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Autore: Saku90    16/08/2017    2 recensioni
Tratto dal prologo
Avevamo sconfitto Kaguya. Quindi penso sia comprensibile pensare di aver finalmente eliminato ogni minaccia e di poter sperare di godersi almeno mezzo secolo di pace, no?
Purtroppo non avevamo fatto i conti con quello che viene definito il terzo fattore, un fattore imprevedibile, e per questo spiazzante e catastrofico come non mai.
Sapete già di chi parlo, perché per quanto la sua dichiarazione di voler difendere Konoha abbia in parte acquietato le nostre paure, non aveva ingannato i nostri cuori.
[...] A un certo punto l’atmosfera si fece più tesa. Le intenzioni di entrambi si consolidarono nella volontà di concludere quello scontro. Entrambi erano pronti a sferrare il colpo decisivo, e proprio come quel giorno, di un sacco di anni fa sul tetto dell’ospedale, corsi a frappormi tra loro.
Posso ancora ricordare perfettamente la faccia sconvolta di Naruto, e lo sguardo determinato di Sasuke, disposto a trapassare il mio corpo pur di uccidere il suo migliore amico.
Vi starete giustamente chiedendo: cosa accadde? Da chi fui salvata?
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden, Dopo la serie
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Capitolo IV

 
Sasuke

 
Mi svegliai nell’udire un forte ronzio al mio orecchio. Focalizzando la mia attenzione sul quel molesto rumore, mi resi conto che, più che ronzio, era un persistente russare. Lentamente schiusi un occhio, cercando di abituarmi alla luce solare che mi inondava.
Ero fuori all’aperto, in un bosco.
Qualcosa di umido, bavoso e viscido mi scivolò sulla spalla, allertando ancor di più i miei sensi. Cercai di mettermi a sedere, ma una mano mi cingeva la vita appiccicandomi come un francobollo ad un corpo massiccio chiaramente maschile, visto che potevo sentire sfregare su di me l’alzabandiera mattutina.
«Non riuscirò mai a capire come fai a dormire con lui che russa in questo modo», mi disse Yamato.
«Sakura-chan… Sakura-chan…», borbottava la voce impastata dal sonno di Naruto.
Ero nuovamente nel corpo di Sakura.
«Noi vi lasciamo un po’ di privacy», mi informò Yamato indicando anche Sai e un altro ragazzo.
«Sakura-chan…», riprese a borbottare il baka sfiorandomi il collo con le labbra.
Gli tirai una gomitata nello stomaco che gli fece immediatamente spalancare gli occhi.
«Uhm… scusa, lo so che non dovrei toccarti davanti agli altri, ma sei così bella», si giustificò, per poi guardarsi attorno.
Lo so che non dovrei toccarti davanti agli altri.
Quindi si azzardava a toccarla!
Allora stavano insieme!
Non ebbi nemmeno il tempo di razionalizzare quello strano evento, che mi ritrovai inchiodato a terra dal corpo di Naruto.
«Ora, però, non c’è nessuno che può osservarci», mi informò con ghigno vittorioso sulle labbra.
Ero troppo sconvolto dalla notizia che quei due stessero effettivamente insieme, per rendermi conto delle intenzioni di quel pazzo, che mi baciò.
Con tanto di lingua!
«Buongiorno bellissima», mi disse poi sorridendomi.
Gli tirai un pugno dritto su quel sorriso troppo zuccheroso e soddisfatto per poi strisciare via, il più lontano possibile da lui, e vomitare.
Come poteva, Sakura, trovare attraente quel baka che baciava, tra l’altro, come una lumaca?
«Stai male?», mi chiese preoccupato.
«Lasciami stare».
«Cosa sta succedendo, Sakura? Sei troppo strana ultimamente».
Rimasi in silenzio, non sapendo cosa rispondere.
«Si tratta di Sasuke, vero? Ti ho sentito l’altro giorno parlare con Sai», sospirò sedendosi accanto a me per scostarmi una ciocca di quei capelli profumati dal viso.
«Io lo so che tu non mi ami. Perlomeno non come io amo te. Ma so anche che nutri del sincero affetto nei miei confronti. Non mi farò strane idee sul nostro rapporto, ti prometto che sarò per sempre al tuo fianco, anche solo come amico. Ma… Sakura, non gli permettere di rovinare tutto questo», mi supplicò indicando tutto ciò che ci circondava con un vago gesto della mano.
La sua supplica mi toccò profondamente, perché, nel profondo, sapevo che non si stava rivolgendo solo a Sakura, ma anche a me.
«Perché devi gettare via questo per qualcuno che ci ha rinnegati?».
Mi alzai in piedi, la testa piene di quelle frasi che mi dipingevano come il mostro egoista qual ero.
«Dammi un giorno per pensarci. Solo uno», gli chiesi.
Non toccava a me decidere, quella scelta apparteneva solo a Sakura.
«Dove stai andando?».
«Torno al villaggio per i fatti miei».
Vagabondai per i boschi alla ricerca di una soluzione per la tempesta di emozioni che mi scuoteva.
Stavano insieme.
Lui l’amava sul serio, l’aveva sempre amata.
Li avevo abbandonati a loro stessi, dunque perché ero così arrabbiato per il fatto che avessero cercato conforto l’un l’altro.
Non ero solo arrabbiato, ero geloso.
Geloso di Naruto, che patetico.
Senza nemmeno rendermene conto ero arrivato di fronte la porta della casa di Sakura.
Sentivo le voci di sua madre urlare contro il padre per la sua incorreggibile pigrizia.
Sapendo che non avrei tollerato altre prediche, saltai direttamente sul balcone che dava alla camera di Sakura, e mi intrufolai dentro, lasciandomi cadere malamente, con tutto lo zaino, su quel letto rosa. Mi voltai su un fianco per liberarmi del peso di quella borsa, e il mio sguardo cadde su una foto poggiata sul comodino di fianco al letto. Immortalava quella che doveva esser stata la nostra squadra.
Chissà se ero felice in quei tempi?
Ricordandomi del diario di Sakura aprii la borsa per cercarlo, lo presi, e lo aprii.
«Come chi sono?», sbuffai nel leggere la domanda che quell’impertinente aveva scritto sotto quella antecedentemente scritta da me.
Roso dalla gelosia, le risposi:
Sono il tuo tanto amato Sasuke-kun.
Troppo preso dallo scrivere quella breve, ma concisa, risposta, non mi accorsi del leggero cigolio della porta che veniva aperta.
«Ora entri anche di soppiatto senza avvisare del tuo ritorno?», mi riguardì una voce che avevo imparato a temere, ovvero quella della madre di Sakura.
Cercai di elaborare il prima possibile un’adeguata risposta, ma quella megera non me ne diede il tempo che, con una velocità da far invidia ad Orochimaru, mi tramortì con un colpo di padella alla base della nuca.
Caddi a terra sbattendo pesantemente la testa nel pavimento.
L’ultima cosa che vidi, prima di perdere i sensi, fu la faccia preoccupata di quella stronza.
Prima tramortiva la figlia, e poi si preoccupava del suo stato di salute.


 
Naruto

 
Osservavo il viso di Sasuke disteso in un sonno ristoratore, indeciso se svegliarlo o meno, visto che a breve saremmo stati dimessi dall’ospedale. Fortunatamente il mio dilemma fu risolto da Sasuke stesso, che proprio in quel momento decise di aprire gli occhi.
Stranamente quando vidi quelle enormi pozze d’inchiostro, schiudersi lentamente, ancora illanguiditi dal sonno, mi bloccò il respiro in gola, azzerandomi la salivazione.
«Buongiorno…», sussurrò con voce dolcemente modulata, arrochita dal sonno.
«B…buongiorno», balbettai imbarazzato, osservandolo stendere il suo corpo come un gatto al sole.
«Mi ci voleva proprio questa bella dormita», mi informa sorridendomi.
Sasuke mi aveva sorriso.
Incapace di credere a quanto i miei occhi stessero vedendo, iniziai a sfregarmeli furiosamente.
«Come mai ti sei svegliato prima di me?», mi domandò arricciando il naso in un modo che mi fece prudere dalla voglia di baciargliene la punta.
«Naruto? Stai bene?», mi domandò alzandosi dal letto per sedersi sul mio.
Riuscivo ad avvertire il calore che emanava il suo ginocchio a contatto col mio.
«Si», gli dissi tentando di deglutire.
Stranamente non si fidò della mia risposta, anzi, si avvicinò ancor di più a me, il suo petto che sfiorava il mio, per poggiarmi una mano sulla fronte.
«Sei leggermente accaldato, forse hai un po’ di influenza», mi avvisò per poi baciarmi la fronte.
«Sa…Sasuke, cosa stai facendo?», gli chiesi rosso come un pomodoro.
«Eh? Sasuke?», mi chiese scostandosi leggermente dal mio viso.
Approfittai del suo tentennamento per allontanarmi da lui.
Lo vidi esaminarsi le mani, i suoi occhi offuscarsi di confusione per poi sgranarsi dallo stupore.
«Cosa…?», farfugliò tastandosi il petto, le sue mani che scendevano sempre più giù per sostare in bilico sopra il cavallo dei suoi pantaloni.
Lo vidi deglutire, e poi chiudere gli occhi e poggiare la mano proprio lì!
«Maledizione!», imprecò rosso in volto.
«Che scherzo è?», mi chiese guardandomi con gli occhi colmi di lacrime.
«Chiamo l’infermeria per darti un calmante», lo rassicurai avanzando verso la porta, ma mi afferrò il polso per impedirmi di allontanarmi.
«Naruto… sono io. Non mi riconosci?», mi implorò.
«Sei Sasuke».
Vidi le sue labbra scandire, prive di alcun suono, le sillabe del suo nome.
Scattò subito in piedi, il suo sguardo frenetico, come quello di animale selvatico, che perlustrava la stanza alla ricerca di qualche dettaglio che potesse spiegargli quella situazione.
Quegli occhi neri, così familiari, eppure in quel momento estranei, si appuntarono sulla foto che mi aveva portato Sai, quella che ritraeva il vecchio team sette.
«Cosa è?», mi chiese sfiorandola con due dita.
«La nostra foto di gruppo».
«Foto di gruppo? Ma Sai è entrato a far parte del nostro team solo dopo che Sasuke ci ha abbandonati», riprese a farneticare.
Farneticava, altrimenti perché avrebbe parlato di se stesso in terza persona?
«Ma tu sei Sasuke», gli feci notare con voce pacata.
«Che fine ha fatto Sakura?», mi chiese con gli occhi pieni di lacrime a malapena trattenute.
Sakura.
«Chi?».
«Come avete potuto dimenticarmi? Dopo tutto quello che ho fatto, e che ho sacrificato per voi? Io… io vi amavo, e voi…. Io non vi avrei mai dimenticati, MAI!», si sfogò, il suo petto scosso da incontrollabili singulti.
«Non capisco di cosa stai parlando», gli confidai spaesato.
«Di Haruno Sakura! La vostra compagna di team! Una ragazza dagli orrendi capelli rosa, dalla fronte spaziosa, e dagli occhi verdi», mi spiegò con tono concitato.
In quel momento capii.
Al di là di qualunque logica, di qualunque legge fisica si presupponga governi il mondo, il mio cuore capì.
L’abbracciai, la strinsi a me come se non ci fosse un domani, beandomi di quell’odore di fiori e sole che sprigionava.
«Cosa ci fai lì dentro?», le chiesi.
«Non lo so».
«Io e Sasuke ti stavamo cercando, ma non riuscivamo a ricordarci te. È come se tu non fossi mai esistita nelle nostre vite».
Vidi il suo volto corrucciarsi.
«Non capisco…non vi ricordate di me? Il mio nome? Tutti i momenti che abbiamo trascorso insieme?».
Scossi la testa, paralizzato dal dolore che vedevo sbocciare in quegli occhi.
«Non ti ricordi nemmeno di noi?», mi sussurrò, gli occhi fragili come cristalli.
«Noi?».
Mi rispose con un cenno del capo.
«Stavamo insieme», mi confidò cercando di sottrarsi dalla mia presa.
Non glielo permisi.
«Non mi ricordo, ma è come se parte di me lo sapesse, come se ti appartenessi a prescindere da tutto», le confidai.
«Nar…».
Fummo interrotti da un delicato colpo alla porta, che però ci fece sobbalzare come se si trattasse di una bomba, allontanando i nostri corpi.
«Avanti», gracchiai.
Entrò un’Hinata alquanto preoccupata.
«Naruto-kun…. Mi hanno permesso di farti visita solo oggi», mi disse fiondandosi tra le mie braccia e depositandomi un casto bacio sulle labbra.
Rimasi sbigottito di fronte ad una simile reazione.
Fu solo il rumore della porta che sbatteva, che mi risvegliò da quello stato di shock.
Sakura se n’era andata.
 

 
Sakura
 
 
Non riuscivo a credere che mi avessero cancellato così facilmente dalle loro vite. A me, io che avevo sacrificato la mia vita per salvare la loro.
Scesi il più in fretta possibile le scale per recarmi all’accettazione e uscire dall’ospedale. Passando davanti una stanza, vidi uscire il quinto Hokage.
«Sasuke, sei venuto a riappacificarti con la tua ragazza?», mi chiese con un insolito tono materno.
Sasuke aveva la ragazza.
Naruto stava con Hinata.
Ed io ero morta, dimenticata, cancellata dai ricordi di tutti.
«No, ho lasciato solo un po’ di privacy a Naruto e Hinata», cercai di rispondere con nonchalance.
«Tutto bene?», mi domandò scrutandomi.
«Si, vorrei solo essere rimesso e andare a casa».
«Certo», mi lasciò andare per rientrare nella stanza.
Osservai quei corridori e quelle stanza che per anni avevano rappresentato una seconda casa per me. Tutto procedeva con tranquillità. Non ero indispensabile, e la calma che invadeva la struttura, era una più che sufficiente come testimonianza di ciò.
Non appena uscii dall’ospedale, mi diressi verso quella che una volta era la mia casa, curiosa di sapere se i miei vivevano ancora lì.
Una volta arrivata di fronte al portone, cercai di farmi coraggio, e bussai.
«Salve, chi cerca?», mi rispose mia madre.
«Abita qui Sakura Haruno?».
«Mi dispiace, ma non conosco nessun Haruno che si chiami Sakura», mi rispose gentilmente.
«Lei non ha una figlia?».
«Sì, ma non si chiama Sakura. Okudera! Scenderesti per favore, tesoro?».
Dovetti mordermi le labbra per non saltare addosso a mia madre, in questa vita così insolitamente gentile.
Il rumore di leggeri passi che scivolavano lungo le scale, distolse la mia attenzione, dai mille modi che il mio cervello stava congetturando per vendicarmi di mia madre.
Una ragazza dagli insoliti capelli rosa ci stava raggiungendo.
Sapere che anche in un futuro alternativo, colei che mi avrebbe sostituito, sarebbe stata condannata da quell’orrendo colore di capelli, mi procurò un po’ di conforto.
Okudera aveva dei begli occhi color cioccolato, così diversi dai miei e da quelli dei miei genitori, che non potei fare a meno di domandarmi da quale ramo del nostro albero genealogico li avesse ereditati.
«Sasuke-kun?», mi chiamò.
Quindi conosceva Sasuke.
Sentivo la gelosia strisciarmi lungo la gola, minacciando di sputare veleno in risposta a quel timido saluto.
«Mi sono sbagliato, arrivederci», mi accommiatai per poi dileguarmi in mezzo alla folla mattutina.
Camminai senza meta, persa nei miei pensieri. A quanto pareva, non c’era più posto per me al villaggio. Non come Sakura Haruno. Dopotutto avevo fatto la mia scelta. Mi ero sacrificata per amore di quei due.
Amavo Naruto, a modo mio, ma lo amavo. Forse non come merita, non con la stessa intensità di Sasuke, ma era stato l’unico, a parte il mio amore per la medicina, a sapermi offrire una ragione di vita, a farmi lottare per rimanere umana, e non una macchina priva di emozioni.
Riguardo Sasuke…. lo amo, oggi più che mai. Nonostante l’odio, il rancore, e il disprezzo che mi ha gettato addosso.
Non ho mai fatto mistero di ciò. Per lui sono sempre stata tanto incosciente da non riuscire a proteggere il mio cuore. Infatti fu proprio lui a distruggerlo, trapassandolo col suo chidori, infliggendomi la morte. Ma non lo odio per questo, nemmeno per avermi dimenticato.
 Per tutto questo odio me.
 Mi maledico per la mia fragilità, per la mia incoscienza, e per essermi preclusa qualsiasi futuro.
Senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo alle porte del quartier Uchiha. Percorro quei sentieri infestati da spiriti che non trovano pace, e mi addentro in quella che era la stanza di Sasuke.
Mi lascio cadere ai piedi del suo futon, in mezzo a quello spesso strato di polvere che testimonia la sua lunga assenza.
Con un dito traccio i kana del suo nome. Un nome elegante e importante, che rispecchia perfettamente la personalità del suo proprietario.
Un improvviso rumore, proveniente dall’ingresso, mi fece alzare in piedi per andare a controllare.
Con il cuore che batteva furiosamente in petto, facendo attenzione a far meno rumore possibile, mi avvicinai sempre più all’ingresso. Quando i miei occhi scorsero un ‘ombra avviarsi lungo il corridoio, partii all’attacco.
«Sakura?», mi chiamò la voce di Naruto, facendomi arrestare in malo modo, il piede messo in bilico nel compiere un altro passo mi fece sbilanciare facendomi cadere come un sacco di patate e battere la testa a terra.
Che patetica.
L’ultima cosa che vidi fu il volto preoccupato di Naruto che mi chiamava per nome: il mio nome privo dell’affettuoso -chan che per anni mi aveva contraddistinto.
 

 
Sasuke


Mi svegliai con una mano che mi carezzava dolcemente la testa.
«Sakura… Sakura», sussurrava la voce di Naruto con le labbra premute sulla mia fronte.
Immediatamente osservai le mie mani. Stranamente erano le mie, non quelle femminili di Sakura.
Allora perché Naruto chiamava il suo nome, e carezzava i miei capelli tempestando la mia fronte di innumerevoli piccoli baci?
«Teme, cosa stai facendo?!», gli sibilai, affilato come la mia katana.
Nell’udire il mio tono di voce rinsavì lasciando andare malamente la mia testa, che con un sonoro tonfo entrò in collisione con il pavimento.
«Sei tu», sospirò deluso.
«Chi altro dovrei essere?».
«Sakura, la ragazza sulla quale dov…».
«So perfettamente chi è Sakura», lo interruppi.
«Bene. Comunque, prima che battesse la testa sul pavimento si trovava nel tuo corpo», mi disse.
Quindi stavolta, mentre io occupavo il suo corpo, lei prendeva possesso del mio.
«Lei era la nostra compagna di team, Sasuke. È rimasta alquanto sconvolta dal fatto che ci fossimo dimenticati di lei, e …», si interruppe imbarazzato.
«Cosa?».
«Mi ha detto che io e lei stavamo insieme», sussurrò, facendo perdere un battito al mio cuore.
«Ma ha anche detto che ci amava entrambi, che si era sacrificata per noi».
Strano. Quando occupavo il suo corpo saltavo indietro nel tempo, prima della guerra e dell’ultimo scontro, ma non avendo alcun ricordo, era come se saltassi in un futuro alternativo. Mentre lei, quando prendeva possesso del mio corpo saltava nel passato di cui conosceva gli eventi.
«Povera Sakura! E adesso come faccio? Non posso essere fidanzato con due ragazze!», si stava lagnando Naruto, distogliendomi dalle mie riflessioni.
Mi limitai a guardarlo, convinto che tanto mi avrebbe sommerso con il suo cicaleccio, spiegandomi ogni minimo dettaglio.
«A quanto pare sto per sposarmi con Hinata», mi rivelò con una faccia talmente sgomenta da risultare paradossalmente comica.
Scoppiai a ridere, il cuore leggero come una piuma: se era promesso ad Hinata non poteva di certo frequentare Sakura.
Era risaputo che Hiashi Hyuga non fosse molto tollerante.
«Perché sorridi?».
«Sono felice per te, Hinata è davvero una brava ragazza», gli risposi senza riuscire a smettere di sorridere.
«Lo dici perché vuoi Sakura tutta per te!», mi accusò infantilmente.
«Sakura è mia e di nessun altro», stabilii senza dargli opportunità di controbattere.
Dopotutto era il mio nome che scriveva e pronunciava. Era mio il corpo che infestava, così come solo a me era concesso occupare il suo.
Ignorando il broncio di Naruto, lo afferrai per il colletto della sua orrenda tuta, e lo trascinai fuori da casa mia.
Avevo bisogno di un po’ di solitudine per riflettere su tutte quelle novità.
   
 
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