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Autore: Hiroshi84    10/11/2017    6 recensioni
Questo racconto di genere autobiografico tratta un'esperienza indimenticabile in qualità di fante dell'Esercito in trasferta a Sigonella in ambito Operazione Domino e da cui ne ho ricavato una delle più belle gratificazioni della mia vita.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel dicembre del 2005 da circa quattro mesi prestavo servizio militare in qualità di fante dell'Esercito in ferma annuale (VFA) alla Crisafulli-Zuccarello di Messina, in previsione di concorrere in ferma prefissata. (VFP1)
In quel periodo, per un trimestre, noi della fanteria, partecipammo all'Operazione Domino, in concorso e congiuntamente alle forze dell'ordine, nel contrasto alla criminalità. Oltre a ciò, a causa degli attentati di Nassiriya del 2003, i livelli di allerta risultavano elevati, ragion per cui fummo dislocati in quattro località considerate a rischio di attentati terroristici.
Chi andò a presidiare la Raffineria di Milazzo, chi l'Aeroporto di Reggio di Calabria, chi l'Aeroporto Catania-Fontanarossa e chi invece la base aerea di Sigonella, un'enorme struttura militare situata a Lentini, in provincia di Siracusa e assai distante dai centri abitati. Il sottoscritto venne destinato a quest'ultimo sito. 
Le nostre squadre furono alloggiate dalla stazione aeronavale del 41° Stormo, e ci dovemmo adeguare a delle stanzacce dai muri scrostati, con gli armadiacci che odoravano di ruggine e con delle brande dai materassi pieni di macchie e muffa. A peggiorare le cose l'indecenza dei bagni, i tanti gabinetti guasti e l'acqua calda delle docce o dei rubinetti che arrivava a intermittenza. Ma perlomeno a mensa si mangiava bene, per di più le porzioni erano abbondanti. 
La base ospitava, inoltre, la Naval Air Station, (NAS) la componente aerea della U.S. Navy su cui ci si sconfinava liberamente con l'unica limitazione di non poter comprare nei negozi a "stelle e strisce", visto che i gestori e gli spaccisti dei locali non erano autorizzati a vendere nulla ai militi, agli avieri e ai civili italiani. 
Il perché di tale divieto? In buona sostanza, i prezzi bassi dei prodotti, (sigarette, elettrodomestici, profumi, vestiti, etc.) erano esenti di tasse, pertanto si voleva evitare che certi furbacchioni rivendessero al doppio se non al triplo all'esterno della base. Le eccezioni non mancavano, l'importante era avere "amicizie americane."
Il 41° Stormo di Sigonella, a differenza del NAS, disponeva di un solo spaccio discretamente fornito. C'era la macchina del caffè e del cappuccino a leva, delle bibite, dei sacchetti di patatine, dei biscotti, dei gelati confezionati e delle caramelle. In compenso, la mattina la scelta appariva più variegata, difatti nelle vetrinette venivano esposti i dolci e pezzi di rosticceria siciliana, tanto è vero che contribuivano ad affollare il locale di soldati statunitensi. Mi domandai come mai gli yankee, pur avendo ogni ben di Dio nei loro Starbucks o bar disseminati nella parte ovest, preferissero fare colazione proprio lì. Spinto dalla curiosità, lo chiesi ad un assiduo frequentatore di nome Joe, un graduato robusto dai capelli biondi proveniente da Fort Lauderdale, Florida.
«Voi corneto e capucinno italianno!» mi rispose.
A ogni modo, i turni formati da quattro squadre da tre unità erano da otto ore e bisognava svolgere tre mattine, tre pomeriggi, e tre notti. Al termine delle nove turnazioni, ci concedevano tre giorni liberi. Quei pochi che abitavano nel catanese, nel messinese, e nel siracusano qualche volta tornavano a casa. Io optai per rimanere a Sigonella dal momento che era scomodo scendere con l'autobus alla stazione ferroviaria di Catania Centrale e prendere due treni per giungere a Barcellona Pozzo Di Gotto, la mia città natale. 
Dato che non avevo ancora conseguito la patente, per ovvi motivi non potevo guidare il VM 90, un mezzo a metà fra l'autocarro e il fuoristrada. Mi fu così assegnato l'incarico di capo macchina ed avevo la responsabilità di segnalare all'equipaggio o tramite radio eventuali movimenti sospetti lungo i percorsi e di controllare la condotta di guida del conducente. 
Per quando riguarda l'equipaggiamento in dotazione, esso era composto da un gibernaggio, una torcia, un giubbotto antiproiettile, una borraccia, uno zaino tattico, e l'arma individuale, precisamente un Ar 70/90 con due caricatori di riserva.
Di tanto in tanto, il capo muta o i comandanti spuntavano a sorpresa per verificare se adempivamo correttamente il nostro lavoro. Guai se ci trovavano sbracati, non rasati, con gli anfibi sporchi, il fucile con la cinta non slacciata e guai serissimi se ci pescavano imboscati a oziare o a sonnecchiare. 
Essendo inverno, pur indossando un pesante maglione sotto la divisa, io e i miei colleghi patimmo un freddo terribile, specie nei turni notturni in cui ricevevamo l'ordine di restare appiedati per vigilare, ad esempio, i depositi di carburante del NAS davanti a una recinzione sormontata dal filo spinato.
La base era sorvegliata anche dalle pattuglie della polizia militare che con le loro automobili di colore bianco e dalle sirene blu e rosse le associavo a quelle del NYPD. (New York City Police Department) Gli uomini e le donne dell’MP (Military Police) vestivano una mimetica verde, armati di pistola, manganello e manette. Francamente sembrava che se la tirassero.
In quei tre mesi di pattugliamento non successe niente di particolarmente eclatante, e fuori servizio non c'era un granché da fare. La libera uscita? Neanche per idea, come anticipato poc'anzi, i servizi di linea non erano il massimo, quindi allontanarsi da quel luogo sperduto per ritirarsi entro le 23:00 non conveniva, a meno che non si possedeva un'automobile o di un motociclo. Sfortunatamente, tutti noi militari di truppa in trasferta non avevamo né uno e né l'altro.
Se non bivaccavamo allo spaccio dell'Aeronautica a scolarci delle birre e a sgranocchiare qualcosa, dormivamo al calduccio per delle ore nei letti delle camerata. I materassi ci furono sostituiti con quelli nuovi dopo aver sollecitato a gran voce il disagio agli avieri addetti al magazzino, in più il cambio delle lenzuola, delle federe e delle coperte, rispetto agli inizi, ci veniva elargito frequentemente. I bagni purtroppo rimasero immondi e con i soliti malfunzionamenti.
Oltre a schiacciare dei pisolini, ci mettevamo a giocare a carte, a farci degli scherzi, a cazzeggiare con i cellulari, a discutere di vari argomenti e alla lettura di romanzi, fumetti e riviste. A tal proposito ho un aneddoto dai risvolti piccanti che vorrei narrare. 
In una noiosa giornata piovosa, me ne stavo disteso a leggere un libro di genere bellico ambientato nelle spietate giungle del Vietnam, quando all'improvviso un commilitone mi lanciò addosso un fotoromanzo pornografico colpendomi il viso.
«Fatti gli occhi compare! Vado al cesso, mi sa che ci scappa il bis!» mi disse ridendo e muovendo la mano su e giù minando l'atto della pugnetta. Nel frattempo, accantonai il romanzo e leccandomi il dito, mi misi a sfogliare quell"opera" decisamente più interessante e soprattutto... più eccitante.
Le settimane passavano lente, finché in un pomeriggio di marzo, un maggiore, ci annunciò che finalmente la missione si era conclusa e con l’aggiunta di una bella notizia, cioè la concessione di una graditissima licenza dalla durata di quindici giorni, naturalmente valevole pure per le mute che occupavano gli altri presidi. 
Ci caricarono sull'ACM 80/90, un autocarro adibito per il trasporto del personale per rientrare in tarda serata a Messina nella nostra caserma di appartenenza. Dapprima ci fu la consegna dell’equipaggiamento in armeria, per poi, straripanti di allegria, inoltrarci nei dormitori per sistemare gli effetti personali nei rispettivi armadi o nei relativi borsoni ed infine, coricarci nelle brande a castello. 
La mattina dopo, nel piazzale, durante l’alzabandiera cantammo a squarciagola l’Inno d'Italia, successivamente seguirono i complimenti del Comandante di Reggimento, che ritenne globalmente riuscita l'Operazione Domino e chiudendo un occhio con i militi ai quali erano state inflitte sanzioni disciplinari non gravi. Al termine di un discorso prolisso di un tenente colonnello, marciammo verso la Compagnia Fucilieri per adunarci in cortile per l'assegnazione delle licenze da parte di un giovane tenente di origine napoletana. 
Per il ritiro della licenza dovevamo eseguire una modalità standard, ovverosia, una volta chiamato il nome e cognome dell’interessato, dalla posizione di riposo ci si metteva sugli attenti sbattendo il piede destro, gridando 'comandi!,' alzando e abbassando velocemente il braccio destro, si effettuava un dietro-front, e ci si staccava dalla riga/fila per andare correndo dinnanzi l'ufficiale o sottufficiale, scagliando nuovamente il piede combinato dal saluto militare. Ricevuto il foglio ci si inquadrava al proprio posto in attesa del ‘rompete le righe.’
Passò una buona mezz'ora e le licenze furono date a tutti, tranne a me al punto che guardai il tenente con espressione inquieta. 
«Scilipoti!» mi disse. «Sei a rapporto dal capitano!»
Confesso che l'ansia crebbe a dismisura, fino a tramutarsi in un'intensa stizza. 
«Vuoi vedere che mi ha messo di guardia alla porta carraia! Che sfiga di merda!» Ipotizzai mentalmente ma, se così fosse stato, l’avrei saputo dal furiere o da quel subalterno. 
Bussai alla porta dell'ufficio del Comandante di Compagnia, una voce tuonò 'Avanti!' e, col cuore in gola, entrai. Il capitano se ne stava tranquillamente seduto alla scrivania a fumarsi un sigaro e con un cenno mi invitò ad avvicinarmi. 
«Comandi!» esclamai, assumendo la posizione d'attenti. 
«Stai su riposo!» mi ordinò, ed io obbedii, unendo entrambe le mani dietro la schiena all'altezza dei reni. 
«Abbiamo app...» 
Si interruppe un attimo per soffiare via della cenere del sigaro che si era depositata su delle scartoffie.
«Abbiamo apprezzato il tuo operato impeccabile e professionale. Tanto di cappello, anzi di basco.»
Così diretta, così vera, quella frase mi spiazzò completamente. 
«Tra l'altro sei l’unico a non aver collezionato neanche una punizione o un giorno di malattia e non hai nemmeno piagnucolato per la destinazione. Figurati che, prima dell'Operazione Domino, parecchia gente mi rompeva continuamente le palle per essere piazzata nei siti più vicino a casa» aggiunse.
«Capitano, vede... ho soltanto...» biascicai. 
«Hai soltanto svolto il tuo dovere ed è per questo che ci tenevo a darti personalmente la licenza» espose, e da un faldone prese l'agognato foglio di carta, timbrato e firmato sia dal Comandante di Battaglione, sia dal Comandante di Reggimento e sia da lui stesso. 
Quest’ultimo si alzò in piedi, e nel consegnarmi l’agognato documento, mi volle stringere la mano, una stretta forte e vigorosa.
«Vai pure!» concluse.
Lo ringraziai, dopodiché eseguii un dietro-front e uscii da quella stanza accompagnato da una pienezza interiore impossibile da descrivere.
Nel cortile mi aspettavano due miei colleghi impiccioni per sapere cosa fosse successo. Inventai una scusa poiché avvertii l'esigenza di non riportare le lodevoli parole espresse dal capitano e, difatti, adottai la seguente locuzione latina: unicuique suum. (a ciascuno il suo) 
   
 
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