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Autore: Birdcage D Swan    23/10/2017    3 recensioni
[Donquijote Brothers] [Post Dressrosa] [What if? prepotente. Scoprirete leggendo]
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Perché, sì, Rocinante è un marine ma, prima di ogni altra cosa, è un Donquijote.
[…]
«Non è una festa in maschera, Roci. Perché ti sei travestito da marine?»
[…]
«Lo sai che sono un marine, Doffy.»
«Fufufu! Un marine, ma certo…» sussurra, ridacchiando, e abbassa lo sguardo. «Ma sì, tu sei un marine capace di parlare, non un pirata muto.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Donquijote Rocinante
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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· 23 ottobre ·
A Deafening Distance
 
 
Rocinante.
 
Il freddo del ferro s’instaura tra l’indice e il medio, scavalca il terzo dito della mano che – strano ma vero – rimane ferma, e s’incastra appena prima dell’anulare. E così si ripete il tutto, da dito a dito, da nocca a nocca. D’altronde, Impel Down può essere vista come un’inquietante stratificazione che pesante raggiunge il fondo, come il fondo l’hanno raggiunto le anime che la abitano; deve pur passare il tempo in qualche modo, lui, anche solo per sciogliere la tensione, per mettere in fila le giuste parole che dovrà a breve usare. Mentre la chiave passa da un punto all’altro della mano, si stupisce di come sia diventato più preciso, in quegli ultimi tempi. Essere riuscito a divenire un bravo marine, nonostante la sbadataggine che da sempre lo caratterizza, è di certo uno dei grandi punti interrogativi relativi alla sua vita.
È veloce, l’ascensore, talmente veloce da sprofondare come piombo nel mare, ma Donquijote Rocinante nemmeno se ne rende conto, anzi, la manciata di secondi che ancora lo allontanano dalla sua meta gli sembrano banalmente un’eternità.
Poi un suono sordo e l’arrestarsi improvviso dell’ascensore, le porte che si aprono e il marine muove un primo passo fuori da quella piccola scatola.
La chiave ora si trova stretta nel palmo destro, spinge contro il polpastrelli che tremano appena. E trema anche lui, soffoca singhiozzi tre le labbra che stringe tra i denti, tremanti anche loro. Trema. E non riesce a fermarsi, perché solo in quel momento metabolizza il tutto in un colpo, come uno schiaffo in pieno viso. Come una pallottola nel petto, solo la prima di tante altre pronte a non dargli tregua alcuna.
L’ascensore è comunque pronto per riportarlo in superficie. Ma lui non è pronto per ricominciare daccapo, non è pronto per cancellare una parte di sé tanto dolorosa quanto importante.
Sengoku non era d’accordo, l’aveva spinto a ignorare la cosa e a – appunto – ricominciare daccapo. Ma Rocinante aveva insistito, non voleva spazzar via tutto il suo passato solamente indossando una divisa bianca e blu.
 
«Hai dieci minuti, non un secondo di più.»
 
Perché, sì, Rocinante è un marine ma, prima di ogni altra cosa, è un Donquijote. Ed è quello, il dannatissimo motivo del perché si trova lì; del perché si ritrova a muovere un primo passo verso il termine del corridoio, tremante ma determinato ad affrontare colui che, in fondo – molto in fondo –, è ancora una parte di lui.
 
 
 
Doflamingo.
 
L’aria fredda gratta la trachea, suoni rochi echeggiano nella cella.
L’ampio torace tenta d’espandersi, strangolato da gelidi anelli di metallo coesi contro di lui, sempre più stretti, sempre più fastidiosi.
Catene sulla pelle, a scavare la carne. Sono nuove ferite che si sommano alle precedenti. Non così dolorose, a dire il vero, questi nuovi marchi. Ha vissuto di peggio, non può negarlo. Ci riflette e arriva a una conclusione: il suo, non può definirsi corpo. Chi non lo conosce ha innanzi un uomo altissimo e malconcio, con spesse catene che cingono ogni parte del suo fisico e ne seppelliscono le mani, ormai irriconoscibili, sotto un’esagerata massa di metallo.
In realtà, Donquijote Doflamingo non è questo. Lui è una stratificazione del dolore, dove le ferite più dolorose sono anche le più profonde – invecchiano con lui, non lo abbandonano.
E scavano, le catene di Agalmatolite scavano, ma senza raggiungere quei segni tanto reconditi. Si limitano piuttosto a intorpidirlo, a bloccare le sue dita, ormai gelide.
La schiena è appoggiata, con pesantezza, alla parete fredda della cella; la vista offuscata, i contorni delle sbarre sovrapposti, sfumati, fin ad assumere uno strano tutt’uno.
Giunge poi un nuovo suono metallico, netto e singolo, non derivante dalle sue catene; e proviene dalla porta che lo separa dal mondo esterno.
Nessuno, da quando era lì, si era scomodato per fargli visita e, seppure non avesse un orologio per controllare l’orario, può ora giurare che a occupare parte del suo spazio non può essere il carceriere che “si prende cura di lui”.
Ma in fondo non gli interessa: lo sguardo e il volto non si sollevano per controllare chi sia il nuovo arrivato. Però lui è Donquijote Doflamingo, e proprio non ce la fa a non sghignazzare e a non starsene zitto e buono.
«Quindi sei sceso nel livello più remoto di Impel Down solo per farti una chiacchierata con me?» ipotizza, consapevole che chi gli è innanzi in quel momento non risponderà. «O forse eri solo curioso di sapere come fosse un re senza corona, eh?» Già, proprio così: un re senza corona, insostituibile, capace di tener sotto controllo tutte le fazioni contrarie di quel maledetto mondo. Ma, pur sempre, senza corona.
«Non rispondi?» chiede, provocatorio, senza un briciolo di paura.
«Perché ti conosco, e so che non ami la mia voce.»
Ma quella voce che, sì, Doflamingo non vorrebbe sentire, la riconosce subito.
Solleva quindi il capo, guarda innanzi a sé, gli occhi coperti dalle solite lenti rosa.
E lo vede. Senza trucco, senza abiti imbarazzanti. Si sente osservato dall’alto in basso, si sente preso in giro.
«Non è una festa in maschera, Roci. Perché ti sei travestito da marine?» domanda con esasperazione, perché ancora non ci crede. Sa che non è un sogno quello che sta vivendo, sa che suo fratello – suo fratello, quello che ha accolto, che ha protetto, dal quale è stato tradito – è proprio lì, davanti a lui. Nemmeno si chiede come abbia fatto a sopravvivere, come abbia fatto a mettere in salvo Law, né perché sia venuto a trovarlo. Tutto questo, francamente, non gli interessa.
«Lo sai che sono un marine, Doffy.»
«Fufufu! Un marine, ma certo…» sussurra, ridacchiando, e abbassa lo sguardo. «Ma sì, tu sei un marine capace di parlare, non un pirata muto.»
 
 
Donquijote.
 
E da Doflamingo sa di non potersi aspettare nulla di diverso. Il suo mutismo aveva sempre in qualche modo affascinato suo fratello, rendendolo molto più apprensivo di quanto non fosse già.
Ai suoi occhi, Roci l’ha sempre saputo, appariva fragile, con qualcosa in meno, un qualcosa che Doflamingo riempiva col tentativo di essere un buon fratello maggiore, sempre pronto a proteggerlo, sempre pronto a fare a pezzi chiunque volesse toccarlo.
Doflamingo aveva sempre cercato di dargli tutto il possibile.
Roci lo sa.
Lo sa fin troppo bene.
Avverte all’improvviso come tutto, intorno a lui, si sta facendo pesante, come lo stesse schiacciando, come gli stesse per bagnare gli occhi, il viso, le guance. Ma apparire fragile davanti a lui – quella fragilità che Doflamingo ha sempre ipotizzato avesse, ma che Rocinante ha sul serio – è l’ultima cosa che vuole.
«L’ho fatto per te» confessa.
«Mpf! Per me… Certo…» constata il fenicottero, quasi infastidito dalla prevedibilità di quell’affermazione. «Non per Law?»
Sussulta. Il suo cuore perde un battito.
Le parole di Sengoku si fanno nuovamente strada nella sua mente.
 
«Ti concedo di parlare con tuo fratello. Hai dieci minuti, non un secondo di più. Non chiedermi altro.»
 
“Non chiedermi altro”. E tutto è più chiaro.
In mezzo a tutto quello che lo sta schiacciando in quel momento c’è anche Law.
«A me non interessa il come tu ti sia salvato. Davvero, non m’importa.» afferma Doflamingo con voce stranamente calma, distante, troppo distante; si sistema meglio da quella posizione scomoda ma della quale ne ha ormai fatto un’abitudine, anche se un po’ controvoglia. 
«Ma a lui sicuramente sì. Purtroppo è ancora vivo, quel bastardello» non cambia tono di voce, ma le vene che si gonfiano sulla fronte sono fin troppo evidenti, anche con il buio della cella. «E quando vi rincontrerete, se vi rincontrerete, si domanderà perché l’hai abbandonato. E tu che gli risponderai? Eh, fratellino
Sa bene che non può tornare da Law. Sa bene che non può raccontargli tutto: quando la marina è giunta sull’isola, quando hanno fatto di tutto per recuperare tutte le pallottole, del suo giuramento a Sengoku, che non avrebbe più potuto farsi vedere in giro, perché sarebbe stato un bersaglio troppo pericoloso vista la posizione maledettamente elevata del fratello. E lui, senza problemi aveva accettato, e ora che Doflamingo e i suoi seguaci non sono più un problema per nessuno…
Non sa che fare.
Non può incontrarlo.
«È buffo, sai?» dice Doflamingo e Rocinante sussulta. «Facevi di tutto per farti odiare da lui. Pensavi non me ne fossi accorto? Ora, invece, non potresti fare nulla affinché lui torni a volerti bene. È…buffo! Fufufu!»
«Finiscila, Doffy» Rocinante fatica a non alzare il tono di voce, ma non lasciarsi sfuggire un singhiozzo appena prima di parlare gli risulta impossibile.
Doflamingo è incredulo; l’ha interrotto.
«Ti prego, non rendere le cose già più difficili di quanto non siano.»
«E allora perché sei qui?»
«Perché è l’ultimo giorno in cui potrò incontrarti.»
«L’ultimo giorno?» ripete il fenicottero. Guarda Rocinante, cerca di leggere qualcosa nel suo volto. «Ah! Quell’ultimo giorno! Hai ragione, quasi me n’ero dimenticato. Pazienza! Prima o poi doveva capitare. Certo, se tu fossi stato un fratello migliore, tale problema non si sarebbe mai posto…»
Alle catene che lo circondano s’aggiunge qualcos’altro. È ancora convalescente, dannazione; non può ancora essere trattato in quel modo! Una fitta gli attraversa il costato, il sangue gli bagna la lingua.
«Che ti succede? Vuoi ammazzarmi prima del tempo? Cough! Cough! Si tratta solo di aspettare ancora qualche ora, non è una tragedia!»
Non una parola, proprio come ha sempre voluto Doflamingo.
Roci lo abbraccia, lo stringe a se. Soffoca la sua rabbia sentendo le ossa del fratello che scricchiolano sotto il suo tocco.
Il peso intorno a lui sembra essersi dissipato, per poi ripiombargli addosso quintuplicato, ma originato da un solo fatto che da lì a poche ore avverrà.
 
«Addio, fratello.»

 

 
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Nella gabbia…

~ Ascolta "A Deafening Distance" dei God Is An Astronaut.
La tentazione di aggiungere il genere “nonsense” era alta.
Allora, cominciamo con il dire che questa OS l’ho scritta TUTTA IERI e quando scrivo una cosa di fretta normalmente non ne sono mai e poi mai soddisfatta.
D’altronde, però, con questa faccenda dei compleanni non potevo ritardare il termine di tale fic e, dato che il blocco dello scrittore sembra proprio non volermi lasciare, scrivere ciò è stata quasi una violenza su me stessa.
Ma l’anno scorso non ho pubblicato niente, e Doffy mi manca; quindi, questa fic che poco poco poco poco mi soddisfa è per festeggiare il suo compleanno.
Come vedete, la struttura vuole ricordare una roleplay: una forma di scrittura che ultimamente inizia a interessarmi.
L’ispirazione per la OS deriva invece dalla marea di fanart/doujinshi che si trovano in giro, tipo questa o quest’altra
Sinceramente, non so quanto questa fic resterà così com’è: probabilmente presto o tardi la revisionerò, avendola purtroppo pubblicata di fretta per i motivi sopracitati; sarà che ultimamente il mio stile proprio non mi piace…
Ma, come sempre, qualsiasi cosa abbiate da dire a riguardo, io sono qui, pronta ad ascoltarvi.

~ Spam time: se siete anche voi dei fan di questi due fratelli, non potete non leggere “Losing my religion”  di raxilia_running, perché è qualcosa di magnifico! Quindi, LEGGETELA!
 
Grazie per aver letto e, magari, apprezzato!
A presto!

Swan
 
  
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