Capitolo 1: Lo studente Americano
La sala grande di Hogwarts aveva finalmente aperto le porte, i nuovi studenti
non stavano più nella pelle di entrarvi e di scoprire a quale casa appartenevano,
dopo l’accurata presentazione che la professoressa Aldridge,
una giovane strega ed insegnante in carica di Incantesimi, aveva fatto agli
studenti fuori l’enorme porta che conduceva all’interno. Nel momento in cui
quella trentina di studenti entrò a rapidi passi verso l’interno, non furono
pochi i commenti degli studenti degli anni precedenti, soprattutto tra chi già
conosceva qualcuno tra di loro. Quelli del secondo anno guardavano ai nuovi
studenti con aria di nostalgia, ricordando come lo scorso anno tra quelle file
vi erano proprio loro ad aspettare il verdetto del cappello parlante.
Nel momento in cui gli studenti si
ritrovarono sul fondo della sala, di fronte al tavolo ove sedevano gli insegnanti,
la professoressa Aldridge - donna dall’aspetto
nordico, dai biondi capelli e gli occhi cerulei, vestita di un abito lungo e
nero ricoperto da blu striature – fece loro segno di fermarsi e di ascoltare
cosa aveva da dire la donna seduta al centro del tavolo, che si era appena
alzata per prendere parola. Una donna la cui età doveva essere intorno ai
quaranta, se non più giovane dato che la sua pelle sembrava liscissima, i capelli
lunghi e rossi come il fuoco di una fenice.
Unico difetto, se proprio vogliamo chiamarlo così, erano delle piccole
lentiggini sul naso.
“Buonasera a tutti voi, nuovi
arrivati.”, disse a voce alta la donna. “Io sono la preside Potter,e do il
benvenuto a tutti voi nuovi studenti alla nostra scuola di magia e stregoneria,
Hogwarts. Come forse vi avrà già detto la
professoressa Aldridge, i prossimi sette anni questa
scuola e le sue mura saranno la vostra abitazione, e la casa a cui il cappello
parlante starà per assegnarvi la vostra famiglia.”
“E’ la preside più giovane che Hogwarts abbia mai avuto.”, fece sottovoce una ragazzina
dai ricci capelli biondi dal fondo della fila. “La sua famiglia è così famosa,
tra l’altro.”, posò lo sguardo su di un esile ragazzino accanto a lei , i cui
capelli erano dello stesso colore della preside. “Ma che dico, saprai tutto dei
Potter!”.
Il ragazzino annuì con un lento
verso, tenendo fermo lo sguardo sulla donna mentre parlava. Non aveva mai visto
dei capelli di un rosso così acceso, da dove veniva pensava di essere l’unico
sulla faccia della terra. Tra l’altro le lentiggini erano situate nel suo
stesso punto, ma la cosa che più incuriosiva il ragazzo erano il colore dei
suoi occhi, simili ai suoi, che ricordavano molto il manto di un piccolo
cerbiatto.
“In quale casa vorresti andare?”,
chiese la ragazza, non curando per nulla il discorso della preside. “Tutta la
mia famiglia è finita a Corvonero, tranne mia madre,
lei era una Serpeverde. Sai, è stato proprio grazie
alla famiglia Potter che tutti i pregiudizi sulla casa dei Serpeverde
sono stati abbattuti. Nessuno ha più paura di diventare un mago oscuro se
finisce a Serpeverde.”
Il ragazzo appariva confuso da
tutti i discorsi della ragazza, sin da quando si erano incontrati sullo
espresso per Hogwarts, non faceva altro che parlare
di quanto voleva accrescere il suo sapere in quegli anni e come sarebbe
diventata un’ottima strega alla fine del settimo anno. Una giovane strega
alquanto ambiziosa, per così dire.
“I tuoi a che casa furono
assegnati?”, chiese infine.
Il ragazzo stava per rispondere ma
venne interrotto dalla voce della Professoressa Aldridge.
“Hannah
Barrymore!”.
“Che è successo?”, chiese la bionda
, notando che lo sgabello col cappello parlante era già apparso e la stava
aspettando. “Mio dio sono la prima!”.
La ragazza si affrettò ad
avvicinarsi al cappello parlante con una certa eleganza, senza mostrare timore
come erano soliti gli altri studenti.
“Ah-ah! Barrymore!”, fece il cappello, una volta che fu poggiato in testa
ad Hannah. “Grandi
intellettuali coloro che ti hanno preceduto, e benefattori se vogliamo dire. Ma
tu hai qualcosa di diverso… la tua voglia di sapere è
così … insolita. C’è del buono in te, ti piace aiutare le persone ma il tuo
difetto è che credi che la prima persona che debba essere aiutata sia… te stessa. Non ci sono dubbi, per forza…
SERPEVERDE!”, finì per urlare il cappello.
Il tavolo dei Serpeverde
levò un urlo di esulto.
Il ragazzo che prima si trovava
accanto ad Hannah applaudì, cercando di mostrare
entusiasmo verso la ragazza. Prima del suo turno, una serie di nomi furono
chiamati: Astoria ed Arthur Malfoy, di cui la prima
finì in Grifondoro, l’altro a Serpeverde;
Portia Periwinkle , finita
a Grifondoro; Augustus Mclagen, Tassorosso. I nomi
continuavano tra esulti e sconvolgimenti, tra l’altro lo smistamento sembrava
essere diventato oggetto di scommesse e gossip.
“Jolyon
Jackson!”, chiamò poi la professoressa Aldridge.
Il ragazzo dai capelli rossi si
guardò intorno: erano rimasti pochi ragazzi ad attendere, tutti gli occhi della
sala grande erano puntati su di lui. Nel mentre si dirigeva allo sgabello, gli
studenti cominciarono a parlare tra loro su di lui, rivolgendogli strane
occhiate.
“Qualcuno sa chi sono i Jackson?”,
chiese una ragazza seduta al tavolo dei Corvonero.
“Io non li ho mai sentiti, sarà un Nato-babbano!”.
“Vestiti di seconda mano, deve
provenire da una famiglia poverissima.”, fece un serpeverde.
“Ha così timore del cappello
parlante che per quando sarà arrivato si sarà già fatto la pipì addosso!”,
furono le parole di una ragazza Grifondoro.
Arrivato allo sgabello, Jolyon esitò di sedersi per qualche minuto. Non era stato
preparato ad essere giudicato così pubblicamente, ne sapeva quanto fosse
importante in quella comunità l’appartenenza ad una casa di Hogwarts.
“Non abbi paura, signor Jackson.”,
le disse la professoressa Aldridge per rassicurarlo,
tenendo alto il cappello parlante.
“Non ero preparato a questo.”,
rispose Jolyon con un filo di voce.
Prima che il ragazzo si sedette al
tavolo, si accorse che la preside Potter era lì a fissarlo. La preside gli
sorrise , poi con un movimento del capo lo incitò a sedersi. Jolyon obbedì subito, senza riuscire a spiegarsi il perché
d’improvviso si sentiva così rassicurato.
“Che cosa abbiamo qui…”, sussurrò il
cappello parlante. “Un Jackson …ehi! Aspettate: chi sono i Jackson? Non ho mai sentito
parlare di voi, ne ho mai smistato uno della tua famiglia in una casa di Hogwarts. E non sei un Nato-babbano
a quanto vedo.”.
Il ragazzo deglutì. Mi prendono tutti per un Nato-nomag
qui, pensò.
“Hai forse detto No-mag?”fece il cappello.
“Senza ombra di dubbio, tu vieni dal Nord
America. Ah-ha! Il primo studente americano di Hogwarts!”
Tutti si stupirono alle parole del
cappello parlante, studenti e professori. Jolyon
osservava come gli studenti ai tavoli cominciavano a parlare di nuovo di lui,
chi parlava di volerlo nella propria casa, chi invece si chiedeva come mai un
mago americano fosse venuto a studiare ad Hogwarts.
Dopotutto, era risaputo che il Nord America avesse la propria scuola di magia, Ilvermorny, tra l’altro era una delle migliori al mondo.
“Non badare a ciò che streghe e maghi in questa stanza dicono, signor
Jackson.”fece il cappello, riportando l’attenzione di Jolyon
al suo smistamento. “Hai paura di mettere
a nudo ciò che c’è nella tua testa, non eri pronto a tutto questo. E’ inutile
che cerchi di nasconderti, io posso vedere tutto: sei timido, ma se ti si mette
a tuo agio riesci a mostrare tutte le tue attitudini. Hai voglia di imparare,
di accrescere la tua conoscenza, sei in cerca di avventure e di storie da
raccontare quando tornerai a casa… Eppure… Eppure… Sento che Grifondoro non è la scelta esatta, così come Corvonero. E se ti mettessi a Tassorosso?”.
Jolyon
non riusciva più a sopportare di essere lì, aveva affrontato tante altre
situazioni simili ma mai come quella volta si era sentito così tanto in
imbarazzo. Non conosceva nessuno dei ragazzi di quella scuola, che sembravano
così in armonia tra loro , compresi i Nati-nomag.
Dal tavolo dei Serpeverde,
il ragazzo riuscì a vedere quella ragazza bionda di nome Hannah,
che gli indicava di farsi forza. Jolyon si lasciò
sfuggire un sorriso, e per un attimo desiderò di essere accanto a lei.
“Si,se
è questo quello che vuoi.”, il cappello parlante aveva
percepito il desiderio del ragazzo. “SERPEVERDE!”.
La sala grande fu travolta dagli
applausi e dalle esaltazioni degli studenti Serpeverde,
che a quanto pare erano orgogliosi di avere nella loro casa il primo studente
americano di Hogwarts. Jolyon
si affrettò a raggiungere i suoi nuovi compagni al tavolo, ove Hannah gli aveva tenuto un posto per lui proprio accanto a
lei.
“Sapevo che saremmo stati compagni
di casa, Jolyon!”, esultò la ragazza stritolandolo in
un abbraccio, quasi soffocandolo. “Un compagno misterioso, vorrei dire. Sul
treno avresti potuto dirmi che sei americano!”.
Jolyon
riprese fiato.
“Come mai qui in Gran Bretagna?
Avete la vostra scuola in America, dopo tutto. Oh, per Merlino! Avevo pensato
fossi un Nato-babbano!”.
Non
mi abituerò mai alla parola Babbano,
pensò Jolyon.
“Hey,
ciao!”, uno studente dai lunghi e ricci capelli castani , appena smistato, si
unì a loro sedendosi di fronte. “Marvin Chase, piacere di conoscervi.”
“Hannah
Barrymore e lui è …”.
“Si , Jolyon
Jackson!”, esclamò. “Chi non ha assistito al tuo smistamento, è durato quasi
cinque minuti.”
Jolyon
non sapeva se la cosa fosse positiva o negativa, ma lasciò perdere. Marvin aveva il viso tondo, il capo era grosso così come il
suo naso. Nonostante Jolyon lo stesse studiando da
seduto, il ragazzo non appariva per nulla grasso, anzi di sicuro era più in
forma di lui.
“Il tuo cognome non mi è nuovo, Marvin.”, disse Hannah.
Il ragazzo arrossì.
“Oh, giusto! Julian
Chase! Il portiere dei Thunderbirds United !”, gli occhi Hannah
si erano illuminati. “Impossibile non riconoscere il figlio di Chace, siete identici!”.
“E’ quello che ha detto il cappello
poco fa.”, disse il ragazzo, ancora arrossito. “E tu, invece?”, si rivolse a Jolyon.
“Io cosa?”, rispose Jolyon, ancora spaesato dall’ambiente che lo circondava.
“Beh, vieni da un’altra società
dopotutto.”, affermò Hannah. “Raccontaci un po’ del
tuo conto. Ad esempio, la tua discendenza, come mai sei qui ad Hogwarts…”.
“Vi sembrerà strano, ma le unioni con
i No-mag sono molto rare nella nostra comunità.”, la
interruppe Jolyon.
“No-mag?!”,
si chiesero i due giovani Maghi al sentire quella strana parola.
“Ehm… Babbani.”, si corresse. “E’ il modo in cui noi americani
chiamiamo i Babbani. Comunque, una vecchia legge,
ormai abrogata e chiamata Legge Rappaport, ci
impediva di sposarci con chi non possedesse poteri magici. Diciamo che questa
influenza è rimasta, ma la cosa non è stata mai portata a livelli inimmaginabili.”
“Un po’ retrò la cosa.”, fece Marvin. “Insomma,
non c’è nulla di male nello stare coi Babbani, mia
madre lo è.”.
Alcuni studenti Serpeverde
si girarono a guardarlo, ma la cosa non sembrò disturbare nessuno di loro.
Nonostante alcuni dei fondamenti della casa dei Serpeverde
non veniva più seguito, c’erano alcuni che credevano ancora nella purezza del
sangue e nella supremazia dei maghi sui Babbani.
Certo, la cosa non era più come ai tempi di Colui-che-non-deve-essere-nominato
e quindi nessuno ci dava più di tanto peso, soprattutto da quando molteplici
mezzosangue e figli di Babbani vennero smistati nella
casa.
“E i tuoi chi sono, Hannah?”, chiese poi Marvin alla
ragazza. “Barrymore mi suona abbastanza familiare.”.
“Non sei mai entrato da Accessori di prima qualità per il Quidditch?”, chiese, fermandosi per un istante a
guardare il ragazzo annuire. “Beh, quelli sono i miei genitori, Mamma per la
precisione! Papà è all’ufficio dei Misteri al Ministero. Un ammiratore di tuo
padre sfegatato, tra l’altro. Pensa che…”.
“Sempre a parlare tu, megera!”,
esclamò un ragazzo, ch’era sempre stato seduto accanto alla ragazza ma che fino
ad’ora non aveva aperto bocca.
La somiglianza tra Hannah e quel ragazzo era incredibile: entrambi avevano
lunghi capelli biondo scuro, il naso greco ed una pelle così dorata da sembrare
oro vero; si differenziavano solo per il colore degli occhi, l’uno verde chiaro
e l’altra neri come la pece.
“Non mi hai considerato fino
ad’ora, che cosa vuoi ora?”, le chiese Hannah seccata.
“Si stava bene a casa senza di te, Trevor.”.
Il ragazzo sorrise alzando le
sopracciglia, come se volesse pavoneggiarsi di qualcosa. Poi spostò
d’improvviso lo sguardo su gli altri due ragazzi, dapprima su Marvin e poi finì per studiare Jolyon
dal capo in giù.
“Ciao!”, sorrise al ragazzo dai
capelli rossi, masticando poi una patatina fritta.
“Lui è Trevor , ragazzi.”, disse Hannah. “Mio fratello, purtroppo. Terzo anno.”.
Jolyon
e Marvin lo salutarono in coro, il primo cercava di
nascondersi dai fissi sguardi che il biondo gli donava, la cosa lo metteva
abbastanza in imbarazzo.
“E non hai detto il resto”, disse
mentre altri suoi compagni lo incitavano a pavoneggiarsi davanti ai nuovi studenti.
“Cercatore della squadra di Quidditch della casa e… sapete da quando? Dal primo anno!”.
I due ragazzini si finsero stupiti,
a quanto pare era questo che cercava quel ragazzo.
“Solo Harry Potter prima di me…”.
“Andiamo! Sempre la stessa
storia!”, lo interruppe Hannah, per poi continuare
con una smorfia: “Solo Harry Potter è
stato Cercatore dal primo anno! Sei ridicolo.”
“Dico la verità, sorellina!”, disse , ricambiando la
smorfia e dandosi il cinque con un ragazzo seduto al suo fianco.
“Quanto amore fraterno.”, scherzò Marvin sottovoce, infilzandosi in bocca una coscetta di
pollo.
Una volta che finirono di mangiare,
i nuovi studenti furono invitati a seguire i loro prefetti che li guidarono
verso i rispettivi dormitori. Quello degli studenti Serpeverde
si trovava nel luogo più tetro e oscuro del castello: nei sotterranei.
Considerata la terza camera più grande del castello, la sua entrata consisteva
in una porzione di muro di pietra che scivolava di lato al suon della parola
d’ordine, che quell’anno era Ad valorem gloriam. A guardia del muro vi erano due cobra giganti,
i cui occhi sembravano puntati sugli studenti.
“Mio padre mi ha detto che se si
sbaglia la parola d’ordine i Cobra prendono vita.”, disse Hannah
mentre entravano nella sala comune.
“E che succede quando prendono
vita?”, chiese Jolyon, preso dalla curiosità.
Hannah
alzò le spalle, Marvin fece segno di non guardare
lui.
“Forse ci mangiano vivi!”, scherzò Marvin.
“Statue che mangiano maghi? Tu
leggi troppi libri Marvin Chase!”,
fece la ragazza.
A distrarre quelli che a Jolyon cominciavano a sembrare futili discorsi fu la
meraviglia della sala grande, che a quanto pare era situata nei pressi di
quello che tutti chiamavano il Lago Nero. Le ampie vetrate che circondavano la
nera sala affacciavano direttamente nelle acque del lago, da cui si potevano
ammirare le sirene che nuotavano indisturbate in compagnia degli Avvicini, che
in quel momento sembravano essere i loro animali da compagnia. La sala era
arredata con mobili tutti neri e sul soffitto vi erano una moltitudini di
ritratti moventi di vario genere, così come i serpenti dipinti sulle pareti. Al
centro della camera c’era un grande tavolo , ove alcuni studenti erano già li
seduti a studiare per il giorno dopo.
“Non sono nemmeno arrivati!”, disse
Hannah osservando gli studenti intenti a studiare.
“I tuoi commenti sulle abitudini
degli studenti più vecchi puoi tenerli
per te, signorina Barrymore.”, disse il prefetto ad Hannah,
con una certa area di supremazia. “Ora, i vostri dormitori sono stati tutti
preparati e vi troverete i vostri effetti personali. Ogni stanza presenta
quattro letti a baldacchino. Ora a gruppi vi recherete nei dormitori con i
vostri compagni di stanza.”, terminò la frase indicando una scala a chiocciola
in mogano. “Vediamo un po’… Arthur Malfoy, Artemio McLaine, Marvin Chase e…”,
sembrò esitare per un attimo. “… Jolyon Jackson, si!
Voi siete i primi, in fondo al dormitorio dei maschi sulla sinistra c’è la
vostra camera.”
Jolyon
osservò i due ragazzi che, per i prossimi sette anni, sarebbero stati i suoi
compagni di stanza: il primo, Arthur Malfoy, aveva i
capelli biondo rossiccio e la pelle bianca come la neve appena caduta; il suo
naso era piccolissimo ed i lineamenti erano sottili e lo facevano sembrare più
piccolo di undici anni, nonostante il mento sporgente; il suo sguardo avrebbe
fatto rabbrividire chiunque al primo impatto, grazie ai suoi freddi occhi
simili al ghiaccio. L’altro invece era grassottello – come un prosciutto a
detta di Marvin – il suo naso aveva la forma di una
patata schiacciata, gli occhi erano piccoli e neri e i lunghi capelli castani
sembravano essere appena stati immersi nel grasso del maiale. Nessuno dei due
sembrava avere un’aria amichevole, soprattutto Arthur.
Una volta nel dormitorio e
sistematosi ognuno sul suo letto, un’aria fredda sembrò inondare la stanza,
come se un gruppo di Dissennatori si fosse piantato
sul soffitto aspettando il momento giusto per risucchiargli via l’anima.
“Beh, vedo che c’è molta aria di
loquacità qui.”, tentò di sdrammatizzare Marvin, una
volta finito di mettersi il pigiama.
“Taci Chase!”,
fece Arthur, intento a controllare l’orario delle lezioni del giorno dopo.
Jolyon
notò che i due ragazzi si conoscevano, in qualche modo. Poi si ricordò che non
era così difficile nella comunità magica d’Inghilterra, soprattutto tra
studenti Serpeverde.
“Mezzosangue a Serpeverde,
come ci sei finito?”, si chiese Artemio mentre era
intento a pulirsi il naso con un fazzoletto. La sua domanda sembrò , più che
altro, un pensiero ad alta voce.
“Non è più di moda prendere in giro
gli studenti Mezzosangue, Artemio.”, lo riprese Marvin, indifferente dall’affermazione che il compagno di
stanza aveva appena fatto. “E poi non discendo io da un Mangiamorte!”.
Artemio
fece per alzarsi, tenendo la sua bacchetta impugnata, ma fu interrotto da
Arthur che gli fece segno di restare fermo.
“E’ inutile Art, non sapresti
nemmeno come usarla.”, gli ricordò l’amico. “Non vorremmo fare brutta figura di
fronte alla nuova celebrità della scuola.”
Jolyon
era sul suo letto, anch’egli intento a controllare l’orario delle lezioni e
giocherellando con la bacchetta tra le mani, incurante degli stupidi insulti
che i tre stavano tenendo tra di loro.
“Un mago americano ad Hogwarts.”, fece Arthur, notando la non curanza del
ragazzo. “Che cosa ti porta qui?”.
“La lettera di Hogwarts,
direi.”, disse con un filo di voce, senza staccare gli occhi dal foglietto
delle lezioni.
“Beh, voi avete Ilvermorny,
dopotutto.”, puntualizzò Arthur. “ Un motivo ci deve essere per venire a
studiare qui, questa scuola accetta solo maghi dall’Irlanda e dal Regno
Unito.”.
Jolyon
continuò a non dare ascolto al compagno di stanza, cosa che portò Arthur ad
avvicinarsi pian piano a lui.
“Che cosa ti porta davvero qui?”,
gli chiese una volta trovatosi di fronte a lui. “Dai, su! Sciogliti! Sette anni
da passare assieme abbiamo, prima o poi si saprà il perché.”
Jolyon
continuava a non rispondere, ne a rispondere agli sguardi che i tre ragazzi
avevano su di lui. Marvin osservò il suo nuovo
compagno con sospetto.
“Bah! Americani!”, fece seccato
Arthur ritornandosene sul suo letto. “Chi vi capirà mai! Nemmeno la
Confederazione Internazionale ci riesce.”
Jolyon
non aveva di certo dato una bella impressione di se in quel momento, e di
questo ne era più che consapevole. Purtroppo, era così spaesato e lontano
miglia di distanza da casa che non riusciva a rispondere a tutte quelle domande
curiose sul suo conto. Nonostante fosse un mago come tutti gli altri, non
riusciva a comprendere tutti gli usi inglesi, per non parlare del miscuglio tra
i No-mag e streghe e maghi. Anche il cibo, nonostante
fosse quasi simile, aveva un sapore diverso che di sicuro non gli ricordava
casa ed i suoi genitori.
L’ultima volta che aveva visto i
suoi era al binario 9 e ¾. Avevano attraversato il grande oceano attraverso una
Passaporta che collegava il Colorado ad un piccolo
paesino di nome Coventry, quasi ad un’ora di distanza dal centro di Londra. I
suoi erano orgogliosi che il proprio figlio era stato ammesso ad una delle
scuole più prestigiose del mondo, ma allo stesso tempo rammaricati che
sarebbero così lontani. Dopotutto, Jolyon era il loro
unico figlio e vederlo andarsene così presto non era facile. La madre, Amelia,
scoppiò in lacrime una volta visto il figlio salire sull’Espresso per Hogwarts, una scena che avrebbe preso vita anche se il
ragazzo si sarebbe recato ad Ilvermorny. Lei ed il
padre, Parnassus, erano dei coltivatori di erbe di
tutti i tipi, molto richiedenti da Medimaghi ed
esperti di Pozioni; perfino Ilvermorny richiedeva i
loro prodotti annualmente.
Quella notte, Jolyon
non riuscì a prendere sonno con grande facilità. Sia per il nervosismo dovuto
al suo arrivo a scuola, sia per il fatto che Marvin,
il cui letto era proprio accanto al suo, cominciò a russare profondamente. Dopo
essersi continuamente girato e rigirato sotto le coperte, si alzò dal letto e
si recò nella sala comune, magari leggendo un libro della biblioteca le sue
palpebre si sarebbero riuscite a stancare.
La sala comune non era vuota, come
invece si aspettava. Hannah, quella piccola ragazza
logorroica, era lì seduta su di un divano ad accarezzare un gatto dal liscio
pelo nero.
“Ciao.”, salutò Jolyon.
“Hey!”,
esclamò la ragazza, sorpresa di vedere il suo compagno ancora in piedi. “Non
riesci a dormire, vero?”.
“No.”, rispose sedendosi accanto a
lei. “E a quanto pare nemmeno tu.” Posò lo sguardo sul micio che stava
accarezzando. “E’ tuo? Non mi sembra di averlo visto in treno con te.”
La ragazza sorrise, lo sguardo
fisso sul gatto intento a mordicchiare le mani di quella che sembrava essere la
sua padroncina.
“L’ho trovata sul mio letto assieme
ad un biglietto di mio padre. E’ un suo regalo.”, affermò. “L’ho chiamata Midnight, per via del suo pelo così nero.”
Anche Jolyon
avrebbe desiderato un animale da compagnia, anche se averne uno non era così
popolare tra i maghi del Nord America. Nonostante i Gufi porta-lettere erano
usati tanto quanto l’Europa, non era solito trovare una strega od un mago
accompagnato da un famiglio. Questa era una tradizione più Europea.
“Sai, mia madre quando io e mio
fratello eravamo piccoli ci recitava una filastrocca, una di quelle rime per
far addormentare i bambini. Sembrava una fiaba , più che altro.”, disse la
ragazza. Continuando ad accarezza il suo gatto, la ragazza cominciò a recitare
le rime:
Un
dì si vide il giorno non tramontare,
lì
fermo ad aspettare la notte calare.
Amanti
in un giorno senza divisioni,
fuggiti
da un mondo di sole separazioni.
L’uno
il freddo, l’altro il calore,
prova
diedero del loro impossibile amore.
Da
un albero dai rami contorti,
cadde
il frutto specchio dei maghi forti.
Poiché
un unione così fragile,
sarà
quello che renderà tutto possibile.
“Sembra quasi che voglia lasciare
una qualche morale.”, disse Jolyon non appena la
ragazza finì di recitare i versi. “Solo che non si capisce quale.”
La ragazza annuì.
“So che te l’avranno chiesto già in
molti”, cambiò discorso Hannah, poggiando il gatto a
terra. “Ma come mai sei qui?”
Il ragazzo trasse un profondo
respiro, prima di decidersi a rispondere. Un po’ si vergognava di quella che
era la risposta, anche se non si trattava
per nulla di qualcosa umiliante.
“Non ho mai ricevuto la mia lettera
per Ilvermorny.”, disse tenendo la testa rivolta verso il basso. “Quando
ricevetti la mia lettera per Hogwarts rimasi quasi scioccato, stentavo a
crederci. Io ei miei, però, continuammo ad aspettare fino alla settimana scorsa
la lettera per la nostra scuola. Attesa che si è rivelata inutile. Mio padre ha
scritto più volte al MACUSA, e la risposta sai qual è stata? Non ci sono
errori, ecco quale!”
“Ti dispiace essere venuto qui?”,
gli chiese a questo punto la ragazza.
“No, non è questo.”, ammise. “Sono
molto entusiasta, è solo che ora sono così spaesato. Le vostre usanze sono
diverse dalle nostre, lo smistamento delle case, i rapporti coi Nomag – o come
li chiamate voi i Babbanni - ... E poi ognuno conosce l’altro, è tutto così …
confuso!” , dovette fermarsi per non finire di sprofondare in una lagna.
La ragazza sembrò comprendere a
pieno cosa stesse provando il suo compagno. Abbozzando un piccolo sorriso,
poggiò una mano sulla spalla del ragazzo e accarezzandola lievemente.
“Sono sicuro che ti troverai bene
qui.”, fece la ragazza, per poi ridere. “Anche se siamo in un mondo di gossip,
dopotutto.”
Il ragazzo ricambiò anch’egli con
una risata. “Infondo, non sarebbe stato così diverso in America.”, si ritrovò
ad ammettere il ragazzo. “Anche se non potrò mai sapere che magari anche lì
avrei avuto compagni di stanza rincitrulliti.”
“McLaine e Malfoy, scommetto.”,
aggiunse, ed il ragazzo le rispose prontamente annuendo. “Li ho visti entrare
nel negozio di mia madre un paio di volte, in questi anni. Arthur non fa altro
che pavoneggiarsi dei suoi parenti.”
Jolyon guardò la ragazza confuso,
ella dimenticava che in fatto di conoscenze della comunità magica il ragazzo
era alquanto scarso.
“I Potter!”, fece poi la ragazza.
“Arthur è cugino di secondo grado della Potter, lo sanno tutti! Così come i
suoi nipoti Ginevra ed Harrison Potter, studenti Grifondoro al terzo anno. Mi
meraviglio che quella zucca vuota di Malfoy non l’abbia già menzionato. Beh,
d’altronde anche il suo nome è famoso nel nostro mondo.”
Jolyon non fece altro che annuire,
capire e ricordare tutti quei nomi non faceva altro che confonderlo. Aveva
capito che, tra i maghi inglesi, era fondamentale conoscersi tra loro. Si
promise che un giorno sarebbe riuscito a farlo, anche se sapeva che la cosa era
alquanto retrò.
“Ci aspetta un giorno duro
domani.”, fece la ragazza, raccogliendo il suo gatto di nuovo tra le braccia ed
alzandosi. “Rimani qui un altro po’?”.
“Si.”, rispose Jolyon. “Giusto il
tempo che le mie palpebre mi si stancano.”
La ragazza si congedò e si diresse
velocemente verso il dormitorio, lasciando il ragazzo da solo nella sala
comune.
Jolyon rimase quasi un’ora a
fissare il soffitto pieno di moventi serpenti, le cui spire avvolgevano gli
innumerevoli quadri che circondavano la sala. Quest’ultimi dormivano come dei
ghiri, tranne uno che non faceva altro che sparire e riapparire, e quando vi si
trovava nella sala dei Serpeverde non faceva altro che fissare il ragazzo.
Un
altro fissato inquietante, pensò il ragazzo intento a
studiare l’aspetto del quadro. Doveva essere stato un uomo alquanto influente
nella casa, la sua aria di supremazia ed il suo tetro aspetto non comunicavano
altro. I neri capelli e la pelle cadaverica erano accentuati dalla sua nera
veste.
Lord
Voldemort, pensò per un attimo Jolyon, per poi accorgersi del
naso ad aquilino dell’uomo, ricredendosi sulla sua identità.
Stava quasi per salutare il quadro,
dato che non smetteva di fissarlo, ma questo sparì per l’ennesima volta e lasciò
di nuovo solo il ragazzo.
Inglesi,
pensò. Andiamo Jolyon! Fatti forza! Non
sarà la fine del mondo studiare qui ad Hogwarts.
Dalla torre più alta del castello,
la professoressa Aldridge si apprestava ad incontrare la preside Potter, che
l’aveva convocata a quell’ora per parlare senza nessun tipo di disturbo. Non
era a conoscenza del motivo per cui la donna le aveva chiesto d’incontrarla, il
biglietto che aveva ricevuto diceva solo di recarsi nel suo ufficio dopo
l’orario del coprifuoco.
“Professoressa Potter.”, fece la
Aldridge, una volta entrata. “A cosa devo il piacere del suo biglietto
improvviso ?”
La professoressa Potter era ferma
ad osservare il panorama fuori dal castello, il suo sguardo , perso tra le
acque del Lago Nero, era calmo ma allo stesso tempo preoccupato. Lentamente si
voltò verso la professoressa Aldridge, rivolgendogli un serio sguardo.
“Andiamo Portia!”, finì per
esclamare, la sua voce sembrava quella di una adolescente appena uscita da un
salone di bellezza. “Siamo amiche dalla scuola, non c’è bisogno che mi dai del
lei anche qui nel mio ufficio.”
“Scusami Lily.”, disse Portia,
lasciandosi sfuggire un lieve sospiro. “Mi sento confusa da quando ho preso
questo posto come insegnante di Incantesimi, e non ti nascondo che sono anche
nervosa per domani. Dopotutto è il mio primo giorno.”
“Non eri così nervosa quando
eravamo al Ministero.”, disse la preside, dirigendosi verso la sua scrivania e
frugando qualcosa tra le sue carte. “Sai, pensavo che questo ruolo mi si
addicesse. Dopo un solo anno di insegnamento qui ad Hogwarts, diventare Preside
era come un sogno che si avverasse. Fino ad oggi.”
“Che cosa ti turba?”, chiese
Portia, avvicinandosi lentamente all’amica. “Che cosa cerchi tra queste carte?”
“Una risposta.”
Portia sembrò non capire a cosa
l’amica si riferisse, nonostante sapesse tutto di lei. D’altronde, sapeva
quanto Lily fosse una persona enigmatica, conoscendo il suo passato e la sua
stimata famiglia.
“Ho un brutto presentimento,
Portia.”, la sua voce si era raffreddata, come se la donna fosse sul punto di
piangere. “Quel ragazzo … mi ricorda lui, in qualche modo.”
“Andiamo, Lily!”, cercò di
consolarla. “Non ne puoi essere sicura, è passato tanto tempo. Certo, anche io
non ti nascondo che c’è una certa somiglianza, ma non ne possiamo essere
sicure. Undici anni fa, quell’incantesimo ha fatto si che fosse al sicuro.”
“E allora spiegami”, cominciò Lily,
arrabbiata. “Spiegami come è arrivata una lettera di invito ad Hogwarts ad un
ragazzino del Colorado, Portia!”.
“Non può esserci un collegamento,
Lilian.”, la rassicurò Portia, poggiando una mano sulla spalla della preside.
“L’incantesimo era preciso, ti ho sentita io stessa: volevi che fosse al
sicuro. Al sicuro vuol dire anche morto,
lo sai?”
La rossa donna annuì, asciugandosi
una piccola lacrima sfuggitagli.
“So che il dolore ti consuma, ma
questa è soltanto una coincidenza.”, aggiunse la professoressa.
Lily si lasciò sfuggire un sospiro,
allontanandosi poi dalla scrivania e avvicinandosi all’unico ritratto sveglio.
Il tetro uomo raffigurato fece cenno di si lentamente, per poi chiudere gli
occhi ed addormentarsi come gli altri dipinti.
“Voglio che sia controllato,
costantemente.”, disse Lily, voltandosi verso l’amica dietro di lei.
“Constatiamo insieme che questa sia solo una coincidenza.”
“Va bene, se la cosa ti farà stare
meglio.”, disse Portia.
“E, se sarà necessario, invierò un
gufo a mio padre.”, aggiunse. “Permetterò agli Auror di materializzarsi e
smaterializzarsi nel castello al fine di proteggere i miei studenti. Tu,
Portia, informa il direttore della casa di Serpeverde della mia decisione, e
che non se ne facci parola con nessun altro.”
“Che scusa inventerai con tuo
padre?”, le chiese sbigottita. “Quale altra minaccia richiederebbe l’intervento
degli Auror? Tuo padre non è un uomo facile da
deviare con strambe bugie, lo sai bene.”
“Lui sa dei versi.”, rispose Lily.
“Tanto gli basta sapere”.
Portia,
non riuscendo ad aggiungere altro, si limitò a congedarsi dalla preside e ad
abbondare il suo ufficio.
In balia dei suoi più oscuri e
segreti pensieri, la preside rimase sveglia tutta la notte, preoccupata di
quelle che potevano essere le sorti future del castello e dell’intera comunità
magica.