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Autore: eliseCS    13/11/2017    1 recensioni
A quanto pare quello che ho bevuto per il brindisi del compleanno è stato sufficiente per farmi fare questa pazzia, e ovviamente non c'era nessuno che potesse fermarmi...
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Una bambina, gabbie dorate e non e Tortuga.
Oppure
L'Ombra della Doomed Destiny, la nave pirata più famosa dell'epoca, il nuovo capitano Cortès e un vecchio amico dimenticato.
In sintesi assoluta: pirati.
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Dal primo capitolo:
Non sapeva se fosse perché pensavano che fosse stupida, troppo piccola per capire o se semplicemente non gli importasse, ma Isabelle riusciva perfettamente a sentirli.
A quanto pareva stava per essere venduta.
Di nuovo.
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“Con un pezzo da otto posso darti anche da bere se vuoi, ragazzino” propose.
Isabelle si morse un labbro: prima di entrare aveva controllato, addosso non aveva assolutamente nulla di valore, per non parlare di monete o pezzi da otto!
“Io… non ho nulla…”
La donna si ritrasse: “Mi dispiace mocciosetto, ma non do da mangiare gratis, neanche ai bambini. Torna quando avrai qualcosa da darmi in cambio” disse, e si allontanò per servire qualcun altro.
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Buona lettura (spero)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV - Una proposta, un nuovo capitano, delle mappe a lungo cercate e un’Ombra
 
“Faye, andate a prendere qualcosa da mangiare per la piccola, pago io” ordinò sorprendentemente Cortès.
La donna lo guardò stupita per un attimo ma poi uscì dal magazzino senza dire una parola per fare come le era stato detto.
L’uomo si avvicinò ad Isabelle non appena Faye li lasciò soli, e cogliendola totalmente alla sprovvista la l’abbracciò.
“Ti credo ragazzina, ma ora smetti di piangere” le disse passandole piano una mano sulla schiena.
A vederlo si sarebbe detto che fosse abituato ad avere a che fare con i bambini…
“Mi sembri una persona intelligente Isabelle. Anche se non te lo ricordi sono sicuro che arrivare fino a qui, da sola a quanto sembra, non sia stato facile” riprese poco dopo sciogliendo l’abbraccio.
“Ho quindi una proposta da farti”
La bambina raddrizzò la schiena prestando attenzione, una mano a togliere le ultime lacrime rimaste sul suo viso.
“Come ho detto prima la collana era una prova, e tu l’hai superata. Vedi, in questo momento qui a Tortuga c’è una persona che ha qualcosa che mi serve: se riuscirai a prenderla ti porterò con me” spiegò.
“Con voi?” ripetè lei con gli occhi spalancati.
Il pirata annuì: “Con me, sulla mia nave. Sì” confermò.
“… ma così diventerei un pirata anch’io?”
Cortès si lasciò scappare una breve risata: “Magari non subito, ma col tempo… chi lo sa?” rispose.
Isabelle distolse lo sguardo tormentandosi le mani.
 
Rubare e unirsi alla ciurma di una nave pirata… quella nave pirata!
Qualcosa le diceva che non avrebbe dovuto accettare, come se le fosse stato insegnato che la pirateria fosse una cosa deplorevole – o qualcosa del genere – ma in quel momento che alternative aveva?
Non sarebbe durata un giorno da sola lì a Tortuga, sulla nave almeno sarebbe stata sotto la responsabilità di Cortès… o almeno sperava sarebbe stato così.
 
Rialzò la testa, i suoi occhi scuri incontrarono quelli azzurri del pirata e sembravano aver acquisito una nuova determinazione.
 
“Cosa devo rubare?”
 
 
 
҉
 
 
 
“Sicuro che sia il posto giusta stavolta? È il quarto forte che attacchiamo, se quelle mappe non sono neanche qui…”
“Risparmiami Shade, questa volta riprenderemo il largo con quello per cui siamo venuti” venne interrotta la ragazza.
“Tu piuttosto: sei pronta?”
La ragazza sbuffò alzando gli occhi al cielo, stringendo l’elsa della spada con la mano destra e quella di un pugnale con la mano sinistra, entrambi appesi alla sua cintura. Il terzo pugnale lo aveva dentro allo stivale destro, legato alla gamba.
“Devo ricordarti il motivo per cui tuo padre ha deciso di farmi salire a bordo della Doomed? Mi chiamo Ombra per un motivo… se quelle carte ci sono le troverò e le farò sparire senza che nessuno se ne accorga. Voi pensate a tenere guardie e compagnia bella impegnate, al resto ci penso io”
“Come sempre”
I due, ragazzo e ragazza, si scambiarono un ultimo sorriso complice prima di uscire dalla cabina del capitano e raggiungere il ponte della nave, dove il resto dell’equipaggio si era già riunito.
 
Capelli biondi e occhi azzurri come il padre, pelle abbronzata a forza di stare continuamente sotto il sole e il fisico temprato da tutti gli anni trascorsi per mare: Julian Cortès, il capitano più giovane che la Doomed Destiny avesse mai avuto.
Aveva ventisette anni ma aveva ereditato il titolo alla morte del padre, cinque anni prima.
Nessun componente dell’equipaggio si era opposto: erano tutti d’accordo che Julian sarebbe stato il degno erede di Gabriel Cortès, e in quegli anni il ragazzo aveva dimostrato loro che avevano avuto ragione.
Nonostante la giovane età Julian sapeva bene come mandare avanti la nave e come tenere sempre alto il morale delle ciurma.
Tra le varie scorrerie ai danni delle navi mercantili che avevano il dispiacere di incontrare la Doomed sulla loro rotta, i bottini, da spendere quasi interamente in donne e rum ogni volta che attraccavano a Tortuga o in qualche altro porto sicuro, erano sempre ben consistenti e nessuno si era tirato indietro nemmeno quando il nuovo Capitano Cortès aveva annunciato che avrebbe vendicato la morte del padre – che ovviamente non era avvenuta per cause naturali – umiliando il pirata che l’aveva provocata rubandogli il suo stesso tesoro da sotto il naso e poi uccidendolo.
E proprio per quel motivo si stavano preparando ad assaltare il forte di quella prospera cittadina di mare.
Reyes, il sopracitato pirata di cui Julian voleva vendicarsi, aveva nascosto il suo tesoro su un’isola che aveva trovato incrociando le rotte di una delle sue mappe con quelle di una mappa della Marina: senza quest’ultima sarebbe stato impossibile rintracciarla.
Julian era venuto a conoscenza di quella informazione dopo anni di ricerche e dopo tre buchi nell’acqua sembrava che finalmente il loro obiettivo fosse quello giusto.
Se tutto fosse andato secondo i piani entro la mattina seguente sarebbero finalmente entrati in possesso della chiave per raggiungere quell’isola e il tesoro tanto bramato.
 
Subito dietro di lui veniva Shade, che altri non era che quella bambina che quindici anni prima aveva accettato un certo incarico da Gabriel Cortès guadagnandosi il suo posto a bordo.
Quando il capitano l’aveva presentata alla ciurma c’erano stati diversi mormorii perplessi sia per l’età della bambina sia per il fatto che, appunto, era una femmina.
Ed era risaputo che avere una donna a bordo, anche se in miniatura, portava sfortuna.
Parte delle perplessità erano state dissipate quando Cortès aveva detto a tutti quello che la bambina era riuscita a rubare per loro e con il passare del tempo era a tutti gli effetti diventata una di loro: la ciurma ci aveva messo poco ad affezionarsi, e spesso capitava che i nuovi arrivati, colpa probabilmente del biondo dei suoi capelli, pensassero che Cortès non avesse un figlio solo ma due.
Julian era stato quello che ci aveva messo di più ad abituarsi alla sua presenza.
Da sempre era stato lui il favorito del padre e dell’equipaggio e di punto in bianco arrivava la mocciosetta più piccola di due anni e gli rubava il posto.
La situazione si era risolta un anno dopo l’arrivo di Isabelle: lei e Julian se le erano date di santa ragione – offrendo una buona mezz’ora di svago alla ciurma – finchè entrambi non avevano deciso che l’avversario si fosse guadagnato il rispetto reciproco e si erano stretti la mano.
Julian aveva il naso rotto e una brutta abrasione sul fianco mentre a Isabelle era saltato un dente – per fortuna non uno di quelli definitivi – e le era rimasta come ricordo una sottile cicatrice in fronte vicino all’attaccatura dei capelli.
Quando Cortès aveva scoperto cosa avevano combinato li aveva puniti entrambi: era felice che finalmente i suoi figli – perché sì, ormai considerava anche la bambina come sua – andassero d’accordo, ma risse di quel genere sulla sua nave erano assolutamente vietate.
La frustate erano state sette e non venti, e date con un frustino singolo invece che con il gatto a nove code, ma lasciarono ugualmente i loro segni.
Il capitano aveva esitato appena quando aveva notato che sulla schiena di Isabelle ci fossero già le prove del passaggio di una frusta, ma alla fine aveva punito anche lei come aveva fatto con Julian.
Quella era stata l’unica volta in cui Isabelle avesse dato segno di ricordare qualcosa della sua vita prima che perdesse la memoria: la frusta sembrava aver risvegliato qualcosa in lei anche se alla fine non erano comunque riusciti a scoprire nulla.
Adesso quella bambina di anni ne aveva venticinque e da almeno dieci nessuno pronunciava più il suo vero nome: dopo l’ennesimo colpo riuscito grazie al suo contributo si era guadagnata il soprannome Shade, ombra, per la sua particolare abilità nel mimetizzarsi con l’ambiente circostante, qualunque esso fosse, e riuscire a rubare quello che le era stato ordinato facendo sì che nessuno se ne accorgesse.
Come un’ombra nessuno faceva caso a lei.
Almeno finchè non era troppo tardi.
 
Contrariamente al resto della ciurma che vestiva, beh, da pirata, lei era solita indossare sempre abiti neri.
Occasionalmente poteva capitare di vederla indossare una camicia bianca o una giacca di qualche altro colore, verosimilmente prese in prestito da Julian, ma di certo non quando aveva una missione da portare a termine.
E anche quella volta non faceva eccezione: nera la camicia a maniche lunghe, i pantaloni, gli stivali e la giacca che mascherava le sue forme femminili.
Persino le fodere della spada e del pugnale erano nere, come pure la fascia che aveva in testa per tenere i capelli scostati dal viso.
A forza di lavarli con l’acqua di mare erano se possibile diventati ancora più chiari e dopo la prima e ultima volta che se li era dovuti tagliare cortissimi – per colpa di un’epidemia di pidocchi – li aveva sempre tenuti lunghi almeno fino a metà schiena.
In quel momento li aveva sciolti sulle spalle, quando sarebbe arrivato il momento di scendere a terra per fare il suo lavoro li avrebbe raccolti e nascosti del tutto sotto la bandana scura per dare meno nell’occhio.
Era solita tenere anche il viso coperto, lasciando liberi solo gli occhi: nessuno al di fuori della ciurma doveva sapere che aspetto avesse la tanto temuta Ombra della Doomed Destiny.
 
 
 
“Signori, ci siamo!” esclamò Julian suscitando fischi di approvazione e applausi da parte dell’equipaggio.
“Spero che tutti vi ricordiate il vostro posto: io, Shade e chi di voi si è offerto volontario raggiungeremo terra mentre la nave resterà nascosta dietro questo promontorio. Il tempo di un giro di clessidra per consentirci di entrare nella città indisturbati e poi sapete cosa dovete fare… contiamo sulla buona riuscita del diversivo…” continuò pronunciando l’ultima parola con un sorriso affatto rassicurante che venne accolto da altre grida da parte dei marinai.
“Wilson, vi lascio il timone” concluse rivolto al nostromo.
Sai cosa farò a te se succede qualcosa alla mia nave era il messaggio sottointeso, anche se in realtà non ce n’era bisogno: l’uomo per lui era come un secondo padre e gli avrebbe affidato la sua stessa vita.
Il suo sguardo rimase puntato all’orizzonte finchè il sole non scomparve: era arrivato il momento di muoversi.
 
 
 
҉
 
 
 
Era stata una tranquilla e piacevole giornata ad Antigua, nessuno avrebbe potuto sospettare quello che sarebbe successo di lì a poco.
Julian, Shade e altri tre marinai cominciarono cautamente a risalire la spiaggia su cui erano arrivati con la scialuppa, le mani appoggiate sulle else delle rispettive spade, pronti a scattare al minimo segnale di pericolo.
Due uomini erano rimasti di guardia alla scialuppa, ma non sarebbero rimasti soli per molto.
 
Il piano era lo stesso che avevano messo in atto le volte precedenti: loro, ma Shade in particolar modo, sarebbero andati avanti per individuare e raggiungere il luogo in ci si sarebbero trovate le carte nautiche che gli interessavano.
Il tempo di un giro di clessidra, quello che solitamente bastava a Shade per fare quello che doveva fare, e anche la Doomed Destiny sarebbe arrivata a fare la sua parte: un paio di colpi di cannone erano il diversivo migliore su cui avrebbero potuto contare, e poi Julian non avrebbe mai potuto negare al suo equipaggio un po’ di divertimento lasciandoli liberi di racimolare un po’ di bottino in una città ricca come quella.
Lui avrebbe avuto le sue carte e anche il resto della ciurma sarebbe stato soddisfatto: due piccioni con una fava.
 
 
Raggiunsero il forte senza particolari problemi: con il calare del buio per strada non c’era praticamente nessuno a parte qualche straccione già ubriaco.
Shade entrò da sola lasciando i due uomini fuori dall’edificio a controllare la situazione: una volta dentro meno si era e meno avrebbero dato nell’occhio, e modestamente lei era più che in grado di cavarsela in un combattimento contro chiunque.
Gabriel Cortès in persona le aveva insegnato a combattere e l’unico che riusciva a tenerle testa era Julian, ma solo perché aveva avuto lo stesso maestro.
Evitare le guardie che sorvegliavano i corridoi fu un gioco da ragazzi, l’unica che dovette mettere fuori combattimento fu quella che presidiava la porta della sala delle carte nautiche.
Una botta in testa con l’elsa del pugnale e quello era a terra.
Lo trascinò nella stanza dopo aver forzato la serratura ed essersi accertata che nessuno l’avesse notata richiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.
Diede un’occhiata generale alla stanza per poi dirigersi a passo sicuro verso una vetrinetta piena di rotoli, quella che conteneva le carte con le rotte delle navi da guerra.
Si lasciò scappare una mezza risata quando constatò che le carte erano numerate: così ci avrebbe messo ancora meno e non avrebbe dovuto aprirle tutte.
Si mise alla ricerca pensando che se avesse fatto in fretta anche lei avrebbe potuto divertirsi giù in città quando il diversivo sarebbe cominciato: adorava passare a svaligiare le botteghe dei fabbri, per lei i pugnali non erano mai abbastanza.
Quando pensò di aver finalmente trovato quello che stava cercando il sorriso le si gelò sulle labbra.
 
 
 
Il giro di clessidra era evidentemente terminato visto che palle di cannone sibilarono nell’aria andando poi a schiantarsi su mura ed edifici.
La città si animò di colpo mentre i soldati uscivano per cercare di capire quale fosse la minaccia e come fare per fronteggiarla.
Solo che Shade non era ancora di ritorno.
Dovettero passare un paio di minuti e altre cannonate, questa volta a salve solo per fare scena, prima che la ragazza uscisse finalmente dall’edificio cercando di non farsi vedere dai soldati che vi stavano affluendo per organizzarsi.
 
Era a mani vuote.
 
“Cosa significa, dove sono le mappe?” domandò Julian.
“Non erano nella sala…”
“Dannazione!” la interruppe fendendo con l’aria la spada, sfogandosi sulla vegetazione circostante.
“Smettila, vuoi farci scoprire?” lo bloccò Shade fermandogli il braccio con cui impugnava l’arma.
“Ho detto che non erano nella sala, ma penso di sapere dove sono”
“Continua”
“C’è un registro che deve essere firmato ogni volta che qualcuno consulta quelle mappe, dopotutto stiamo parlando di rotte per la guerra…”
“E allora?”
“E allora l’ultimo ad aver firmato è un certo Geoffry Reagan, e mi sono informata – ovvero aveva minacciato il povero soldato che aveva tramortito per entrare nella sala – è il governatore di Antigua”
Julian annuì soddisfatto: “Sembra allora che il governatore riceverà visite questa sera…”













Ma buonasera a tutti!
No, non ho preso un abbaglio, sono consapevole che oggi sia lunedì e non martedì.
Solo che domani ho una lista talmente lunga di cose da fare che ho deciso di prendermi avanti almeno con la pubblicazione del capitolo (che comunque spero vi sia piaciuto).
Abbiamo un bel salto temporale, Shade non è più una bambina e possiamo dire che la storia sia ufficialmente iniziata.
Se non ci saranno problemi mi rifarò viva per il prossimo aggiornamento che sarà martedì 28 novembre (salvo recensioni che anticiperebbero la data di una settimana come ben sapete).
A presto!
E.
   
 
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