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Autore: Mary Black    29/08/2017    10 recensioni
È costretta a fissarlo, sbatte le palpebre per mettere a fuoco il suo profilo. I lampioni in strada accendono un alone da santo intorno alla sua figura, ma i capelli di tenebra e gli occhi pieni di ombre non ingannano nessuno, nemmeno una bambina.
C’è un silenzio surreale, un silenzio così profondo che lei sente il click dell’accendino, il suo respiro raschiato in gola.
"Ne vuoi una?"
Hermione sbatte le palpebre, come per scacciare il fumo, come per scacciare un’idea.
"Sono troppo giovane."
È una risposta debole, lo sa, e sa che lui riderà, invece Sirius rimane zitto – ma lei scorge lo stesso lo scintillio dei suoi denti nel buio, la curva del suo ghigno da diavolo.
"Non sai quant’è vero."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Sirius Black | Coppie: Hermione Granger/ Sirius Black
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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La storia è arrivata terza al contest “La bellezza di un cuore spezzato (e rimesso insieme)” di A m e t h y s t.


Un inverno di ombre



“La baciò come se gli appartenesse, come se fosse una parte di lui perduta da tanto tempo, che alla fine riusciva ad avere”
di Lauren Kate.

 

Sirius vaga per la casa come un fantasma.
Ha gli occhi d’argento immobili e i polsi scheletrici, le vene blu in rilievo sulla pelle sottile – così sottile che sembra pronta a sgretolarsi, come cenere, come polvere.
Lei lo guarda aggirarsi tra le stanze come in un labirinto che non ha uscita. È casa sua, ci è cresciuto, eppure... eppure ci sono momenti in cui sembra che lui non sia nemmeno lì con loro.
Lei si chiede, tutte le volte, se Sirius si sia perso in un mondo di ombre sfocate che gridano ininterrottamente, senza smettere mai, ogni minuto della sua vita sbiadita.
Lei se lo domanda, perché Sirius non è mai del tutto presente a se stesso. Ha sempre una ruga verticale che gli solca la fronte e gli increspa la pelle tra gli occhi, tiene sempre un angolo della bocca appena piegato all’ingiù, come se qualcuno bisbigliasse al suo orecchio qualcosa di crudele che lui non può afferrare.
Sirius ha lo sguardo perso di chi sta ascoltando qualcosa di molto lontano – e lei pensa che forse sono le grida interminabili dell’inferno in terra che ha già vissuto, sono le grida che gli uscirebbero di bocca se soltanto non se le cucisse tra i denti come un castigo.

*


Lui la guarda passare senza vederla davvero – Hermione è una bambina prodigio con capelli impossibili e dita macchiate d’inchiostro, è una figura indefinita sepolta in una poltrona consunta.
Sirius marcisce nei suoi rancori, passa ore alla finestra ad osservare le persone che vanno e vengono, vanno e vengono, in un andirivieni che non finisce mai.
Sirius macina sigarette su sigarette, lo sguardo freddo perso oltre il vetro, in una stanza semibuia dove anche lei sembra trovarsi quasi per caso – Hermione è un’ombra ai margini del suo campo visivo, fruscio di pagine smosse piano.
E ci sono momenti (mentre Sirius spegne in un portagioie di cristallo la ventesima sigaretta della giornata, mentre pensa che quella casa alla fine c’è riuscita, a diventare la sua tomba, mentre si scosta rabbiosamente i capelli dal volto perché lui odia l’estate) in cui la scorge.
Scorge la bambina prodigio rannicchiata in poltrona, i riccioli gonfi di elettricità statica che le sfiorano il profilo, gli zigomi – l’impressione che potresti afferrarla e sgualcirle i vestiti, la pelle, e non otterresti nulla se non quello sguardo soffuso che lancia da sotto le ciglia quand’è distratta.
In quei momenti, Sirius sorride, ma solo un po’.

*

Lei lo osserva soltanto quando ha quell’aria immobile, quasi distratta.
Quando lui ride e scherza, lei se ne disinteressa. Scova la finzione anche quando neanche lui ne è consapevole – la scorge raggomitolata nel fondo di quegli occhi bui, nelle ombre che vi si accalcano come neve ai bordi delle strade, neve che diventa fango.
A volte, Hermione pensa di essere l’unica a rendersi conto che qualcosa in Sirius non va, che qualcosa dentro di lui è rotto. Sono tutti così impegnati nel cercare di rendere quella casa adatta ad ospitare la vita (e lui ci è cresciuto, lui era un bambino dagli occhi lucenti che giocava con carillon maledetti e teste recise di elfi) che nessuno sembra badare a lui, ai sorrisi tirati e feroci che si scava in viso, alle occhiaie che infossano il suo sguardo, febbrile come quello d’un pazzo.
A Hermione non sfugge, ma cerca di non darlo a vedere – non può, non deve, sa di non dovere, eppure i suoi occhi trovano sempre la figura slanciata di Sirius, non quando ride, non quando scherza, non quando offre panini al burro che sanno soltanto di carta, no, i suoi occhi lo cercano e lo trovano sempre mentre Sirius ha l’aria di qualcuno che preferirebbe spararsi al cuore piuttosto che tirare soltanto un altro respiro ancora.
Hermione cerca di non fissarlo, ma i suoi occhi la tradiscono di continuo.
Soprattutto la sera, quando (mentre lei finge di leggere in una stanza in penombra) Sirius fuma una sigaretta dopo l’altra nel vano della finestra, una gamba che penzola nel vuoto e gli occhi esausti di chi non sogna più.

*

Sirius non sa di preciso quando si sia accorto che la ragazzina fatica a togliergli gli occhi di dosso. È semplicemente che un giorno, mentre vagabonda tra le stanze come un profugo senza patria, la vede – si volta quel tanto che basta per cogliere di sfuggita i suoi occhi grandi che lo frugano in ogni dettaglio, per intuire il suo rossore anche dietro quella criniera di capelli che sparisce su per le scale.
Sirius sorride, e per la prima volta da settimane ritrova un frammento di buon umore.
Gli sono sempre piaciute le sfide – e d’altronde lui odia l’estate.

*

Sirius l’ha scoperta. È un pensiero stupido, Hermione lo sa (non c’è niente da scoprire, niente di niente, lei non ha fatto nulla di male), ma non per questo è meno vero.
Lui non fa che fissarla, con un mezzo sorriso inciso in viso, con quegli occhi freddi in cui le ombre sembrano danzare – a volte, la notte, Hermione si chiede se quelle ombre non siano demoni, se le sue iridi non siano infestate, se Azkaban non gli abbia lasciato qualcosa di più della magrezza eccessiva e della bellezza sfiorita.
Sirius non fa che osservarla e scoppia a ridere ogni volta che lei arrossisce, ogni volta che le sue gambe sussultano, ogni volta in cui la vede rabbrividire.
Hermione sa che lui ride perché ai suoi occhi altro non è che una ragazzina infatuata, e un po’ le secca che dia per scontato il suo interesse, ma più i giorni passano più la rabbia muore, e le sue labbra si schiudono ogni volta che lui è vicino per catturare una briciola del suo odore.
È tutto uno studiarsi reciproco, e non importa che Sirius abbia gli occhi cerchiati di nero di chi non dorme mai, non importa che abbia il portamento che devono avere i diavoli, giù all’inferno.

*

L’estate sta finendo, agosto scivola via come acqua tra le dita – e Sirius dovrebbe essere felice, perché ha sempre detestato l’estate, ma questa volta non ci sarà nessun treno su cui partire a settembre, e lui resterà di nuovo solo, sepolto vivo nella casa dei suoi incubi, e sa che il silenzio tornerà a tormentarlo, sa che torneranno le grida.
È sempre più difficile fingere allegria, Sirius passa interi pomeriggi chiuso nella sua stanza, ma poi il pensiero di lei (gli sguardi colpevoli che gli scocca da sopra la spalla di Harry, la bocca schiusa in respiri tremanti, le palpebre che si serrano quando lui la sfiora come per errore) lo convince a tornare.
Lei è una ventata d’aria fresca dopo secoli di prigionia.

*

La sera lei continua a sedere nella stanza al terzo piano in cui ama leggere, Sirius continua ad andarci per fumare – ma non guarda più il mondo oltre la finestra, il vento trascina tra le pareti il frinire delle cicale e l’odore tossico della città, e lei gli ricorda una sirena imbrattata di petrolio.
Lei finge di non sapere che lui sia lì, ma ha le labbra schiuse (per catturare il suo odore) e la concentrazione annullata. Tiene il libro capovolto, e sbianca quando lui glielo fa notare in uno scoppio di risa.
È costretta a fissarlo, sbatte le palpebre per mettere a fuoco il suo profilo. I lampioni in strada accendono un alone da santo intorno alla sua figura, ma i capelli di tenebra e gli occhi pieni di ombre non ingannano nessuno, nemmeno una bambina.
C’è un silenzio surreale, un silenzio così profondo che lei sente il click dell’accendino, il suo respiro raschiato in gola.
“Ne vuoi una?”
Hermione sbatte le palpebre, come per scacciare il fumo, come per scacciare un’idea.
“Sono troppo giovane.”
È una risposta debole, lo sa, e sa che lui riderà, invece Sirius rimane zitto – ma lei scorge lo stesso lo scintillio dei suoi denti nel buio, la curva del suo ghigno da diavolo.
“Non sai quant’è vero.”


*

Sirius non dice una parola, si limita a scivolarle davanti come un’ombra e a tagliarle la strada – l’ha aspettata, l’ha tenuta d’occhio, l’ha seguita, e ora lei è lì, sola, giovane, indifesa, e Sirius non ha mai saputo resistere alla tentazione di sgualcire qualcosa di perfetto.
Le preme due dita sulle labbra per soffocare il suo singulto sorpreso – ma non c’è dolcezza, è solo che Sirius può contare tutti i suoi errori soltanto così, soltanto in un silenzio ermetico in cui persino respirare è proibito.
Lei ha gli occhi grandi, sgranati, d’un castano luminoso pieno di vita. Sono gli occhi del futuro e Sirius esita, esita appena – ma Sirius detesta l’estate, detesta quelle quattro mura, e dal piano inferiore si levano rumori di sedie spostate e scoppi di risa, la voce appassita di Remus che lo chiama piano, e allora non c’è più tempo per i rimorsi.
Sirius la spinge contro la parete e la bacia bruscamente, la barba sfatta le graffia la bocca, ma lei ha le labbra già schiuse e morbide, così morbide. Sirius pensa di impazzire quando lei gli affonda le dita tra i capelli e ricambia i suoi baci lividi, i suoi morsi.
È soltanto un istante, un minuscolo istante (prima che lei ritorni in sé, prima che la voce di Remus si faccia troppo vicina, prima che lei si scosti con un sussulto e gli occhi velati e le labbra rosse di peccato e l’espressione infranta, prima che lei lo spinga lontano da sé e sparisca al piano superiore in un fruscio di vesti e singhiozzi recisi tra i denti), ma Sirius se ne accorge.
Quando l’ha baciata, tutto è tornato insieme. Quando l’ha baciata, si è sentito di nuovo umano – come per magia, come se fosse un sogno, i fantasmi hanno smesso di gridare e il silenzio è tornato ad essere solo silenzio, lei e il suo corpo tutto candore e ombre fanno il miracolo, lei che si scioglie tra le sue braccia è il pezzo mancante, è la speranza, è la vita.
Sirius guarda verso l’alto, dove lei è scappata via, e sa di non essersi mai sentito così in tutta la sua vita.
È l’ultimo giorno di agosto.

*

Quando sale sul treno, Hermione tira un sospiro di sollievo.
Ha occhiaie violette che le segnano il viso e le dita che tremano, ma sa d’essere salva.
(Non può sapere che il destino ha in serbo per lei veleno di serpente e un inverno di ombre.)


*

Cade la neve, là fuori.
Sirius è abbandonato contro la cornice della finestra, una sigaretta gli pende svogliatamente dalle labbra sottili. La cenere ha già bucato il maglione d’un nero stinto che indossa – ha l’aria spenta, sconfitta, con la barba sfatta di tre giorni che ha il colore dei lividi, i polsi scheletrici dalle vene in rilievo che giacciono inerti, gli occhi vuoti come quelli dei morti.
Fissa oltre il vetro, ma non sta guardando davvero.
Sirius sta ascoltando il silenzio – perché da quando lei se n’è andata il silenzio è tornato ad essere più assordante che mai.
Cade la neve, là fuori.
Sirius ha perso persino la voglia di uscire – di combattere, di vivere, e per cosa? Per sentirli gridare quand’è sveglio, per vederli morire quando dorme? Sirius giace nel letto per ore, la notte, pur di non dormire, pur di non dover guardare, ma alla fine crolla, crolla sempre, e all’alba si sveglia e vorrebbe essere morto insieme a loro.
Con un movimento lento, Sirius scivola giù dalla cornice della finestra. Spinge la sigaretta giù, nel vuoto, che muoia nella neve – almeno lei, almeno può – ed è allora che la vede.
È solo uno scorcio di capelli impossibili e l’accenno d’un profilo affusolato. Un lampo di castano brunito, i morsi del freddo sul pallore della sua carnagione, lo svolazzare d’una sciarpa rosso rubino.
La porta di casa sbatte e sua madre ricomincia a gridare – ma gli occhi di Sirius ora brillano, d’argento come il filo d’un coltello, e le rughe d’espressione sono sparite dal suo volto, resta solo quell’aria indolente e l’odore di tabacco e la cenere sulla lana bruciata del suo maglione.
La incontra sulle scale. Ha l’aria infreddolita che stona con il portamento austero, ma quando lo vede si blocca e il suo sguardo s’offusca, le ciglia tremano – il ghigno di Sirius si allunga, e sembra un diavolo, con i capelli neri sul volto e le ombre negli occhi che catturano la luce, che divorano la luce.
“Non si buttano le sigarette dalla finestra.”
Lei spinge il mento verso l’alto mentre parla – ma la sua voce trema, è esile, è un sussurro, e lui sorride perché il silenzio è finito, non ci sono più grida, non ci sono più bisbigli, c’è soltanto lei con la pelle troppo bianca e il viso ancora da bambina, e Sirius freme di qualcosa che forse un tempo sarebbe stata felicità.
“È un piacere riaverti qui, Hermione.”

*

Quella stessa sera, Hermione è in cima alle scale. Ha un libro stretto al petto e fissa intenta la porta della stanza – vorrebbe entrare, contro ogni logica, entrare lì dentro e...
“Ti sei persa?”
La voce di Sirius, velata di divertimento, la fa sussultare. Si volta di scatto (appena in tempo per scorgere il suo sorriso bieco e gli occhi pieni di ombre) ma è un attimo, e Sirius le stringe una mano in vita e un’altra intorno alla bocca e la spinge nella stanza senza una parola.
La lascia andare quasi subito, ma resta vicino, così vicino che potrebbe sfiorarlo, se le andasse, potrebbe baciarlo, se lo volesse – e il suo odore è stordente, le provoca un cerchio alla testa, le azzoppa le gambe, e il diavolo sorride come se non fosse mai caduto dal cielo.
Hermione si costringe ad indietreggiare d’un passo.
“Devi...” la voce le si spezza, “Devi smetterla, Sirius. Dico sul serio.”
“Altrimenti? Lo dirai a Harry?”
Sirius s’abbandona con la spalla contro la porta da cui lei non può fuggire, e a Hermione mancano le parole – non è mai stata una ragazza frivola, ma Sirius è così bello da ridurla ad un fascio di nervi scoperti.
“Io... Lo dirò a Remus. Lui ti darà un freno!”
Sirius scoppia a ridere mentre apre la porta e s’inoltra nelle ombre del corridoio – nei suoi occhi d’argento danzano i demoni, e lui pare meno umano che mai.
“Non rendiamola una sfida, piccola.”

*

È la notte di Natale, e Sirius non riesce a dormire – non fa che udire il tintinnio dei calici di champagne, le risa stridule di sua madre, e forse trent’anni non sono abbastanza per dimenticare.
Esce dalla sua stanza per dirigersi in cucina, ma non riesce a fare nemmeno un passo prima che i suoi occhi vengano catturati da un bagliore.
Lei è seduta sui gradini delle scale con un libro tra le dita – sembra un fantasma, sembra un’ombra che si è smarrita nella brughiera.
È la prima volta che lo fissa senza sussultare.
“Non riuscivo a dormire.”
“Nemmeno io.”
Lei annuisce appena e Sirius resta in silenzio – nei suoi occhi nebulosi le ombre danzano affamate, sussurrano possibilità, costruiscono scenari di mondi che bruciano sulle labbra d’una bambina.
Sirius ha la bocca riarsa, ma sorride ugualmente d’un sorriso distorto – ha le dita contratte ad artiglio e gli occhi bui, lei riconosce il pericolo e si solleva da terra, pronta a fuggire.
Ma non fuggirà.
“Vieni qui.”

*

“Sirius, ti prego...”
Le sue mani lungo le cosce – la stoffa della sua camicia da notte sgualcita, la sua pelle segnata.
“Smettila...”
L’odore stordente dei suoi capelli di tenebra che le piovono addosso mentre la spinge sdraiata – zitta, è un ordine secco, rauco, è un morso troppo forte sulle labbra, è il sapore di ferro del suo sangue.
“Sirius...”
Polsi sempre più deboli – vestiti che saltano da tutte le parti, polpastrelli giallastri di nicotina che le forzano le gambe, sta soltanto zitta.
“Sirius, per favore...”
(Sta soltanto zitta.)
“Ti prego.”
Lei quasi grida e Sirius ride – è arruffato e pallido, solo ombre e occhi taglienti nella stanza buia, tutto nervi e pelle bianca tirata sulle ossa.
Incombe sopra di lei con le iridi fredde che divorano la luce (zitta) e la smorfia divertita (sta soltanto zitta) da cane randagio; le schiude le cosce con le ginocchia, scosta un lembo di camicia da notte d’un bianco sporco (zitta, non l’ha nemmeno spogliata del tutto, sta soltanto zitta) e le crolla sopra.
“Shhh, faccio piano, faccio piano.”
Lei spezza un grido contro la sua spalla (shh, faccio piano) e serra le palpebre, ma i fianchi di Sirius hanno già iniziato a spingere (sta soltanto zitta, shh, faccio piano, zitta) e lei non può fare a meno di seguirlo, di precipitare.
Lei singhiozza e sussulta e trema – di piacere, di dolore, la smorfia sul volto di Sirius è quella d’una bestia in agonia, ma gli occhi splendono come stelle e lei non l’ha mai visto brillare così, non così, le ombre accalcate nei solchi dei suoi graffi, nelle linee affilate dei muscoli che spariscono tra le sue cosce (e lei non può guardare perché Sirius smettila, Sirius per favore), ma non negli occhi, Dio, non negli occhi.
Lei urla contro il palmo che lui le serra sul viso mentre i brividi le esplodono lungo la schiena e pensa confusamente che (è una ragazzina, non dovrebbe saperne niente, è troppo giovane, Dio, è troppo giovane) non ha mai provato niente del genere.
Il piacere le scioglie le vene, distrugge il suo respiro – Hermione si tende e s’adatta, s’agita e scatta, s’impiglia contro le ossa della sua mascella, contro la barba sfatta che le graffia la pelle, il mondo ridotto a brandelli da quelle iridi, lucenti come il filo d’un coltello, che la osservano dall’alto con appena una punta d’ironia.
Sirius rilascia un respiro tremante nella sua bocca nell’ultimo spasimo, i suoi fianchi si muovono a scatti sempre più piano (sta soltanto zitta), le palpebre tremano e la presa sui suoi riccioli s’allenta (è un sollievo, non s’era accorta di quanto la stesse stringendo, forte, forte da farle male).
Non le crolla addosso quando tutto finisce, rotola di lato scrollando i capelli madidi di sudore, il petto ossuto alla luce della luna – e le ombre tornano ad accalcarsi nei suoi occhi, Hermione lo nota e si ritrae con un sussulto.
Lei pensa che non le rivolgerà uno sguardo, una parola, che semplicemente continueranno come sempre hanno fatto (lei sepolta in una poltrona consunta che finge di leggere e lui sepolto nella cornice d’una finestra che finge di desiderare la vita, un libro dopo l’altro, una sigaretta dopo l’altra), che da un momento all’altro si girerà su un fianco e si metterà a dormire, e invece Sirius si volta quasi di scatto e la trafigge con quegli occhi freddi come lame.
La scruta per un po’. Non parla, sta in silenzio, ha un’aria tremendamente seria – e lei si sente tremare, Sirius ti prego, Sirius per favore, sta soltanto zitta.
“Ti avranno sentito gridare tutti.”

*

Sirius non vuole farle del male.
Non vuole ma non può farne a meno – lei è una parte di sé, una parte che non sapeva d’avere perso, e adesso che sa che lei gli appartiene non può semplicemente lasciarla andare come se nulla fosse successo.
La guarda giacere nel suo letto, con le guance in fiamme e i capelli aggrovigliati (e il senso di colpa in quegli occhi di ragazzina), e ogni volta si sente un ladro.
“Che cosa siamo, Sirius?”
Non lo sa.
“Che stiamo facendo?”
Non vuole saperlo.
“Forse dovremmo smettere.”
Ha ragione.
“Dio, Sirius, per l’amor di Dio, di’ qualcosa!”
“Cercare di razionalizzare non serve a niente, ragazzina. Siamo quello che siamo.”
Gli occhi di lei lampeggiano come braci e Sirius pensa che, se potesse, forse lo ucciderebbe – è in quel momento che non gli sembra nemmeno tanto sbagliato, mentre lei brucia di rabbia e soffia parole di laudano, mentre le ombre tacciono.
“Ci sono cose che sono vere e basta, Hermione.”

*

È la cosa più stupida ch’abbia mai fatto, Hermione lo sa – strisciare nel suo letto, la notte, e soffocare le grida contro le sue dita giallastre di nicotina, contro le sue labbra sottili.
Non saprebbe nemmeno dire come possano essere arrivati a tanto. L’estate con i suoi sguardi lanciati di sfuggita è scivolata via, e l’inverno ha portato con sé solo neve e ombre, solo rimpianti.
Non riescono nemmeno a parlarsi, tra un assalto e l’altro, quasi non riescono a guardarsi in faccia – lei cerca di trovarci un senso, cerca un appiglio di ragionevolezza in quell’abisso di desiderio, ma lui odia le regole come odia l’estate; Sirius è libertà assoluta, è un buco nero che divora tutto ciò che sfiora.
Hermione sa che dovrebbe farla finita, e ogni volta giura che sarà l’ultima, ma quando Sirius sorride lei vede sul fondo dei suoi occhi d’argento la vita ch’aveva un tempo – ogni volta che annega nel suo corpo, lo vede giovane, lo vede felice, ancora vivo, ancora integro, e lei sente uno strano dolore al petto, come una nostalgia, come un rimpianto, come quando si guarda qualcosa che non è destinato a durare, e per quanto siano sbagliati insieme lei non ha le forze per separarsi da lui, riesce solo a conficcargli le unghie nelle spalle e ad ansimare più forte.
È l’ultima notte dell’anno e il tempo corre via, inesorabile.

*

Sirius la trova nella stanza dove hanno incominciato a studiarsi.
Si stanno tutti preparando per tornare a scuola, ma lei è seduta sulla cornice della finestra, lo sguardo oltre il vetro – gli sembra più adulta, con l’aria seria e le ciglia che non tremano più, un’ombra
violacea sul collo nudo, dove ha banchettato un vampiro da fiaba.
Sirius tace perché non sa come dirle addio.
È lei a rompere il silenzio, brusca.
“Non fare niente di stupido, d’accordo?”
“Non rendiamola una sfida, piccola.”
Lei non sorride, e Sirius pensa di nuovo che lei gli appartiene, gli apparterrà per sempre.
“Mi mancherai.”
Lei sussulta di dolore, e per un terribile istante lui sa, con precisione abbagliante, che non la rivedrà mai più – ma poi il momento sfiorisce e Sirius ride di se stesso con appena un filo d’inquietudine, e la bacia fino a levarle il respiro.
“Ci vediamo la prossima estate, Hermione.”
(Non può sapere che il destino ha in serbo per lui un velo di seta e la voce di James che chiama il suo nome tra le ombre.)



Note dell’Autrice
Buona sera, lettori!
Vi segnalo che la frase “un’ombra
violacea sul collo nudo, dove ha banchettato un vampiro da fiaba” è un rimaneggiamento di “la chiazza violacea sul collo nudo, dove aveva banchettato un vampiro da fiaba”, tratta da “Lolita” di Vladimir Nabokov.
Per il resto, ho fatto un uso che definirei selvaggio di parentesi e trattini e asterischi vari, un uso confusionario che non mi è proprio ma che ho voluto provare e che spero sia riuscito.
Spero che la storia vi piaccia!

Un bacio,
Mary

  
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