Anime & Manga > Sailor Moon
Segui la storia  |       
Autore: Urban BlackWolf    06/10/2017    4 recensioni
Inesorabilmente trascorse settimane da quella giornata di fine giugno, di Haruka e Michiru non si hanno più notizie. Le hanno cercate ovunque, interminabili ore passate tra le sponde di quel corso d'acqua quasi irriconoscibile, ma di loro non c’è più alcuna traccia.
Ma quando la speranza sembra ormai stata vinta dalla rassegnazione, un giovane dalla zazzera dorata e gli occhi verdi come i prati delle montagne ai quali appartiene, comparirà al servizio di una delle famiglie più in vista di Berna deciso a scoprire cosa realmente sia accaduto dopo quella maledetta sera.
-Sequel de: le trincee dei nostri cuori-
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Makoto/Morea, Michiru/Milena, Minako/Marta, Setsuna/Sidia | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Angeli nella notte

 

 

Aspettami… Non camminare tanto veloce!”

Forza marmottina, la strada è ancora lunga. Muoviti.”

Si fermò in debito d’ossigeno sentendosi le gambe pesanti. Stava arrancando come se avesse avuto cento chili piazzati sulla schiena.

Allora? Guarda che ti lascio qui sai?!” Una voce profonda, caldissima, decisa, ma gentile. Una voce che sapeva di conoscere, che sapeva di amare.

Non posso, sono stanca.” Piagnucolò ammettendo l’ovvietà della sua condizione.

Perché non lo capiva? Perché voleva continuare a camminare su per quella scarpata costringendola ad uno sforzo per lei sovrumano?

Ti stai arrendendo forse?” Pungolò freddamente.

No! Non è questo! Ho bisogno solo di riposare!” Guardò in alto, verso la cima della scarpata, a quelle spalle fiere che sapeva di adorare, a quei capelli d’oro liquido che amava accarezzare, a quel corpo che bramava con tutta se stessa.

Se continuerai così finirai con il perderti… amore.”

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 22/9/1915

 

Spalancando gli occhi alle prime luci dell’alba, Michiru avvertì nel petto il cuore correre come un demonio ed i respiri seguirlo ansanti. Rimase per alcuni secondi immobile, come spaventata dal pensiero di muovere anche solo un muscolo, incapace di smettere di tremare. Si concesse ancora qualche respiro facendo poi leva sugli avambracci e da li, riuscendo a sedersi sul letto, controllando quasi apaticamente le quattro mura che componevano la sua stanza. La stava dividendo con un’altra paziente che grazie al cielo non era riuscita a svegliare.

Stringendosi le braccia alla camicia da notte totalmente madida di sudore si rese conto di aver freddo. Devo cambiarmi, si disse cercando di capire perché quello che aveva appena sognato l’avesse ridotta in uno stato tanto pietoso. Non era certo stato un incubo. Oppure si? Che cosa l’aveva destabilizzata tanto?

“Chi sei?” Si chiese ripensando a quelle spalle, a quei capelli, a quella voce, capendo di stare velocemente perdendo il contatto con quell'immagine.

Se continuerai così finirai con il rimanere troppo indietro e ti perderai… amore.

“Amore.” Ripeté piano afferrando quel sostantivo prima che venisse risucchiato dalla veglia, avvertendo subito dopo una dolorosissima fitta alla tempia che le lasciò uscire un grido subito soffocato con il palmo della mano.

Incurvando la schiena in avanti premette la fronte contro le ginocchia provando a non spezzare i respiri. Amore, le riecheggiò come un eco mentre il legame onirico con il sogno si dissolveva definitivamente.

Si gettò su di un fianco raggomitolandosi lacerata da quel pulsare acuto. Aveva la consapevolezza di essere lei su quella salita, come sapeva che quella persona che le stava camminando davanti e che non era riuscita a vedere in volto, era importante, un punto di riferimento, un faro. Ma più di questo non sapeva, non capiva, non ricordava.

Non voglio ricordare, pensò sentendo le prime lacrime di dolore solcarle il viso.

Ti stai arrendendo forse?

Si. Senza di te mi sto arrendendo.

 

Quando Setsuna se la vide davanti capì immediatamente che qualcosa non andava. In quella mattina di pieno sole Michiru era pallida, accompagnata da due visibilissime borse sotto agli occhi ed uno sguardo al limite del disperato puntato al mattonato bianco del corridoio. Il medico corrugò la fronte andandole incontro.

“Milena cosa vi è successo?!” Chiese seriamente preoccupata. Forse avrebbero dovuto finirla di andare in giro a caccia del ladro per gran parte delle notti.

“Dottoressa Meiou… avrei bisogno di un po’ di antidolorifico.” Rispose vergognandosene e per questo non alzando lo sguardo.

Il respiro leggermente affannato tenuto sottocontrollo da una grandissima forza di volontà. Questo era Michiru; tenacia, risolutezza pura, caparbietà fisica.

Setsuna le afferrò un braccio come per sorreggerla, ma l’altra stirando le labbra non accettò il contatto. “Ce la faccio, grazie.”

“Andiamo nel mio studio.” Replicò non scomponendosi.

Dieci minuti più tardi la dottoressa porse un bicchiere con del liquido bianco ad una donna più che scorata. Con mano non certo fermissima la più giovane afferrò il vetro iniziando a bere senza dire una parola.

“Fate adagio Milena, ricordatevi che non è una cura, ma un oppiaceo.” E sottolineò l’ultima parola calibrando la voce in maniera che risultasse chiaro all’altra quanto pericoloso fosse abusare delle proprietà tranquillanti di quella droga.

Setsuna conosceva molto bene il lavoro del Dottor Grafft sulla sindrome da shock post granata che molti soldati al ritorno dalle linee di combattimento spesso presentavano e su come fosse fermamente convinto che i reduci che soffrivano di prolungati periodi d’insogna o incubi notturni, dovessero essere trattati con massicce dosi di oppiacei. Cosa che per la giovane dottoressa era totalmente sbagliata. Vi erano più veterani e soldati diventati dipendenti dopo un periodo ospedaliero che soldati psicologicamente guariti e perciò lei andava sempre molto cauta con quelle somministrazioni.

“So cosa sto assumendo dottoressa Meiou. Non fate altro che ricordarmelo ogni santa volta che ne ho bisogno.” Riconsegnando il bicchiere lasciò una mano sul viso vergognandosi di se stessa. Eppure quella droga era l’unica cosa a farla sentire bene.

Questa volta la questione era seria, molto più delle precedenti. Setsuna si accovacciò accanto alle gambe dell'altra prendendo ad accarezzarle i capelli.

“Milena, cosa vi accade?” Chiese cercando ferma dolcezza nella voce.

“Ho fatto un sogno… e…”

“...E?” Spinse dopo qualche secondo di silenzio.

“E credo ci fosse una persona cara con me, carissima, anche se non sono riuscita a vederne il viso, ma i capelli si, erano dello stesso colore di questo.“ Si toccò la tasta destra dove anche la dottoressa sapeva cosa ci fosse.

“Mi sono sentita chiamare amore. - Puntando sul medico due occhi tra lo stupito e lo spaventato continuò quasi con veemenza. - Questo non dovrebbe essere una cosa bella?”

“Suppongo di si Milena.”

“E allora perché mi sento tanto male. E non parlo solamente del dolore alla tempia, ma di tutto il mio essere.”

“Non ricordate altro?” Ed alla negazione Setzuna iniziò a pensare rapidamente.

“Mi sono già espressa a tal riguardo Milena. A questo punto io consiglio di fare immediatamente una seduta d’ipnosi.”

Gettò a bruciapelo vedendola sussultare leggermente. Aveva già provato ad imporle quella soluzione, ma la ragazza si era sempre rifiutata. In tutta franchezza quella tecnica di mediazione tra il paziente ed il suo passato a Setsuna non sarebbe servita per conoscere generalità o eventi della ragazza comunque già conosciuti tramite le sue ex allieve, ma per tentare di sbloccarla, in un certo senso farla ripartire da quell’empasse del quale non si riusciva a scorgere soluzione.

“Sapete come la penso a tal merito.” Graffiò Kaiou mettendosi sulla difensiva nonostante l’inibitore che aveva appena preso iniziasse a fare il suo effetto calmante.

“Lo so, come so di avervi già detto che senza una scossa non riuscirete a liberarvi da questa spirale di negazione nella quale state bellamente crogiolandovi.”

“Non sono una reduce di guerra, dottoressa. Non trattatemi come una nevrotica traumatica!”

Setsuna si alzò di scattò. Era dotata di tatto e comprensione, ma non sopportava il vittimismo, ne tanto meno che un paziente cercasse di controbattere su campi che non gli appartenevano. “Perché non dovrei, signorina Buonfronte? I traumi non vengono prodotti solo dalle bombe di un mortaio.”

“Perché non lo sono!” Urlò esasperata stringendo i pugni sulle gambe.

“Si che lo siete! - Replicò alzando il tono della voce allo stesso livello dell’altra per non darle l’idea sbagliata di stare cedendole terreno. - E finché non vorrete accettare quest’ovvietà, continuerete a girare in tondo rischiando così di perdervi definitivamente!”

Se continuerai così finirai con il rimanere troppo indietro e ti perderai.

Risentita anche da quel ricordo, Michiru si alzò avvertendo però mollezza nelle ginocchia. Afferrando la traversa trovò un sostegno nella sedia.

“Non ho intenzione di continuare questa conversazione.”

“Vi state dunque arrendendo signorina?”

Ti stai arrendendo forse?

No, non lo so, forse… avrebbe voluto rispondere, ma quel semplice pensiero di secca irritazione non riuscì a tramutarsi in parole. Improvvisamente accerchiata da una coltre scura sempre più densa si sentì mancare la terra sotto ai piedi ritrovandosi priva di coscienza.

 

 

Comune di Locarno

Svizzera meridionale

 

Era il terzo giorno di ricerca e vista l’infruttuosità ottenuta, Haruka stava iniziando a dare cenni d’insofferenza. Appena scese alla stazione di Locarno e trovato un albergo per la notte, carta della zona alla mano, le sorelle Tenou avevano creato una sorta di tabella di marcia, dividendo la zona in veri e propri settori, concentrandosi sulle fattorie e le aziende che coltivavano e lavoravano il grano semolato nero. Erano parecchie, ma nonostante la distruzione dei campi del nord e visti i venti di guerra, non tutte avevano potuto permettersi il lusso di assumere nuovo personale. I confini con il Regno d’Italia erano vicinissimi e per le strade e nei campi si vedevano molti più soldati e carri, che contadini e trattori. Per quanto potesse essere grottesco questo aveva finito per facilitare il compito delle due ragazze, che non avevano però, trovato molto.

La mattina del secondo giorno erano riuscite a sapere che le famiglie scese dalla zona del lago FullerGraft per lavorare il semolato, si erano concentrate tutte nella parte settentrionale dei vastissimi sobborghi della città di Locarno, così ad Haruka e Giovanna non era rimasto altro che macinare chilometri su chilometri tra le frazioni, attirandosi addosso gli sguardi curiosi di molti, soprattutto quando sostavano a dissetarsi in un’osteria o a dormire in una stamberga.

Fu proprio in una di queste, durante la cena del terzo giorno, che la bionda si vide davanti un tizio dalla faccia scaltra, smagrito, con i vestiti che gli pendevano addosso come se fossero stati di un altro. Quando si tolse il cappello rivelando la chioma scura arruffata e sporca ad Haruka suonò un campanello d’allarme.

“Perdonate l’ardire signore, ma ho saputo che state cercando informazioni su una famiglia del settentrione che ha avuto a che fare con il crollo di quella diga nei pressi di Altdorf e credo di potervi aiutare.” E si inchinò di fronte ad entrambe con una reverenza tale che anche Giovanna iniziò a stare sul chi vive.

Portandosi il bicchiere di rosso alle labbra per mandar giù l’ultimo boccone di stufato d’agnello, Haruka fece all’uomo un cenno con la mano invitandolo a sedersi al tavolo con loro.

“Gentilissimo signore. Signora…” Chinando nuovamente la testa si sedette iniziando a stringere convulsamente il cappello.

“Allora? Come siete venuto a conoscenza della nostra ricerca?” Chiese lei passandosi il tovagliolo sulla bocca per dimenticarlo poi al lato del piatto.

“Le frazioni sono piccole e le voci corrono in fretta.” Ammise iniziando a fissare il pane.

Alle due bastò uno sguardo per capirsi e Giovanna sorrise convincente. “Vuole favorire ed essere nostro ospite, signor…”

“Patrizio Bentivoglio. Grazie signora. Molte grazie.” Ed afferrando un pezzo di pagnotta iniziò a cibarsene avidamente.

Facendo cenno all’oste di portare un altro piatto, Haruka spostò il suo per poggiare saldamente gli avambracci sulla tovaglia.

“Avete la mia massima attenzione signor Bentivoglio.”

“Be signore… le notizie che mi sono giunte alle orecchie sono abbastanza confuse e non so se possano esservi d’aiuto.” Disse illuminandosi alla massa fumante postagli davanti dal gestore.

“Questo lasciate giudicarlo a noi.” Intervenne Giovanna avendo il sentore di una enorme presa in giro. Se quel tizio si fosse rivelato uno sciacallo, Haruka avrebbe finito per soffrirne.

“Suppongo che questi potrebbero aiutarvi a far chiarezza nei vostri ricordi, non è così?!” Estraendo cinque franchi dalla tasca del gilè la bionda li posò discretamente affianco al piatto dell’uomo che immediatamente smise di ruminare il boccone.

“O… si signore, si.”

Tirando su un sopracciglio alla velocità con la quale la moneta sparì dalla sua vista, Haruka attese cercando di non dare a vedere quanto stesse fremendo.

“Vi ascolto.”

“Si dice che stiate cercando una famiglia proveniente dalle campagne di Altdorf che abbia salvato una ragazza dal crollo della diga di FullerGraft.” Ingoiò avidamente.

“Proseguite.”

“Dunque, posso dirvi che questa famiglia è quella dei Buonfronte e si da il caso che abbia affittato un podere qui vicino. Da loro vive una ragazza.”

“Sapeste descrivermela?” Haruka non era intenzionata a mostragli la foto di Michiru che teneva gelosamente nella tasca interna della giacca.

“Non l’ho mai vista, però mi è giunta voce che sia molto bella, abbia i capelli scuri, non molto lunghi e mossi, gli occhi chiari e sia in età da marito.”

Giovanna ghignò scuotendo la testa. In pratica l’immagine dei due terzi delle donne svizzere. “Non basta per una moneta da cinque franchi signor Bentivoglio.”

“Neanche se vi dicessi che la ragazza in questione appartiene ad una famiglia borghese piuttosto agiatamente nord del paese, signora?”

A quella dichiarazione Haruka smise di respirare. Poteva trattarsi di lei. Poteva essere la sua Michiru.

“Se volete vi ci porto io. La fattoria è dalla parte opposta del torrente, ma si sta facendo buoi e rischiate di perdervi.”

Giovanna non si trovò d’accordo, non le piaceva quell’uomo, ma la frenesia disperata di Haruka non le lasciò il tempo per parlare. Alzandosi in piedi la bionda fece cenno al loro ospite di sbrigarsi a terminare il piatto. Cinque minuti dopo si trovarono a camminare tra l’erba incolta di un viottolo pietroso che si snodava tra un campo appena arato ed il greto alberato di un piccolo torrente.

“Ruka non mi fido di lui.” Disse la maggiore sotto voce.

“Giovanna è il primo indizio concreto che abbiamo in tre giorni. Nessuno ci ha fornito delle informazioni dettagliate come a fatto lui… perciò sta zitta e seguiamolo.”

“Appunto… potrebbe essere tutto frutto di un bluff. Ormai la voce della nostra ricerca si è sparsa e se non abbiamo ancora trovato nulla vuol dire che non è la pista giusta.” Ma la sorella la fulminò fermandosi di colpo.

“Possibile che tu non capisca che devo aggrapparmi a qualunque tipo d’appiglio?!”

Sospirando per niente convinta l'altra accettò quella disperata spiegazione mentre il signor Bentivoglio le incoraggiava a proseguire verso il ponticello di legno che permetteva di guadare il rivolo.

“Coraggio, non manca molto.” Chiamò lui fermandosi proprio davanti alla sponda.

“La fattoria della quale ci accennavate è quella?” Chiese Haruka vedendo stagliarsi nel declinare del crepuscolo una flebile luce.

“Si signore, ma non credo che serva che io vi accompagni fin li!” Rispose estraendo dalla tasca un coltellaccio a serramanico dalla lama lunga più di dodici centimetri.

“Signor Bentivoglio!” Esclamó Giovanna sgranando gli occhi.

“Mi dispiace, ma io ed i miei compari abbiamo fame.” Sorrise lui all’apparizione di due complici che li avevano seguiti a distanza.

Erano in trappola. “Volete derubarci?”

“Questo sarebbe il piano, signora.” Si intromise uno dei due spalleggiatori armando anch’egli la mano ed avvicinandosi pericolosamente a Giovanna.

La bionda agitò una mano cercando di temporeggiare. Non sembravano cattivi, ma soltanto disperati. “Non c’è bisogno che alziate le lame su di noi, signori.”

“E allora mollate il porta denari.” Continuò l’altro puntando la lama alla gola della sorella.

“Non ci sono problemi, ma non fatele del male.” Haruka abbandonò l’idea d’impugnare la sua Luger. Era in inferiorità ed anche se quei tre sembravano più ruba galline che altro, proprio per questo non poteva permettersi gesti azzardati.

“Spiegatemi una cosa Bentivoglio. - Disse gettandogli il sacchetto di pelle con le monete. - Allora non è vero che in quella famiglia… i Buonfronte, vive una ragazza borghese salvata dalle acque del FullerGraft Fluss.”

Afferrando al volo il bottino lui alzò limpidamente le spalle. “Che fosse una borghese l’ho tirato ad indovinare dai vostri bei vestiti. Non è di tutti i giorni vedere un damerino come voi aggirarsi tra i campi in cerca di una donna. Ho soltanto immaginato che non dovesse trattarsi di una semplice contadina, ecco tutto!”

Idiota, si disse la bionda riflettendo solo in quel momento. Perché Michiru avrebbe dovuto essere classificata dai suoi salvatori come una ricca borghese se al momento del crollo aveva in dosso solo abiti umilissimi da scalata? Nell’ansia di sapere aveva commesso un’enorme errore.

“Comunque signore, vi posso assicurare che per quanto riguarda i Buonfronte… quel disgraziato giorno hanno realmente salvato una ragazza dal fiume, ma ho anche sentito dire che sia morta per le ferite riportate.”

Ad Haruka sembrò di ricevere un pugno in pieno stomaco. “Come morta!”

“Si signore. Con i Buonfronte attualmente abita solo una donna e non è certo una ragazza.”

Ruka, pensò Giovanna vedendo che la sorella aveva avvertito l’urto.

Improvvisamente un colpo di fucile riecheggiò dietro di loro, verso la fine del campo che avevano percorso tutti e cinque per arrivare fino al ponte.

“Che intenzioni avreste, gentili signori?” Una voce abbastanza profonda accompagnò quello sparo seguito dal clic del percussore con l’inequivocabile entrata in canna di un secondo colpo.

“Patrizio, diamocela a gambe.” Urlò il terzo compagno di quella banda scalcinata prendendo la via del ponticello. Abbandonata Giovanna il secondo scomparve correndo all’impazzata dileguandosi in men che non si dica.

“Dunque?” Continuò l’uomo lasciando che dalla sua enorme mole uscisse un’adolescente armato quanto lui.

“Lasciate la scarsella del signore e sparite. Se vi rivedo ancora nei paraggi di casa mia vi farò saltare la testa. Chiaro?!”

Terrorizzato da quel colosso e dall’arma ancora fumante che stringeva tra le mani, Bentivoglio abbandonò il bottino seguendo i due complici lungo il ponte e da li sparendo lungo il greto alberato.

Giovanna schizzò verso la sorella afferrandola per un braccio. “Ruka stai bene?” Le sussurrò sentendo un singulto.

“E’ morta. E’ morta…”

“Non è detto si trattasse di Michiru. Haruka stammi a sentire.”

Ma liberandosi con un gesto brusco dalla presa, la guardò arretrando di un passo. Scuotendo la testa lentamente sentì di aver perso tutte le speranze e voltandosi scappò via prima ancora che il loro salvatore potesse presentarsi.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

“Dov’è Milena? Perché questa sera non è venuta?”

“Sigmund non ti ci mettere anche tu, per favore. - Setsuna voltò la testa prima a sinistra, poi a destra. - Accidenti!”

Dopo notti d'appostamenti andati a vuoto aveva rivisto quell’ombra aggirarsi nei pressi della mensa, ma ora, complice anche una sottile nebbiolina che stava avvolgendo il parco dell’ospedale, l’aveva persa. In più aveva lasciato Michiru a rimettersi dallo svenimento che l’aveva colpita la mattina e questo le metteva una certa ansia. Avrebbe voluto chiedere a Minako di vegliarla, ma la vicinanza con l'ex allieva sembrava proocare piu' danno che beneficio. Perció in quel momento la petulanza del ragazzino era veramente fuori luogo.

“E’ da ieri sera che non la vedo. Che le avete fatto!?”

Cosa le avrei fatto? Si chiese guardandolo tra il serio ed il faceto. “Quella donna è coscientemente in grado di farsi del male da sola senza che intervenga io. Te lo assicuro mio giovane amico.”

Raddrizzando la postura, Setsuna provò ad ascoltare i suoni della notte. Con quella nebbia il ladro non poteva essere andato troppo lontano.

“Allora qualcosa è realmente successo!”

“Sigi stai zitto un attimo!”

Scrutando il muro latteo, la donna chiuse le palpebre affidandosi al senso dell’udito. Il frusciare del vento, i grilli, i rapaci notturni e null’altro. Poi, all’improvviso, un crepitio alle sue spalle, come di un qualcosa sbriciolato sotto la forza di un peso. Forse un rametto o qualcosa del genere. Setsuna si voltò di scatto appena in tempo per vedere e schivare il fendente imposto da un grosso bastone. Accovacciandosi riuscì a spostarsi da un lato.

“Non continuerete a rovinare i miei piani maledetta donna.” Una voce camuffata da un vistoso fazzoletto bianco premuto con maestria su naso e bocca, ed un uomo alto circa un metro e ottanta, dalla corporatura importante, apparve loro uscendo completamente dal tronco d’albero che lo aveva nascosto sino a quel momento.

Cercando di colpire la donna una seconda volta, andò nuovamente a vuoto iniziando ad infuriarsi.

“Avreste dovuto continuare a farvi gli affari vostri dottoressa e non vi sarebbe successo nulla.”

“Siete voi che avreste dovuto calcolare il fatto che il crimine non paga, signor mio. Cosa volete trasformarvi... da ladro in assassino?”

“Avrei da guadagnarne in soddisfazione!” La schernì accompagnando il terzo colpo con un suono gutturale simile a quello di un animale rabbioso.

“State un po’ ferma!”

“Stai fermo tu!” Urlò Sigi rilasciando un calcio poderoso all’altezza del ginocchio sinistro dell'assalitore, che barcollando solo leggermente, ricambiò afferrando il biondino per il collo della camicetta iniziando a strattonarlo.

“E tu che vuoi piccolo bastardo. E’ colpa di voi tedeschi se l’Europa sta bruciando, se per non morire di fame siamo costretti ad ingrassare il mercato nero. Voi per primi siete dei ladri, ladri e porci!”

“Non è vero! Io non ho mai rubato a nessuno.” Si difese arpionandogli l’avambraccio con le piccole mani.

“Scommetto che non è così. Ti ho visto sai come nei primi giorni di ricovero guardavi il pane. Tu hai gli occhi di un ladro e per di più sei anche un bugiardo!” Disse avvicinando il viso a quello dal ragazzino.

“Lasciatelo!” Setsuna cercò d’intervenire dovendo però balzare all’indietro per far fronte all’ennesima bastonata.

“Prima sistemo lui e poi sarò da voi, dottoressa Meiou.”

Ma lanciandosi con le unghie sul viso semicoperto dell’uomo, Sigmund riuscì a graffiarlo sul mento quanto basta per lacerarglielo e sentirsi libero di scappare. Voltandosi toccò il prato scivolando però sull’erba bagnata ritrovandosi in terra.

“Schifoso moccioso!” Sputò tutto d’un fiato portandosi una mano al volto mentre con l’altra brandiva il bastone alzandolo sulla testa con l’intento di scagliarlo contro.

Setsuna si gettò allora sul piccolo abbracciandoselo stretto al petto pronta a fargli da scudo. Sicura di stare per ricevere il colpo chiuse gli occhi sentendo invece una nuova voce, anch’essa maschile, intimare al ladro di fermarsi. Spalancando gli occhi vide Wolfgang Aino bloccare il bastone ormai a mezz’aria con quello da passeggio che usava per sostenersi.

“E’ proprio da vigliacchi prendersela con una donna ed un bambino e vedo con rammarico signor mio, che siamo anche armati!” Allontanando la minaccia con la forza del bicipite colpì di taglio al fianco come se stesse impugnando una sciabola, vedendo così l’arma di difesa piegarsi e spezzarsi in mille pezzi.

“Ops… Non esistono più i bastoni da passeggio di una volta.” Costatò non potendo far altro che avventarsi sull’altro.

“Ma che volete fare moscerino storpio?!” Ridacchiò il suo avversario colpendo con lo stivale il polpaccio di legno. Ma prima che Wolfgang potesse stramazzargli davanti fu talmente lesto d’afferrargli il fazzoletto smascherandolo. Per non farsi riconoscere all’assalitore non rimase altro che darsela a gambe nel fitto della nebbia.

“Sapeva dove colpire la brava persona. Evidentemente conosce bene anche me. - Borbottò rialzandosi a fatica. - State bene dottoressa Meiou?”

Setsuna lo guardò riconoscente sorridendo. “Si signor Aino, grazie. Il vostro intervento è stato provvidenziale.”

“Perdonate, avrei voluto far prima, ma la nebbia e questo non mi hanno affatto facilitato.” Sbatté il piede artificiale in terra un paio di volte.

“Perché siete qui?”

“Ero all’entrata della struttura a godermi un po’ di tabacco post cena, quando vi ho vista vagare nel parco ed essendo un tipo curioso…” Si fermò guardando il tremore del bambino smorzando il sorriso che aveva messo su.

“Che hai Sigi?” Chiese Setsuna accarezzandogli i capelli.

“Non l’ho fatto con cattiveria. Non sono un disonesto, ma avevano fame. Tanta fame.” Articolò stringendo il viso al petto della donna rivelando l’inizio di un’enorme fragilità.

“Cosa stai dicendo?! Chi aveva fame?”

“Loro… la mia famiglia. Dottoressa… io non sono un ladro.” E scoppiando a piangere si rintanò nelle braccia della donna come se fossero state quelle di sua madre.

 

 

Aveva il gelo nelle ossa ed il tepore del fuoco ancora troppo giovane non riusciva a scaldarla. Aveva freddo e voleva le sue mani su di lei. Aveva voglia e desiderava i suoi baci sulle labbra.

Voglio che il tuo corpo mi scaldi. Un desiderio uscitole dalla gola con una voluttà che non avrebbe mai creduto di possedere. Una smania carnale talmente violenta da lasciarla stupita di se stessa.

Sei sicura amore? Quella voce meravigliosa dal timbro velato da una passione repressa e vorace.

Si. Ed il desiderio di essere completamente sua, mentre sentiva fremerne le carni avvertendone il respiro premuto nell’incavo del collo e le mani che correvano ormai senza più freni sulla schiena fino a toglierle la canottiera, ultimo baluardo alla sua nudità. Non sentiva paura o timore, vergogna o timidezza, ma solo calore e pulsione addominale. E poi scambi di pelle, di baci e di carezze date e ricevute. Le sue mani su di lei ed il suo corpo nudo sopra il suo.

Amore mio… sono tua.

Michiru spalancò gli occhi squassata dall’ennesimo tremore. Ansimando si tirò le lenzuola fino al mento guardando l'ormai troppo noto soffitto della sua camera.

Oddio mio, pensò corrugando la fronte sentendo la pelle del petto ancora drammaticamente recettiva ed il basso ventre agitato di vita propria. Si nascose ancor di più sotto la coperta sapendo d'apparire paonazza alle ombre incorporee presenti nella stanza.

Amore mio… sono tua, aveva detto con coscienza sentendolo come semplice e pura verità. Sospirando e provando caldo dappertutto, cercò allora di ragionare su quello che aveva appena sognato. Per lo più sensazioni tattili. Profondamente tattili.

“O mio Dio.” Ripeté pianissimo colpita dalla convinzione di essere stata di un uomo. Eppure in tutta onestà aveva sempre creduto di essere illibata. “E adesso come spiego questo alla dottoressa Meiou?”

Sei sicura amore?

Si. E lo era davvero.

“Non devo più far uso dell’oppio!” Si disse sapendo però che se non stava provando il dolore lancinante che l’aveva pervasa all’alba, dopo una notte simile a quella che stava vivendo ora, il merito era solo di quella stramaledetta droga.

Guardando l’orologio sul comodino constatò che fossero solo le ventuno e che aveva dormito in maniera spropositata per tutto il giorno avendo saltato anche pranzo e cena.

“Dovrei vestirmi per raggiungere Sigi al parco. Sarà preoccupato.” Ma prima che potesse anche solo pensare di sedersi sul bordo del letto, svestirsi della camicia da notte, indossare un vestito ed uscire, le palpebre si chiusero ad una nuova incoscienza riportarla nuovamente in quel vortice di benedetta sensualità.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve! Il corpo di Kaiou si sta ribellando! Ammutinando direi! Niente inganni della mente; Haruka è presente in lei anche se ancora non la ricorda. Lo so che sono divise già da troppo tempo e vorreste rivederle insieme presto, ma sto cercando di far si che tra loro ci sia comunque un legame. Che siano sensazioni, emozioni o ricordi.

Se da una parte Machi sta cercando di uscirne o meno, perché ancora non ha deciso scientemente se accettare il suo passato, Haruka sta vivendo forse il momento più drammatico del suo viaggio. Adesso molte penseranno che il signor Bentivoglio è un bugiardo, ma in realtà non è così e lo chiarirò all’inizio del prossimo capitolo.

Come inizio a figurarmi anche piuttosto chiaramente il rapporto che sta legando Setsuna e Michiru e ammetto che mi piace molto questo “cordiale non prendersi” che fa di due donne forti due micce inesplose.

In ultima battuta una domanda… Ma Sigi sarà o non sarà un ladro?

A prestissimo!!!

PS Non ho corretto... perdonatemi ;)

 

 

 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Urban BlackWolf