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Autore: Aysa R Snow    29/09/2017    1 recensioni
Non tutti abbiamo la fortuna, di trovare la persona giusta, e non perderla.
Tutti abbiamo perso, c'è chi perde qualcosa, chi perde qualcuno.
Lei, ha perso la sfida più importante della sua vita: non perdere la sua persona giusta.
Ma se invece, la sfida più importante della sua vita, fosse riuscire a vincere il dolore che ormai è diventato un peso troppo ingombrante?
Questa è la storia di Arianna, o come lei ama farsi chiamare, Aria.
Perché lei è così.
Leggera e pura come l'aria che respiri in alta montagna.
Questa, non è una classica e semplice storia d'amore.
Questa, è una battaglia.
Da una parte c'è l'amore, dall'altra la vita.
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hold up
Hold on
Don't be scared
You'll never change what's been and gone

May your smile (may your smile)
Shine on (shine on)
Don't be scared (don't be scared)
Your destiny may keep you warm
Cos all of the stars
Are fading away
Just try not to worry
You'll see them some day
Take what you need
And be on your way
And stop crying your heart out

-Stop Crying Your Heart Out, Oasis

 

"Accidenti, ho dimenticato il portafogli a casa!" imprecò Davide tastandosi le tasche.

"Laveremo i piatti da Starbucks a quanto pare." risi incrociando le braccia al petto.

"Non scherzare, non è divertente." sbuffò guardandosi intorno.

"Adesso chiamo Olaf e gli chiedo di portami il portafogli." prese il cellulare dalla tasca e compose il numero.

"Non è il tuo babysitter. È il custode, Davide.
Non puoi chiamarlo per queste sciocchezze."

"E sentiamo, cosa vuoi fare?" Mi sfidò poggiando il cellulare sul tavolino.

"Hai presente il negozio di fiori che c'è più avanti? Esci fingendo di star parlando al telefono e aspetta lì." mi guardò confuso.

"E tu?"sorrisi facendogli l'occhiolino.

"Al resto ci penso io." Davide annuì poco convinto e uscì fuori fingendo di parlare al cellulare.

Mi gaurdai intorno e alzai una mano non appena vidi una cameriera.

"Excuse me, can you take me my bill?" chiesi sperando che la ragazza parlasse almeno un po' l'inglese.
La cameriera si avvicinò sorridendo.

"Sure!" Sorrisi di rimando.

"Uhm... and can you show me where is the toilet?" rimasi ad aspettare che si allontanasse per alzarmi.

Andai verso il bagno alzando il cappuccio della felpa.

Una volta sicura di non essere vista dalla cameriera corsi verso l'uscita.

"Via! Via corri!" urlai raggiungendo Davide al posto prestabilito poco prima.

Corremmo a perdifiato per quasi un chilometro.

Arrivammo in un parco e mi appoggiai ad un albero scoppiando a ridere.

"È stato fantastico!" esclamai ancora con il fiato corto.

Davide mi guardò sorridendo mentre cercava di recuperare fiato.

"Cosa? Scappare senza pagare o correre come dei matti?" chiese terribilmente affannato.

"Beh..." feci un respiro profondo mentre il battito del mio cuore iniziava a rallentare "direi entrambi."

"Con questa siamo a due." Guardai Davide inclinando la testa di lato.

"Fughe, è la seconda." Precisò notando il mio sguardo confuso.

Scossi il capo sorridendo.

"Tre.
Scuola, Norvegia e ora Starbucks." lo corressi sedendomi sull'erba umida.

"Ne hai altre in programma?" chiese sedendosi al mio fianco.

Rimasi in silenzio per qualche istante fissando un altalena dondolare dolcemente avanti e indietro.

"Non so, vedremo." scattai in piedi.

"Dove vai?" mi urlò Davide.

Presi posto su una delle due altalene e iniziai a dondolarmi.

"Scommetto, che riesco ad andare più in alto di te." Affermò Davide avvicinandosi.

"Ah sì?" si appoggiò con la spalla allo scivolo rosso.

"Già. Da piccolo vincevo sempre io."

"A quanto pare sei anche un campione in modestia." risi scendendo dall'altalena con un balzo.

"Ero un bambino con meno anticorpi che corni d'oro." fissai Davide sorridendo per lo strano paragone.

"Gli altri bambini mi lasciavano vincere." sussurrò fissando i suoi piedi sorridendo leggermente.

"Lo avevo capito, ma lasciavo che loro pensassero di farmi felice." Disse alzando lo sguardo e facendo spallucce.

"Da quanto tempo va avanti?" Domandai avvicinandomi un po' di più.

Mi domandavo da tempo quando avesse iniziato a star male.

A come fosse iniziato tutto e sei mai avesse avuto una fine, se pur breve.

"I primi esami che hanno dato esiti positivi quando avevo circa undici anni." serrai la mascella trattenendo il respiro.

Davide si inumidì le labbra con la punta della lingua.

"I miei provarono a convincermi che non fosse niente di grave,che si trattava di un malanno un po' più insistente, ma capii che non era così nell'esatto momento in cui mia madre scoppiò a piangere." rimasi a guardarlo mentre provavo a mandare giù il terribile groppo alla gola che mi rendeva difficile addirittura respirare.

Davide iniziò a camminare.

"Non ho mai chiesto ai miei perché tutto ciò stesse succedendo proprio a me, a noi."

"Ma l'hai pensato." sussurrai affiancandolo.

"Sì, ovvio. Chi non lo fa quando si ritrova in situazioni spiacevoli?"annuii silenziosa.

"Dopo un anno di terapia, i medici dissero che la malattia era in remissione e che presto sarei tornato a casa.

E fu così.

Tornai a casa, ripresi la scuola e gli allenamenti di basket." la voce di Davide si spezzò improvvisamente. Voltai il capo verso di lui e vedi che stringeva le labbra in una linea sottile.

Scosse la testa stringendo gli occhi e fece un respiro profondo.

"Durante le vacanze estive, prima dell'inizio del quarto anno del liceo, iniziai a non sentirmi bene.

Mi faceva male spesso la testa, mi si appannava improvvisamente la vista e notai di non riuscire più a reggere i ritmi dei miei compagni durante gli allenamenti.

Incolpai lo stress, le ore piccole e mi tranquillizzai pensando che si sarebbe risolto tutto da se una volta ripresa la solita routine." rimase in silenzio per qualche istante, eravamo quasi arrivati a casa.

"Tornai a scuola e mollai la squadra di basket quando mi accorsi che i sintomi peggioravano di giorno in giorno.

Feci degli esami che rilevarono la comparsa di un nuovo tumore.

Più esteso, più veloce e più aggressivo dell'ultima volta." candidi fiocchi di neve iniziarono a volteggiare nell'aria.

"Le hanno provate tutte" sorrise debolmente con gli occhi spenti e cupi "ma hanno perso tempo e basta." entrò in casa lasciandomi immobile mentre la neve inumidiva i miei capelli e arrossava la pelle delle mie gote.

Mi misi a sedere nella veranda al coperto che dava sul bosco.

Le chiome degli alberi sembravano un'unica cosa, uno sfondo nero dai bordi irregolari.

La neve scendeva giù lenta ed elegante, come una sposa nel suo ampio abito bianco.

Nuvoloni neri ricoprivano il cielo oscurando i deboli raggi di luce.

 

"So a cosa stai pensando, Aria." sobbalzai spaventata dall'improvviso arrivo di Davide.

"Pensi che io sia un folle a non voler tentare nessun trattamento.

Probabilmente, in cuor tuo speri di riuscire a farmi cambiare idea." mi borse una birra già stappata.

"Non è così?" presi la mia birra sorpresa.

"Dovresti indossare qualcosa di più caldo." borbottai spostando lo sguardo sugli alberi ancora una volta.

"Perché? Sennò mi ammalo?" domandò ridendo.

Gli lanciai un'occhiataccia ma non risposi. Non potevo farlo.

"Perché sei ancora qui, Aria?" passai il pollice sul vetro disegnando forme astratte sulla condensa.

"Abbiamo fatto una promessa." scosse il capo posando bruscamente la sua birra sul tavolino alla sua destra, proprio in mezzo a noi.

"Cazzate! Cosa speri di ottenere esattamente? Eh?" sbraitò puntando i suoi occhi nei miei.

"Io..." provai a parlare ma non ottenni nessun risultato. Le parole proprio non ne volevano sapere di mettersi una dopo l'altra.

"Perché ti ostini a volerti far carico del mio dolore?" la sua voce tremò rivelando tutta la sua paura.

Paura di morire, di non aver vissuto abbastanza, di aver sbagliato tutto.

Tremò rivelando tutta la sua insicurezza.

Perché mentre lui lottava contro il tempo ogni sua certezza crollava come fragili foglie in autunno.

Tremò, rivelando tutta la tristezza.

 

Non parlai, ma mi mostrai a lui guardandolo nel modo più sincero che potessi.

Senza paura di ferirlo o deluderlo.

 

Gli sussurrai tutto il mio affetto nei suoi confronti senza aprir bocca.

 

Si alzò, e andò via

mentre il rumore della sua anima che si sgretolava rimbombava tutto intorno.

 

Alzai gli occhi al cielo ormai buio ed entrai in casa.

Arrivai dinnanzi alla porta della sua camera ed esitai per qualche istante sul da farsi.

Poggiai la mano sul pomello freddo e feci un respiro profondo.

"Non pretendo che tu riprenda le cure." affermai qualche istante dopo essere entrata.

La stanza era in penombra e non riuscivo bene a scorgere il profilo di Davide tra le coperte.

"E se sono qui, è solo ed esclusivamente perché non meriti di vivere tutto questo da solo."sussurrai sedendomi sul bordo del materasso dandogli le spalle.

"Non pensare che io sia una stupida a volerti restare accanto" risi con voce rauca "o a voler dividere il tuo dolore.

Perché non appena il tuo avrà fine per me ne inizierà un altro." strinsi i pugni poggiati sulle ginocchia.

 

"Mi dispiace, d'accordo? Non avrei voluto essere in questa situazione, esattamente come te."

"Ma la vita è una gran bastarda, e non sempre riesci a fregarla." mormorai mentre una lacrima mi solcava una guancia.

Udii il lieve fruscio delle coperte e subito dopo sentii due braccia stringermi da dietro.

Mi lasciai andare in un pianto liberatorio ma silenzioso mentre Davide mi trascinò giù, stesa con il viso contro il suo petto.

"Shh... non fare così, Aria." sussurrò stringendomi a se.

"Non cercare di fermarmi, te ne prego." mi accarezzò piano la testa in un gesto consolatorio.

"Smettila di piangere, non aver paura. Tutto questo non cambierà mai ciò che è stato."

 

   
 
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