Film > Captain America
Segui la storia  |       
Autore: LadyBones    29/09/2017    1 recensioni
Dal testo:
[...] "Quando dice qualcuno intende l'Hydra, non è così?" Mi ritrovai a trattenere il respiro in attesa della sua risposta e, quando finalmente arrivò, fu come ricevere una pugnalata in pieno petto. "No, non semplicemente l'Hydra, ma la loro arma migliore." [...]
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nick Fury, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'We Are All Lost Stars Trying To Light Up The Sky'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non avevo chiuso occhio per tutta la notte continuando a rimuginare su quanto era appena successo. Mi ero ritrovata a desiderare fortemente qualcosa per così tanto tempo che, adesso, avere tutto ciò che avevo sempre voluto tra le mie mani mi spaventava da morire. Volevo solo poter fare ciò che mi piaceva, ciò in cui credevo. Non avevo mai chiesto nulla di più e, poteva anche essere da vigliacchi, ma tutta quella responsabilità mi terrorizzava.

Non ero Peggy, o Steve – cavolo – non ero neanche come mio padre, ero semplicemente io. Come si poteva anche solo pensare che fossi capace di occuparmi di qualcosa di così grande quando non ero capace neanche di badare a me stessa? Nessuno mai aveva riposto così tanta fiducia in me e la cosa avrebbe dovuto lusingarmi, ma la realtà era che avevo paura di fallire e deludere le persone che avevano creduto in me. Certo, lo Shield era ormai caduto quindi anche volendo non potevo fare di peggio. O quanto meno si sperava.

Sospirai frustrata a quel pensiero prima di gettare alla rinfusa alcuni dei miei vestiti nel borsone al centro del letto. Dopo aver salutato i miei nonni sarei dovuta andare con Fury prima che perdesse le staffe e mi trascinasse con lui con la forza. In realtà, mi meravigliava come non lo avesse già fatto. Per questa volta ero stata graziata, ma sapevo che non avrei potuto tirare la corda più del dovuto. A dire il vero, non avevo alcuna intenzione di farlo. Insomma, un conto era cercare di nascondersi da qualcuno quando non volevo essere infastidita. Un conto era cercare di sfuggire a qualcuno il cui unico scopo era piantarmi una pallottola in fronte. Rabbrividii a quel pensiero, dandomi mentalmente dell’idiota per aver pensato a una cosa del genere.

Il punto era che non stavamo parlando di un semplice qualcuno, ma dell’Hydra che conoscevo abbastanza da sapere di cosa fosse in grado di fare. Onestamente, non ero certa che allontanarmi mi avrebbe potuto in qualche modo aiutare. Ci avevo rimuginato sopra per tutta la notte ed ero giunta alla triste consapevolezza che non sarei riuscita a sfuggirgli neanche se fossi andata a vivere con gli Avengers in persona. Certo, sarebbe stato incredibilmente figo vivere con loro, ma non sarebbe bastato perché l’Hydra era come una malattia che piano piano riusciva a entrarti sottopelle e risucchiarti via anche l’ultimo briciolo di anima.

E per quanto arrendersi era fuori questione, ciò non toglieva che potessi vedere tutta quella situazione senza una via d’uscita. Sollevai gli occhi al cielo, chiudendo forse con troppa forza la zip del borsone. Una cosa però era certa, continuare a pensarci non mi avrebbe sicuramente aiutato. Di quel passo mi sarebbe venuto un gran mal di testa, cosa che volevo evitare visto la giornata che mi si prospettava davanti.

Afferrai il borsone avviandomi in direzione del salotto. Lo sistemai in un angolo vicino all’entrata, sarei ritornata a recuperarlo all’uscita dell’università prima di andare dai miei nonni. Avevo pensato a lungo a cosa dire loro una volta che me li sarei trovati difronte. Avevo persino fatto le prove la notte appena trascorsa, visto che dormire non era un’opzione. Alla fine, ero giunta all’unica conclusione possibile: avrei lasciato che fosse Fury a inventarsi qualcosa. Insomma, lui aveva un certo talento innato per quelle cose e chi ero io per impedirgli di dar sfogo al suo estro artistico?  E se proprio avrebbe avuto da obiettare, mi sarei appellata al mio ultimo desiderio prima di morire, come facevano i carcerati nel braccio della morte.

Sì, il piano poteva decisamente funzionare. Afferrai, così, la giacca di pelle e la mia borsa e uscii dall’appartamento. Non che mi allettasse poi molto l’idea di dirigermi all’università per dare un esame, ma visto e considerato gli avvenimenti delle ultime ore quella era decisamente la cosa più normale che potessi fare quel giorno. Onestamente, non ero neanche del tutto certa se e quando mi sarebbe capitata l’ebrezza di provare nuovamente l’ansia per un esame, quindi tanto valeva approfittarne. Giusto per ricordarmi che c’era stato un tempo in cui mi lamentavo di cose idiote come esami, cioccolata mancante e segnale della tv assente.

Scossi la testa sospirando appena, continuando a camminare a passo spedito lungo il marciapiedi. Ero a qualche metro di distanza dall’università, quando non mi ritrovai a bloccarmi di colpo con la strana sensazione che qualcuno mi stesse seguendo. Mi guardai intorno, facendo un giro completo su me stessa vedendo le persone sfrecciarmi davanti. Solo quando avvertii una donna finire per scontrarsi contro la mia spalla mi decisi a riprendere a camminare, o di quel passo avrei finito per bloccare il traffico di gente. Sorrisi appena scuotendo la testa.

Non facciamoci prendere dalla paranoia.

Lo sussurrai tra i denti mentre riprendevo a camminare e, quasi inconsciamente, mi ritrovai a sollevare il cappuccio della giacca, sistemandomelo sulla testa – giusto per essere sicuri. Tirai un sospiro di sollievo solo quando mi ritrovai al sicuro tra le mura dell’università, Tim a venirmi incontro. Non mi ero neanche accorta di aver trattenuto il fiato per tutto il tragitto appena percorso. Di quel passo non sarei arrivata alla sera, l’ansia mi avrebbe divorato prima.

Ehi, pronta per l’esame?

La voce squillante di Tim finì per raggiungermi, e mi ritrovai a ringraziare per quel briciolo di normalità.

Prontissima.

Mentii spudoratamente, a malapena ricordavo su che materia avremmo dovuto sostenere quel dannato esame. Figuriamoci se mi sentivo preparata. Peccato che, ancora una volta, non avrei potuto tirare fuori la scusa non-ho-potuto-concentrarmi-perché-un-branco-di-idioti-ha-decido-di-farmi-fuori.

Lenny, tutto bene?

Ahm..? Sì, sì, tutto ok non preoccuparti. Andiamo in aula o faremo tardi.

Mi ritrovai a rispondergli sorridendo appena, prima di trascinarlo per un braccio. Una manciata di minuti più tardi, ci ritrovammo seduti tra i banchi a due sedie di distanza l’uno dall’altra. Il cappuccio ancora calcato sulla testa, la gamba destra che non la smetteva di traballare e i denti a mordicchiare convulsamente il tappo della penna – alla faccia dell’autocontrollo. Non sapevo neanche come ci fossi arrivata a quel punto. Il giorno prima avevo insistito così tanto per convincere Fury a lasciarmi queste poche ore di tempo e adesso, improvvisamente, mi ero ritrovata a rimpiangere quella assurda decisione. Ma che diavolo mi era passato per la testa?!?

Continuavo a chiedermi come fosse saltato in mente a Peggy e Howard di scegliere me come loro eredità, o quello che era. Cavolo, dovevano essere decisamente disperati in quel momento. Non c’era altra spiegazione, sì. Se continuavo così il mio cervello avrebbe finito per fondersi se non fosse stato per Tim che – sportosi nella mia direzione – aveva finito per poggiare una mano sulla mia gamba bloccandola. Sussultai a quel contatto voltandomi nella sua direzione. Non lo avevo neanche sentito avvicinarsi tanto era concentrata nei pensieri e quello era decisamente un problema. Se non ero riuscita a sentire i suoi movimenti, figuriamoci quelli di soldati altamente addestrati.

Sei davvero sicura di star bene? mi chiese in un sussurro, allarmato.

Con un gesto veloce della mano mi liberai del cappuccio, prima di sorridergli annuendo. Avrei dovuto decisamente darmi una calmata prima che fosse troppo tardi, per il bene delle mie coronarie quanto meno.

Tutto ok, solo un po’ di ansia prima dell’esame.

Mi ritrovai a rassicurarlo, prima di vederlo risistemarsi al suo posto giusto in tempo. Un secondo più tardi il professore sistemò i fogli davanti a noi. Ci scambiammo un’ultima occhiata veloce con Tim, prima di iniziare.
 
 
 

***


 
 
Il tempo era letteralmente volato. Come si dice? Cinquantacinque minuti e non sentirli, o qualcosa del genere. Quando avevo posato la penna sul banco, mi ero ritrovata a fissare il foglio sorprendendomi di come fossi riuscita a rispondere a ogni domanda nonostante tutto. Certo, bisognava vedere come avevo risposto, ma avrei affrontato un problema alla volta. Adesso, era molto più urgente cercare di capire come diavolo fare a uscire da lì il più velocemente possibile.

Aspettai pazientemente che il professore ritirasse i compiti e quando lo vidi, finalmente, congedarci afferrai le mie cose schizzando verso l’uscita. A quanto sembrava, però, non ero stata poi così veloce come avevo creduto. Avvertii, infatti, la mano di Tim bloccarmi per un braccio e solo in quel momento mi ricordai della sua presenza. Dio – avrei potuto vincere il premio come peggior amica dell’anno di lì a poco.

Dove vai così di fretta? Pensavo che avessimo potuto prendere un caffè…

Lo sentì sussurrare sorridendomi appena, spostando il peso da una parte all’altra del corpo. Adesso era lui quello che non riusciva a star fermo. Lanciai un’occhiata in direzione dell’uscita e, poi, nuovamente verso Tim. Sapevo di avere i minuti contati, ma lui se ne stava lì a guardarmi con quell’aria da cane bastonato e allora non ce l’avevo fatta. Mi morsi il labbro inferiore valutando mentalmente i pro e i contri, e alla fine mi ero ritrovata a cedere. Insomma, un caffè non mi avrebbe mica ucciso, no?

Dovrei andare dai miei nonni, ma ho tempo per un caffè.

Nel sentire la mia risposta lo vidi illuminarsi completamente. Sorrise soddisfatto prima di farmi cenno di seguirlo in direzione della caffetteria. Ci sistemammo in uno dei tavolini liberi – lontano dalle finestre, in una posizione che mi permetteva di avere una visuale completa dell’intera sala. Adesso capivo per quale motivo mio padre si ritrovava, di tanto in tanto, a insegnarmi quei piccoli trucchetti del mestiere. All’inizio pensavo che lo facesse per la mia lieve tendenza a mettermi nei guai, ma sembrava proprio che in tutto quel tempo io non avessi capito proprio un bel niente. Mi aveva insegnato tutto quello che aveva potuto perché sapeva cosa sarebbe accaduto prima di chiunque altro.

Quel pensiero mi strappo un piccolo sorriso e le mie paure diventarono improvvisamente un po’ più leggere. L’arrivo del cameriere, però, finii per strapparmi dai miei pensieri e feci appena a tirarmi un po’ indietro per lasciargli lo spazio di posare le due tazzine sul tavolo. Lo ringraziammo entrambi prima di vederlo scomparire esattamente da dov’era venuto.

Oggi sembri davvero strana… si ritrovò a commentare Tim una volta rimasti soli.

Più del solito vorresti dire?

Lo presi in giro, afferrando la tazzina con entrambe le mani. Non potevo certo dargli torto, ma non potevo neanche raccontargli quello che stava succedendo. Aveva iniziato a capire che tutto quello che gli dicevo non erano delle semplici storie, ma a tutto c’era un limite.

Tranquillo, è tutto ok. Gli esami mi fanno sempre uno strano effetto.

Lo tranquillizzai, non riuscendo a trattenere l’impulso di lanciare un’occhiata al di là delle sue spalle. Mandai giù un sorso di caffè e – approfittando di un attimo di silenzio – continuai a spostare gli occhi da una parte all’altra della stanza, osservando il volto di ogni persona come se quello potesse aiutarmi in qualche modo.

Ahm… so che forse non è né il momento e né il luogo adatto, ma volevo parlarti di una cosa…

Aveva preso a parlare Tim improvvisamente nervoso, agitandosi appena sulla sedia. Spostai lo sguardo nella sua direzione, aggrottando le sopracciglia.

Certo, dimmi pure. lo incoraggiai.

Ecco, vedi, c’è una cosa che volevo già dirti da un po’, ma non sono mai riuscito a trovare l’occasione. È che non sono tanto bravo in questo cose, insomma…

Mi ritrovai a fissarlo con un sopracciglio alzato cercando di capire cosa stesse cercando di dirmi. Aspettai paziente, lasciandogli il tempo di parlare, quando non mi ritrovai a fissare un punto al di là della sua spalla e tutto il resto delle sue parole finì per perdersi nel vuoto. Un uomo si avvicinava a grandi falcate nella nostra direzione e, onestamente, non c’era niente che non andasse in lui. Uno studente come tanti, eppure c’era qualcosa che non quadrava in lui. Fu un attimo, lo vidi infilare una mano in un lato della giacca e il mio cuore prese a battere talmente forte che lo sentì rimbombarmi nelle orecchie.

Magari stava afferrando solo il suo cellulare, ma poi lo vidi. Un luccichio fare capolino dall’oscurità e fu una questione d’istinto. Afferrai Tim per un braccio trascinandolo a terra con me, appena in tempo. Il rumore degli spari si propagò per tutta la stanza insieme al panico generale.

Ma cosa…?

Sta giù, Tim.

Sbraitai dandomi della stupida. Avrei dovuto andarmene da lì quando ne avevo avuto l’opportunità, anzi non sarei dovuta proprio essere lì. Invece no, avevo deciso di sfidare la sorte e prendere un dannato caffè. Per non parlare del fatto che avevo trascinato in quella follia persino Tim e altre persone innocenti.

Dobbiamo andarcene da qui, ok? Alzati lentamente e corri in quella direzione. Io sarò subito dietro di te, ma tu non smettere di correre.

Cosa? Lenny…io…

Tim, sta zitto e fai come ti dico.

Sussurrai prima di dargli una spinta per farlo muovere. Lo vidi muoversi e correre esattamente nella direzione che gli avevo indicato. Un attimo più tardi, mi ritrovai a rovesciare il tavolino dove neanche qualche secondo prima stavo avendo una tranquillissima conversazione per cercare di proteggermi dai colpi di pistola, per poi sollevarmi e correre dietro Tim. Riuscii a raggiungerlo e afferrarlo per un braccio trascinandolo con me. Qualsiasi cosa sarebbe successa, lo avrei portato fuori da lì prima che fosse troppo tardi.

Lanciai un’occhiata alle mie spalle continuando a correre. Dell’uomo della caffetteria non c’era traccia. Ero sul punto di tirare un sospiro di sollievo, quando – tornata a guardare davanti a me – non mi accorsi di altri due uomini ad aspettarci alla fine di quel corridoio. Mi bloccai di colpo, sollevando un braccio bloccando a mia volta Tim.

Lenny, cosa diavolo sta succedendo? lo sentì chiedere avvertendo il panico nella sua voce.

Chiusi gli occhi per un attimo respirando a pieni polmoni. Dove diavolo era Fury quando serviva? Lui era l’uomo dalle entrate trionfali – santo cielo – possibile che si fosse improvvisamente volatilizzato? Sentii il cuore battere più forte, il respiro diventare affannosa e sapevo che da un momento all’altro il panico avrebbe finito per travolgermi. Lo sentivo camminare dentro, e la cosa non faceva che terrorizzarmi ancora di più.

Lenny!

Aprii gli occhi di scatto nel sentire la voce di Tim chiamarmi. Afferrai la borsa che avevo ancora a tracolla porgendola al mio amico che continuava a guardarmi con occhi sgranati.

Stai indietro, e cerca di nasconderti come puoi. Qualsiasi cosa succeda, prometto che ti farò uscire da qui.

Sussurrai con un filo di voce, facendogli segno di sistemarsi dietro una delle scrivanie in cui solitamente ci ritrovavamo a studiare. Solo quando fui certa che fosse al sicuro mi avvicinai in direzione di quei due uomini che finirono per imitarmi muovendosi verso di me.

Facciamo saltare questa dannata granata.

Lo dissi con un filo di voce, poco prima di vedere uno dei due accelerare il passo. Mi spostai appena di lato riuscendo a schivare il suo gancio destro. Quando ci riprovò la seconda volta, gli bloccai il braccio e – inclinatami appena – gli assestai un colpo tra le costole. Indietreggiò appena e ne approfittai per caricare un gancio sul suo volto avvertendo il naso scricchiolare. Fu in quel momento che il suo compare non si fece avanti. Un colpo ben assestato e mi ritrovai schiena a terra.

Un lamento involontario sfuggì al mio controllo quando mi scontrai con la superficie dura del pavimento. Vidi uno dei due troneggiare su di me, pronta a colpire per la seconda volta e non ci pensai due volte. Aspettai un secondo in più, lasciandogli credere di non riuscire a muovermi, quando non gli assestai un calcio all’inguine. Lo vidi piegarsi appena e con un colpo di reni mi ritrovai a sollevarmi. L’attimo dopo il mio pugno si scontrava contro il suo volto, contro il naso già martoriato prima di spingerlo contro l’altro uomo facendoli rovinare a terra.

Mi ritrovai a fissarli e mentre loro continuavano a dimenarsi per terra, incamerai tutto l’ossigeno che potei. La testa che mi pulsava appena nel punto in cui avevo sbattuto cadendo e il sopracciglio che bruciava. Probabilmente aveva finito per spaccarsi, quell’idiota aveva usato la mano in cui indossava un anello. Avevo sentito il metallo conficcarsi nella pelle e, in realtà, non fu l’unica cosa che sentii. Ero al centro di quel corridoio sapendo che i due uomini si sarebbero alzati da un momento all’altro, che non era finita. Per quanto fossi riuscita a stupire me stessa nell’essere riuscita a tenere testa a entrambi, avevo finito per tralasciare una cosa importante. Il rumore ravvicinato del grilletto di una pistola me ne diede la conferma.

L’uomo della caffetteria aveva finito per raggiungerci in nel corridoio e se fino a quel momento avevo avuto una piccola speranza, adesso, la situazione si era ribaltata. Quindi finiva così, un colpo di pistola a cancellare tutto. Avvertii gli occhi inumidirsi, mentre mi voltavo lentamente ritrovandomi faccia a faccia con quell’uomo. Lo vidi sorridere, mentre io rimanevo ferma lì – in attesa.

In attesa di sentire il rumore che avrebbe messo fine a tutto. Lo sentii un secondo più tardi. Schizzi di sangue a ricoprirmi il volto, il cuore che batteva così forte da farmi male e il corpo dell’uomo che fino a un attimo prima mi puntava una pistola contro, ai miei piedi – esamine. Restai a fissare la pozza di sangue che lentamente si stava allargando sotto di lui, ritrovandomi a sbattere un paio di volte gli occhi come in trance. Avvertii qualcuno strattonarmi per un braccio e solo quando sollevai lo sguardo alla mia sinistra mi accorsi di Tim.

Lenny, stai bene?

Io… sì… cosa è successo?

Gli chiesi inebetita come se non fossi davvero io a parlare. Lanciai un’occhiata alle mie spalle, notando gli altri due soldati dell’Hydra rimanenti. Finalmente in piedi, erano rimasti a qualche passo di distanza a fissare davanti a loro un punto non ben precisato. Corrugai la fronte cercando di capire per quale dannatissimo motivo se ne stavano lì immobili, quando non udì la voce di Tim.

Il tuo amico, Lenny.

Tornai a guardare verso di lui, avvertendo il sollievo invadermi il corpo. Fury, ce l’aveva fatta? Era arrivato giusto in tempo per aiutarci? Non riuscì nemmeno a pronunciare quelle parole se non nella mia testa che la voce familiare di qualcuno non si sovrappose ai miei pensieri.

Lei è la mia missione.

Poche semplici parole, prima che altri due colpi di pistola non finirono per squarciare il silenzio. E, poi, lo sentii. Sentii il mio cuore fermarsi per alcuni secondi, mentre i miei occhi non mettevano finalmente a fuoco la figura davanti a noi.

Bucky – in piedi, alla fine del corridoio – impugnava un fucile, lo sguardo puntato su di me. Avvertii gli occhi riempirsi di lacrime, e l’ultima cosa che riuscii a sentire fu la mia voce che gridava a Tim.

Corri!





---------------------------------------------------
NdA:
Salve a tutti, come promesso ecco qui il nuovo capitolo. Spero vi possa piacere almeno tanto quanto sia piaciuto a me scriverlo. Le cose, come al solito, non si mettono poi così bene per Lenny ma credo che questa ormai non sia una vera e propria novità. Come sempre mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, i vostri commenti e le vostre reazioni sono davvero molto importanti per me che siano positivi o negativi. 

A presto,
-LadyBones.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: LadyBones