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Autore: mari05    20/10/2017    0 recensioni
Sua madre bussò proprio nel momento più sbagliato.
“Non è niente… è solo che…”
“Vuoi che ti aiuti?”
“Io quella roba non la prendo.”
“Se ti fa stare meglio…”
ATTENZIONE: il rating potrebbe DECISAMENTE cambiare durante il corso della storia.
Genere: Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Circondatevi di pizze, non di persone

 
 
Quando tornò a casa, la stanchezza del giorno prima cominciò a farsi  sentire.
Senza neanche salutare Sally e Paul, Percy si fiondò in camera sua e si stese sul letto. Voleva solo dormire.
Già il prof di biologia gli aveva fatto una sfuriata dicendogli che “avrebbe fatto meglio a studiare che a mettere incinta la sua ragazza” (testuali parole) e l’ora successiva, quella di matematica, era stata un inferno.
Sembrava che la prof avesse il suo nome sempre sulla punta della lingua…
Comunque, Percy non voleva pensarci adesso.
Voleva solo dormire.
Ma, ovviamente, i genitori bussano sempre al momento sbagliato, e quindi, pochi attimi dopo, si era ritrovata lo Stoccafisso in camera, che lo guardava con aria comprensiva e gli chiedeva come stava.
“Mmm…” mugolò lui in risposta. Strofinò la faccia sui cuscini, un chiaro segno che non voleva fare conversazione. “sono stanco, Paul” disse ora esplicitamente, visto che il suo patrigno non aveva accennato a smuoversi di lì.
“Percy… possiamo parlare?” disse ora lui, sedendosi al bordo del letto.
E di che voleva parlare? Dei suoi voti disastrati o del fatto che il prof di biologia e quella di matematica lo odiavano e minacciavano ogni volta che sembrava avere un qualche tentennamento? Della sua “relazione troppo espansiva nei confronti della signorina Chase” come aveva detto la professoressa di filosofia, o dei ragazzi che lo avevano bombardato di petardi di carta imbevuti di saliva? Del fatto che fosse diverso? Del fatto che fosse speciale?
“Lo stiamo già facendo” rispose Percy.
Paul annuì.
“Senti, ho sentito dire da alcuni professori oggi a scuola che non ti stai impegnando molto.” cominciò lui, “Catrice Brown dice che è preoccupata che tu stia pensando di… scappare, ecco, di nuovo. È così?”
Percy strabuzzò gli occhi. “C-cosa?”
Cioè, sapeva che i professori parlavano spesso di lui e che le voci giungevano più di una volta all’orecchio di Paul, ma mai aveva pensato che le professoresse gliene parlassero liberamente.
“No, Paul, non voglio andarmene.” Mormorò lui.
“Sicuro?”
“Sì”
“Va bene…” Paul si stiracchiò, e ci fu un breve contatto con il figlio di Poseidone.
Che cose era venuto in mente al suo patrigno? E soprattutto, alla sua professoressa?
Prima di allora non gli era mai venuto in mente il fatto che la Brown potesse fingere di essere così, proprio come fanno gli psicologi, solo per aiutarlo. Mai. Ma ora…
“E quindi tu stai bene qui.” Sentenziò allora lo Stoccafisso.
“Sì.”
“E non ti da fastidio nulla.”
“Esattamente”
Paul aggrottò le sopracciglia. “Quindi se io ti citassi qualche nome di alcuni dei tuoi compagni di classe tu avresti nulla da dirmi?”
Percy indugiò un po’ sulla domanda.
“Dipende”
Paul sembrò rifletterci un po’.
“Jesse Reyez and Jack Houston”
Jesse e Jack erano i due ragazzi più stronzi di tutto il globo terrestre. Dal primo giorno in cui Percy aveva messo piede alla Goode High School, avevano lasciato stare i ragazzini indifesi e le puttane e cominciarono a bersagliarlo di insulti, e talvolta, di botte.
Più di una volta Percy era andato in infermeria dopo essere stato picchiato e aveva pregato Carla, l’infermiera, di non chiamare a casa e di nascondere i lividi in modo tale che sua madre non se ne accorgesse.
“Mmm… credo che Jack sia nel mio stesso corso di chimica.” Rispose, vago.
“Ah.”
Percy annuì. Sapeva che Paul non se l’era bevuta, ma continuava a sorreggere il suo sguardo interrogativo come aveva fatto con il cielo, anni prima.
Ci fu un lungo silenzio, riempito da sguardi fugaci ed occhiate speranzose alla porta. Lo Stoccafisso non voleva andarsene prima di aver saputo la verità.
“Sai,” disse, “lo so che ne hai passate davvero tantissime e che questo mondo ti sembrerà solo una brutta copia del tuo –credimi, lo penso anch’io– ma devi fare uno sforzo e passare questi sei mesi il meglio possibile e prendere il diploma,  poi potrai andartene dove vorrai. Io e tua madre teniamo molto a questo. Dopo il diploma potrai pure andare in uno studio di tatuaggi o a lavorare in una pizzeria, a me non interessa. Ma sappi che non riuscirai mai a vivere senza avere almeno un titolo di studio. Quindi” fece una pausa per far assimilare al figlio di Poseidone il concetto “mettiti a studiare e stai lontano dai guai.”
Si alzò e si diresse verso la porta. Prima di aprirla, si voltò verso Percy e lo squadrò a lungo prima di dire: “Si vive una volta sola, Percy. Ma se lo fai bene, una vita è abbastanza”.


Circa alle sette del pomeriggio, quando Percy oramai non ce la faceva più a cercare di capire di cosa parlasse il libro che la prof aveva assegnato per la prossima settimana, Il Grande Gatsby, Percy ricevette un messaggio.
Jason: Ehi bro! Ti va di venire a mangiare qualcosa con me, Piper e Leo?
Percy rifletté su quel messaggio. Certo che voleva. Se avesse detto di no, sarebbe rimasto altre due ore a spulciare trame da Wikipedia e altri siti sconosciuti, ma se avesse detto sì, si sarebbe trovato in una situazione più che imbarazzante.
Sapeva già che Jason e Piper si sarebbero sbaciucchiati per tutta la serata, e lui sarebbe rimasto a parlare con Leo, che diciamo non era il suo migliore amico.
Percy:Può venire anche Annabeth?
Jason: Certo!
Percy: OK *_*

Percy e Jason decisero di incontrarsi in una caffetteria in centro, casomai avrebbero preso qualcosa e poi sarebbero andati da Piper e Leo, che invece sarebbero rimasti al Campo per un po’. Ovviamente, con Percy c’era Annabeth, che, un po’ controvoglia, aveva accettato di venire. Quindi, tutti assieme si sarebbero diretti in un posticino carino a parere di Jason e avrebbero mangiato come porcellini.
Tutto filava liscio, no?
Se ci fosse stato anche il tempo, Jason e Percy avrebbero anche fumato una bella sigaretta, e avrebbero bevuto qualcosina.
Sì, liscio come l’olio, pensò, mentre si avviava verso l’uscita.
“E tu dove vai adesso?” chiese sua madre mentre stava giusto per aprire la porta.
Oh oh.
“Dove credi di andare senza avermi detto niente?” domandò di nuovo Sally, facendolo voltare di scatto.
Indossava un grembiule blu a quadri, chiaro segno che stava per mettersi a cucinare.
“Ehm… io… io e Jason andiamo a mangiare qualcosa.” Rispose vago.
“Solo tu e Jason?” chiese lei, incrociando le braccia.
“Be’, ci sono anche Annabeth e la fidanzata di Jason, Piper, e poi Leo. Nessun altro.”
Sally alzò il sopracciglio.
“Ti voglio a casa per le nove.”
Per le nove? Alle nove avrebbero mangiato, sicuramente.
“Mamma… non possiamo fare un po’ più tardi? Jason viene dalla California, è qui solo per me…”
Non era affatto vero. Erano due mesi che il figlio di Giove era al Campo Mezzosangue per costruire il tempio dedicato a Cimopolea, come le aveva promesso, tempo prima.
“Nove e mezza” rispose sicura la signora Jackson, l’aria di una che non avrebbe ceduto.
“Va bene…” borbottò lui mentre usciva di casa.


Pizza. Avevano optato per la pizza.
Erano andati tutti e cinque in una piccola pizzeria a gestione famigliare dove Jason era già stato un paio di volte con Reyna e Frank; il posto era davvero carino, anche se era poco più di una stanza.
“Questo posto è minuscolo!” si lamentò Leo, mentre si sedeva sulla sedia accanto alla porta.
“Stai zitto, Leo” lo rimproverò Piper, prima di posare gli occhi su Jason. “A me va benissimo, amore.” Si baciarono.
Percy distolse lo sguardo. Non gli piaceva affatto assistere allo scambio di saliva di due piccioncini.
“Ehi, voi due… vi dispiace farlo dopo in un posto più appartato?” scherzò Annabeth, facendo arrossire Piper come non mai.
Ordinarono le pizze, che arrivarono dopo circa una ventina di minuti.
Le gustarono parlando assieme del più e del meno, senza avere un argomento preciso su cui andare a parare.
Alla fine decisero di andare a Central Park, dove finalmente Percy e Jason avrebbero fumato l’agognata sigaretta e Leo avrebbe dato fuoco a un paio di piccioni.
Si misero sotto un albero in modo da non essere visti. Intanto Piper e Annabeth passeggiavano nel parco, parlottando e ridendo da vere amiche.
Leo stava friggendo per bene un legnetto che aveva trovato a terra, che subito dopo finì nel laghetto davanti a loro.
Jason aprì lo zaino che si era portato dietro e prese due sigarette e un accendino, ne porse una a Percy e cominciò  a fumare.
Percy si sentiva così bene.
Erano due settimane che non fumava, due settimane passate col fiato sospeso e l’ansia dell’interrogazione.
Due settimane che non viveva.
E ora, gli sembrava che tutto quanto fosse stato cancellato da un po’ di fumo.
Anche se non era così.

  

 

   
 
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