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Autore: StewyT    06/10/2017    1 recensioni
Occhi blu lo strinse tra le proprie braccia e lui non si tirò indietro dal poggiare il capo sulla sua spalla e scoppiare in un mare di lacrime. Ormai era da un po’ che si conoscevano e Alec sapeva quanto Magnus fosse diverso da quello che appariva sui giornali e in tv, sapeva che era altro oltre al Bane le cui serie erano amate da tutti.
Magnus si strinse al ragazzo come se fosse stata l’unica ancora che gli restava, e forse era così, forse era proprio lui quello che lo stava facendo precipitare, forse no.
“Andrà tutto bene, vedrai” gli sussurrò in un orecchio e Magnus scosse la testa: no che non andava tutto bene.
Lui era lì in quella camera d’ospedale abbracciato ad un marito che non ricordava e pensava essere solo un suo amico. No che non andava bene.
“Ci sono io al tuo fianco” disse Alec abbracciandolo; qualcosa dentro dentro il suo cuore, nella sua mente, diceva che Magnus era molto di più di quello che riusciva a ricordarsi e lui si fidava di quella parte o forse semplicemente voleva fidarsi perché Magnus era l’unico uomo a cui avrebbe mai pensato di legarsi.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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If you don’t remember who you are, who are you?
 

Aprì lentamente gli occhi, accolto dal forte profumo di disinfettante che gli faceva bruciare le narici e gli faceva venire voglia di scappare via, e un grosso mal di testa che sembrava non volesse ormai più lasciarlo; dovevano essere le undici del mattino o giù di lì, perché dalle finestre coperte dalle tendine bianche filtrava tanta luce e saliva il rumore di macchine e ambulanze che arrivavano e correvano via velocemente, e  perché sotto i suoi occhi mezzo aperti una figura alta e magra coperta completamente di bianco si muoveva attentamente per preparare chissà cosa. Per la prima volta notò al fianco di Catarina, l’infermiera dai capelli blu come il mare, un uomo molto più alto di lei, vestito decisamente strano, con degli aderenti pantaloni color bianco e una casacca bianca di lino che sembrava voler imitare la divisa dell’infermiera; il ragazzo aprì completamente gli occhi e quasi il suo cervello non lo maledisse a causa di quella forte luce che gli inondò gli occhi e poi la testa, accecandolo quasi per un attimo. Si mosse a disagio nel letto e forse mosse troppo bruscamente il braccio destro perché sentì un dolore lancinante alla pelle, girò lo sguardo e vide che un rivolo di sangue scendeva lungo il suo braccio bianco, macchiando le lenzuola ugualmente bianche; l’ago maledetto della flebo gli aveva squartato il braccio.
Alzò gli occhi al cielo: aveva sempre odiato gli ospedali e ormai in quel posto orribile ci stava da troppo tempo.
“Oh” sentì la voce di Catarina, ormai conosciuta, e alzò lo sguardo verso i suoi occhi azzurrini “Ti sei svegliata, principessa!” gli sorrise e gli si avvicinò con una sacca piena di farmaci schifosi che odiava da morire “E ti sei anche distrutto il braccio! Mag, aiutami!” ordinò e l’uomo che imitava decisamente male la figura infermieristica, prese un batuffolo di cotone dal mobiletto a cui era poggiato, per poi avvicinarsi alla donna che si fece leggermente da parte e gli disse di poggiare il cotone sul punto insanguinato e premere forte; Alec osservò attentamente l’uomo annuire e guardare il punto preciso in cui avrebbe dovuto poggiare il batuffolo: era quanto di più bello avesse mai visto in vita propria, o almeno quanto di più bello potesse ricordare.
Aveva la pelle di un color caramello caldo e avvolgente che gli faceva quasi venire voglia di allungare una mano e accarezzarla per sentire se davvero era calda come una giornata estiva, due occhi di un particolare color verde scagliato di oro, coperti da un manto di ciglia lunghe e nere proprio come i capelli neri raccolti in un mezzo toppo disordinato alla base della testa, mani grandi con dita lunghe da pianista, ma gentili e morbide. Si accorse di avere la bocca aperta solo quando Catarina rise compiaciuta sussurrando qualcosa all’orecchio di Magnus che annuì e finalmente sfiorò la sua pelle, e che fosse il sollievo di quelle dita fresche lungo la sua pelle accaldata dal dolore, o semplicemente una scossa elettrica non lo avrebbe mai saputo distinguere: quel contatto gli provocò un brivido. Gli ricordò qualcosa, una sensazione già provata in vita sua, una sensazione più forte e impressiva: quelle mani lo avevano già sfiorato in una vita passata, avevano già toccato le sue mani, il suo collo, il suo petto, le sue labbra.
Alec serrò forte gli occhi e si morse il labbro inferiore, non poteva essere; non conosceva quell’uomo, non lo aveva mai visto prima in vita sua, nessuno lo aveva mai toccato così in vita sua, quella era solo una mera illusione del suo cervello stanco e affaticato. Le dita dell’uomo si allontanarono dalla sua pelle e furono sostituite da quelle altrettanto fresche e delicate ma più sapienti di Catarina che si assicurò di medicare bene la sua ferita e passare all’altro braccio; la sentì inserire i guanti, prendere il materiale e fare quello che ormai faceva da parecchi giorni, eppure il suo sguardo era ancora concentrato sulla figura dell’uomo che ora fissava attentamente Catarina, quasi non volesse far incontrare i loro occhi: perché si ostinava a tenerli lontani?
“Ahi” Alec si lamentò leggermente quando l’ago oltrepassò tutti gli strati della sua pelle per arrivare dritto dove doveva stare “Abbiamo finito anche per oggi, Alexander” lo rassicurò la donna sorridendogli dolcemente “Sei così paziente” disse sospirando.
“Quando potrò uscire?” chiese Alec, la voce roca, il cuore che batteva veloce: voleva uscire da quel posto, voleva tornare a casa con Max, Isabelle e Jace, voleva tornare a scrivere, a guardare serie tv e film diretti da Magnus Bane, a non respirare più quell’aria pesante e odiosa.
“Hai avuto un forte trauma, Alec” rispose lei “Devono fare ancora qualche accertamento, si sospetta che tu abbia un forte trauma celebrale e che tu abbia perso buona parte della tua memoria, stiamo ancora cercando di capire quanta memoria e quanto sia recuperabile, non ti teniamo in ostaggio, lo facciamo per te, d’accordo?”. Il giovane dalla pelle pallida annuì “Ho visto solo Isabelle e Jace in questi giorni, li hai conosciuti” Catarina annuì “I tuoi fratelli, certo! Li conosco” e non disse che di certo non li aveva conosciuti in ospedale, quello lo tenne per sé.
“Ecco” Alec si morse l’interno della guancia “Sai- ecco sai - ti hanno detto come mai non portano con sé Max, mio fratello minore?”.
Catarina quasi impallidì, e girò lo sguardo preoccupato in quello dell’uomo, di cui si era quasi dimenticato la presenza, che sentendo quel nome alzò velocemente lo sguardo in quello dell’infermiera e poi lo richiuse, scuotendo il capo.
“No, Alec” rispose Catarina “Non so nulla, mi dispiace” lui annuì, preoccupato; Max non si sarebbe mai tenuto lontano da lui per tutto quel tempo se non fosse successo qualcosa, lo sapeva. Cosa gli era successo?
“Catarina?” Alec richiamò l’attenzione della donna che aveva tolto i guanti, si stava strofinando le mani lentamente e lo guardava ancora con aria critica “Da quanto tempo sono qui?” era certo di averlo chiesto già altre volte, eppure non ricordava mai la risposta; c’erano tante cose che non ricordava, di quello ne era certo: sentiva una specie di buco nero nel suo cervello, ogni volta che provava un qualche tipo di sensazione gli veniva come un flash, la percezione di averla già vissuta nella propria vita già altre volte, eppure non riusciva a ricordarlo. Era successo già la prima volta che aveva visto Catarina, sapeva di averla già vista ma non ricordava quando, e quel giorno era successo con il tocco di quell’uomo di cui ancora non sapeva il nome, ma anche nel suo caso sapeva che probabilmente era tutto solo uno strano scherzo del suo cervello.
“Due mesi, sei sveglio da quindici giorni, però” disse mettendo tutto quello che aveva usato per medicarlo e prendere un nuovo accesso sul mobiletto dritto di fronte al suo letto.
“Alec” Catarina gli diede una mano ad alzarsi leggermente e aggiustare il cuscino “Oggi con me avrai notato la presenza di quest’imbusto” voltò lo sguardo azzurro verso quello verde dell’uomo, eccome se non lo aveva notato; non era così tanto facile non notarlo.
“Sì” sussurrò “È un nuovo infermiere?” Catarina rise, seguita da un abbozzo di risata anche sul viso spettacolare dell’uomo. “Gli piacerebbe” affermò l’infermiera “Ma no, non è questo il suo lavoro. Lui è un tipo abbastanza famoso in incognito, è uno dei miei migliori amici e guardando il modo in cui lavoro ha deciso di prendere parte ad un’associazione di beneficenza volta ad aiutare gli infermi in qualsiasi modo possibile” sorrise debolmente “Quindi per oggi e se vi troverete bene assieme, per tutta la tua permanenza qui e un mese dopo la tua permanenza, questo bell’imbusto sarà al tuo fianco, se vuoi” la donna finì di parlare e Alec volse lo sguardo verso il bell’imbusto che ancora non lo guardava negli occhi e gli faceva venire voglia di prendergli con forza la testa e puntare dritto lo sguardo nel suo.
“Va bene” rispose con voce roca Alec “Anche se non ho molto voglia di compagnia” l’uomo annuì e finalmente tolse lo sguardo da Catarina per gettarlo nel suo e Alec vide il mondo girargli attorno; quello sguardo così attento, intriso di dolore e meraviglioso era proprio puntato nei suoi occhi lucidi e quella maledetta sensazione che non fosse la prima volta in cui lo aveva visto, non voleva saperne di andare via: era lì a sussurrargli nelle orecchie che quell’uomo era più di quanto potesse anche solo lontanamente immaginare.
Quello sguardo, quel viso, quelle labbra che sembravano avere la conformazione di un sorriso ma, che, eppure restavano rivolte verso il basso, gli erano dannatamente famigliari.
“Mi chiamo Magnus Bane” disse con quella voce simile ad un canto angelico, roca al punto giusta, liscia e fresca, ‘parlami per sempre’ avrebbe voluto chiedergli ‘e la mia vita diventerà perfetta’. Oh quella voce!
“Ma-Magnus Bane?” chiese, quando si rese conto di quello che le sue orecchie avevano ascoltato.
Magnus Bane. QUEL Magnus Bane? Quello di Watch MeIn the Shadow world, Fragile Rain e tutti gli altri film che amava da morire? Aveva davvero avanti il suo regista preferito? L’uomo a cui avrebbe voluto affidare i suoi manoscritti per farne un film, a cui avrebbe affidato con piacere anche la sua intera esistenza?
“Sì” rispose l’uomo sorridendogli debolmente e quel sorriso, oh Dio lo conosceva eccome!
Conosceva quegli occhi, quel sorriso, quel modo di fare, quello era Magnus Bane, l’uomo per cui aveva creato tutti i suoi profili social al solo scopo di guardare foto, anteprime ed interviste; si trovava avanti all’unico essere umano con cui credeva di poter essere compatibile e lui lo stava vedendo in quel pietoso stato? Con i capelli scompigliati, il viso bianco e le braccia piene di punture? Oh no.
“Quel Magnus Bane?” chiese, per esserne certo, al che Catarina, che improvvisamente ricordò fosse ancora nella stanza, scoppiò a ridere “Buffo, vero? Un’infermiera e un famosissimo regista migliori amici e questo deficiente ancora non ha scritto una serie tv interamente basata sulla mia vita!” Magnus rise scuotendo la vita “Non sbalordirti, non ne ho ancora scritta neanche una sul Perù e con quella, oh sì che vincerei un qualche Oscar!” risero entrambi, sotto lo sguardo ammaliato di Alec che si mosse a disagio sul letto, allungando il braccio in cui era fisso l’ago verso Magnus “Alexader” lo sgridò Catarina “hai solo questo braccio buono, vedi di non costringermi a ficcarti quell’ago nelle mani, ti prego” al che Alec annuì mortificato e si girò, rosso in viso, verso Magnus che lo guardava, di nuovo. E Alec si accorse che quello sguardo era quanto di più simile ad un’ecografia: gli stava guardando dentro, come se volesse scovare la sua anima.
“Signor Bane!” mormorò “Io- io sono Alec Lightwood e sono un suo grandissimo fan!” Catarina rise di nuovo e diede una pacca a Magnus che scosse nervoso la testa “Magnus, ti prego. Chiamami Magnus” disse, solo, passando una mano tra i capelli, sciogliendo completamente il toppo disordinato, che avvolse il suo viso di lucente chioma nera lunga fino alle orecchie.
“A quanto pare” disse Catarina “Avete fatto amicizia, quindi posso lasciarvi soli, mhm?”.
Alec annuì e Magnus si morse il labbro inferiore “Vengo un attimo fuori con te, o devi scappare dal prossimo paziente?” la donna annuì, scuotendo avanti e dietro la lunga treccia azzurra.
“Ci vediamo dopo Alec, comportati bene con il mio amico, mhm?” gli fece un occhiolino e aprì la porta uscendo fori, seguita subito dopo da Magnus.
“A dopo, signor Bane” sussurrò Alec, al che Magnus sembrò essere stato schiacciato per l’ennesima volta dalla forza di gravità verso il suolo: lo odiava. Perché?
 
Magnus guardò il proprio riflesso nello specchio nel piccolo spogliatoio del personale e scosse la testa; a cosa si era ridotto? Non si era mai visto così, prima, gli occhi senza alcuna traccia di trucco, i capelli scompigliati, il viso intriso di preoccupazione, più magro e triste, la verità era che da quella maledetta notte in cui era successo quel maledetto casino, non aveva capito più nulla; era precipitato tutto verso un vortice di guai e sofferenza che non avrebbe mai immaginato di poter riscontrare nella propria vita, non da quando aveva conosciuto Alec, non da quando aveva sposato Alec, almeno.
“Capisci che conosce Magnus Bane ma non conosce me?” aveva gli occhi ricolmi di lacrime, le mani gli tremavano e la voglia di correre in quella maledetta camera d’ospedale e gridare contro il suo uomo che lui era lì, eppure sembrava invisibile, gli corrodeva le vene. Non era colpa di Alec se non lo riconosceva, doveva fare attenzione a non fare nulla per danneggiarlo.
“Mag devi restare tranquillo!” sussurrò Catarina massaggiandosi le tempie “Ha avuto una commozione, è stato in coma per così tanti giorni, è normale, è davvero normale” “NO” la interruppe Magnus scuotendo la testa “Non è normale e lo sai, non mentirmi, Cat, almeno tu resta al mio fianco, non remare contro di me, ti prego” si accasciò contro uno degli armadietti, le guance ormai rigate di lacrime, le mani strette ai capelli “Mi sembra di essere finito all’inferno, Catarina” sussurrò, abbracciandosi le ginocchia, al che la donna si alzò e si sedette al suo fianco, tirandoselo tra le braccia “È come se gli ultimi cinque anni fossero stati vissuti solo da me, come se avessi immaginato tutti, capisci? E” sbuffò “E non ce la faccio più! Lo vedo così vuoto e freddo, così diverso, non è il mio Alexander” scosse la testa “Non dirmi che tutto andrà bene se sai che non è così, ti prego” si strinse di più tra le sue braccia, Catarina sospirava e asciugava le sue lacrime, era tutto davvero così difficile da sopportare per Magnus; si mostrava forte avanti ad Alec, si mostrava forte avanti ad Isabelle e Jace, si mostrava forte avanti a chiunque, eppure era così debole, così stanco; tutto quello che chiedeva era che Alec si ricordasse di lui. Il pensiero di non esistere nella sua mente, il pensiero che la loro storia, tutto quello che avevano dovuto affrontare, i sorrisi che si erano regalati, le lacrime che si erano asciugati, erano impressi solo nella sua, di mente, gli facevano venire voglia di piangere, piangere fino a star male.
“Magnus” deglutì Catarina “Quel colpo ha cancellato gli ultimi sei anni dalla sua memoria, non ricorda di aver perso Max, non ricorda di averti conosciuto, non ricorda di aver pubblicato un libro ed essere diventato famoso, non ricorda di averti sposato, non ricorda nulla di questi sei anni ma questo non vuol dire che non possa riprendere tutto quello che sembra perso. Il cervello è una spugna, quando si riempie puoi spremerla e farla tornare vuota, ma questo non vuol dire che perda la sua capacità di assorbire. È come una camera oscura, fino a quando non accendi una minuscola luce, non ci vedrai nulla. Buona parte del suo cervello è spento, ora, perché quella luce non funziona, ma riparandola tutto riprenderà come prima” Magnus annuì “Cosa devo fare per aiutarlo?”. La donna si morse il labbro inferiore “Quando ti ha visto è come se avesse subito capito che ti conosceva, che tu facevi parte della sua vita, l’ho visto nel suo sguardo” scosse la testa “È solo perché sono Magnus Bane, il suo regista preferito!” “È perché sei Magnus, l’uomo che ama. L’uomo che lo ha sempre sfiorato in quel modo così delicato e guardato con quegli occhi così dolci. In qualche parte nascosta del tuo cervello ti ricorda, ci sei. Devi solo illuminare quella parte!” annuì “Devo essere la sua luce” Catarina sorrise “Lo sei” rispose alzandosi per poi allungargli una mano “Fatti coraggio, Magnus” l’uomo la afferrò e la strinse tra le proprie braccia “Lo amo” sussurrò “E glielo farò capire”.
Si allontanò da Catarina, un peso sullo stomaco, la voglia di piangere eppure la felicità cucita alle sue ossa perché finalmente sarebbe riuscito a parlare con il suo Alec; dall’incidente era stato al suo fianco ogni momento, gli aveva stretto la mano mentre era in coma, si era fatto portare da lui sulla sedia a rotelle per guardarlo dormire beato, poi si era svegliato e non lo aveva riconosciuto e da quel giorno Magnus non si era più presentato in quella orribile camera d’ospedale, non fino a quando Catarina aveva inventato quella cretinata della beneficenza perché di lì a venti giorni Alec avrebbe lasciato l’ospedale e sarebbe tornato a casa, casa loro, che ormai si era trasformata solo in casa di Alec, dal momento che Magnus per prepararla al nuovo cervello di Alec aveva eliminato ogni sua traccia; dunque, secondo il piano malefico della sua amica, Magnus gli sarebbe stato vicino ventiquattro ore al giorno, e quello avrebbe aiutato suo marito a ricordarlo, a migliorare, ad andare avanti e portare con sì il suo cervello.
Non sapeva se quello sarebbe servito a qualcosa, eppure era pronto a fare di tutto, perché per il suo Alexander Magnus si sarebbe venduto persino l’anima.
 
Alec, che aveva fissato la porta da quando Magnus Bane era andato via, portò via lo sguardo velocemente, puntandolo verso la finestra, non appena il regista entrò in camera, illuminato dalla sua aura di bellezza.
Come era possibile che più lo guardava più sentiva di conoscerlo?
L’uomo andò a sedersi dritto sulla sedia al fianco del letto, accavallò le gambe e lo guardò proprio negli occhi e in quel momento Alec si chiese se era morto e quello era il paradiso.
I due si guardarono in silenzio negli occhi, tra di loro sembrava esserci un filo forte, indistruttibile ed inestensibile, che li legava stretti uno all’altro e Alec neanche sapeva spiegarsi come; nello sguardo di Magnus invece, sembrava esserci una risposta, ma a quanto pareva l’uomo non era disposto a fargliela vedere, dunque scostò lo sguardo a sua volta verso la finestra.
“C’è un bel panorama, qui, non è vero?” chiese, la voce leggermente tremante come se avesse appena terminato di piangere; perché un uomo fantastico come lui avrebbe dovuto mai piangere?
“Preferisco quello di casa mia” borbottò Alec puntando nuovamente lo sguardo su Magnus, ancora perso tra lo skyline del panorama.
“E come è quello di casa?” chiese, gli sembrava curiosità nella sua voce, e gli occhi, ora rivolti verso di lui, erano illuminati da una perla di speranza, o si sbagliava?
“Dà su un piccolo sprazzo di verde, amo l’aria fresca del mattino, che mi fa sentire l’odore di quell’erba!”.
Sul viso del regista sembrò passare un’ombra di disappunto quando annuì distrattamente e si girò verso la finestra nuovamente.
“Abiti a Brooklyn?” chiese nuovamente curioso, Magnus. Quelle domande avevano qualche secondo fine, Alec ne era certo, eppure non riusciva a scovarlo.
“No” disse, ritrovandosi a sperare che quello sguardo verse si posasse presto nuovamente nel suo.
“Non credo neanche di esserci mai stato a Brooklyn” rise leggermente, ma Magnus non fece altrettanto; annuì e finalmente ritornò a guardare nella sua direzione “Io abito lì” disse scrollando le spalle “Eh” deglutì nuovamente “E so che non lo ricordi, Alec, ma anche tu abiti a Brooklyn da un po’ di tempo, ti ci sei trasferito lì con tua sorella, Simon, tuo fratello e Clary. È successo più di cinque anni fa”.
Ecco. Ecco perché Magnus era contrariato dalle sue risposte; la sua memoria sembrava dissolta nel nulla, e lui non si sentiva più sé stesso, perché alla fine se non ricordi chi sei come fai a sapere chi sei?
“Lei come lo sa…?” sussurrò, completamente rosso.
“Chiamami Magnus, Alec. E dammi del tu, ti prego. Non abbiamo così tanti anni di differenza, mhm?” gli sorrise debolmente e Alec credette nuovamente di aver perso un paio di anni di vita, quel sorriso era così bello, seppur così triste.
“Tu come lo sai?” si corresse, allora, ridacchiando a sua volta, al che Magnus si morse il labbro inferiore, come cercando una risposta a quella domanda.
“Mi sono dovuto informare sul tuo passato e la tua vita. Sai com’è, sono il tuo operatore sanitario personale al momento e probabilmente lo sarò per un po’, no?” ridacchiò leggermente, mostrando finalmente ad Alec l’ironia per cui lo aveva tanto amato in passato.
“Come mai è qui, Signor Bane?” chiese, con voce tremante, al che Magnus gli lanciò uno sguardo infastidito, facendolo arrossire di più “Scusa. Magnus!”.
Si sentiva così dannatamente imbarazzato!
Certo, era sempre stato un tipo timido e chiuso, poco tendente ai contatti sociali; al liceo si era nascosto nell’ombra dei fratelli per tanto tempo, poi era cresciuto, aveva iniziato l’università e aveva iniziato ad aprirsi leggermente, eppure in quel momento si sentiva esattamente come quando andava al liceo.
Timido e inadatto.
Stava parlando con il suo mito! Il suo mito gli stava riservando attenzioni che neanche si sarebbe mai aspettato.
“Ho deciso di redimermi da tutti i miei peccati e come farlo meglio che aiutando il prossimo?” fece spallucce e poi si girò nella sua direzione, poggiando la schiena al sedile per poi accavallare le gambe e sorridergli.
“Redimerti? Da cosa?” Alec curioso? Non lo era mai stato così tanto in vita sua.
Vide nascere un altro sorrisino sulle labbra del suo interlocutore e una vocina nella sua testa gli disse che era inutile mentire a sé stesso, era sempre stato curioso, ci era nato curioso, e Magnus Bane lo rendeva ancora più curioso.
“Ognuno commette degli errori nella vita, ti pare?” alzò un sopracciglio al che Alec annuì; lui probabilmente non aveva commesso nessun reato ma di errori ne aveva fatti eccome.
“E credi che aiutarmi possa cambiare qualcosa?”.
“Magari può aiutarmi a cambiare me” disse, con voce profonda.
“Non c’è nulla da cambiare in te, sei perfetto” Magnus scosse la testa, parve decisamente infastidito da quell’affermazione, oh ma Alec non poteva sapere che quello sguardo accigliato e le labbra strette in una lunga linea dritta in realtà erano un modo per trattenere le lacrime; che in realtà sentirgli dire quella frase, di nuovo a distanza di così tanto tempo e in condizioni così diverse rispetto alla prima volta, gli faceva venire voglia di iniziare a piangere e morire nelle sue lacrime.
“Sembra che tu mi conosca molto bene, è così?” chiese, allora, con un velo di arroganza; perché Magnus era fatto così, quando doveva provare a nascondersi si rivestiva di insolenza e ironia.
“Ti seguo da tempo” Alec abbassò lo sguardo sulle proprie mani incrociate sul suo grembo, le guance rosse come il fuoco e il labbro inferiore torturato tra i denti.
“Mi segui?” rise amaramente Magnus.
“Amo i tuoi lavori e sono sempre stato interessato a te come persona in generale”.
Magnus rise, questa volta di gusto, al che Alec alzò lo sguardo nel suo, un punto interrogativo dipinto sul volto “Sei sempre così schietto” sussurrò scuotendo la testa; era quella una delle prime cose che lo avevano colpito di lui, la schiettezza con la quale gli aveva detto che se fosse stato per lui non lo avrebbe contattato mai, la schiettezza con la quale gli aveva detto che aveva accettato di vederlo solo perché era il suo mito ma aveva deciso di rimanere perché oltre quel nome che lo rendeva chi era, lui era molto altro, che si era innamorato di lui per la persona che era, non per il suo nome o il suo lavoro. Alec era stato così speciale.
“Sempre?” chiese, alzando un sopracciglio, al che Magnus si alzò per prendere un bicchiere d’acqua e berlo velocemente: aveva bisogno d’aria. Restare con quell’Alec che lo guardava ma non lo vedeva era talmente doloroso da diventare asfissiante.
“Le fonti di cui ti parlavo prima” disse, bevendo un sorso “Vuoi bere?”.
Alec scosse la testa e si mosse a disagio sul letto “Quali sono queste fonti?” domandò, curioso; Magnus finì il proprio bicchiere e poi gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. Alec si gelò sul posto, gettando lo sguardo nel suo, le dita di Magnus si fermarono sulla sua pelle e quasi non gli venne voglia di piangere: da quanto tempo non lo toccava? Da quanto tempo non lo toccava come avrebbe voluto? Gli mancava così tanto.
“Che ne dici di dormire un po’, mhm? Dovresti riposare! Alle due arriva il pranzo, alle tre avrai fisioterapia e alle cinque dovrai procedere con lo psicologo, perché non riposi un po’ ora che puoi?”.
Alec scosse la testa: non voleva dormire. Se si fosse addormentato e Magnus fosse andato via e non fosse più tornato? Magnus ci lesse smarrimento e speranza in quegli occhi, la stessa speranza che regnava nei suoi, la stessa speranza di chi desidera essere visto per davvero, di chi prima era tutto e ora è nulla.
“Dovresti, invece” sussurrò accarezzandogli la fronte per scostargli delle ciocce di capelli ribelli ricadute ovunque, al che Alec trattenne il respiro: c’era qualcosa nel suo stomaco che ogni volta che quell’uomo lo accarezzava, scoppiava facendogli sentire tante bollicine frizzanti, erano forse quelle le tanto famose farfalle? Era così strano e imbarazzante. Il tocco di Magnus gli sembrava l’unica cosa di cui avesse bisogno, tutto quello che desiderava dalla vita, e ne avrebbe voluto avere di più: avrebbe voluto spingersi verso di lui e baciarlo e no, non era la sua mente a fargli quel brutto scherzo, a spingerlo a pensare a quanto fosse bello e quanto in quel momento sembrasse fragile; era il suo corpo a fargli sentire quelle sensazioni, a volerlo spingere a farlo, perché il suo corpo sapeva qualcosa che in quel momento sfuggiva alla sua mente.
Le mani di Magnus accarezzarono delicatamente il suo collo per sollevarlo e aggiustare il morbido cuscino, per poi aiutarlo a posizionarsi meglio e rimboccargli il lenzuolo bianco.
“Mi” prese un respiro, stava per farlo, stava per rendersi ridicolo avanti all’uomo dei suoi sogni “Mi prometti che non andrai via?”.
Magnus aveva sperato di sentirgli dire quelle parole tante volte in passato quando Alec aveva fatto di tutto per rinnegare la sua sessualità e la loro relazione, e aveva quasi urlato di gioia quando lui le aveva pronunciate per la prima volta, la sera in cui avevano fatto l’amore per la prima volta.
In quel momento, però, tutto quello che voleva fare era scoppiare a piangere o scappare via, perché Alec, quell’Alec che lo stava pregando di restare non era lo stesso Alec che glielo aveva chiesto la prima volta e non lo voleva per gli stessi motivi di quell’Alec. Per questo Alec Magnus era solamente un mito, qualcuno che si è sempre amati senza neanche conoscerlo solo perché la stima per il suo genio riesce a superare ed inglobare tutto, e Magnus da Alec non aveva mai voluto quel tipo di amore.
“Sì” rispose, dunque, vedendo che il ragazzo non lasciava andare il proprio sguardo, poi si accasciò sulla sedia e lo guardò addormentarsi col sorriso dipinto sulle labbra.
Quel sorriso che era così diverso da quello che aveva imparato ad amare e che probabilmente non sarebbe mai più sorto su quelle labbra grazie a lui.
Ancora una volta, Magnus fu consapevole di aver perso Alec e di voler fare tutto per riprenderselo.
 

Spazio autrice.
EBBBBBBENE sono di nuovo qui, gente; lo avrete notato, è più forte di me: non riesco a stare per più di un mese senza Malec!
Ho finito di scrivere questa storia a settembre, ho deciso di postarla ora e so già che a breve inizierò a scrivere altro perchè mi mancano già troppo, mannaggia loro.
Chi mi ha già letto un pochino SA che amo l'angst e gente qui vi riempio di angst, ma amo anche il fluff e qui allo stesso tempo vi riempio di fluff.
Di una cosa dovete stare certi: non sarà la fine se non andrà tutto bene (a buon intenditore poche parole!).
Come sempre mi sono divertita con una AU questa volta Alec è uno scrittore e Magnus è un regista, chissà quanti prodigi potrebbero nascere da questi Malec, eh?
Nada, spero vi piaccia la trama, che il capitolo vi abbia incuriosite e che sia stato di vostro gradimento -e che vi abbia fatte piangere un pochino-.
Sarei felicissima di leggere cosa ne pensate (VANNO BENISSIMO ANCHE CRITICHE), quindi non siate timide, vi prego.
Vado a mangiare la pizza /e finalmente gioie!/.
A presto!
StewyT~
  
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