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Prologo

Odore di pioggia, nel lontano 1996.
Odore di brioche appena sfornate, di cioccolate calde e respiri gelati.

Freddo di primo Settembre, con vetri appannati, sciarpe attorno al collo e guanti ben infilati.

Strade piene di vita.

Tre adolescenti, come bambini, immersi nella neve appena caduta. Uno spintone, un altro di rimando; risate spensierate, capelli bagnati sugli occhi.

L'uomo li osserva distrattamente, la mente persa in pensieri fin troppo torbidi. Porta il bicchiere alle labbra, e subito l'aroma pungente del caffè cozza contro il palato. Corposo, fluido, non troppo zuccheroso: proprio come piace a lui.
Mani strette contro il recipiente, lancia uno sguardo puramente curioso verso il tavolo accanto.

Al contrario di molti, reputa i bicchieri di carta più pratici, comodi e, soprattutto, economici delle comuni tazzine da the. Adora percepire non il coccio, ma la morbida consistenza del cartone fra i denti, quasi a saggiarla, giocarci per poco prima ancora di bere. Un piccolo dettaglio, ormai vizio, diventato pian piano parte della quotidianità, a pari meriti con la tappa giornaliera nel bar sulla Notting Hill.

Morde la lingua, tentando di lenire almeno in parte l'eccessivo calore della bevanda.

La maggior parte degli esseri umani — e non — sulla faccia della terra, troverebbe, in tutta probabilità, estremamente banale il suo passatempo. Eppure, quest'accenno troppo sbiadito di normalità è l'unica cosa che il mondo sembra avergli lasciato la possibilità di vivere.

É un relitto, un errore.

Ne è consapevole fin da che ha memoria perché, si sa, prima vengono accettati i problemi, prima diviene possibile trovarvi una soluzione. Peccato che il suo piccolo problema peloso non possa essere migliorato né tanto meno risolto in alcun modo.

Non ha mai pensato di poter essere anche solo lontanamente accettato, in qualche modo, dal resto del mondo. 
I Malandrini, con il loro affetto contagioso, gli avevano dato la possibilità di ricredersi. Lo sapeva anche allora, non avrebbe dovuto permetterselo. 
A ragione, ora ne paga le conseguenze.

«Ehilà, Moony!»

Si volta, e per un attimo loro sono lì. James e Sirius lo fissano in attesa di una risposta, sul viso i sorrisi sghembi che li contraddistinguono. 
Per un attimo, solo per un attimo, lui non è più il fallito senza più niente da perdere, ma il ragazzo responsabile che può far ragionare quella banda di scalmanati.

Poi tutto torna alla normalità.

Le iridi violette che lo scrutano, pochi metri più in là della sua posizione attuale, non appartengono né a Prong né a PadFoot. Come potrebbero? Sono morti, loro. 

Lui l'unico rimasto, il sopravvissuto.

Non sarebbe più facile se tutto finisse, Remus?