere bastavano un paio d’ore o una mattinata per svolgere la maggior parte delle mansioni. Tuttavia capitava anche che dovesse impegnarsi per lavori fuori dall’ordinario, posticipando il suo rientro a casa di molte ore.

Quel giorno aveva impiegato metà pomeriggio ad arare una nuova zona sul lato della montagna e a piantare semi di lattuga. Le restanti ore, grazie anche all’aiuto di Piccolo, si era fermato a riflettere su questioni alla quale non aveva mai pensato.

“Sei tornato tardi” lo accolse la voce di sua moglie quando lo udì aprire l’ingresso. Goku si affacciò alla porta della cucina da dove aveva sentito la donna, “Sì, scusa Chichi. Stavo…” si bloccò quando i suoi occhi si posarono sul tavolo pieno di carte. “Ciao papà” lo salutò con cortesia Gohan, poggiando le spalle sullo schienale della sedia sulla quale era seduto. Il padre lo fissò per un secondo, “Ehilà” gli rispose infine.

“Gohan è venuto a farci visita” gli spiegò ovvia Chichi, sorridendo al giovane che ricambiò. “Vi ho riportato i conti che mi hai consegnato qualche giorno fa” gli spiegò indicando con lo sguardo i fogli sparpagliati sulla superficie attorno alla quale madre e figlio erano seduti. Goku prestò a loro un attimo di attenzione, “Oh” farfugliò vagamente interessato.

Non erano più gli stessi pezzi di carta che aveva lasciato nelle mani di Gohan. Ora erano scritti al computer organizzati in tabelle e grafici che al contadino parvero solo macchie colorate che non riusciva a comprendere.

“L’ultimo raccolto è andato bene, Goku. Abbiamo guadagnato un sacco di zeni, per i prossimi mesi non avremo problemi” lo informò Chichi, leggendo i diagrammi con concentrazione. “Sì, il lavoro di papà è stato ottimo” rincarò la dose il giovane saiyan. Goku guardò entrambi a turno, si ricordava che Gohan aveva già fatto un’osservazione del genere quando gli aveva consegnato le tabelle scritte da Goten; anche in quel momento si era trovato a domandarsi come fosse riuscito a definirlo senza aver nemmeno visto i campi. Tuttavia che motivo aveva di dubitare? Se Gohan aveva fatto una tale affermazione, ottenendo lo stesso risultato dai suoi calcoli, allora era senz’altro l’inconfutabile verità.

“Sono a casa” salutò l’ultimo membro della famigliola, apparendo alle spalle del padre. Su di lui tutti puntarono lo sguardo, dando il tempo al bambino di guardarsi attorno nel contempo. “Ciao Gohan!” esclamò quando vide il suo fratellone, ma la risposta del maggiore fu anticipato dalla madre.

Chichi si alzò di scatto dalla propria sedia additando il più piccolo dei suoi figli, “Goten!” urlò allarmata, “Cos’hai combinato?” sbraitò assumendo la tipica postura severa con le mani appoggiate ai fianchi.

Il piccolo guerriero si guardò da capo a piedi, come se avesse appena notato lo stato dei suoi abiti sporchi di fango e lacerati in più punti. In aggiunta a ciò una grossa ferita gli copriva buona parte dello zigomo sinistro e Goten parve essersene ricordato solo in quel momento.

“Ehm… io e Trunks ci siamo allenati insieme” confessò chinando il capo con aria colpevole. La risposta non sembrò piacere a sua madre che continuò ad osservarlo con un’espressione di rimprovero. “Domani dovrò fare quattro chiacchiere con Bulma” minacciò al vuoto e Goten cercò lo sguardo di suo padre in per ottenere il suo supporto. Goku gli sorrise, arruffandogli i capelli neri già spettinati.

“Coraggio, vieni con me” ordinò la donna avvicinandosi al bambino, spintonandolo delicatamente in direzione del bagno “Dobbiamo medicare quella brutta ferita” “Ma… mamma… io volevo passare del tempo con Gohan” mormorò il più giovane “Non in queste condizioni” decretò lei, ponendo in qualche modo fine alla conversazione.

Rimasti soli, padre e figlio si fissarono per un istante, infine Gohan si alzò. “È ora che vada. Videl mi aspetta per cena” annunciò afferrando alcuni fascicoli che aveva portato con sé, facendoli quindi sparire all’interno di una borsa. Goku restò ad osservarlo.

Gli occhi del guerriero saiyan si scostarono sul tavolo inondato di fogli ancora sparpagliati, poi si rivolse al figlio.

Goku era un combattente, un lottatore e un esperto di arti marziali. Nella sua vita si era allenato senza mai fermarsi. Il suo primo ricordo risaliva alle lezioni con nonno Gohan, quando l’anziano gli aveva insegnato le basi primordiali del combattimento. Aveva appreso molto dai suoi maestri, dal vecchio Muten a Re Kaioh, passando dal Saggio Karin e dall’anziano Dio in persona.

Sapeva quanta fatica e dedizione era necessaria per affinare una tecnica al punto tale da far conoscere al proprio corpo i movimenti da compiere senza la necessità di dover pensare, liberando così il cervello che aveva quindi modo di reagire in tempo agli attacchi dell’avversario. Goku conosceva molte tecniche e aveva passato anni a perfezionarle tutte, sudando fino allo sfinimento.

Tuttavia non aveva la minima idea dell’impegno necessario per apprendere formule matematiche o per conoscere concetti sempre più complicati ed essere in grado di ripeterle con la massima accuratezza a chi spettava il compito di assegnare un voto. Non sapeva quante ore e notti insonni erano d’obbligo da passare sui libri per ottenere i risultati sperati. Leggere e contare per Goku erano un mezzo mistero.

Nulla di tutto questo era il suo campo, niente gli era familiare e quando gli era stato detto che Gohan avrebbe preso la tanto sospirata laurea era stata Chichi ad informarlo che doveva esserne felice. Goku aveva ubbidito, ma non ne aveva compreso pienamente il motivo. Era un uomo dalla mente semplice, troppo per comprendere i risultati che aveva ottenuto suo figlio.

Tuttavia, guardandolo con gli occhiali poggiati sul naso che gli conferivano un aspetto colto, con una borsa nuova che gli dava un'aria di professionalità e gli abiti sempre impeccabili, Goku sentì una nuova emozione farsi largo tra i suoi pensieri.

“Gohan” lo chiamò costringendo il ragazzo a fermarsi quando lo aveva già superato, in direzione dell’ingresso di casa. Il giovane si voltò e suo padre fece altrettanto, “Sono orgoglioso di te” gli disse guardandolo negli occhi.

La bocca del figlio si spalancò con sorpresa. Colto alla sprovvista lasciò la presa della borsa che cadde al suolo. Con slancio si lanciò verso suo padre per stringerlo in un abbraccio, “Papà!” mormorò poggiandogli la testa sulla spalla.

“Ah! Piano! Così mi soffochi!” si lamentò Goku, stretto da quel gesto d’affetto che non si era aspettato. Tuttavia, anziché mollare la presa il giovane strinse più forte, “Sono così contento papà” gli sussurrò in un orecchio, non riuscendo più a trattenere le lacrime causate da una così forte ed improvvisa emozione.

Goku gli poggiò una mano sulla spalla, dopo un attimo d’esitazione, “Ti chiedo scusa per averti fatto aspettare, figliolo” pensò tra sé, stringendo il figlio come se fosse ancora un bambino. Bambino che non era più, era un uomo ormai, un adulto forte e responsabile che aveva cominciato a percorrere da solo la sua strada.

Forse in cuor suo il guerriero saiyan aveva sperato in qualcosa di diverso, qualcosa che si sentiva in grado di capire. Tuttavia, Gohan non gli era mai sembrato così felice e qualunque padre non avrebbe potuto desiderare di meglio per il proprio figlio.


FINE




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