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Autore: Larrystattoos    11/09/2017    2 recensioni
In un mondo in cui vedi tutto in bianco e nero finché non incontri la tua anima gemella, Yuuri si sente fuori posto. Finché non conosce Victor.
Victuuri
Soulmate!AU. Dancer!Yuuri, Teacher!Victor.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Phichit Chulanont, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ad Alex, senza la quale non avrei mai scritto questa storia.


Vedere il mondo in bianco e nero quando la maggior parte dei ragazzi della sua età aveva scoperto i colori già da un bel po’, per Yuuri, era frustrante ed anche un po’ doloroso. Avere ventitré anni e neanche uno straccio di idea sull’identità della sua anima gemella lo faceva innervosire e non poco.
Non era mai stato il tipo di ragazzo che le persone cercavano: non molto alto pur essendo un ballerino, dei lineamenti tutt’altro che particolari, sempre un po’ in sovrappeso nonostante l’attività fisica che gli rubava giornate intere e poca, pochissima autostima lo rendevano la persona meno indicata per una relazione e lui lo sapeva bene. Considerando anche il fatto che a lui non piacevano nemmeno le ragazze, la situazione si complicava. Nessun uomo avrebbe voluto una persona così insicura al suo fianco, tanto meno un ballerino, e la sua inesistente vita sentimentale ne era la prova.
Fu con quella convinzione che si presentò il primo giorno all’Accademia Vaganova. Yuuri, infatti, era un ballerino di danza classica e, negli ultimi anni, aveva fatto parte di alcune tra le più prestigiose compagnie del Giappone. Non aveva mai ottenuto ruoli da protagonista, ma i suoi assoli erano stati abbastanza numerosi da permettergli una certa fama nella sua patria. Nonostante l’età massima per entrare alla Vaganova Ballet Academy di San Pietroburgo fosse diciotto anni, a quanto pareva uno degli insegnanti aveva spinto così tanto per averlo che il rettore aveva dovuto cedere.
Una volta entrato nell’enorme sala d’ingresso ed aver dato il suo nominativo, Yuuri non poté far altro che aspettare, seduto su una delle poltrone, che il suo insegnante arrivasse. Man mano che i minuti passavano, diversi ragazzi entrarono nella scuola: il primo fu un ragazzino biondo dall’aria altezzosa che si diresse senza esitazione e senza guardarsi intorno verso una delle sale dall’altra parte della struttura. Pur muovendosi velocemente ed in modo deciso, Yuuri notò il movimento sinuoso di quel ragazzo, che quasi sembrava non toccare il pavimento. Poco dopo fu la volta di un ragazzo scuro, sui diciassette anni, che lo squadrò brevemente prima di allontanarsi, diretto verso la stessa sala del biondino. Infine, ci fu quello che arrivò trafelato correndo ed inciampando nel proprio borsone. Nonostante la tensione, Yuuri sorrise. Quel tornado in forma umana doveva ancora scomparire quando una voce dal tono allegro e un lievissimo accento russo lo fece voltare.
-Katsuki Yuuri, finalmente ci incontriamo!-
L’uomo che aveva parlato era molto giovane, non poteva avere più di trent’anni, ed era bellissimo. I lunghi capelli chiari erano legati in una coda morbida ed incorniciavano un viso dai tratti delicati, le labbra piene erano stirate in un sorriso perfetto ma, più di tutto, Yuuri fu attratto dai suoi occhi. Inizialmente non capì perché, e, quando lo fece, dovette reprimere un urlo. Non poté far nulla, però, per la sua espressione sorpresa e lui se ne accorse. –C’è qualcosa che non va?- gli chiese, mettendogli una mano sul ginocchio e oddio perché perché? I russi non erano freddi e contro il contatto fisico?
-N… no- rispose Yuuri, anche se il suo corpo e la sua espressione dicevano tutt’altro. Ma come poteva dirgli che stava iniziando a vedere i colori? All’inizio, aveva notato che c’era un qualcosa di fastidioso ai lati del suo campo visivo ma non ci aveva badato, quando però aveva spostato lo sguardo sui suoi occhi, aveva visto l’azzurro. Forse perché era il suo primo colore, forse perché erano davvero magnetici, ma ne era rimasto stregato. Anche in quel momento, nonostante l’imbarazzo, era tornato su di essi. Il ragazzo dai capelli chiari gli sorrise e lui ricambiò, quasi involontariamente.
-Comunque, io sono Victor Nikiforov e sarò il tuo insegnante per quest’anno- si presentò lui e Yuuri arrossì, non avendo proprio pensato alle presentazioni. Gli piaceva, il nome Victor. Lo trovava adatto a lui. Gli strinse la mano e, inspiegabilmente, si sentì immediatamente più tranquillo. –Yuuri, anche se tu lo sai già. A proposito, volevo ringraziarti per l’enorme opportunità che mi hai concesso facendomi venire qui.-
Il sorriso di Victor si allargò. -Te la meriti tutta. Ti ho visto ballare al NNTT e non sono riuscito a toglierti gli occhi di dosso.- Al sentire quelle parole, Yuuri arrossì violentemente ma il russo sembrò non farci caso, perché continuò: -Ora vieni, è già tardi e voglio vedere quello che sai fare.-
 
La sua prima lezione era stata estenuante. Victor era tanto allegro quanto esigente e non perdeva occasione per correggere la sua posizione o il suo portamento. Molte volte, i suoi errori erano dovuti alla distrazione perché, insomma, era tutto così dorato lì dentro! E i suoi capelli erano così neri, la pelle di Victor così diafana che in alcuni punti si vedevano i rilievi bluastri delle vene. Concentrarsi quando tutto era così nuovo per lui, gli sembrava un’impresa impossibile.
Quattro ore dopo e con i piedi che imploravano pietà, Yuuri si ritrovò sul suo letto, negli alloggi riservati agli allievi della Vaganova. La sua era una camera doppia, non potendo permettersi una singola, e il suo compagno di stanza, che allora non c’era, sembrava essere disordinatissimo. In quel momento, però, l’ultimo suo pensiero era la stanza. Continuava a pensare a Victor e al fatto che fosse lui la sua anima gemella. Per Victor era lo stesso? Sapeva che c’erano casi in cui alcune persone avevano un’anima gemella che non li ricambiava, che ne aveva una diversa  o che manifestava l’apparire dei colori più in ritardo rispetto all’altro. Era forse il suo caso? Victor gli era sembrato così tranquillo durante la lezione, poteva essere per quello? Sospirò, nascondendo la faccia nel cuscino. Non era innamorato di Victor, questo era certo, non poteva essersi innamorato nel giro di mezza giornata, però non poteva negare che lo attraesse, e anche molto. Non sapeva cosa fare. Non poteva certo presentarsi da lui e dirgli che era la sua anima gemella, gli avrebbe riso in faccia. D’altro canto, fare finta di nulla gli sembrava ancora peggio.
-Che situazione di merda- disse esasperato, premendosi più forte il cuscino sulla faccia.
In quel momento, qualcuno bussò. Yuuri alzò gli occhi al cielo: pure il compagno di stanza che dimenticava le chiavi. Quando aprì la porta, però, si trovò davanti Victor, vestito di tutto punto, i capelli legati in una coda ordinata e un enorme sorriso stampato in faccia. –Yuuri! Vestiti, andiamo a teatro!- esclamò, spingendolo nella stanza e chiudendo la porta dietro di sé. Poi, come se fosse una cosa che faceva da sempre, iniziò a frugare nel suo armadio.
Yuuri, vedendo il casino che stava facendo tra i suoi vestiti, si affrettò a fargli togliere le mani da lì. -Victor, fermati! Perché a teatro?-
-Perché voglio farti vedere il tuo nuovo pezzo e perché voglio conoscere tutto del mio allievo ovviamente!- Victor lo disse con così tanta enfasi, allargando le braccia e guardandolo con gli occhi sgranati come se fosse ovvio, che Yuuri sorrise ed accettò.
 
Pur essendo un giovedì sera, San Pietroburgo era ancora in fermento. Yuuri si guardava intorno meravigliato: nonostante il freddo, non erano poche le persone che percorrevano quelle strade piene di vita e colori. Non si era ancora abituato a quelle sensazioni, gli sembrava di vedere e sentire il tutto amplificato dieci, cento volte, e la presenza di Victor rendeva il tutto più intenso.
La fila per entrare al teatro Mariinski era lunga, ma Victor lo condusse per una via secondaria, dove un uomo li accolse e li portò in una tribuna riservata, posta poco sopra il palco. Yuuri non riusciva a credere ai suoi occhi: non aveva mai visto uno spettacolo da una posizione così privilegiata e non riusciva a non pensare a quanto dovesse essere costata al suo insegnante, soprattutto perché aveva l’impressione che fosse solo per loro due.
Incapace di trattenersi, glielo chiese. –Victor?- lo chiamò piano, osservando il suo profilo.
-Mh?- L’uomo non lo stava guardando, preso a sistemare il suo cappotto su una delle poltrone dietro di loro.
-Come hai fatto a permetterti una cosa del genere? E soprattutto, perché?-
Victor alzò finalmente lo sguardo su di lui e gli sorrise dolcemente. Yuuri sentì chiaramente il suo cuore perdere un battito. –Essere l’insegnante più amato della Vaganova Ballet Academy ha i suoi lati positivi.-
Lo disse come se fosse un dato di fatto, senza malizia, ma Yuuri capì che era vero. Gli sorrise in risposta e si sedette a ridosso della balconata, preparandosi a vedere lo spettacolo, quando gli venne in mente un’altra cosa. –Victor?- amava il suo nome e amava pronunciarlo. Si schiaffò mentalmente una mano sulla fronte a quel pensiero. Iniziava già ad instupidirsi, benissimo. Non glielo avevano detto che, una volta trovata l’anima gemella, si sarebbe ridotto ad un ammasso di pensieri da tredicenne ed ormoni impazziti. Cercando di concentrarsi, formulò la sua domanda. –Non mi hai detto cosa siamo venuti a vedere e quale sarà il mio ruolo.-
Il russo gli fece l’occhiolino. Davvero, Victor? L’occhiolino? –Lo vedrai presto.-
Nel momento in cui risuonarono le prime note, Yuuri si lasciò sfuggire un verso sorpreso. –Romeo e Giulietta? Sei serio?-
-Serissimo. Ovviamente non possiamo farlo tutto, perciò ci concentreremo sull’assolo dell’ultimo atto, quello dopo la morte di Giulietta. Vedi, Yuuri, il tuo modo di ballare, come se stessi decidendo soltanto una volta sul palco cosa fare, come se stessi ricercando l’amore nella sequenza di passi che stai svolgendo, è la chiave per interpretare un Romeo perfetto. E poi sei bello, intelligente e sensibile come lui. Certo, hai l’aria di non sapere nemmeno come cominciare con l’amore, ma è questa la chiave del successo: fare qualcosa che gli altri non si aspettano.-
Nel mentre, Victor gli aveva preso la mano e lo stava fissando con un’intensità tale che Yuuri si sentì nudo davanti a lui. Non riusciva a spiegarsi come aveva fatto a capire tutte queste cose di lui in così poco tempo ma soprattutto non capiva dove vedesse tutta questa bellezza in lui. –Non so se sono pronto per un ruolo così importante- mormorò, sciogliendo l’intreccio dei loro occhi. Non aveva mai ballato in opere così famose, men che meno da solo. Non credeva che Victor gli avrebbe dato un pezzo da protagonista, specie in un’opera così importante. Quello dimostrava come la fiducia che poneva in lui, pur avendolo visto ballare solo per poche ore, era totale.
Victor gli strinse la mano più forte. –Lo sei. Fidati di me. Ti aiuterò io a creare il miglior Romeo della storia!-
Leggendo la determinazione nel viso del suo insegnante, Yuuri non poté fare a meno di sentirsi a sua volta risoluto. Così, annuì deciso ed il volto di Victor si aprì in un sorriso così felice che Yuuri non riuscì a non pensare che quel sorriso fosse già una mezza vittoria.
Poi, in un tacito accordo, entrambi tornarono a vedere il balletto. Victor, ogni tanto, si intrometteva spiegandogli cosa gli sarebbe piaciuto fare o non fare, cosa avrebbero modificato, su quali parti si sarebbero concentrati. Era tutto più bello di come Yuuri aveva immaginato persino nei suoi sogni più rosei. Era perfetto.
 
A fine serata, Yuuri tornò in camera come in trance, tanto che a malapena si accorse che il suo compagno di stanza era tornato ed era disteso sul letto con il computer in grembo.
-Ciao!- lo salutò allegramente e Yuuri gli sorrise ricambiando. Era un ragazzo dalla pelle ambrata e gli occhi vispi, doveva essere abbastanza grande per gli standard della Vaganova. Ebbe l’impressione di averlo già visto da qualche parte e cercò di ricordare dove, prima che quello interrompesse il filo dei suoi pensieri. –Io sono Phichit Chulanont, ho diciotto anni e sono tailandese. Tu sei quello che stamattina era seduto nella hall, vero? Scusa se non mi sono fermato prima, ero in ritardassimo e se mi fossi fermato solo un secondo Celestino mi avrebbe ucciso! Tu chi sei? Di dove sei? Scusa, sto straparlando, me lo dicono tutti che sono troppo loquace!- si fermò infine, passandosi una mano tra i capelli con un sorriso di scuse. A Yuuri stette immediatamente simpatico. –Tranquillo! Io sono Yuuri Katsuki, sono giapponese e ho ventitré anni.-
-Ventitré anni? Davvero? Il massimo non era diciotto?- Phichit lo guardò stralunato.
Yuuri sorrise a disagio. –A quanto pare, Victor Nikiforov mi ha voluto a tutti i costi.-
Il tailandese, se possibile, lo guardò ancora più sorpreso. –Vic…? Quel Victor? Oddio, che onore! Victor insegna a davvero poche persone.-
Yuuri arrossì, preferendo non rispondere. Phichit capì che il giapponese era imbarazzato e lo lasciò stare, tornando al suo computer e ricevendo un sorriso di gratitudine.
 
Le giornate, alla Vaganova, trascorrevano sempre allo stesso modo: sveglia alle sette, colazione leggera e tre ore di teoria, tenute, a rotazione, da tre diversi insegnanti, tra cui anche Victor. Poi, pausa pranzo di un’ora e quattro ore di allenamenti con i propri insegnanti. Yuuri era l’unico ad averne uno privato e questo lo faceva sentire un misto tra il lusingato e l’incredulo, perché non era possibile che, proprio lui tra tutti, avesse il coach più famoso e richiesto e lo avesse tutto per sé. In particolare, aveva notato che il ragazzino biondo, quello che aveva notato il primo giorno, sembrava odiarlo proprio per quello e non perdeva occasione per criticare la sua forma fisica o il suo modo di ballare o la sua età. Se all’inizio ci era restato male, quando Victor gli aveva spiegato che la colpa era sua che non aveva voluto allenarlo, successivamente ci aveva dato meno peso, pur sapendo che tutto quello che il russo, Yuri Plisetsky, diceva era vero.
Capitava spesso, inoltre, che la sera Victor passasse a prendere il suo allievo e lo portasse fuori. “Devo conoscerti bene per insegnarti al meglio tutto quello che so” era stata la sua risposta quando Yuuri gli aveva chiesto il motivo di tali uscite, ma non gli era sfuggita la lieve sfumatura rossa che il suo viso aveva preso e, da quel momento, si era permesso di sperare. Erano già passate due settimane, ma Yuuri non aveva ancora fatto cenno alla storia delle anime gemelle. Più passava il tempo, però, più sentiva che dovevano parlarne, perché la situazione stava diventando insostenibile. Il tempo che passava con Victor tutti i giorni gli aveva fatto capire che non poteva esserci nessun altro se non lui, nella sua vita. Victor si stava rapidamente insediando nel suo cuore.
 
L’allenamento, quel giorno, era durato più del solito. Victor era stato inflessibile. Voleva che i suoi plié fossero ampi, i suoi jeté avessero il giusto slancio e i suoi port de bras perfettamente fluidi. Aveva perso il conto di quante volte gli avesse corretto la posizione dei suoi arti e del suo corpo. Se per i primi due alla fine era riuscito a spuntarla, con i port de bras stava facendo davvero un casino. Dopo più di un’ora extra di lezione e nonostante le proteste di Yuuri, che era più che disposto a restare anche tutta la notte, se necessario, per imparare a farli perfetti, Victor aveva dichiarato conclusa la lezione.
Yuuri, arrabbiato con se stesso, stava posando le scarpette da ballo nella sua borsa quando Victor gli si era avvicinato, fermandosi dietro di lui. -È tutto okay, abbiamo ancora tempo per migliorare il movimento delle tue braccia, e rispetto a qualche ora fa va già molto meglio.-
Parlando, gli aveva poggiato le mani sulle spalle e gliele aveva strette leggermente, poggiando poi il mento su una di esse mentre un ciuffo sfuggito allo chignon disordinato che aveva quel giorno gli solleticava il viso. Yuuri non riusciva ancora a venire a patti con la fisicità che Victor gli dimostrava: non perdeva occasione per toccarlo, sia durante gli allenamenti che quando uscivano di sera. A volte erano tocchi fugaci, che Yuuri non era nemmeno sicuro fossero reali, spesso erano decisi e al contempo gentili, ma ogni volta Yuuri si innamorava un po’ di più.
Sospirando, si liberò delicatamente della stretta del suo insegnante e si sedette per terra, contro lo specchio, invitando poi Victor a fare lo stesso. Nel momento in cui i suoi occhi –azzurro ghiaccio, aveva appurato Yuuri. Come quello che, in quel periodo dell’anno, si poteva ammirare sul fiume Neva. L’azzurro più bello che avesse visto da quando aveva scoperto i colori- si erano posati su di lui, Yuuri aveva iniziato a parlare. –Victor, tu vedi i colori?-
Era stato più facile del previsto, quasi naturale. Lo aveva chiesto guardandolo negli occhi e non aveva mai abbassato lo sguardo. Non sentiva nemmeno il bisogno di farlo, come se non stessero parlando di qualcosa che avrebbe potuto spezzargli il cuore o completarlo.
Il russo lo aveva scrutato a lungo, prima di rispondere. –Sì, Yuuri- aveva infine risposto, per una volta serio. –Li vedo.-
Il cuore del ballerino iniziò a galoppare. –E… E quando è successo?-
-Circa un anno fa.-
A quelle parole, Yuuri si sentì sprofondare. –Ah.- fu l’unica cosa che riuscì a mormorare e nel frattempo cercò di alzarsi ed allontanarsi da quella che improvvisamente era diventata una presenza troppo difficile da sopportare. Victor, però, lo trattenne per una mano. –Victor, per favore, lasciami andare…- sussurrò, mentre una lacrima sfuggì al suo controllo.
-Non mi hai lasciato finire, Yuuri.- Victor parlava piano, come a cercare di rassicurare un cucciolo ferito. Trascinò di nuovo il giapponese a terra, in ginocchio davanti a lui, occhi negli occhi, prima di continuare. –Era il 22 Dicembre, ero a Tokyo e per caso mi trovai davanti un volantino che indicava che quella sera al NNTT, si sarebbe tenuto il Don Chisciotte. Non avevo mai visto quel balletto dal vivo e ci andai. Ricordi chi fu la prima persona che entrò in scena all’inizio del secondo atto?-
Yuuri era senza parole. Si limitò a guardare Victor con occhi sgranati mentre lui continuava. –Ero così colpito dal tuo modo di ballare che all’inizio non ci feci nemmeno caso, finché non mi accorsi che il tuo vestito era rosso e che la ballerina che ti aveva raggiunto aveva i capelli troppo chiari per essere neri. Mi sei entrato dentro fin da subito, con il tuo modo di ballare. Così in fondo da far passare in secondo piano persino il fatto di aver finalmente trovato la mia anima gemella, dopo ventisette anni in cui il mio mondo era stato esclusivamente in bianco e nero.-
Se avesse potuto, Yuuri avrebbe fatto un discorso bello come il suo per spiegargli che anche lui era come rinato dopo averlo conosciuto, che trovare lui era stata la cosa più bella che la vita gli aveva riservato, ed invece l’unica cosa che riuscì a dire fu: -Mi dispiace di averti fatto aspettare così tanto.-
Non riuscì nemmeno a finire che le labbra di Victor presero possesso delle sue. Lo baciò con un impeto che non credeva umanamente possibile e lui ricambiò con altrettanta enfasi, poggiando le mani sulle sue guance. Sarebbe potuto esplodere il mondo ma in quel momento non se ne sarebbero nemmeno accorti.
Separarsi fu quasi doloroso, il bisogno d’aria, però, fu più forte. Si guardarono e sorrisero, sentendosi finalmente a casa.
 
Quando tornò in camera, ben oltre la mezzanotte, Phichit era sveglio e lo stava aspettando. Erano quasi tre mesi che Yuuri era lì ed avevano legato moltissimo. Il suo compagno di stanza era l’unico a cui Yuuri avesse rivelato l’identità della sua anima gemella. Phichit non ne era rimasto sorpreso. –Non offenderti, Yuuri, ma si vedeva. Flirtate praticamente solo respirando! Quando avete intenzione di parlarne?-
A quella prima conversazione ne erano seguite infinite, tutte uguali, finché il tailandese, esasperato, non si era rassegnato. –Siete due cretini.- era stata l’ultima cosa che aveva detto, e non avevano più toccato quell’argomento. Quella sera, però, lesse dal sorriso inebetito dell’amico che qualcosa era successo.
-No!- urlò, alzandosi di scatto e sorridendo.
-Sì…- disse Yuuri ricambiando il sorriso.
-Non ci posso credere, ce l’avete fatta!- Phichit lo abbracciò, seriamente contento per lui. –Finalmente, credevo sareste morti prima di dire all’altro che è la vostra anima gemella!-
Prima che Yuuri potesse rispondere, si allontanò dall’amico, mise le scarpe e si avviò alla porta. –Dove vai?- chiese il giapponese.
-A riscuotere la mia scommessa! Yurio diceva che non vi sareste messi insieme prima di Natale. Ho vinto 3000 rubli, grazie Yuuri!- gli urlò l’amico, già a metà corridoio.
Senza smettere di sorridere, Yuuri scosse la testa, chiudendo la porta. Era finito in una scuola di matti.
 
Per Natale, l’Accademia concedeva ali studenti dieci giorni di vacanze. Victor sarebbe andato in Giappone con Yuuri ma, prima di partire, il russo gli aveva promesso una sorpresa. Così il 22 Dicembre, una volta fatte le valige, il russo lo condusse al fiume. Sulla riva c’era un capanno dove noleggiavano pattini. Troppo preso a contemplare l’immensa distesa di ghiaccio davanti a lui, non si accorse che Victor si era allontanato ed era tornato al suo fianco con due paia di pattini. –Vicchan, non so pattinare- disse allarmato Yuuri quando li notò.
-Ci sono io, non ti succederà nulla. Andiamo, dorogoy, divertiamoci un po’!-
-Ci divertiremo molto di meno quando mi romperò una gamba e non potremo allenarci per due mesi- mormorò Yuuri, ma malgrado le sue parole, si sedette sulla panchina del deposito e si infilò i pattini, maledicendo Victor e la sua capacità di persuasione. Il bastardo sapeva benissimo che, utilizzando i suoi bellissimi appellativi russi, avrebbe potuto convincerlo a fare tutto.
Victor fu il primo a salire sul ghiaccio. Si muoveva con scioltezza, come se non facesse altro tutto il tempo. Yuuri ne rimase incantato.
-Yuuri, coraggio!- lo chiamò il russo, che, dopo un veloce giro, era tornato vicino la riva.
Cautamente, mise un piede sul ghiaccio. Non successe nulla. Rassicurato, alzò l’altro piede e sarebbe finito lungo disteso se non fosse stato per Victor, che lo aveva afferrato al volo, stringendolo contro il suo corpo. –Ti tengo- gli mormorò. Si allontanò leggermente, tenendolo solo per le mani. -È facile, devi solo lasciarti andare. Non aver paura di cadere, io sono qui.-
Muovendo un piede per volta, Yuuri iniziò ad avvicinarsi a Victor. Gli stava stringendo le mani con così tanta forza che probabilmente gli stava bloccando la circolazione, ma lui non dava segno di notarlo. Piano, Victor iniziò a scivolare all’indietro, trascinandolo con sé. Il giapponese era preso dal movimento delle gambe di Victor, che sembravano danzare sul ghiaccio. Ad un certo punto, però, si fermò e Yuuri, preso alla sprovvista, non frenò in tempo, rovinando sul suo insegnate. Evidentemente preparato a quell’evenienza, Victor sostenne il peso di entrambi, scongiurandogli una caduta per la seconda volta nel giro di pochi minuti. Attaccato al suo corpo e con le mani sul suo petto, Yuuri alzò lo sguardo verso Victor, che lo guardava con così tanto amore che si chiese perché non lo avesse notato prima, evitando loro due mesi di tortura. Tutto quel pensare divenne improvvisamente di troppo quando Victor si abbassò cercando le sue labbra. Fu un bacio dolce, lento, di quelli che ti scaldano dall’interno e che ti lasciano quella sensazione di calore per ore. Il miglior bacio della sua vita.
Con le fronti premute tra di loro, Victor mormorò: -Ringrazio il cielo che mi ha fatto conoscere te, moy angel, un anno esatto fa.-
Yuuri sorrise, scostando una ciocca dagli occhi del suo ragazzo. –Sono contento di aver ballato, un anno esatto fa.- Non era un romantico e non sapeva esserlo, ma Victor capì lo stesso e sorrise di nuovo, lasciandogli un bacio a fior di labbra.
Proprio allora, un ragazzo passò a fianco a loro. Disse qualcosa in russo che Yuuri non capì ma vide Victor annuire. –Dobbiamo andare, il nostro tempo è finito già da un po’.-
-Vediamo di arrivare interi a riva- rise Yuuri, ma si rese conto, pattinando, che gli risultava piuttosto semplice. Per gli ultimi metri, ebbe anche il coraggio di staccarsi da Victor ed il suo ragazzo lo fissò fiero.
 
-Vicchan?-
Erano sull’aereo diretto ad Hasetsu già da un paio d’ore, ma Yuuri da quel pomeriggio non riusciva a togliersi quella domanda dalla testa.
-Sì?-
-Hai mai pensato ad una carriera da pattinatore? Sembri… non so, libero? Sul ghiaccio. Ti muovi in un modo spettacolare.- Yuuri non aveva idea di quale sarebbe stata la risposta, ma di certo non quello.
Victor si adombrò. -Da ragazzo ho pattinato a livello internazionale, poi un brutto infortunio mi ha stroncato la carriera.-
Nel momento in cui finì di parlare, Yuuri si sentì in colpa per aver tirato fuori l’argomento. -Oddio, mi dispiace, non lo sapevo! Scusa scusa scu..-
-Va tutto bene, è passato un bel po’ di tempo ormai. E comunque, quando posso, vado ancora a pattinare. Niente di estremo, solo qualche salto e qualche giro di pista. È una cosa che ho voluto condividere con te perché è sempre stato il mio sogno portare la mia anima gemella a pattinare, e sono felice di averlo potuto fare, anche se non nel modo in cui avrei voluto.- Victor gli sorrise, ma qualcosa nel suo sguardo fece sentire Yuuri ancora più in colpa. Cercando di far andare via quell’ombra, lo abbracciò. –Possiamo andare a pattinare tutte le volte che vorrai. Puoi insegnarmi, se ti va.-
Victor lo strinse forte, affondando il viso nella piega del suo collo e lasciandoci un bacio. –Grazie- gli sussurrò.
Non parlarono per il resto del viaggio.
 
I genitori di Yuuri erano stati davvero carini con Victor. Avevano appreso con molta serenità che l’anima gemella del loro unico figlio maschio fosse un uomo e gli avevano chiesto se volesse una camera tutta per sé. Al rifiuto imbarazzato di Yuuri, non avevano fatto una piega e si erano affrettati a preparare un secondo letto nella stanza del ragazzo, pur sapendo che, con tutta probabilità, sarebbe rimasto inutilizzato.
La mattina del 25 Dicembre, i due giovani uomini erano soli. Yuuri fu quello che si svegliò per primo. Restò ad osservare il suo ragazzo per minuti interi, cercando di trovare la forza per alzarsi e preparare la colazione. I capelli chiari e lunghi erano un disastro, sparsi sul cuscino o che gli cadevano sul viso, mai stato così rilassato da sveglio. Pur così arruffato, era la persona più bella che avesse mai avuto la fortuna di conoscere. Era tentato dallo spostare quelle ciocche dal viso del russo, ma non voleva svegliarlo. Per evitare ulteriori tentazioni, si impose di alzarsi e di andare a preparare la colazione. Era nel mezzo della preparazione dei dorayaki, quando due braccia lo strinsero da dietro. –Buon Natale- mormorò Victor sul suo collo, dove lasciò un bacio.
Yuuri piegò il viso, lasciando libertà di movimento al suo ragazzo. -Buon Natale, e buon compleanno.-
Victor emise un verso di sconforto. –Ventotto anni. Sto diventando vecchio.-
-Non sei ancora arrivato ai trenta, rilassati- ridacchiò Yuuri, tornando a rivolgere la sua attenzione alla padella, per evitare di bruciare i dolci.
Una volta fatto colazione, tornarono in camera. Yuuri pescò il regalo dal cassetto della sua scrivania e lo porse a Victor. Lui lo prese con un sorriso a trentadue denti, aprendolo velocemente. Yuuri sorrise per la sua curiosità. Sembrava un bambino.
Il  pacchetto tra le mani di Victor era un cofanetto. Una volta aperto, il russo si ritrovò tra le mani due anelli d’oro, simili a fedi.
Rosso fino alla radice dei capelli, Yuuri tentò di spiegare. -So che è presto per qualcosa di... ufficiale, ma volevo che avessimo ognuno un ricordo dell’altro, una specie di portafortuna, diciamo, e nel momento in cui ho visto questi anelli li ho trovati perfetti per…-
Victor gli posò un dito sulle labbra, interrompendo quello sproloquio. –Lo sono. Perfetti, intendo.-
Nel mentre, gli prese la mano e, con delicatezza, gli infilò uno degli anelli, portandosela poi alle labbra e lasciandovi un bacio, il tutto guardandolo negli occhi. Se non fosse stato per la mano che Victor ancora teneva tra la sue, con molta probabilità Yuuri sarebbe collassato a terra. Sentiva le gambe di gelatina e aveva l’impressione che il suo cuore potesse uscire dalla sua gabbia toracica.
Quando Victor lo lasciò, cercando di non tremare, prese il secondo anello e lo infilò all’anulare del suo ragazzo, stringendo poi la sua mano. Il freddo del metallo era stranamente rassicurante. –Towa.- Niente dura per sempre e Yuuri lo sapeva, ma in quel momento si illuse che forse, solo forse, per una volta poteva sbagliarsi.
Victor non sapeva cosa avesse detto, ma guardandolo negli occhi gli fu ben chiaro. Il bacio che seguì fu naturale come respirare.
-Okay, ora il mio regalo mi sembra davvero misero- ammise Victor poco dopo, prendendo il suo pacco. Era piuttosto grosso e pesante e, aprendolo, Yuuri capì il perché. -Misero questo? Oddio, Victor… È stupendo- mormorò estasiato, estraendo il vestito dal pacco.
Era il costume di scena di Romeo: una casacca blu, con una cintura in vita ed un mantello, con tanto di spalline imbottite, e la calzamaglia leggermente più chiara. Sembrava davvero uscito da un castello. Commosso, Yuuri alzò lo sguardo su Victor. –Grazie- disse semplicemente, con voce rotta, e a Victor bastò.
 
Tornare alla Vaganova, dopo dieci giorni di completo relax, fu un trauma per entrambi. Il loro già scarso buonumore venne interrotto non appena entrarono nell’Accademia, dove trovarono Yuri in lacrime, preso ad inveire in russo contro il collega kazako, Otabek Altin, che sembrava non capire nulla di quello che il biondo gli diceva ma che aveva comunque un’espressione colpevole in viso.
-A quanto pare, Otabek ha lasciato Yuri e sta andando via di punto in bianco- mormorò Victor a Yuuri. –Sono anime gemelle e partner di ballo, dovevano ballare insieme il Lago dei Cigni, ci lavoravano dall’anno scorso, ci credo che sia arrabbiato.-
Yuuri fissò i due ragazzi. Che stessero insieme lo aveva capito, ovviamente, Otabek non aveva legato con nessuno se non con Yuri, che riusciva addirittura a farlo ridere, cosa che per chiunque altro sarebbe stata impossibile quasi quanto una sequenza di trenta pirouettes.
Non riusciva a capire come si potesse anche solo pensare di lasciare la propria anima gemella. Sapeva che era una cosa che poteva capitare, ma era così rara che Yuuri la reputava quasi una leggenda. Spostò lo sguardo su Victor: stavano insieme da poco più di un mese, ma non aveva la minima intenzione di lasciarlo e tornare all’esistenza vuota che aveva in precedenza e non l’avrebbe mai nemmeno immaginato senza quell’avvenimento.
Soltanto allora Yuri sembrò accorgersi dei due ragazzi fermi all’ingresso. –Che cazzo avete da guardare voi? Sparite!-
Senza rispondere, i due si affrettarono a dileguarsi.
Una volta nella loro sala da ballo, Yuuri sospirò. –Stavano così bene insieme… Perché?-
Victor gli cinse le spalle. –A volte è più complicato di questo, dorogoy. A volte, semplicemente, non funziona. Trovare l’anima gemella non vuol dire per forza passare il resto della tua vita con lei, così come vedere per tutta la vita in bianco e nero non ti preclude il diritto di essere felice. Non è una scienza esatta, Yuuri, non funziona per tutti.-
Il giapponese si avvicinò ulteriormente a Victor. –Lo so, però… Credevo che non fosse il loro caso.-
-Lo credi sempre, Yuuri. Finché non arriva qualcuno a farti credere il contrario.- Detto quello, con uno scatto si alzò e gli porse una mano. –Ora che ne dici di ballare un po’ per me e non pensarci più?-
 
Quella sera, Yuuri era inquieto. Solo nella sua camera, dato che Phichit sarebbe arrivato soltanto il giorno seguente, non riusciva a non pensare a Yuri ed alle sue lacrime. Yuri, la persona più forte che conoscesse, carismatico, senza filtri, era lo stesso Yuri che aveva visto quella mattina, una persona fragile. Quel concetto sembrava non volergli proprio entrare in testa. Preso dalla smania di fare qualcosa, qualunque cosa per farlo stare meglio, uscì dalla camera diretto a quella del russo. Una volta davanti la porta, esitò. Non erano propriamente amici, il loro rapporto iniziava e finiva in quella scuola e non si poteva di certo definire rose e fiori, ma avevano una loro routine. Fu il ricordo del suo viso rigato dalle lacrime a spingerlo a bussare. Non ottenne risposta. Dopo alcuni istanti, ritentò. –Sono io, Yuuri. Volevo sapere come stai. Se hai bisogno di qualcuno con cui parlare, io ci sono.-
Da dietro la porta sentì un lieve movimento, ma ancora nessuna risposta. Yuuri un po’ se l’aspettava, per cui sospirò e lasciò sull’uscio il pacchetto che aveva portato con sé. –Va bene, vado via. Ti lascio i miei katsudon, sono la cosa più buona che proverai nella tua vita quindi fidati e mangiali, ti faranno stare meglio. Se vorrai parlare, a qualunque ora e di qualunque cosa, sai dove trovarmi.-
Aveva appena svoltato il corridoio quando sentì la porta aprirsi per poi chiudersi immediatamente. Sorrise, sperando che servisse a qualcosa.
 
La mattina dopo, Yuri gli si avvicinò con aria minacciosa. –Non voglio la tua pietà, cotoletto. Quindi vedi di starmi alla larga.-
-Non era pietà. Credo davvero che potremmo essere amici, se tu non mi respingessi così brutalmente.- Yuuri non sapeva da dove aveva tirato fuori tutto quel coraggio e non si pentì della sua uscita quando vide il russo lanciargli un’occhiataccia ed allontanarsi senza ribattere. Sembrava essere tornato il vecchio ragazzino un po’ viziato, ma Yuuri aveva notato che mancava qualcosa, nei suoi occhi, qualcosa che non sarebbe tornato.
 
I mesi trascorrevano veloci a San Pietroburgo e, man mano che si avvicinavano gli esami, la tensione di Yuuri cresceva e molto poco di quello che faceva e diceva Victor serviva a calmarlo. C’erano giorni buoni, in cui il suo pezzo usciva quasi perfetto, ed altri in cui lo sconforto era così forte che neanche i passi più semplici venivano bene. Quello di inizio luglio era uno dei primi. Una volta terminato, ancora in posa, Yuuri scoccò uno sguardo al suo insegnante e lo trovò che lo guardava con una punta di commozione che prima di allora non aveva mai visto rivolta a lui.
-Magnifico, Yuuri. Davvero. L’unica cosa che ti manca è quel filo di tristezza nel modo di muoverti, ma non sarà facile ricrearlo. Romeo è un personaggio così tragico che quasi nessuno, anche tra i ballerini più famosi, è riuscito ad interpretare al 100%.- Victor si avvicinò al centro della sala, dove Yuuri si era fermato, e lo abbracciò. –Grazie, per questa interpretazione.-
Yuuri rabbrividì nel sentire il freddo dell’anello di Victor sul collo ma sorrise e ricambiò l’abbraccio, infilando le mani tra i capelli di Victor. Amava tutto di Victor, ma i suoi capelli erano tra le cose che, ai suoi occhi, lo rendevano perfetto. Morbidi e lisci, erano così lunghi da rendergli quasi impossibile portarli sciolti e gli conferivano un’aria molto giovane, nonostante fosse ormai un uomo. Yuuri avrebbe volentieri passato la sua vita con le mani affondate in quella chioma chiara.
Prima di quanto Yuuri volesse, però, si allontanarono. Victor ammiccò e gli diede una pacca sul sedere, spingendolo verso l’uscita. –Per oggi basta così. Preparati, stasera usciamo.-
 
Come promesso, quella sera Victor lo portò fuori. Cenarono in un ristorante di lusso, cosa che fece venire a Yuuri l’ansia per il suo abbigliamento, poi andarono in riva al fiume. Si sedettero su una panchina, in silenzio, ad osservare le luci della città.
-Credo che mi piacerebbe vivere qui- iniziò Yuuri, con lo sguardo fisso sul fiume. –Dopo il diploma, s’intende. Con te.-
La mano di Victor, quella con l’anello, cercò quella del suo compagno. Yuuri alzò il palmo, facendo intrecciare le loro dita. –Possiamo farlo. Mancano poco più di due settimane, poi sarai libero. Possiamo prendere un appartamento insieme.-
Yuuri osservò il profilo di Victor nella penombra. –Non credi sia troppo presto?-
Il russo sorrise lievemente. -Durante l’anno passato a cercarti, ho pensato spesso a come dovessi essere. Non mi aspettavo il principe azzurro o una sciocchezza simile, ma comunque una persona su cui poter fare affidamento, bella, dolce, intelligente… Sei anche meglio dei miei sogni più ottimistici. Quindi no, non credo sia presto. Non per noi due.-
La stretta delle loro mani si fece più forte e Yuuri portò quell’intreccio alle labbra, baciando l’anello di Victor. –Non vedo l’ora.-
Victor sorrise e si sporse per baciarlo. Era così felice che non avrebbe potuto esserlo di più. Credeva che Dio, la fortuna o qualunque cosa ci fosse sopra di loro lo avesse benedetto per donargli una bella vita nonostante l’infortunio che aveva stroncato la sua carriera, un compagno perfetto e tanta felicità.
Aveva pensato a tutto ciò troppo presto.
 
Sulla via del ritorno, erano fermi al semaforo aspettando il verde e stavano scherzando riguardo il modo di vestire di Lilia Baranovskaya, l’insegnante di Yuri nonché ex moglie del rettore Yakov. –Ma davvero, hai notato la gonna che aveva oggi? Dio, nemmeno mia nonna si veste così!- aveva detto Victor e Yuuri aveva riso, dandogli corda. –Sarà pure un’ex ballerina, ma il suo stile fuori dal palco è terribile.-
Victor stava ancora ridendo quando Yuuri lo vide sgranare gli occhi rivolto a qualcosa dietro di lui. Lo prese per un braccio e lo spinse di lato, gridandogli: -Attento!-
Non capì nulla di cosa successe dopo, soltanto che si ritrovò a terra, con Victor al suo fianco privo di sensi ed un rivolo di sangue tra i capelli. Rimase a guardarlo immobile, in preda all’orrore. Non sentiva nulla, come se fosse immerso nell’acqua. Tutto quello che riusciva a vedere era la mano di Victor abbandonata sull’asfalto. Non si accorse dell’uomo uscito di corsa dalla macchina schiantata sul palo del semaforo, esattamente dove, pochi secondi prima, stavano lui e Victor. Non si accorse della folla che si era formata intorno a loro due, o della donna che, col cellulare incastrato tra l’orecchio ed una spalla, si era fatta avanti, finché non la vide inginocchiarsi di fronte a Victor e prendergli la mano. Solo allora le sue gambe obbedirono e riuscì a muoversi, finendo inginocchiato vicino a lui. –Victor…- lo chiamò, ma lui non rispose. Alzò la voce.  -Victor…- Sapeva, razionalmente, che non poteva sentirlo ma ciò non gli impediva di chiamarlo, ancora ed ancora, perché soltanto se avesse continuato a chiamarlo Victor si sarebbe svegliato, e sarebbe stato tutto a posto.
La donna a fianco a lui lo guardò con compassione. –Sono un medico, il tuo ragazzo è ancora vivo. Ho chiamato l’ambulanza, saranno qui tra poco. Non posso fare molto senza sapere cos’ha.-
Yuuri registrò quell’informazione a metà. Vivo… ancora vivo… E una parte di lui si sentì meglio.
In seguito, non ricordò molto del viaggio in ambulanza o dei controlli subiti. Non sapeva spiegarsi come o quando Yakov arrivò, seguito da Phichit; non ricordò l’attesa, i litigi con i dottori per restare davanti la sala operatoria, i colori che a momenti sembravano farsi più tenui, non ricordò nemmeno di essersi addormentato tra le braccia del suo amico, come se il suo cervello si fosse spento per evitare di capire cosa stesse succedendo.
Soltanto all’alba, dopo poche ore di sonno agitato, quel ronzio che sentiva nelle orecchie sembrò svanire e riuscì a pensare più lucidamente. Inaspettatamente, non fu motivo di sollievo quanto di angoscia. Continuava a rivedere Victor spingerlo via e un attimo dopo a terra ai suoi piedi. Erano ore ormai che era in sala operatoria e mai nessuno era andato a dar loro notizie. Sapeva che era ancora vivo perché vedeva i colori, anche se non così cangianti. Era tutto di una tonalità smorta, come se un bambino avesse colorato leggermente una fotocopia in bianco e nero. Tutta quell’assenza di informazioni lo logorava.
Dovettero aspettare altre due ore prima di avere qualche notizia. La stessa donna che aveva prestato loro i primi soccorsi si avvicinò al gruppetto. –Il signor Nikiforov è stabile, ha avuto un forte trauma cranico ed un’emorragia interna di grande portata, oltre ad una costola rotta ed entrambi gli arti inferiori fratturati. Le prossime ventiquattr’ore saranno cruciali.-
Yakov sospirò, Phichit abbracciò il suo amico e Yuuri non riuscì a far altro se non accasciarsi sulla sedia, con la testa tra le mani. –È colpa mia.- sussurrò. –Mi ha spinto via, dovrei esserci io lì. Io sto benissimo, e lui…-
-Non dire scemenze, Yuuri- disse Phichit deciso. –Non è colpa tua, toglitelo da quella mente bacata che ti ritrovi.-
Il giapponese scosse la testa. –Invece…-
-Dillo un’altra volta e ti prendo a calci finché non ti torna il cervello.-
Yuuri abbassò lo sguardo e Phichit si sentì un pessimo amico per essere stato così brusco. –Scusami, Yuuri- mormorò. –È che sentire che ti colpevolizzi in questo modo mi fa arrabbiare. Victor sapeva quello che faceva e l’ha fatto comunque, perché ti ama. Se vedesse che perdi il tuo tempo a commiserarti invece che ad allenarti scenderebbe da quel letto solo per portatrici di peso, alla Vaganova.-
Un piccolo, piccolissimo sorriso apparve sul volto di Yuuri e Phichit capì di aver fatto centro. –Dai, andiamo ad allenarci. Dopo ti riaccompagno qui.-
-No, io… Voi andate.- Nel vedere l’espressione di disaccordo del tailandese, si affrettò ad aggiungere: -Domani. Se tutto va bene.-
Phichit capì che era il massimo che avrebbe avuto quel giorno ed annuì. Poco dopo, lui e Yakov lasciarono l’ospedale e Yuuri restò solo in sala d’attesa. Essendo un’area privata, non c’era nessun altro se non il suo ragazzo e a lui non era ancora concesso di vedere Victor.
Per la restante mattinata e buona parte del pomeriggio restò in sala d’attesa, muovendosi solo per andare in bagno o per prendere un caffè. Soltanto intorno alle tre, un medico lo chiamò, chiedendogli se fosse la sua anima gemella. Alla risposta affermativa del ragazzo, lo lasciò entrare.
Victor era irriconoscibile. Disteso sul lettino, con entrambe le gambe ingessate e leggermente alzate, delle bende che ricoprivano il petto visibili anche dalla camicia, un collarino e la parte sinistra della testa fasciata. Quando trovò la forza di avvicinarsi, gli si strinse il cuore nel vedere che i capelli di Victor erano stati tagliati. Si sedette al suo fianco e, tremando, vi passò delicatamente una mano attraverso, nel punto in cui non vi erano bende.
-Abbiamo dovuto tagliarli per poter aspirare meglio l’ematoma- spiegò il medico.
Yuuri sobbalzò, avendo del tutto dimenticato la sua presenza. –Capisco.- disse, tornando a rivolgere la sua attenzione a Victor.
Non fece caso all’uomo che andò via, tutta l’attenzione ormai incentrata su Victor. –Mi dispiace, Vicchan…- disse piano, avvicinandosi al suo orecchio. –Avrei dovuto accorgermene, avrei dovuto stare più attento.-
Gli lasciò un bacio sulla guancia. –Vedi di svegliarti per il mio esame o giuro che non ti perdonerò. E vedi anche di rimetterti, hai una promessa da mantenere.-
Non ci fu nessuna reazione. Victor continuava a dormire, merito anche dei sedativi. Yuuri si mise comodo, per quanto possibile, e parlò. –Sai, credo di aver capito come migliorare i port de bras. Non ci crederai, ma Yurio mi ha dato una mano. È terribile come insegnante, ma mi ha fatto capire cosa sbaglio…- Parlò per ore, finché non ebbe la voce roca. Non sapeva se poteva sentirlo, ma lo fece stare meglio.
 
Per quella notte, una volta capito che non se ne sarebbe andato, i medici gli permisero di usare una delle brandine destinate ai parenti. –In teoria, tu non potresti entrare in Terapia Intensiva e quindi non ne hai diritto, ma sappiamo quanto il fatto delle anime gemelle pesi, anche a livello inconscio, sulla salute dei nostri pazienti.- Yuuri fu loro grato.
Non lo lasciarono entrare nella stanza di Victor, ma di notte, quando si svegliava, andava a sbirciare attraverso il vetro. Vedendolo sempre lì, senza segni di miglioramento ma neanche di peggioramento, lo rassicurava. Le ventiquattr’ore critiche stavano scadendo senza particolari intoppi.
Alle prime luci dell’alba era già in piedi. Chiese la situazione ad uno dei medici e si sentì rispondere che, pur essendo ancora molto grave, era stabile e c’erano buone possibilità di ripresa. Leggermente più tranquillo, permise a Phichit e Yurio, arrivato insieme a lui, di trascinarlo in Accademia ad allenarsi.
Celestino, che aveva gentilmente acconsentito a seguirlo, lo fece allenare duramente per tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio. Ballare lo fece sentire, per un po’, più leggero, come se la musica avesse assorbito ogni sua preoccupazione. Con l’umore un po’ più alto, fece ritorno all’ospedale per scoprire che Victor era stato trasferito in una camera, ad indicare che le sue condizioni erano nettamente migliorate.
I medici dissero che ci sarebbe voluto ancora qualche giorno prima di poter parlare di pericolo scampato, perché la sua testa aveva subito un duro colpo ed era difficile dire se si sarebbe risvegliato ed in quali condizioni, ma il solo fatto che fosse vivo a Yuuri sembrava già una vittoria. È forte, ce la farà. Lo so.
Man mano che passavano i giorni, però, la speranza di Yuuri si affievoliva. Tre giorni, e nessun miglioramento. Cinque, e Victor non si era ancora svegliato. Nove, ed i medici iniziarono a parlare di coma permanente. L’unico momento in cui riusciva a respirare era in sala da ballo. Danzava quel Romeo per Victor, solo per Victor, incurante degli esami che sarebbero arrivati nel giro di una settimana, incurante di qualunque altra cosa non fossero Victor e la musica.
Poi, la notte del quindicesimo giorno dall’incidente, si svegliò su quella scomoda brandina e sentì che c’era qualcosa di diverso. Il nero non era così nero e riusciva benissimo a distinguere il giallo del corridoio oltre la porta della camera di Victor. Da quando lo avevano spostato in camera, aveva avuto il permesso di poter dormire lì, a patto che non interferisse con le cure.
Si alzò e si sedette sulla sedia al fianco della sua anima gemella. Gli prese la mano, quella con l’anello, e la strinse lievemente. In quei quindici giorni il russo, già molto magro, aveva perso ulteriore peso e quelle mani così sottili ne erano la prova. Era così preso a fissarla che si accorse che Victor era sveglio solo quando quello sussurrò il suo nome.
Se avesse potuto farlo senza fargli male, Yuuri lo avrebbe abbracciato. –Vicchan…- mormorò invece, e quello sorrise. –Victor,idiota, non ti azzardare mai più a farmi uno scherzo simile! Mi hai fatto morire di paura!-
-Scusa…-
Yuuri gli lasciò un bacio sulle labbra secche. –Non parlare, riposati. Io sono qui.-
Per una volta, il russo gli diede ascolto e il ballerino sperò che non tutto fosse perduto.           
 
Quando Yuuri si svegliò, il mattino dopo, i colori erano i più brillanti degli ultimi quindici giorni. Sentì il sollievo pervaderlo. Scrisse a Phichit che Victor si era risvegliato e non aveva dubbi che, nel giro di un’ora, tutta la scuola lo avrebbe saputo. Nessuno lo chiamò per dirgli nulla degli allenamenti e ne fu grato, perché per quel giorno voleva dedicarsi solamente al suo ragazzo, che in quel momento era semi sdraiato e lo osservava pensieroso.
-Che giorno è oggi?-
Prevedendo la tempesta che sarebbe arrivata, Yuuri lo disse piano. -Il 28 Luglio...-
Se avesse potuto, Victor si sarebbe alzato. –E perché sei qui? Domani hai l’esame.- Una pausa. –Yuuri, non dirmi che in questi giorni non ti sei allenato perché sarei capace di ucciderti con le flebo.-
Nonostante il tono e la faccia preoccupata di Victor, il giapponese sorrise, benedicendo Yurio e Phichit che, alcune mattine, avevano quasi dovuto trascinarlo agli allenamenti. –Solo il primo giorno non mi sono allenato, tranquillo. Ed oggi, ma non c’è molto che possa fare in tre ore che non abbia già fatto, specie se tu non sei con me.-
 Victor lo guardò truce. –Voglio comunque che oggi pomeriggio ti alleni. Per favore.-
Yuuri non riuscì a dirgli di no così, alle due del pomeriggio, si trovò nella sua sala da ballo. Phichit e Celestino erano con lui e vollero sapere delle condizioni di Victor. Fu proprio il tailandese ad avere un’idea. –Yuuri, dici che mi faranno entrare nella stanza di Victor?-
Il giapponese lo guardo stranito. –Credo di sì, perch…?-
-Tieni il cellulare a portata di mano!- si limitò ad urlargli quando ormai era già lontano.
Yuuri e Celestino si lanciarono un’occhiata. Fu l’insegnante a parlare. –Dai, iniziamo. Dammi il tuo cellulare così quando quel pazzo chiama lo sapremo.-
Venti minuti dopo, Phichit gli scrisse un messaggio. “Apri Skype.” E Yuuri capì, ringraziando mentalmente lui e la sua fissa per i social ed ogni genere di comunicazione telematica.
Immediatamente, i volti di Phichit e Victor apparvero sullo schermo. –Conoscendovi, ho pensato che sarebbe potuto essere utile.-
-Phichit, sei un genio! Grazie!- disse Yuuri, felice come non lo era da un po’.
Victor lo fissò, anche attraverso lo schermo. –Balla, Yuuri. Fammi vedere cosa sai fare.-
E Yuuri ballò, con tutto se stesso. Sapere che Victor lo stava guardando lo rendeva orgoglioso, lo rendeva felice, perché non credeva lo avrebbe fatto così presto, a volte pensava che non lo avrebbe più fatto.
Quando finì, Yuuri si fiondò sul telefono, aspettando in silenzio un responso. Victor aveva lo sguardo perso nel vuoto. Parlò solo dopo lunghi istanti. –Hai imparato i port de bras, finalmente.-
E Yuuri rise, perché era una scena così familiare, nonostante tutto, che sentì la tensione accumulatasi sciogliersi come neve al sole. –Sì, grazie a Yurio.-
Victor sorrise. –Direi che può bastare, se domani ballerai così non ho dubbi che ne uscirai col massimo dei voti. Vieni qui ora, ti voglio vicino.-
Il giapponese non se lo fece ripetere due volte.
 
Il giorno dopo, Yuuri aveva lasciato l’ospedale di buon’ora, con l’ansia che gli attanagliava le viscere ed il cuore in tumulto. Quando immaginava il suo esame, Victor era sempre al suo fianco, ad incoraggiarlo, ad abbracciarlo, a fargli capire quanto fosse bravo, non in un letto d’ospedale a tifare per lui da lontano.
Si stava scaldando alla sbarra, con le cuffie nelle orecchie, quando qualcuno gli diede un colpo sulla spalla. A giudicare dall’intensità, Yuuri non ebbe dubbi sull’identità della persona che lo stava chiamando. –Dimmi, Yuri- disse girandosi e togliendosi una cuffia.
Il russo lo fissò arrabbiato. –Se continui a scaldarti così teso alla sbarra, razza di idiota, finisce che ti strappi qualcosa prima ancora dell’esame! Sei davvero così stupido o lo fai apposta?-
Yuuri sapeva che aveva ragione, ma proprio non riusciva a rilassarsi. Il biondo alzò gli occhi al cielo alla sua non risposta e lo spinse via dalla sbarra. –Piuttosto corri, cretino, e lascia la sbarra a chi può farla.-
Il consiglio di Yurio, per quanto brusco, si rivelò efficace. Quella corsetta leggera lo stava aiutando a rilassarsi e contemporaneamente a riscaldarsi. Santo ragazzo.
Finito il tempo del riscaldamento, non restò altro che aspettare. Yuuri, essendo il maggiore, era l’ultimo e questo contribuì a far passare il benessere della corsa molto velocemente. L’esame durava circa quaranta minuti a testa e, nel lasso di tempo che lo separava dalla sua esibizione, si permise di chiamare Victor.
Rispose immediatamente. –Ehi, Yuuri, già fatto?-
-No. Io… non so se posso farcela, non da solo.-
-Yuuri, ascoltami. Balla come hai fatto ieri e non avrai problemi.- La voce di Victor era rassicurante e lo aiutò a calmarsi. Mentre parlava, Yuuri quasi percepì le sue braccia intorno al petto.
-Ci proverò- disse solo.
-Sarai perfetto, lo so.-
Yuuri annuì, anche se l’altro non poteva vederlo. Stava per riattaccare quando si ricordò di una cosa. –Victor?-
-Sì?-
-Ti amo.-
Victor sorrise. –Ti amo anche io. Ora dimostramelo e balla per me il miglior Romeo che la commissione abbia mai visto.-
 
In quella sala, mentre le note del brano risuonavano nell’ambiente, non aveva pensato ad altro che a Victor. Al momento in cui lo aveva incontrato e a come tutto il suo mondo si fosse letteralmente illuminato nell’istante in cui aveva incontrato l’azzurro dei suoi occhi, al timore di non essere ricambiato, alla certezza che Victor lo amasse. Pensò a come avesse finalmente capito cos’era l’amore, solo grazie a quel russo esuberante e con il sorriso dolce. Poi pensò all’incidente e a come fosse tutto tornato quasi in bianco e nero, alla paura di perderlo che sovrastava qualunque altra emozione, alla consapevolezza, maturata durante i giorni del coma di Victor, che, senza di lui, era un uomo a metà. Ballò pensando solamente al modo in cui Victor lo faceva sentire e questo, i giudici, lo capirono.
Alla fine, non era stato il miglior Romeo della storia, ma Yuuri poteva dirsi soddisfatto. Il suo punteggio era stato di 92 su 100, cosa che, fino all’anno prima, non avrebbe mai nemmeno osato sognare.
La sua giornata migliorò ulteriormente quando, tornando in ospedale, trovò Victor senza nessun tipo di macchinario intorno. Il russo lo accolse con un gran sorriso. –A quanto pare, devo restare qui soltanto finché non mi tolgono il gesso alle gambe, cioè tra una settimana, e poi potrò… potremo tornare a casa.-
Yuuri, dopo giorni passati a trattenersi, lo abbracciò, finalmente libero di farlo senza rischiare di incastrarsi in qualche filo. Ci fu un lieve gemito di dolore da parte di Victor e subito si allontanò, arrossendo e scusandosi, mortificato. Ma Victor lo tirò nuovamente a sé, stringendogli le spalle con tutta la forza che aveva. –Va bene così. Mi sei mancato troppo.-
 
Il tempo passava e Victor recuperava rapidamente. La costola e le gambe guarirono, il trauma cranico si assorbì. Certo, ogni tanto Victor soffriva ancora di forti mal di testa che, in alcuni casi, lo costringevano a letto, e, nonostante la riabilitazione, non riusciva a non zoppicare vistosamente. Se all’inizio Yuuri era preoccupato per questi sintomi, con il passare delle settimane, essi si alleviarono fino a scomparire, con l’eccezione di una lievissima zoppia che peggiorava solo nel momento in cui si stancava troppo.
Nel frattempo, Yuuri continuava a ballare. A volte solo, altre con Yurio che, nel suo personalissimo modo di dimostrargli affetto, lo incitava ad andare in sala da ballo con lui per gli esercizi comuni. Con Victor che non poteva ancora tornare ad insegnare e che comunque non avrebbe potuto continuare come suo coach, si allenavano a casa, nella stanza che Victor aveva adibito a palestra. Stavano preparando tutti gli assoli di Romeo e Giulietta, affinché il giapponese potesse fare il provino per qualche compagnia. Yuuri non ne era convinto, ma la fiducia di Victor nei suoi confronti e la voglia, semisepolta nel suo cuore, di ballare e trasmettere al mondo ciò che provava quando era su quel palco, lo avevano spinto a dedicarsi anima e corpo a quel loro progetto.
Yuuri era andato a vivere con lui, alla fine. Non nel modo in cui avrebbero voluto, inizialmente nemmeno nel modo in cui avevano immaginato, ma ci stavano lavorando. Andava bene comunque, finché erano insieme.
 
 
Due anni dopo
Fare un intero spettacolo per la prima volta a ventisei anni era una specie di suicidio, soprattutto se si parlava della Compagnia di San Pietroburgo e di un balletto famoso come Romeo e Giulietta. Soprattutto se lui era il protagonista.
Questo pensava Yuuri, a poco meno di un’ora dall’inizio. Si era allenato per anni su quel ruolo e sapeva di poterlo fare bene, ma l’ansia, la sua compagna fidata da quando aveva otto anni, era sempre lì. Sospirò e si diresse in bagno, poggiando le mani sul lavabo e guardandosi allo specchio. Quasi non si riconobbe: il trucco utilizzato per far sparire le imperfezioni e per accentuare i suoi lineamenti lo rendeva strano, diverso, anche se non in senso negativo. Yurio sapeva proprio farci.
Si stupiva che il ragazzo, appena ventenne e probabilmente il ballerino più famoso al mondo in quel momento, si fosse liberato per andare a vedere la sua prima. In quegli anni, il loro rapporto si era rinsaldato moltissimo, complice il fatto che erano stati insieme nei momenti più brutti l’uno della vita dell’altro e, anche se ora erano entrambi realizzati e felici, sapevano di poter contare l’uno sull’altro per qualunque cosa. Yuuri ne era felice: il russo era una bellissima persona, una volta imparato a passare oltre i suoi modi rudi.
Nello spogliatoio c’era solo lui, perciò si prese tutto il tempo necessario per prepararsi al meglio. Indossò con delicatezza il suo abito, sempre quello blu regalatogli da Victor anni prima, e le scarpette e, leggermente più calmo, fu pronto per iniziare, unendosi al resto della Compagnia.
Non sentì nulla delle parole del loro coach, rispose in automatico agli incoraggiamenti della sua partner e si concentrò solo sul momento della sua entrata in scena.
 
Una volta sul palco, lanciò un’occhiata alla prima fila di fronte a lui: c’era Phichit con un enorme sorriso e il cellulare già pronto a filmare, Yurio che gli sorrise lievemente alzando i pollici verso l’alto, e poi c’era lui. Victor gli sorrideva fiero, già con le lacrime agli occhi nonostante non avessero nemmeno iniziato. Fu guardando lui che l’ansia sparì. Avevano lottato tanto per arrivare a quel punto, ne avevano passate di tutti i colori ed erano ancora in piedi, insieme e felici. Per questo, quando la musica partì, non pensò ad altro: ballare, ballare per Victor, era la cosa più semplice che potesse fare ed il suo più grande gesto d’amore nei suoi confronti e lo avrebbe fatto per tutto il tempo necessario a dimostrare, a lui e a se stesso, quanto belli, giusti e perfetti fossero insieme. Come la Luna e le stelle, come la musica e la danza, come l’arcobaleno dopo una vita passata a vedere in bianco e nero.






Ebbene sì, alla fine sono arrivata anche io a scrivere in questo fandom poveri voi hahah.
È la mia prima Victuuri ed è una AU, anche piuttosto lunga. Il prompt me l'ha suggerito Alex e la ringrazio ancora una volta.
Ho adorato scrivere di uno Yuuri ballerino e di un Victor ex pattinatore/insegnante, è una cosa che avevo in testa già da un po' e ho colto l'occasione al volo. Riguardo la scuola di danza, esiste davvero, ma mi sono presa alcune "libertà" sulla gestione delle lezioni e degli esami, non sapendo con precisione come funziona.
So che probabilmente è fin troppo fluff, salvo la parte dell'incidente, è colpa loro che nell'anime sono così diabetici hahaha
Credo di aver già parlato troppo, lascio a voi i commenti. Se vi è piaciuta anche solo la metà di quanto io ho amato scriverla, ne sarò felice.
Un saluto, alla prossima! 

 
  
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