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Autore: Shainareth    15/11/2017    6 recensioni
Le voci spaventate degli altri arrivavano ovattate alle sue orecchie, come se al momento lei stessa si trovasse in un’altra dimensione. Il fatto era che, presa com’era dal reprimere le proprie emozioni, Marinette non si era resa conto di essere sull’orlo di esplodere. Cosa che era effettivamente avvenuta quando Adrien aveva ammesso di essere innamorato di qualcuno. Di Ladybug. Di lei, quindi. Ma Adrien non lo sapeva. Né sapeva che lei sapeva. Che gran casino.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Fiducia'
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CAPITOLO NONO




Chloé sfogliò svogliatamente la rivista di moda che aveva fra le mani, guardando le foto delle modelle senza vederle davvero. Era proprio un periodo tremendo, quello. Non solo Jean-Claude era ancora ammalato, per di più lei aveva dovuto arrendersi a tornare da quella incapace della sua assistente che, non appena l’aveva vista, aveva fatto una smorfia eloquente e aveva preso un grosso respiro prima di regalarle un sorriso falso come la Tour Eiffel di Berlino. Ciò nonostante, quel pomeriggio si stava mostrando assai professionale, smentendo così l’opinione che quella ragazzina viziata aveva sulle sue capacità.
   «Cosa la porta a sospirare così di continuo, mademoiselle?» le domandò gentilmente Charline, decisa a dimenticare gli screzi del giorno addietro e a voler instaurare con la sua cliente un rapporto amichevole.
   Il musino imbronciato di Chloé tremolò. «Oggi abbiamo fatto una stupida riunione di classe sulla fiducia», prese a raccontare con voce affranta, «ed è venuto fuori che il ragazzo migliore del mondo preferisce una stupida, insignificante pasticcera alla figlia del sindaco. A me. Capisce?!»
   Continuando a sistemarle la messa in piega, Charline faticò a mantenere un’espressione impassibile e mostrò nei suoi confronti tutta la propria comprensione. «Dev’essere stato un duro colpo.»
   «Oh, non immagina quanto!» esclamò l’altra, portandosi il dorso di una mano alla fronte con fare teatrale. «Quella dannata mocciosa!» imprecò subito dopo. «Mi chiedo come abbia fatto a raggirarlo al punto da farlo cadere ai suoi piedi!»
   «Magari ha aggiunto un filtro d’amore ai suoi dolci», la prese in giro la donna, mantenendo tuttavia un tono di voce neutro e dandole l’impressione di essere convinta di ciò che diceva.
   Chloé ci pensò su e decise di darle credito. Recuperò il cellulare dalla borsa e subito avviò la chiamata che avrebbe potuto aiutarla a risolvere quella spiacevole situazione. «Sabrina? Vai immediatamente in biblioteca o su internet o dove ti pare e piace, e cerca gli ingredienti necessari per fare un filtro d’amore», dispose con fare autoritario, osservando con occhio critico l’operato di Charline attraverso lo specchio. «No, non mi importa se sei al funerale del tuo vicino di casa!» sbottò poi, esasperata dalla consapevolezza di avere un’amica inutile. «Fallo subito!»
   La donna alle sue spalle alzò gli occhi al soffitto, pregando con tutte le sue forze affinché la sua bambina di tre anni non crescesse come la ragazzina che aveva sotto mano.

«Eccomi, scusa se ti ho fatto aspettare», disse Marinette, scendendo fino al negozio dei suoi genitori, dove Adrien si era offerto di dare una mano in attesa che lei finisse di prepararsi. Non era proprio un appuntamento, il loro, poiché avevano soltanto accettato l’invito di Alya e Nino ad andare al cinema quel pomeriggio. Questo li avrebbe però aiutati ad accantonare ogni imbarazzo iniziale, procedendo gradatamente in quella che ormai avrebbero davvero potuto cominciare a definire relazione amorosa. A dirla tutta, in effetti, non erano ancora riusciti a chiarirsi del tutto, perché subito dopo lo scontro del giorno prima i loro miraculous avevano iniziato ad avvertirli dell’imminente trasformazione e i due, per non destare sospetti di sorta, avevano dovuto darsela a gambe in direzioni opposte anche e soprattutto a causa della presenza molesta del cellulare di Alya. Durante le lezioni scolastiche, inoltre, avevano avuto poche occasioni per parlare a tu per tu, ma nel corso della riunione di classe che avevano tenuto a fine giornata, Adrien non si era lasciato sfuggire l’occasione di correggere la dichiarazione fatta la volta precedente e di affermare con orgoglio che la ragazza di cui era innamorato era Marinette – causando un vociare più o meno entusiasta quando lei aveva timidamente annuito a chi le aveva chiesto se ricambiava o meno i suoi sentimenti.
   Adrien si volse a fissarla con un croissant fra le fauci, un altro in mano. «Ah», constatò la ragazza, incrociando le braccia al petto, «quindi era questo che intendevi per dare una mano…»
   Lui rise, ma fu Sabine ad intervenire in sua difesa. «Ci serviva qualcuno che svuotasse i vassoi.»
   «Sarò sempre a vostra disposizione, per questo», promise lui, candido come una rosa, un’espressione talmente innocente in volto da conquistare appieno il cuore della donna.
   «Ecco a voi», disse Tom, mostrando alla figlia una scatola con diversi macaroon. «Uno spuntino anche per i vostri amici.»
   «Grazie, papà», sorrise lei, contenta che i suoi genitori non solo non avessero fatto domande sulla presenza di Adrien, ma per di più sembravano averlo preso in gran simpatia. Il cellulare emise un suono e Marinette lesse il messaggio appena arrivato. «È Alya. Dice che hanno avuto un contrattempo e che ci vedremo direttamente davanti al cinema.»
   «Meglio avviarsi, allora», commentò Adrien, in parte felice per quella notizia: sarebbe finalmente riuscito a passare un po’ di tempo da solo con la propria innamorata. Lei annuì e, presa la scatola di dolci fra le mani, salutò i propri genitori giusto un attimo prima di inciampare su uno spigolo del bancone. Fu Adrien a salvarla da un frontale con il pavimento, agguantandola appena in tempo per la collottola, mentre Tom riusciva a recuperare al volo i macaroon come neanche il miglior giocoliere di Parigi avrebbe saputo fare. «Come accidenti ha fatto?» domandò il giovane, piacevolmente ammirato, aiutando Marinette a recuperare l’equilibrio.
   «Questione di abitudine», rispose l’uomo, strizzando l’occhio e lasciando intendere che cose del genere accadevano di frequente quando sua figlia era nei paraggi.
   «Sì, credo di capire», annuì l’altro, lanciando uno sguardo divertito alla ragazza – che sospirò demoralizzata.
   Ci pensò Sabine a tirarle su il morale, abbracciandola con affetto. «Divertitevi e salutateci i vostri amici.»
   «E tu, Adrien, vieni pure a trovarci quando vuoi. Sarai sempre il benvenuto», assicurò Tom, affidando la scatola a lui, questa volta.
   «Grazie, monsieur Dupain», sorrise l’altro, avvertendo nel cuore un senso di pace che non provava da tempo. Era quella l’atmosfera che si respirava in una famiglia felice? Marinette era davvero fortunata.
   «Sei un grandissimo ruffiano», gli fece sapere lei quando furono fuori, diretti verso il cinema e ignari del fatto che Tom e Sabine li stessero spiando attraverso le vetrine della panetteria. La ragazza stava per aggiungere altro, ma le parole le morirono in gola quando Adrien la prese per mano, intrecciando le dita alle sue in un gesto inequivocabile. Sbirciò nella sua direzione e si sentì sciogliere sotto al suo sguardo innamorato. Dannazione, gli avrebbe perdonato qualsiasi cosa, se solo lui avesse continuato a guardarla in quel modo per sempre…
   «Adrien?» Si volsero entrambi e videro Nathalie, ferma in piedi accanto ad una delle automobili della famiglia Agreste, che era parcheggiata dall’altro lato della strada.
   Il giovane strinse le labbra. «Sapevo che era troppo bello per essere vero…» borbottò, sentendo il proprio buonumore minacciato da quella presenza. Era sinceramente affezionato all’assistente di suo padre e le era grato per tante cose, ma aveva sperato che almeno quel pomeriggio avrebbe potuto avere la libertà di godere della compagnia dei suoi amici – e di Marinette soprattutto – senza vincoli di sorta. «Vieni, me ne libero subito», disse alla ragazza, tirandola gentilmente per la mano.
   Quando però furono davanti a Nathalie, quest’ultima, dopo aver squadrato l’amica di Adrien da capo a piedi e averla comprensibilmente messa in soggezione, spiegò: «Monsieur Agreste era preoccupato al pensiero che prendeste la metropolitana, perciò siamo venuti per accompagnarvi fino al cinema.»
   Adrien cercò lo sguardo di Marinette, che gli sorrise per tranquillizzarlo. «Tuo padre è davvero gentile, non credi?» No, il giovane non lo credeva, ritenendo più probabile che l’uomo volesse solo controllarlo. Tuttavia le fu immensamente grato per quelle parole e, più in generale, per la sua comprensione; tanto che riuscì di nuovo a distendere i lineamenti del viso, fattosi teso non appena aveva visto l’auto di famiglia. «Ah, prima di andare», riprese la ragazza, sfilandogli la scatola di macaroon dalle dita e aprendola davanti a Nathalie, «lei e il suo collega ne gradireste qualcuno? Offre la pasticceria Dupain-Cheng
   Stupita da quella gentilezza inaspettata, Nathalie guardò Adrien con aria confusa. Lui le sorrise, scrollando le spalle e facendo cenno verso il negozio da cui erano appena usciti e dal quale i proprietari, colti in flagrante, presero comunque ad agitare allegramente una mano a mezz’aria. Marinette li fissò rassegnata, ma preferì non commentare, mentre il giovane ricambiava il saluto con affetto e la donna accanto a loro regalò finalmente un’espressione amichevole alla figlia dei coniugi Dupain-Cheng. «Grazie, molto volentieri.»
   Prima di salire in auto, comunque, Adrien ci tenne a sussurrare all’amata: «Chi sarebbe il ruffiano, ora?» Ridendone insieme, si diressero verso il luogo dell’appuntamento.
   Avendo a disposizione diversi minuti prima che giungessero i loro amici, i due ragazzi decisero di aspettarli seduti su di una delle panchine di pietra presenti in un giardinetto nei dintorni del cinema. Fu lì che, dopo aver scambiato poche battute di spirito, finirono pian piano per ammutolirsi. Non che non avessero davvero nulla da dirsi, tutt’altro; solo che la tensione cominciava a farsi pressante, rendendoli di colpo timidi. Il che era davvero stupido – ne erano perfettamente consapevoli – dal momento che, se pure nella vita di tutti i giorni non erano abituati a certe confidenze, quando erano Ladybug e Chat Noir potevano quasi considerarsi l’una l’estensione dell’altro.
   Fu Adrien, allora, a fare la prima mossa, posando la propria mano su quella di lei e stringendola con calore. Marinette avvertì il cuore sussultare e, facendosi coraggio, lo fissò da sotto in su. Lui le sorrise e lei fece lo stesso. C’era davvero bisogno di parole per esprimere ciò che avevano nell’anima? No, forse no. Spostandosi sulla panchina per sedersi a cavalcioni ed essere rivolto interamente verso l’amata, Adrien tornò a fissarla con maggior intensità e sollevò l’altra mano verso il suo viso, sfiorandole la guancia con i polpastrelli. Le sue dita erano meravigliosamente calde, pensò Marinette, fremendo sotto a quel tocco e perdendosi nei suoi occhi. Il giovane le si fece ancora più vicino, posando la fronte contro la sua, e lei schiuse le labbra, incapace di opporsi all’arcano incantesimo che Adrien stava intessendo sul suo povero cuore innamorato. E mentre le dita di lui scendevano a catturarle uno dei codini, giocandoci teneramente, i loro respiri iniziarono a confondersi in quello che presto divenne un bacio. Fu leggero, dolce e caldo. Quasi troppo breve per soddisfarli appieno, tanto che sarebbero subito tornati a cercarsi se non fossero stati sorpresi dall’assordante suono di un clacson proveniente dalla strada vicina, che li risvegliò di soprassalto dal loro bel sogno.
   Rimasero in sospeso per una manciata di attimi, guardandosi spaesati: l’incanto era stato spezzato. Potevano immergersi di nuovo in quella magia tutta loro? Sì, lo avrebbero fatto. Subito. O almeno questa era la tacita decisione che presero senza aver fatto i conti con il caso. Qualcuno pronunciò il nome di Adrien a voce alta e sorpresa, sicuramente una fan che lo aveva riconosciuto da lontano. Chinando il volto con aria sconsolata, il giovane sospirò. «Mi dispiace…»
   Marinette gli posò una mano sulla nuca, spingendolo contro la propria spalla e lo rassicurò con un bacio fra i capelli biondi. «Non importa, abbiamo tutto il tempo del mondo.»
   «Ti adoro», si sentì dire all’orecchio, avvertendo di nuovo un meraviglioso senso di tepore all’altezza del petto.
   «Cécile, lascialo stare, non vedi che è in compagnia?»
   Adrien riconobbe quella voce e gli fu ancora più facile associarla ad un volto nell’udire il nome appena pronunciato. Alzò il capo dalla spalla dell’amata e scorse il suo compagno di scherma. «Roland…»
   Quello accennò un saluto con un piccolo movimento della testa. «Scusa… non volevamo essere invadenti…»
   «Ma siete amici, vero?», s’incuriosì Cécile, che non aveva certo dimenticato quanto successo il giorno in cui Papillon aveva preso di mira il ragazzo che le stava accanto. «Gli amici non dovrebbero badare a certe stupidaggini, no?» I due si guardarono, incerti su cosa dire al riguardo: erano amici? No, non esattamente. Anzi, Adrien sospettava che Roland lo vedesse unicamente come rivale e come potenziale minaccia per il coronamento del suo sogno amoroso.
   Fu a quel punto che si alzò dalla panchina ed esibì inconsapevolmente uno di quei suoi sorrisi abbaglianti, di quelli capaci di stendere uno stuolo di ammiratrici in un colpo solo. «Lasciate che vi presenti la mia ragazza, Marinette.» Quest’ultima fu investita da una meravigliosa doccia calda: Adrien l’aveva appena presentata come la sua ragazza?! Col cuore in tumulto, scattò in piedi come una molla, rossa in volto, gli occhi che le brillavano di pura gioia e un sorriso che le andava da un orecchio all’altro, balbettando qualcosa di incomprensibile che però nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere un saluto cordiale. Il suo innamorato le venne incontro, stringendole la mano, e lei riuscì a respirare di nuovo, rasserenandosi all’istante. «Roland è con me al corso di scherma.»
   «Oh», comprese Marinette, riconoscendo il polsino di pelle che lui portava al braccio.
   Cécile, che la stava osservando con sorpresa mista a curiosità, parve ricordarsi di qualcosa. «Io ti ho già vista», disse allora. I due eroi in borghese si scambiarono uno sguardo fugace, temendo il peggio: possibile che quella ragazza avesse riconosciuto Ladybug? «Tempo fa sei comparsa sulla copertina di Metal Lourd insieme a Jagged Stone!»
   «Ah…» balbettò Marinette, tirando il fiato. «Sì, l’ho aiutato in un paio di occasioni.»
   «Sai», cominciò allora l’altra, rivolta all’amico, con evidente entusiasmo, «è stata lei a disegnare la copertina del suo ultimo CD.»
   Non riuscendo ancora a provare simpatia per il rivale, nonostante tutto, Roland fece oscillare lo sguardo ora su di lui, ora su Marinette. Adrien non si lasciò scoraggiare. «Stavamo per andare al cinema con degli amici», disse con gentilezza. Non che ci tenesse per forza ad essere simpatico al giovane, ma almeno voleva essere sicuro di non diventare nuovamente causa del suo malumore.
   «Un’uscita a quattro?» domandò Cécile, molto più ben disposta verso la coppia.
   «Qualcosa del genere», confermò Adrien. «Ma può benissimo diventare un’uscita a sei, se vi va.» Strizzò l’occhio a Roland, che si irrigidì al pensiero della risposta dell’amata, fattasi improvvisamente muta.
   Anche Marinette, allora, ci mise del suo. «Sarebbe davvero fantastico», assicurò loro. «Sono certa che ad Alya e Nino non dispiacerà.»
   Cécile arrossì lievemente. «A dire il vero… noi non stiamo…»
   «E abbiamo anche una scatola piena di macaroon appena sfornati», li tentò Adrien. «Li ha fatti il padre di Marinette, è il miglior pasticcere di Parigi, ve l’assicuro.»
   La ragazza abbozzò un sorriso, non sapendo esattamente cosa rispondere. Fu Roland, dunque, a fare la sua mossa. «Andiamo», affermò deciso. Cécile si volse a guardarlo, stupita ma non spaventata da quell’idea. Lui si strinse nelle spalle. «Potrebbe essere divertente…» azzardò. La vide sorridere con maggior convinzione e, infine, annuire contenta.

Quella sera stessa, approfittando del fatto che l’indomani non avrebbe avuto scuola, Marinette rimase china sul proprio lavoro fino a tardi. Erano giorni che ci stava dietro e, da buona amica, Tikki le faceva compagnia dandole questo o quel consiglio su come rendere al meglio la sua creazione. Sapeva quanto la sua Ladybug tenesse alla cosa e non vedeva l’ora di poter leggere nei suoi occhi l’orgoglio e la gioia per averla portata a termine con successo, tranquillizzandola al riguardo: tutto sarebbe andato per il meglio.
   Stavano appunto ragionando di questo quando avvertirono un rumore felpato provenire dal terrazzino. Sapevano entrambe che non si trattava di un ladro, perciò rimasero ferme dov’erano, in attesa che l’intruso si decidesse a manifestarsi. Accadde appena pochi secondi dopo, quando dall’alto della botola che conduceva all’esterno si calò la figura scura di Chat Noir, atterrando agilmente sulle quattro zampe. «Ed ecco perché, cara Tikki, bisogna sempre chiudere le finestre, quando scende la sera…» disse Marinette, come se stesse dando una conclusione ad un discorso iniziato in precedenza.
   Il kwami ridacchiò e si avvicinò al giovane, che, non cogliendo la provocazione dell’amata, nel frattempo era tornato ad ergersi sulle gambe. «Non ci siamo ancora presentati», cominciò lei, felice di potersi finalmente mostrare ad Adrien. «Io sono Tikki, piacere di conoscerti.»
   Lui sorrise contento, allungando un dito per poterla accarezzare con tenerezza. «Il piacere è mio», le assicurò. «Magari Plagg fosse così educato e cordiale…» sospirò fra sé.
   «Vi lascio soli», affermò poco dopo Tikki, dando ai due ragazzi la possibilità di poter parlare liberamente in privato. «Vado a vedere se trovo qualche biscotto incustodito.»
   «Biscotti, eh?» sospirò Chat Noir, vedendola volare al piano di sotto. «Sei fortunata», aggiunse rivolto all’amata. «Almeno non rischi di puzzare tutto il giorno di formaggio come me.»
   «Non è vero che puzzi di formaggio», lo rassicurò lei, trattenendo un sorriso senza però staccare gli occhi dal proprio lavoro di cucito. «Anzi, hai un buon odore.»
   L’altro assunse un’espressione sorniona e si guardò attorno dondolandosi sui talloni, le mani intrecciate dietro la schiena. «Quindi… la storia che mi hai raccontato l’altra volta, quella sulle mie foto alle pareti, era una bugia?»
   «Fatico ancora a credere che tu te la sia bevuta», osservò Marinette, ostentando una calma che non possedeva affatto.
   «Non mi chiedi perché sono qui?»
   «Ho idea che me lo dirai lo stesso», rispose, prendendo le forbicine da ricamo e tagliando il filo, prima di posare l’ago sul puntaspilli. «Prima, però, vorrei che provassi una cosa per me», aggiunse mettendosi in piedi e mostrandogli quel che aveva fra le mani. Si trattava di una giacca nera, dal taglio maschile e decisamente originale, ma di buon gusto.
   Rimanendo fermo dov’era, e dimenticando di essere andato da lei per chiederle di andare in coppia alla festa di Halloween della scuola, il giovane prese a fissarla con evidente stupore. «È… per me?»
   Marinette annuì, cercando di ignorare l’afflusso di sangue che le era salito al viso. «Un paio di settimane fa, a scuola, mi hai tirata fuori da uno dei miei soliti disastri…» Adrien neanche lo ricordava più, ma non questionò e attese di sentire il resto del discorso. «Così, visto che ti piacciono i miei modelli, ho pensato che sarebbe stato carino ringraziarti in questo modo…» La vide alzare timidamente lo sguardo su di lui. «Non avendo le tue misure, sono andata ad occhio, ma… se non dovesse andare bene potrei sempre sistemarla. O… O se non dovesse piacerti, magari… potrei farne un’altra. Perché magari non la vuoi, e allora potrei trovare un altro modo per ringraziarti… Dopotutto, hai sempre l’intera collezione di tuo padre a disposizione… Quindi, non so, magari potrei regalarti quel collare antipulci di cui parlavi… anzi no, senza antipulci, giusto? Oppure potrei…»
   Tacque di colpo quando, dopo aver vinto la distanza fra loro, le mani di Chat Noir si chiusero teneramente attorno alle sue. «È perfetta», le assicurò, un nodo in gola, come tutte le volte che quella ragazza riusciva a far breccia nel suo cuore con tanta semplicità. Da quanto tempo ci stava lavorando? Da un po’, concluse, ricordando che l’aveva vista alle prese con la macchina da cucire sin dal giorno in cui aveva scoperto la sua doppia identità. «Grazie.»
   «Non… Non è ancora finita, però», balbettò Marinette, rimproverandosi di non riuscire a controllare le proprie emozioni quando si trovava con lui. Com’era possibile che alternasse momenti di sicurezza ad altri di panico completo?
   «Posso provarla?»
   «Certo, è tua.» Sorridendo, il giovane schiuse le labbra per pronunciare le parole che lo avrebbero trasformato nuovamente in Adrien, ma lei lo fermò a metà, tappandogli la bocca con una mano. «Aspetta», lo pregò, prima di prendere la giacca e metterla da parte. «Prima… Prima vorrei chiarire una cosa», affermò, prendendo a due mani tutto il coraggio che aveva dentro di sé. Pur stupito, lui rimase in silenzio, aspettando che la ragazza tornasse a parlare. «L’altra sera…» cominciò allora lei, la voce malferma per le emozioni che continuavano a rimescolarsi nel suo animo, «hai detto una cosa che non risponde alla verità.» Vide Chat Noir aggrottare appena la fronte, forse nel tentativo di capire a cosa lei si stesse riferendo nel dettaglio. Marinette comprese di dover essere più chiara. «Non è vero che non ricambio i tuoi sentimenti.»
   Lo vide sorridere sollevato. «Sì, lo avevo intuito…» le fece sapere, provando enorme tenerezza per quella dichiarazione ormai superflua.
   «Lo so, lo so…» si affrettò a dire lei, trovandosi d’accordo, visto quanto era successo nelle ultime ventiquattro ore. Era persino diventata la sua ragazza, dopotutto. E si erano baciati, sia pure solo per pochi istanti. «Solo che… volevo dirtelo comunque. Credo sia più giusto così», ci tenne a fargli sapere. Inspirò, riempendosi di nuovo coraggio, e aggiunse: «Inoltre… volevo che fosse Chat Noir a sentirlo.» Lui tornò a fissarla con una certa sorpresa e Marinette si decise a vuotare il sacco fino in fondo. «Tu hai accettato la vera me stessa così com’è, piena di difetti e di incongruenze. È a lei che hai dichiarato il tuo amore, non a Ladybug. Per questo, vorrei fare lo stesso.» Sorrise, avvertendo di colpo tutta la serenità che la forza dei propri sentimenti era capace di trasmetterle. «Non voglio che ci siano più inibizioni, fra noi, di nessun tipo. Vorrei che ti sentissi libero di essere te stesso, quando sei con me, con o senza questa maschera.» Nel dirlo, gli prese il viso fra le mani, passando la punta delle dita sull’orlo inferiore del tessuto scuro che nascondeva al mondo la sua vera identità. «Ti amo», concluse allora, fissandolo dritto negli occhi, proprio come il giovane aveva fatto con lei appena due sere prima.
   Chat Noir non resistette oltre e l’afferrò per la vita, attirandola a sé e incollando le labbra alle sue, con un trasporto che non credeva neanche di possedere. Seppur colta alla sprovvista, Marinette non si oppose e, anzi, si aggrappò a lui con tutta se stessa, felice che fossero proprio le metà imperfette del loro essere a condividere la gioia di quel momento.












Fa sempre un effetto strano concludere una storia. Fino a questo istante non me n'ero del tutto accorta perché continuavo a leggerla e rileggerla (in cerca di errori) prima di postare qui i vari capitoli. E adesso? Le shot non mi soddisfano allo stesso modo, ma confesso che ho paura di tornare a mettermi alla prova con un'altra long, sigh.
Ad ogni modo, spero di non aver deluso nessuno con questo finale. Ho cercato di riallacciare tutti i punti lasciati in sospeso, ma se ne ho dimenticato qualcuno fatemelo sapere, così provvederò con una shot al riguardo. Ne ho giusto una da postare, come dicevo l'altra volta, che è ambientata circa una settimana dopo questo nono capitolo. Non è nulla di eccezionale, ma è uno sfizio che mi sono voluta togliere e che voi potrete leggere o meno nei prossimi giorni.
Durante la stesura di questa long ho cercato di dare spazio a diversi personaggi e anche alle quattro ship principali del fandom (quelle che prevedono sempre Marinette/Ladybug e Adrien/Chat Noir come elementi), ma per esigenze di copione la Ladrien è rimasta un po' in sordina, mentre la Marichat ha avuto le scene più intense. Me ne scuso, ma credo sia quella la coppia che ha bisogno di innamorarsi davvero, dal momento che nella serie Marinette e Chat Noir si stanno simpaticamente indifferenti a vicenda. Ri-sigh.
Concludo qui, altrimenti potrei continuare a parlare a vanvera per ore ed è meglio evitare.
Ringrazio di vero cuore tutti voi che siete giunti a leggere queste ultimissime righe, voi che avete deciso di dedicare del tempo anche ad una recensione, breve o lunga che fosse, e voi che avete inserito questa storia fra le fanfiction preferite/ricordate/seguite. Siete stati meravigliosi e mi avete dato una carica incredibile, accogliendomi con affetto nel fandom e facendomi sentire a casa.
Un abbraccio a tutti voi e buona giornata. A presto! ♥
Shainareth





  
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