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Autore: Blablia87    25/10/2017    4 recensioni
John Watson, ex medico militare, non ha mai utilizzato - benché gliene sia stato fornito uno come sostegno durante il periodo di riabilitazione a seguito di un ferimento in missione - un R'ent. 
Preferisce continuare a percepire la realtà attraverso i sensi, invece di riceverla sotto forma di impulsi elettrici.
John Watson non comprende come possano esistere persone, i Ritirati, che decidono di isolarsi in modo permanente dal mondo lasciando ai propri Sostituti il compito di unico filtro tra loro e l’esterno.
John Watson è convinto che, per lui, la guerra sia finita.
Fino a quando il R'ent di un Ritirato, Sherlock Holmes, non compare sulla porta del suo studio in cerca di aiuto.
[Sci-Fi!AU][Johnlock][“Android”!Sherlock]
Genere: Angst, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Spesso s’incontra il proprio destino nella via che s’era presa per evitarlo.
(Jean de La Fontaine)
 

 
 
 
1.
(ovvero di come tutto si mise in moto in una notte come tante) 
  

Una folata di vento si sollevò dal suolo, violenta, imprigionando foglie secche e pioggia. Le trascinò con sé per qualche metro in una danza caotica e confusa. Poi si dissolse, lasciandole cadere nuovamente a terra.
Una piuma grigiastra, spinta anch’essa dalla raffica d’aria, si adagiò oscillando sulla superficie scura di una pozzanghera, spezzando in piccoli cerchi concentrici il riflesso dell’enorme struttura che si ergeva silenziosa poco distante.
La facciata liquida si frammentò, fuggendo verso i bordi della pozza.
Anche la scritta “Emergenze” – che, illuminata da neon di un verde acceso, abbagliante, occupava gran parte del muro di fianco alla porta di ingresso – si scompose, mischiandosi al cupo riverbero del cielo londinese ingombro di nuvole incostanti. 
La piuma galleggiò per qualche secondo, muovendosi pigra da un lato all’altro. Alla fine scomparve, avviluppata dall’acqua torbida.
Pochi attimi dopo, la suola gommata di un paio di scarpe da ginnastica coprì del tutto la frattura nel terreno, affondando leggermente con la parte centrale. I bordi frastagliati della buca si attaccarono ai lati della calzatura e la trattennero per qualche secondo, rallentando l’andatura spedita dell’uomo che la stava indossando.
Lui - sorpreso dal brusco e improvviso cambio di passo - si fermò poco dopo, girandosi istintivamente all’indietro con espressione accigliata.
Non riuscendo a distinguere altro - nella penombra del piazzale - che una distesa lucida e bagnata di pietre scure, si voltò di nuovo in direzione del palazzo alle proprie spalle passandosi con un gesto automatico una mano tra i capelli umidi.
Coprì la distanza rimasta tra sé e l’imponente ingresso - campeggiato da una grossa porta a vetri scorrevole - con falcate rapide ma incostanti, trascinando leggermente la gamba sinistra.
Una volta all’interno della hall si lasciò andare ad un respiro profondo, godendo per qualche secondo del tepore che sentiva irradiarsi sul viso. Chiuse gli occhi e reclinò la testa, affondando le mani nelle tasche della giacca a vento chiusa sin quasi al mento.
«Dimenticato l’ombrello anche oggi, Dottor Watson?» gli domandò una voce femminile, con tono allegro. «Se continua a scordarlo a casa, una di queste sere sarà lei a dover richiedere l’intervento di un medico!» aggiunse, le ultime parole macchiate da un fremito leggero.
«Ad essere sinceri ne avevo uno, quando sono uscito di casa…» rispose lui, gentile, socchiudendo le palpebre e osservando di traverso l’esile figura in piedi alla propria destra, nascosta per metà da un voluminoso bancone in legno chiaro. «Ma adesso, con molta probabilità, starà facendo da nido a qualche uccello a Hyde Park: ho avuto la peggio contro una violenta quanto inopportuna raffica di vento» aggiunse con un sorriso.
«Sono sicura che sia stato uno scontro avvincente…!» lo canzonò bonariamente lei, eclissando dietro un’espressione divertita il rossore improvviso delle guance.
«Avresti dovuto vedermi, Sarah.» L’uomo scosse la testa, trattenendo una risata. «Davvero. È stato un momento meravigliosamente imbarazzante.» Estrasse le mani dalle tasche e se le portò davanti al viso, sfregando i palmi tra loro in cerca di calore.
«Allora, cosa abbiamo?» domandò poi, portandosi i polpastrelli alle labbra e soffiandoci sopra.
«Nella quattro e nella sette due ricoveri preventivi per l’allerta meteo, entrambi senzatetto della zona est» iniziò ad elencare la ragazza, aiutandosi a tenere il conto con le dita. «Nella tre un R’ent che sta smaltendo una bella ubriacatura…»
«Come, scusa?» la fermò lui, sorpreso, sollevando un sopracciglio.
«Non me lo chieda. Quelli del turno pomeridiano hanno impiegato quasi due ore per drenare i liquidi dai circuiti.»
«Perché non è stato mandato al Punto di Ripristino?» chiese l’uomo, portandosi il pollice destro sulla fronte e iniziando a sfregarsi distrattamente una tempia.
«Non sarebbe stato in grado di trovarlo. Era completamente fuori di sé. Sono riusciti a spegnerlo solo una volta immobilizzato sulla barella. La sala uno è ancora inutilizzabile, è riuscito persino a sradicare uno degli schedari dal muro!» rispose lei, chiudendosi nelle spalle. «Mai vista una cosa simile, davvero!»
«Mi domando che senso abbia mandare il proprio R’ent a bere» commentò il medico, scuotendo la testa. «Possibile che ci sia ancora gente che non ha capito il meccanismo di Collegamento?» sospirò, chiudendo gli occhi per qualche secondo. «Va bene, d’accordo. Due rifugi protetti e un… R’ent in fase di ripresa dopo una sbronza. Qualche vero paziente?»
«Nella due c’è un bambino di otto anni con febbre e raffreddore.»
«Quanto, di febbre?» si informò il medico, iniziando con difficoltà ad aprire la zip della giacca.
«37.8» sussurrò la segretaria, spalancando gli occhi in un’ironica imitazione di terrore.
«Madre apprensiva, eh?» rise lui, facendosi scivolare il soprabito lungo le braccia ed afferrandolo prima che cadesse.
«In realtà è il modello Nn2003, ad esserlo.»
«Mhm. Strano. Evidentemente i genitori l’hanno programmata in questo modo…»
«Non mi piacciono, quei cosi» rabbrividì la ragazza, iniziando a cercare nella pila di cartelle accatastate ad un lato del desk quella relativa al caso.
«Piuttosto strano detto da un R’ent, non credi?» rispose dolcemente l’uomo, avvicinandosi al bancone per ricevere il file.
«Noi non siamo ammassi di circuiti senz’anima né coscienza. Siamo proiezioni della persona che ci controlla» si schermì lei, la punta delle orecchie colorita per l’agitazione.
«Hai ragione. Scusami. Sono stato indelicato.» Il medico sorrise, afferrando la cartella che gli veniva offerta ed iniziando a controllare i dati. «A proposito: come va il ginocchio?»
«Fa ancora male, ma la fisioterapia aiuta» si calmò lei, rilassando le spalle. «Spero di tornare a lavoro presto. Anche se, lo ammetto… la pioggia ed il freddo non mi mancano affatto.»
«Lo immagino» rispose lui sfiorandole velocemente un polso, comprensivo. «Ok. Il tempo di indossare il camice e incominciamo.»
Con passo leggermente rigido aggirò il bancone, diretto all’ascensore posto in fondo alla hall.
«Sa, dovrebbe procurarsi anche lei un R’ent… Per non affaticare la gamba» gli sussurrò la donna, seguendolo con lo sguardo.
Lui si fermò, voltandosi verso di lei con espressione distesa.
«Perché mai? Credo che il mondo vada percepito direttamente, dolori compresi» rispose semplicemente, con voce gentile.
Poi, senza aggiungere altro, raggiunse l’ascensore.
Premette il tasto di chiamata e rimase a fissare le porte di metallo spostando il peso del corpo da una gamba all’altra, alzando ogni tanto gli occhi verso il contatore dei piani posto sopra la sua testa.
Alle sue spalle la segretaria continuò ad osservarlo con aria assorta, immobile.
Ad un paio di isolati dall’ospedale, la donna che la governava si lasciò andare - dopo essersi accertata di aver scostato dalle labbra i sensori di movimento – ad un sospiro profondo, la mano destra a massaggiare il ginocchio stretto in un’ingombrante fasciatura.
«Che ne direbbe di bere qualcosa, al termine del suo turno, Dottor Watson?» sussurrò. Le parole, pronunciate con voce flebile, si spensero pochi attimi dopo contro le pareti della sua camera da letto.
Scosse la testa, riappoggiando i circuiti alle labbra.
Dietro il desk dell’ingresso la donna sbatté un paio di volte le palpebre, tornando in sé.
 
Con un sorriso perfetto si voltò in direzione della porta, in attesa di nuovi pazienti.





Angolo dell'autrice: 

ho deciso, per questa long, di procedere in modo diverso rispetto alle precedenti pubblicazioni.
Soprattutto nelle ultime i capitoli erano molto lunghi e, nel caso di storie già scritte per intero prima di iniziare il loro caricamento sul sito, rilasciati con cadenza precisa (solitamente settimanale).
Vorrei invece, per questa storia, provare a far trascorrere meno tempo tra un capitolo e l'altro ma, soprattutto, scriverne di brevi. Brevissimi.
Potreste avere la sensazione di aver letto qualcosa di superfluo, o inconcludente (soprattutto in considerazione che il progetto è nella mia idea molto ampio e che, per questo, necessariamente saranno presenti anche situazioni "collaterali"). In caso, mi scuso molto. Mi dispiace. Ma, al momento, questa è la "forma" che sento giusta per me e per quello che vorrei, pian piano, narrarvi. 

Grazie, come sempre e di cuore, a chiunque abbia letto fin qui, inserito la storia in qualche categoria e/o scelto di dedicarle una recensione. ^_^

A presto,
B.
   
 
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